La categoria della inesistenza delle delibere societarie non è stata espunta dalla riforma del 2003 (più un cenno sulla consensuslità od obbligatorietà della cessione di titoli azionari)

Cass. 26.199 del 27.09.2021, rel. Campese, interviene sulla seguente fattis n.pecie concreta: l’assemblea, cui partecipà un solo socio -sè dicente tale- al 99,5 % poi rivelatosi privo di titolarità (e non solo di legittimazione), può dirsi esistente e dunque soggetta a nullità/annullabilità? O è invece radicalmente inesistente, con la conseguente non assoggettabilità ai termini posti per le due invalidità?

La risposta esatta è la seconda: <<ad avviso di questo Collegio si rivela preferibile, tra le descritte opinioni dottrinali, quella incline a configurare sebbene in via del tutto residuale – la categoria della inesistenza della Delibera assembleare esclusivamente allorquando lo scostamento della realtà dal modello legale risulti così marcato da impedire di ricondurre l’atto alla categoria stessa di deliberazione assembleare, e cioè in relazione alle situazioni nelle quali l’evento storico al quale si vorrebbe attribuire la qualifica di deliberazione assembleare si è realizzato con modalità non semplicemente difformi da quelle imposte dalla legge o dallo statuto sociale, ma tali da far sì che la carenza di elementi o di fasi essenziali non permetta di scorgere in esso i lineamenti tipici dai quali una deliberazione siffatta dovrebbe esser connotata nella sua materialità. E tanto in linea di sostanziale continuità con quanto già sancito, sebbene in fattispecie regolata dalla normativa ante riforma, da Cass. n. 7693 del 2006, la quale, non aveva mancato di evidenziare come le novità legislative di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, non valessero “comunque ad espungere del tutto dall’ordinamento societario la figura della deliberazione inesistente, quanto meno nei casi nei quali si debba parlare di inesistenza materiale, prima ancora che giuridica, di essa”. Nella fattispecie ivi esaminata, nella quale era mancata non soltanto la separata convocazione, quanto la costituzione stessa di un’assemblea degli obbligazionisti sottoscrittori del prestito convertibile emesso da una società, e nella quale la deliberazione concernente la modifica delle condizioni di tale prestito era stata assunta non già semplicemente con il concorso anche di soggetti non legittimati, bensì unicamente con il voto di estranei al prestito da modificare ed in assenza totale dei soli obbligazionisti legittimati, era stata ritenuta mancante la materialità stessa della riunione assembleare – o, quanto meno, di una riunione assembleare riferibile agli obbligazionisti sottoscrittori di quel prestito – “non diversamente da quanto accadrebbe se si pretendesse di qualificare come assemblea degli azionisti di una società un’adunanza cui partecipino soltanto soggetti che di quella società non sono invece affatto soci”>>, § 2.4.11.

Principio di diritto: <<E’ inesistente la Delibera assembleare di società di capitali assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio della stessa”>, § 5.1

Poisizione condivisibile: che almeno nel caso sub iudice vada ravvisata l’inesistenza o meglio che non si possano far scattare i termini per le impugnazioni di nullità e annullabilità, mi pare sicuro.       Più difficile è capire  in quali altri casi ciò possa ravvisarsi.

La SC poi prende posizione sull’individuazione del momento traslativo nella cessione di titoli azionari e opta per la teoria consensualistica: il transfert (iscrizione a libro soci) , allora, è solo esecuzione di un  contratto già perfezionato.

Anche qui è condivisibile.

Di fronte ad una regola generale come l’art. 1376 cc, le deroghe devono essere espresse o poggiare su forti considerazioni teleologiche (da vedere se potrebbero essere pattuite nel contratto sociale). Nessuno dei due casi ricorre nel TUF (art. 83 quater spt.): per cui anche per i titoli dematerializzati continua ad operare la cit. disposizione codicistica (conf. Martorano F., Titoli di credito dematerializzati, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu Messineo, Giuffrè, 2020, 144 ss e spt. 161 ss ).

Non vale in contrario addure le disposizioni ex art. 30/1 e 32/1 d. lgs. 213 del 1998, oggi art . 83/1 e 83 quinquies/1 TUF: non è esatto che esse o si ripetono o dicono cose diverse, al punto che ne segue ineluttabilmente  l’efficacia costitutiva dell’annotazione nei registri dell’intermediario (così invece Cian M., Titoli dematerializzati e <circolazione cartolare>, Giuffrè, 2001, 306 ss e spt. 310-314 e poi più sinteticamente in Cian , Il trasferimento dei titoli dematerializzati tra consensualismo e anticonsensualismo, nota a Cass. pen. 23.02.2009 n. 7769, Giur. com.., 2010, II, 80 ss; per Cian il consenso è ad effetto solo obbligatorio, mentre il trasferimento è prodotto dal compimento della c.d. operazione di giro e cioè dall’addebtito/accredito nei conti del venditore e risp.  dell’compratore e di eventuali intermediari). La prima disposizione si limita a dire che in generale è imprescindibile il ruolo dell’intermediario, senza specifcare per quali aspetti: non a caso la rubrica dell’articolo recita solo <Attribuzioni della societa’ di gestione e dell’intermediario)> (oggi: <dei depositari centrali e degli intermediari>). La seonda invece precisa per quali aspetti e cioè regola i diritti emergenti dall’intervento dell’intermediario (mera legirttimazione): non a caso la rubrica è “Diritti del titolare del conto” (questa è la sedes materiae della disciplina dei diritti sorgenti dalla registrazione presso l’intermediario).

Piuttosto andrebbe esaminato se fa cambiare la suggerita impostazione la odierna sosttuizione della <chartula> con la registrazione informatica (esame bencondotto da Cian, 283 ss e spt. 289 ss.). Ma allo stato non parrebbe: la seconda sostotuisce .

Esame istituzionale anche in Menti , Ex chartula. Nozioni introduttive ai titoli di credito, Giappichelli, 2011, 191 ss. Per la teoria consensualistica De Luca N., Circolazione delle azioni e legittimazione dei soci, Giappichelli, 2007, 152 (manca però esame specifico delle peculiarità caratterizzanti la dematerializzazione)

Requisiti della delibera dei soci che promuove l’azione contro gli amministratori (art. 2393 cc)

Se ne occupa Cass. 23.07.2021 n. 21.245, rel. Caradonna.

Premesso che <costituisce una condizione dell’azione, la cui sussistenza va verificata d’ufficio dal giudice e che, come tale, è sufficiente che sussista al momento della pronuncia della sentenza che definisce il giudizio (Cass., 26 agosto 2004, n. 16999; Cass., 11 novembre 1996, n. 9849)>, entra nel merito del caso.

La delibera dei soci era del seguente tenore: <<dare mandato al legale di verificare se ci siano gli estremi per un’azione di responsabilità nei confronti di tutto il precedente Consiglio di Amministrazione, dei Consigli ancora precedenti, oltre che dei Collegi dei sindaci, che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi e, nel caso ci siano i presupposti di dare, fin da ora, formale mandato al legale di intraprendere tutte le azioni del caso».>>

Correttamente , dice la SC, il Tribunale ha affermato che <<l’assemblea dei soci non avesse espresso la consapevole volontà di adire l’autorità giudiziaria per promuovere l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci, proprio in considerazione del contesto complessivo della riunione del 28 ottobre 2011, che aveva visto come oggetto genericamente il grave dissesto finanziario creato dai precedente consiglio di amministrazione e che aveva deliberato di dare mandato al legale di verificare la sussistenza dei presupposti dell’azione di responsabilità «nei confronti di tutto il precedente Consiglio di amministrazione, dei Consigli ancora precedenti oltre che dei Collegi dei sindaci che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi» e di intraprendere, in presenza dei presupposti, «tutte le azioni del caso», nella mancata indicazione, per l’appunto, non solo degli addebiti mossi agli ex amministratori, ma anche dei soggetti contro i quali si sarebbe concretamente agito, elementi che avrebbero consacrato in modo formale e inderogabile l’espressione della volontà della società di cui, per quanto già detto, non sono ammessi equipollenti. E ciò anche in ragione della duplice considerazione spiegata dai giudici di merito che gli addebiti poi azionati nella causa in esame non coincidevano con quelli sui quali il Presidente della Cooperativa aveva specificamente relazionato all’assemblea del 28 novembre 2011 e che l’indicazione del totale dei debiti e del disavanzo negativo di euro 3.918.630,00 era stata genericamente rimproverata al precedente Consiglio di Amministrazione. 9 Corte di Cassazione – copia non ufficiale

2.7  Questa Corte, al riguardo, ha ritenuto valida l’autorizzazione di un’assemblea di una Cooperativa che aveva esteso l’autorizzazione all’azione di responsabilità «per tutte quelle negligenze ed addebiti che emergono nel corso del giudizio», ma dopo una prima autorizzazione riguardante l’azione di responsabilità per il danno derivante dai pagamenti effettuati in favore del Consorzio appaltatore al di fuori degli stati di avanzamento dei lavori, (Cass., 10 settembre 2007, n. 18939). E’ stato, pure, affermato conriguardo alla sottoposizione di istituto di credito ad amministrazione straordinaria, cresta -C–orte–h-a-afferrriatq che l’autorizzazione rilasciata dalla Banca d’Italia al commissario straordinario ai sensi dell’art. 72, quinto comma, del d.lgs. n. 356/1990, per l’esercizio dell’azione di responsabilità dei disciolti organi sociali, copre tutte le pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell’obiettivo del giudizio cui il provvedimento si riferisce, anche se di natura accessoria e consequenziale, non essendo necessario che contenga nel dettaglio tutte le iniziative processuali da intraprendere ma esclusivamente l’enunciazione degli elementi essenziali, oggettivi e soggettivi, dell’azione (Cass., 12 giugno 2007, n. 13765).

2.8 Sussiste, dunque, la denunciata carenza di autorizzazione all’esercizio dell’azione di responsabilità, essendo evidente che, la delibera societaria in esame, mancando, alla data del 28 ottobre 2011, della individuazione degli elementi costitutivi dell’azione di responsabilità, sia sotto il profilo oggettivo, che soggettivo, essendo stato dato mandato al legale di verificare se vi fossero gli estremi per «le azioni del caso» nei confronti di una pluralità di organi collegiali (consigli di amministrazione e collegi sindacali in carica fin dalla data di costituzione della società), non era idonea ad esprimere una volontà, compiutamente informata, dei soci.>>

Se la annotino gli operatori.

Stipula di transazione, diligenza gestoria del liquidatore di s.r.l. e limiti di sindacabilità giudiziale

Trib. Milano 28.06.2021, sent. n. 5546/2021, rg 54438/2017, rel. Marconi, decide sulla diligenza o meno del liquidatore nell’aver stipulato due transazioni: la prima con un debitore, la seconda con il locatore , che contestava il recesso da un  rapporto locatizio immobiliare.

La censura delle transazioni è sempre difficile, caratterizzando il contratto lo scambio tra aliquid datum e aliquid retentu per por fine alla lite ( si pensi alla nota questione della sua revocabilità).

Ebbene, così motiva:

<<Con riferimento alla valutazione giudiziale dell’opportunità della conclusione da parte della liquidatrice delle transazioni  che la società attrice  considera  fonte di danno, vengono in rilievo i principi espressi dalla giurisprudenza in materia di limiti al sindacato del merito delle scelte di gestione degli amministratori, essendo, analogamente, riservata in linea generale alla discrezionalità del liquidatore la valutazione  della  convenienza  delle  scelte  relative  alla  liquidazione  dell’attivo  patrimoniale  o  alle modalità di estinzione dei debiti sociali.  Come è noto, il merito delle scelte di gestione adottate dagli amministratori di società è tendenzialmente  insindacabile  in  sede giudiziale (c.d. “business  judgment  rule”), salvo il limite della palese irragionevolezza di tali scelte, desumibile dal fatto che l’amministratore non abbia usato le necessarie cautele e assunto le informazioni rilevanti (Cass. 12 febbraio 2013, n. 3409; Cass. 22 giugno 2017,  n.  15470).  Si  tratta  di  una  valutazione  da  condurre  necessariamente  ex  ante,  non  potendosi affermare  l’irragionevolezza  di  una  decisione  dell’amministratore  per  il  solo  fatto  che  essa  si  sia rivelata  ex  post  economicamente  svantaggiosa  per  la  società>>

Tutto bene, nessuna novità. Segnalo l’importanza della prospettiva ex ante (prognosi postuma, potremmo dire).

<< In  particolare,  non  può  essere  ritenuto responsabile l’amministratore che, prima di adottare la scelta gestoria contestata, si sia legittimamente affidato  alla  competenza  di  figure  professionali  specializzate  (Trib.  Milano,  15  novembre  2018,  n. 11476)>>: precisazione interessante per gli operatori.

<<  Applicando  tali  principi  anche  alle  scelte  di  convenienza  economica  a  cui  è  chiamato  il  liquidatore nell’assolvimento del suo incarico, l’accertamento di una responsabilità della Lobova nei confronti della  Mechel  Service presuppone, dunque, che siano provate tanto l’irragionevolezza ex  ante  delle transazioni  concluse  dalla  liquidatrice,  quanto  il  danno  patito  ex  post  dalla  società  per  effetto  di  tali accordi.>> : ancora sulla prospettiva ex ante.

<<Quanto alla prima transazione, non vi è prova dell’asserito danno. Non solo non è stato dimostrato che la società debitrice Sifer fosse in grado di pagare l’intero credito nel momento in cui, il 5 dicembre 2014, la liquidatrice con l’assistenza del legale della società ha concluso  la  transazione,  ma  è  emerso dalla documentazione prodotta dalla convenuta che la società debitrice aveva chiuso l’ esercizio  2015 con un patrimonio netto negativo per € 5.420.415 (doc. 20 convenuta, p. 23) e che in data 29 luglio 2016 era stata messa in liquidazione (doc. 21 convenuta, p. 4).  Non  emerge,  quindi,  ex  post  [ex post? che c’entra se la prospettiva  è ex ante?] alcun  danno  subito  dalla  società  Mechel  per  effetto  della  transazione conclusa  con  la  Sifer,  il  cui  dissesto  finanziario  avrebbe  con  ogni  probabilità  impedito  alla  società attrice  di ottenere,  all’esito del  giudizio di opposizione, il pagamento  anche solo parziale del suo credito.  Né  si  può  ritenere  ex  ante  irragionevole  la  stipulazione  della  transazione:  una  simile  conclusione potrebbe essere raggiunta solo qualora fosse praticamente inesistente il rischio di perdere la causa. Nel caso  di  specie,  invece,  l’esecutorietà  del  decreto  ingiuntivo  era  stata  sospesa  dal  giudice dell’opposizione; circostanza questa che faceva apparire tutt’altro che scontato un esito del contenzioso favorevole a Mechel Service (v. doc. 19 di parte convenuta a pag. 2). Anche  la  stipulazione  della  seconda  transazione  non  può  ritenersi  irragionevole  ex  ante.  La  natura tombale  della  precedente  transazione  con  21ABB  era  opinabile  in  relazione  ai  nuovi  vizi  occulti lamentati in un momento successivo al precedente accordo transattivo e riconosciuti dallo stesso perito  consultato  dalla  liquidatrice  (  v.  doc.  3  convenuta).  In  ogni  caso,  poi,  sarebbe  stato  necessario  un giudizio, potenzialmente di lunga durata e in ogni caso dall’esito incerto, perché fosse accertato il fatto che la precedente transazione impediva la proposizione delle nuove richieste risarcitorie.  L’ammontare della pretesa risarcitoria riconosciuto con la transazione (€ 294.000), poi, è sensibilmente inferiore sia ai danni lamentati da 21ABB (€ 580.000, v. doc. 12 convenuta), sia alla somma indicata dallo stesso perito incaricato di stimare i danni dalla Mechel  (€ 414.000, v. doc. 3 convenuta).  Comunque,  la  decisione  di  transigere  è stata presa dalla Lobova all’esito della consultazione con un avvocato,  come  emerge  da  una  comunicazione  tra  lei  e  Denis  Shamne  (amministratore  della  società controllante  dell’attrice)  a  cui  riferisce  che  «L’avvocato italiano consiglia di transigere»  (doc.  12 attrice).  Come precedentemente ricordato, non può essere ritenuta negligente la condotta dell’amministratore o del  liquidatore  che,  nell’adozione  delle  scelte  di  gestione,  acquisisca  prudentemente  il  giudizio  di esperti del settore prima di decidere.  La liquidatrice convenuta, nel caso in esame, commissionando la perizia sul danno e consultandosi con un  avvocato  esperto  dell’ordinamento  giuridico  italiano,  ha  adottato  tutte  le  cautele  necessarie  a prendere  una  decisione  informata  e  consapevole  così  che  la  convenienza  economica  della  scelta adottata non è sindacabile in sede giudiziale>>.

Spunti molto interessanti per i consulenti in caso di ipotesi transattive.

Studio della Commissione UE sullo sviluppo di strumenti per inserire i fattori ESG nelle gestioni bancarie

Lo studio explora <the integration of ESG factors into banks’ risk management processes, business strategies and investment policies, as well as into prudential supervision>>.

E’ del 27 agosto 2021 ed è consultabile qui l’executive summaryqui il full text (final study).

E’ stato condotto per conto della Commissione  UE da una divisione di Black Rock (BlackRock Financial Markets Advisory), uno dei più grossi fondi di investimento mondiali.

L’executive summary è agevolmente leggibile: le scelte grafiche sono azzeccate. Per avere un’idea sufficientemente precisa ci si può limitare anche ai grassetti ad inizio paragrafo.

La riflessione è critica circa la capacità delle banche di gestire i rischi ESG (v. <Conclusions>, p. 8/9 del pdf).

Si v. spt. le Observed challenges: <<Data challenges and a lack of common standards continue to be seen as the most prevalent challenges facing banks and supervisors alike. ESG data are the cornerstone for performing a wide range of ESGrelated activities, including risk measurement, product labelling, portfolio steering, and disclosure. The absence of common standards for ESG-related issues impedes comparability of information received and disclosed by banks, which creates information asymmetry amongst market participants >>

Infine, i suggerimenti (Principles of best practice for integrating ESG in risk management and prudential supervision ) , sostanzialmente miranti ad aumentare la misurabilità dei KPI Key Performance Indicators e a darvi trasparenza (ovvio, essendo queste le carenze individuate nella precedente parte dello studio).

La prestazione dei sindaci di s.p.a. è unitaria oppure frazionata per i vari esercizi?

Interessante questione (anche per i profili teorici: l’individuazione della  prestazione dovuta) decisa da Cass. 6027 del 04.03.2021, est. Dolmetta.

Sindaci di spa chiedono l’ammissione al passivo dei loro compensi per gli anni 2014-2017. Il fallimento rigetta, affermando un inadempimento ai loro doveri per tutto il 2014 (presumibilmente perchè inadimplenti non est adimplendum, art. 1460 cc).

Su opposizione dei sindaci, il Tribunale di Vicenza limita il rigetto dell’insinuazione al 2014 (unico esercizio per il quale erano state dedotte le inadempienze), e lo esclude invece per il 2015-2017. Ciò perchè le prestazioni dei sindaci via via erogate, esercizio per esercizio, sono da ritenere reciprocamente autonome.

La tesi è confermata dalla SC, adita dal Fallimento.

la Sc imposta così la questione dedottale: << Segue alle osservazioni appena compiute che il problema posto dal motivo di ricorso viene nella sostanza a focalizzarsi  sul punto se le obbligazioni di controllo – che l’ordinamento vigente pone, ex art. 2403 cod. civ., in capo ai sindaci di società per l’intera durata del loro ufficio – siano passibili di una considerazione solo «globale e unitaria», quanto al riscontro del loro adempimento ovvero inadempimento. Detto altrimenti, è da chiedersi, con diretto e immediato riferimento alla fattispecie che è qui concretamente in esame, se il riscontro di un inadempimento materialmente caduto nell’esercizio 2014 porti con sé (oppure no) una violazione degli obblighi di controllo sindacale per sua propria natura destinata a protrarsi per l’intera durata dell’ufficio commesso ai sindaci, sì che questi ultimi non abbiano diritto a percepire nessun compenso per l’attività loro affidata>>, § 9.

Ed ecco la risposta:

<<Al quesito si deve fornire risposta di segno negativo: l’adempimento della prestazione di controllo, a cui sono tenuti i sindaci, appare in effetti suscettibile di essere considerato partitamente, tempo per tempo. Con la conseguenza che, per la parte ora in esame, il motivo presentato dal ricorrente si manifesta infondato. – Per questo proposito è prima da tutto da rilevare, su un piano generale, che le obbligazioni di carattere continuativo ben possono rimanere – pure nel riflesso della loro dimensione temporale – in parte adempiute e in parte inadempiute. Sul piano del diritto positivo decisiva risulta, al riguardo, la constatazione che la norma dell’art. 1458, comma 1, cod. civ. stabilisce – con riguardo, appunto, allo specifico caso della risoluzione dei «contratti a esecuzione continuativa» – che l’«effetto della risoluzione non si estende alla prestazioni già eseguite». Questo – è anche opportuno per chiarezza esplicitare – tanto nel caso in cui a un primo periodo di adempimento si contrapponga seccamente un successivo periodo di solo inadempimento, quanto in quello in cui le due situazioni vengano intermittenti ad alternarsi. Il che, naturalmente, non significa che non possa assumere rilievo pure la specifica collocazione temporale in cui, nel concreto, viene a porsi il periodo di inadempimento di un’obbligazione continuativa. Ciò, tuttavia, è destinato a poter accadere per un profilo diverso da quello del mero riscontro di un avvenuto inadempimento: come rappresentato, in particolare, dalla valutazione dell’efficacia causale del medesimo e, dunque, pure sulla misura del danno risarcibile (v. già sopra, nel n. 8)>>, §§ 10-11.

Sulla responsabilità dei sindaci di cooperativa s.r.l.

La Cassazione interviene sul tema con sentenza condivisibile (Cass. sez. I – 11/12/2020, n. 28357, rel. Terrusi), anche se priva di spunti di reale interesse

L’addebito consisteva nel non aver curato che la somma, pur incassata dal liquidatore nel conto corr. sociale, andasse poi effettivamente “a buon fine” e cioè restasse a disposizione per l’attività sociale. Infatti il fallimento successivo non aveva più reperita  detta somma (oltre 80 mln euro),  pur transitata (versata) sul conto bancario sociale.

La corte eroga i soliti e condivisibili insegnamenti sulla responsabilità dei sindaci:

  • <<I doveri di controllo imposti ai sindaci sono certamente contraddistinti da una particolare ampiezza, poichè si estendono a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello, concorrente, dei creditori sociali>>, sub IV
  • Questo accade, in particolare, <<quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità (ex aliis Cass. n. 13517-14, Cass. n. 23233-13), poichè in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori (o dei liquidatori) pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni (cfr. di recente Cass. n. 18770-19)>>, ivi
  • La condanna richiede la prova <<di tutti gli elementi costitutivi del giudizio di responsabilità. E quindi: (i) dell’inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo; (ii) dell’evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell’amministratore (o, come nella specie, del liquidatore); (iii) del nesso causale, da considerare esistente ove il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno>>, sub V.
  • Il nesso di causa , in particolare, <<va provato da chi agisce in responsabilità nello specifico senso che l’omessa vigilanza è causa del danno se, in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato (o limitato). Il sindaco non risponde, cioè, in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate, quasi avesse rispetto a questo una posizione generale di garanzia. Egli risponde ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente (come suo dovere) in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato>>, ivi

Nel caso , il sindaco , essendosi dimesso l’11 luglio mentre la somma era stata messa in banca a fine maggio e a fine giugno precedenti, non aveva avuto il tempoi di raccogliere camapanelli di allarme sul fatto che dalla banca poi non sia stata concretamente messa a disposizione dell’impresa sociale (ma di terzi sine titulo).

O meglio, non è stata data prova di tali negligenze. Infatti <<il difetto di consequenzialità è infatti evidente, in quanto è pacifico che la T. aveva cessato dalla carica dopo pochi giorni dalla riscossione delle somme (l’11-7-1995) e niente è indicato, in motivazione, onde potersi sostenere che, medio tempore, le somme, regolarmente versate in conto, fossero state distratte, o alternativamente che vi fossero stati pagamenti cui associare ipotetiche anomalie d’impiego suscettibili di essere rilevate dal sindaco ancora in carica.   Tutto questo mina dalle fondamenta il ragionamento della corte del merito, poichè, ai sensi dell’art. 2407, non consente di giustificare – se non in termini assolutamente apodittici – il concorso nell’illecito del liquidatore>>, sub VI.

Si notino i tempi processuali: – fatti del 1995; – notifica della citazione di primo grado del maggio 2003; – sentenza di appello del 2014; – sentenza di Cassazione del dicembre 2020.

Utili (anche se non sorprendenti) chiarimenti per i sindaci per evitare il concorso -omissivo- in bancarotta con gli amministratori

Cass. pen, V, n. 156 del 05.01.2021 (ud. 24.11.2020), rel. Scordamaglia,  fornisce qualche chiarimento ai sindaci per evitare il concorso omissivo in bancarotta con gli amministratori.

Questa la fattispoecie concreta: <<limitatamente alla condotta di distrazione avente ad oggetto il conferimento, in data 4 dicembre 2009, di tre complessi immobiliari di proprietà della fallita (quelli ubicati in (OMISSIS)) alla GPI Srl, a fronte del riconoscimento in favore della cedente di una partecipazione nel capitale sociale della cessionaria pari al 68,25 %, per un valore di circa 13 milioni di Euro a fronte di un valore dei beni ceduti non inferiore a 20 milioni di Euro, partecipazione che, in data 21 gennaio 2010, veniva ceduta alla MILLENNIUM Capital Partecipation SA, società capogruppo della “holding” G., a fronte della compensazione con crediti inesistenti vantati nei confronti della “(OMISSIS)”. Operazione complessiva, questa, che aveva luogo allorchè i tre imputati rivestivano simultaneamente il ruolo di revisori contabili della “(OMISSIS)” ed erano anche componenti del collegio sindacale di altre società del gruppo ” G.”, segnatamente la BMC e la MILLENNIUM Italia Spa>>, § 1.

Appello MIlano aveva osservato, rigettando l’impugnazione dei sindaci: <<gli imputati, per via di tale risalente osservatorio privilegiato, non potevano non accorgersi del programma illecito, ordito da G.G. e da G.I.F., domini del gruppo, per depauperare il patrimonio della “(OMISSIS)”, essendo stata l’operazione negoziale, che aveva portato a tale risultato, contrassegnata da indici di sospetto di tale conclamata evidenza da non lasciare loro alcuna discrezionalità nell’adempimento dell’obbligo di predisporre una pronta ed efficace reazione. Il conferimento (in data 4 dicembre 2009) del patrimonio immobiliare della “(OMISSIS)” in favore della GPI aveva avuto luogo, infatti, previa svalutazione del valore dello stesso nell’ordine del 31 % in assenza di giustificazioni e nonostante che il collegio sindacale avesse certificato (in data 1 dicembre 2009) una perdita di esercizio pari a circa 2 milioni di Euro; inoltre, nel verbale di assemblea del 29 novembre 2009, nel quale l’operazione era stata messa a punto, non solo non si faceva cenno alla finalità di quotazione in borsa della GPI, indicata come causa concreta del negozio, ma era anche espressamente previsto che entro poco tempo (40 giorni) il pacchetto azionario della GPI, detenuto dalla “(OMISSIS)”, sarebbe stato ceduto alla capogruppo lussemburghese MILLENNIUM Capital Partecipation SA, di modo che “(OMISSIS)” Srl. non avrebbe potuto neppure conseguire il vantaggio di “un’accresciuta capacità di reddito dell’impresa nei confronti del sistema bancario”, indicato come scopo sottostante dell’operazione.>>, § 1.1.

La difesa dei sindaci, per cui non avrebbero potuto percepure nulla circa le frodi in atto, viene così respinta: <<ai sensi dell’art. 2403 c.c. e ss., i poteri-doveri dei sindaci delle società di capitali non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale (Sez. 5, n. 12186 del 18/02/2019, Tritto, non massimata; Sez. 5, n. 18985 del 14/01/2016, A T, Rv. 267009; Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646; Sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006 – dep. 08/05/2007, Martone, Rv. 236630), comprendendo, in effetti, il riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile (Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646; Sez. 5, n. 8327 del 22/04/1998, Bagnasco, Rv. 211368). Ciò, ulteriormente, comporta che la loro responsabilità penale è stata correttamente ravvisata a titolo di concorso omissivo secondo il disposto di cui all’art. 40 c.p., comma 2, cioè sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che, inerisce alla loro funzione, sub specie dell’equivalenza giuridica, sul piano della causalità, tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire ed il cagionarlo. Controllo che, invero, non era circoscritto all’operato degli amministratori, ma si doveva estendere a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e non poteva non ricomprendere anche l’obbligo di segnalare tempestivamente tutte le situazioni suscettibili di mettere a repentaglio la prosecuzione dell’attività di impresa e l’assicurazione della garanzia dei creditori (Sez. 1 civ., n. 2772 del 24/03/1999, Rv. 524490)>>, § 1.3 (si legge 13 nella banca dati ma dovrebbe essere 1.3).

Circa le blande iniziative (mere richieste di chiarimenti agli amministratori) assunte a fronte di campaneli di allarme gravi, la SC osserva: <<ai propri compiti il Collegio sindacale avrebbe dovuto adempiere non solo con il potere di denuncia al Tribunale di cui all’art. 2409 c.c., u.c., (previsto in ipotesi di fondato sospetto di gravi irregolarità compiute dagli amministratori nella gestione della società suscettibili di arrecare danno alla società stessa), ma anche, e prim’ancora, con l’attivazione degli altri poteri d’intervento all’uopo previsti dalla legge: segnatamente, con il compimento di “atti di ispezione e controllo”, oltre che con la richiesta di informazioni agli amministratori, (art. 2403-bis c.c.) e con la convocazione dell’assemblea societaria (art. 2406 c.c.) (Sez. 5, n. 44107 del 11/05/2018, M, Rv. 274014).>>, § 2.

Infatti ricordano i giudici <<per la configurabilità della responsabilità dei sindaci ex art. 2407 c.c., comma 2, “per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”, non è richiesta l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tali doveri, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c. (Sez. 1 civ., n. 16314 del 03/07/2017, Rv. 644767; Sez. 1 civ., n. 13517 del 13/06/2014, Rv. 631305), in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.>>, § 2.

Si può però osservare che l’art. 2409 non era applicabile alle SRL all’epoca dei fatti, essendolo solo ora dopo il d. lgs. 14 del 2019, art. 379/2 (quindi tornandosi al regime ante 2003)

Scopo delle società, doveri degli amministratori e short-termism: prossima azione regolatoria UE?

La Commissione UE ha incaricato Ernst & Young di effettuare uno studio sulla questione del se  l’attività di impresa sia oggi  viziata da short termism (visione e progettualità a breve termine) e, in caso positivo, se ciò sia fonte di conseguenze negative.

La risposta (poco sorprendentemente) è positiva ad entrambe le domande, come emerge dal report finale <<Study on directors’ duties and sustainable corporate governance-Final report>>, 29 luglio 2020.

Short-termism (poi: s.t.) viene individuato e quantificato <<by looking at the evolution of the amount of net corporate funds being used for pay-outs to shareholders (in the form of dividends or shares buybacks) compared with the evolution of the amount used for the creation of value over the life cycle of the firm, namely through investment in infrastructure, workers training, Research and Development (R&D), and investments in sustainability>>, § 3.1.1.1, p. 9.

Le conseguenze negative sarebbero:

  • a livello ambientale: <Literature connects short-termism to unsatisfactory response to environmental issues both at individual55 (i.e. the psychological tendency of individuals to focus on the short-term and consequently neglect sustainability issues) and organisational level56 (i.e. the factors leading firms to prioritise short-term profits at the expense of long-term objectives)>>, p. 22;
  • a livello sociale: <<There is a substantial body of literature (though mainly focusing on the US context) linking shareholder primacy in corporate governance, the “financialisation”85 of the global economy, and increasing social inequalities.86 From a social perspective, short-termism exacerbates inequalities. In a context where share ownership is concentrated in the richest households (such as in the US), achieving higher share prices and larger dividend pay-out – the main objective of corporate executives focused on the short-term – is beneficial to a just small fraction of a country’s population (the share owners) and contributes to deepen the existing socio-economic cleavages>>, p. 26;
  • a livello economico: <<Short-termism has serious adverse economic effects on companies, their shareholders and their stakeholders, and undermines the macroeconomy. As discussed in section 3.2, the strength of the social norm of shareholder primacy in corporate governance theory and practice, combined with growing pressures from institutional and activist investors increasingly focused on the short-term market value of the shares, places intense pressure on corporate boards to prioritise the market valuation of the company and focus on short-term financial performance, driving down all other costs, at the expense of better employee compensation and stronger investments that are important for long-term productivity>, p. 28.

Il ruolo delle imprese è notevole per conseguire i relativi United Nations Sustainable Development Goals  : <as described in the previous sections, corporate short-termism is among the factors that hinder the achievement of environmental, social and economic sustainability. Without companies abandoning the business-as-usual and proactively embracing and promoting the sustainability transition, it will be hard to achieve such ambitious sustainability goals in the near future>, p. 30.

Le cause dello s.h. sarebbero:

  • Directors’ duties and company’s interest: <In all jurisdictions, the core duty of the board is to protect and promote the interests of the company. Numerous multijurisdictional studies underline how the prevalence of shareholder primacy in companies hinders their long-term contribution to sustainability and influences the interpretation of the concept of “company’s interest”. This has been increasingly understood as the maximisation of shareholder value in the short term. This social norm has been thought to be a legal provision, even if no jurisdictions prescribe this>, p. 32
  • Pressure from investors: <As far as investors are concerned, the growing importance of institutional investors correlates with a shortening of investor engagement in companies, in terms of shorter tenue of shares and increased frequency of portfolio turnovers, as described by economic data and findings surmised from the literature review. These developments, combined with the increased role played by activist investors – like activist hedge funds – having an explicit short-term orientation, determined an overall dynamic in which investors with a short-term focus exert pressure on boards to focus on short-term shareholder value maximisation and distribution, rather than on long-term value creation>, p. 33;
  • Sustainability strategy, sustainability targets and estimation of sustainability risks and impacts: <Embedding sustainability aspects in business strategy, or setting a sustainability strategy,124 as well as setting measurable targets, seems to be a key step for companies to reduce sustainability-related risks and negative impacts, maximise opportunities, and move their business beyond short-term focus and create value in the long term. However, as shown by the legal review, with a few exceptions, national regulatory frameworks do not enshrine an obligation for companies to adopt and disclose a sustainability strategy. This implies that the adoption of a sustainability strategy, including the identification of science-based ESG targets and their alignment with “global” goals (e.g. the SDGs), is in most cases left to the voluntary initiative and discretion of the companies thus generating a fragmented picture>, p. 34;
  • Board remuneration: <<The current structure of executive pay is also identified in part of the literature as a key driver behind short-termism. A substantial strand of literature argues that share-based remuneration of executives reinforces, rather than works against, the capital market pressure for maximisation of  returns to shareholders in the short term. Share-based remuneration schemes create incentives for executives to focus on shareholder value maximisation and manage corporate resource in a way aimed to increase share price, benefiting themselves and the shareholders, at the expense of investments that are necessary for the long-term sustainability of the company>, p. 36;
  • Board composition: <As highlighted by the findings of the literature review,  board composition is key to promote a shift towards greater business sustainability and long-term focus. A diversified board with a wide range of relevant skills and experience is important to challenge the business-as-usual, avoid group think, and raise questions in terms of the long-term sustainability and value creation. Data from the literature suggest that in most companies the board lacks competence and expertise in sustainability matters and is still largely dominated by men. Concerning sustainability expertise, although there is lack of granular data, the literature indicates that companies where the board includes at least one member with ESG, ethics or sustainability experience, or where there is a board-level committee or advisory body with ESG-related responsibilities, are a minority>, p. 36;
  • stakeholder involvement: <As highlighted by the literature, the prominence of shareholder primacy in corporate governance and the pressure it generates to pursue short-term profit maximisation leads board members not to take sufficient account of the long-term interests of stakeholders other than shareholders (such as employees, creditors, suppliers, customers and the society at large as well as the environment).     This can have negative consequences on the long-term success of a company, as it might undermine its social license to operate. As a matter of regulatory frameworks, it is argued in the literature that, to some extent, a duty for directors to take the interests of all stakeholders into account is recognised, in some form or another, in all EU jurisdictions.>, p. 37. Un maggior coinvolgimento degli stakeholders <can help companies to counterbalance pressure from financial markets and short-term investors and give “voice” – if not representation – to subjects with a strong interest in the long-term sustainability of the company>, p. 37;
  • l’enforcement, alquanto problematico: <As a consequence, enforcement of the company’s claims against its directors faces two major problems: conflict of interest (obvious in the case of one-tier board structure, where the board brings the company’s claim against its own member), and collective action (in case of derivative actions, the shareholders who bring the legal action bear all costs, while benefits from the claimant’s efforts accrue also to passive shareholders). As reported in the literature, due to these obstacles, enforcement levels are currently low in all Member States.   In the current context, stakeholders of the company (other than shareholders) lack legal standing to enforce directors’ duty of care, even when they have a legitimate interest in the long-term sustainability of the company. This means that stakeholders such as employees, local communities, etc. lack enforcement mechanisms to effectively ensure the protection of their legitimate interests in corporate activities, and therefore to exercise substantial influence over the board and board members and keep them accountable>, p. 38.

Ciò visto, è necessaria un’azione a livello europeo per i motivi spiegati a p. 44 segg.

Seguono possibili soluzioni, dalla più morbida a quella più rigida (a livello legislativo): § 4.4. segg., p 50 ss

Non mancano critiche : v. il dibattito aperto su questo Report dall’Oxford Business Law Blog e qui i post ad es. di Roe-Fried-Spamann-Wang, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘The European Commission’s Sustainable Corporate Governance Report: A Critique’ del 20.10.2020 oppure Richter-Ohnemus-Thomsen, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘A Response From the Copenhagen Business School’ del 26.10.2020.

Corporate governance e sostenibilità: dice la sua Blackrock

Circa il tema in oggetto, sempre più importante, Blackrock (poi: B.), uno dei maggiori investitori al mondo (se non il maggiore in assoluto), ha fatto uscire il Report sui propri progetti Our approach to  sustainability-BlackRock Investment Stewardship, n° 343750-EN-JUL2020 (informazioni aggiornate a luglio 2020, si legge).

Riguarda non solo l’emergenza ambientale, ma anche altri aspetti della sostenibilità. Il succo è che B. si attiverà per promuoverla, pungolando il management delle società partecipate, ritenendo che la sostenibilità socioambientale sia anche portatrice di profitti.

Il punto è invero discusso, ma -nel lungo termine-  probabilmente è così (è solo questione di durata temporale della prospettiva di investimento adottata). Il vero punto giuridico è: alla luce del fatto che  la catastrofe ambientale, cui stiamo andando incontro, è assai probabile se non certa, la sostenibilità può essere perseguita anche se pregiudica nell’immediato i profitti, nel caso -frequentissimo, se non totaltiario- che il contratto di “ingaggio” del management e quello sociale nulla dicano in proposito? O magari anche se questi documenti contrattuali per ipotesi si esprimessero contro la sostenibilità, invocando una prospettiva di corto periodo?

Vediamo alcuni passi di queste dichiraizoni pubblicate da B..

sezione 1 sul clima:

<In our direct dialogue with company leadership, we seek to understand how a company’s strategy, operations and long-term performance would be affected by the transition to a low-carbon economy and other climate risks. Broadly, we aim to ensure that companies are effectively managing the risks and opportunities presented by climate change and that their strategies and operations are aligned with the transition to a low-carbon economy – and specifically, the Paris Agreement’s scenario of limiting warming to two degrees Celsius or less, which is laid out in the ‘Metrics and Targets’ pillar of the TCFD framework. Such engagement can help inform the approach taken by corporate leadership as they advance their sustainability practices and disclosure>, p. 7

Il processo “persuasivo” sarà graduale: <Our approach employs a natural escalation process. If we are not satisfied with a company’s disclosures, we typically put it ‘on watch’ and give the company 12 to 18 months to meet our expectations. (The complexity of many sustainability issues may necessitate detailed reviews of operations by the company if it is to make substantive disclosures that inform investors.) If a company has still failed to make progress after this timeframe, voting action against management typically follows.>, p. 8.

B. spiega il votare contro il management e l’appoggiare proposte dei soci: <When we vote against a company, we do so with a singular purpose: maximizing long-term value for shareholders. There are two main categories of our voting actions: holding directors accountable and supporting shareholder proposals. Both can be valuable tools in the stewardship toolkit. Shareholder proposals, while often non-binding and less common outside of the U.S., can garner significant attention and send a strong public signal of disapproval. Our approach typically employs votes against directors more frequently since they are a globally applicable signal of concern; additionally, significant votes against directors register strongly with both the individual director and the full board, and, importantly, failure to win a substantial majority frequently results in a director stepping down before the next annual meeting.>, p. 9

Quanto alle proposte degli azionisti, dice così: <Voting on shareholder proposals offers another way to express targeted disapproval of a company’s policies or practices. BIS may support shareholder proposals that address issues material to a company’s business model, which need to be remedied urgently and that, once remedied, would help build long-term value. We may support proposals seeking enhanced disclosure if the information requested would be useful to us as an investor and if management has not already substantively provided it. To gain our support, the requests made in a shareholder proposal should be reasonable and achievable in the time frame specified. In some cases, shareholder proposals address issues that may not be material to the company’s business operations or risk or suggest changes that are not reasonably achievable within the specified timeframe. In such instances, we generally decline to support the proposals but may vote against directors where we agree that the proposal highlights a failure (such as insufficient climate  risk disclosure).>, p. 9-10.

sezione2 : Promoting transparency on climate and broader sustainability risks:

Prosegue B dicendo che spingerà le società <to use the TCFD framework and SASB standards as the basis for their sustainability reporting. Both are practitioner-led and continue to evolve in response to feedback from stakeholders on the materiality of certain sustainability issues, on what information is most relevant to investment decision-making and on the need for globally applicable, industry-specific reporting standards. BlackRock contributes to improving market practices, as an original member of the TCFD Board and a member of the Investor Advisory Group of the SASB. We also expect that emerging regulatory standards, particularly the European Union’s Non-Financial Reporting Directive, will provide the granular, comparable metrics and targets that investors are seeking.>, p. 18.

La sostenibilità, poi, va oltre la questione climatica, involvendo altri profili tra cui la qualità dei rapporti interpersonali: <It is our investment conviction, grounded in research, that companies with sustainable business practices can deliver better long-term, risk-adjusted returns. Companies with clear purpose that build strong relationships with their employees, suppliers, and other stakeholders are more likely to meet their strategic objectives, while poor relationships can reduce productivity, harm product and service quality, and even jeopardize a company’s social license to operate. For this reason, we have long made human capital management one of our engagement priorities. Our broad approach to human capital management touches upon eight of the UN’s Sustainable Development Goals – including decent work and economic growth, gender equality, reduced inequalities, and good health and well-being. Well-supported employees, who align with the company’s purpose, are more likely to be engaged and play a central role in creating sustainable long-term value. As such, our approach focuses on the board’s effectiveness in overseeing how a company meets the expectations of its workforce.>, p. 21.

Valutazione comparativa ex art. 2378 c. 4 c.c. per la sospensione cautelare di delibera societaria impugnata: un caso recente

Nella lite ormai annosa Vivendi c. Mediaset ( su cui v. miei post del 10.09.2019 e del 16.01.2019), un recente provvedimento cautelare milanese applica il bilanciamento tra l’interesse dell’impugnante e quello della società resistente, disposto dall’art. 2378 c. 4.

Si tratta dell’ordinanza di Trib. Milano  03.02.2020, giudice : d.ssa Riva Crugnola, procc. riuniti RG 33508/2-3-4-5 del 2019.

Secondo la  disposizione appena citata, <<il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la societa’ dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione; puo’ disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento dei danni.>>
Il tribunale con la cit. ord. 03.02.2020, a scioglimento della riserva assunta all’udienza di due giorni prima, nega la cautela.
La domanda di merito mira a annullare due delibere dell’assemblea soci di Mediaset spa: <<procedimenti cautelari riuniti qui in esame riguardano la richiesta di sospensione ex art.2378 cc delle due delibere adottate dall’assemblea dei soci di MEDIASET SPA rispettivamente il 4.9.2019 e il 10.1.2020,
la prima recante approvazione del progetto di fusione transfrontaliera tra MEDIASET SPA (d’ora in avanti anche solo MEDIASET) e MEDIASET ESPANA COMUNICACION SA (d’ora in avanti anche solo MESPANA) con incorporazione di entrambe nella società olandese destinata ad essere ridenominata MEDIAFOREUROPE NV (d’ora in  avanti anche solo MFE),
la seconda recante approvazione di modifiche allo statuto di MFE post-fusione a seguito dei rilievi svolti dalle socie di MEDIASET impugnanti la prima delibera, VIVENDI SA e Simonfidspa>>, pp. 4-5.
Secondo Vivendi, la delibera è abusiva sostanzialmente perchè ha lo scopo di rafforzare i poteri della maggioranza (in base al più favorevole diritto olandese) senza corrispondere ad alcun progetto industriale , p. 6/7.
Secondo Mediaset invece ci sono solide ragioni di business legate soprattutto alla necessità aumentare la dimensione aziendale. Inoltre l’incoremento di potere corporativo della maggioranza è compensato da specifici diritti per le minoranza, p. 8/9.
Il Tribunale inizia a dire che le delibere vanno considerate unitariamente, p. 9.
Passa poi ad esaminare i pericula (per Mediaset dalla sospensione e per Vivendi dalla non sospenszione) per conclduere che il primo è maggiore del secondo, soprauttto perchè -a differenza da esso- non è risarcibile.
Infatti il rimedio risarcitorio per Vivendi esiste, mentre per Mediaset <<l’impossibilità di procedere alla fusione derivante dalla sospensione delle due delibere  impugnate rappresenterebbe (…) un evento senz’altro  pregiudizievole in termini non solo organizzativi ma anche industriali ed economici, in particolare impedendo uno sviluppo dimensionale ritenuto  indispensabile nel mercato di riferimento e, comunque, risolvendosi nel “blocco” di una iniziativa ampiamente illustrata ai mercati con tutte le ovvie conseguenze anche in termini di valutazione da parte degli stessi mercati; tale pregiudizio, in quanto attinente allo stesso sviluppo trans-nazionale dell’attività imprenditoriale propria della convenuta, o sviluppo la cui evoluzione secondo le linee da tempo programmate sarebbe bruscamente impedito, appare dunque al Tribunale particolarmente rilevante e non suscettibile di futura riparazione risarcitoria adeguata, incidendo sulle stesse modalità di esercizio dell’impresa, i cui risultati alternativi sarebbero -per le innumerevoli varianti da considerare- di difficilissima se non impossibile quantificazione nel caso -all’esito dei procedimenti di merito- le delibere impugnate fossero ritenute valide>>, p. 10.
In sintesi <<all’esito della comparazione dei pregiudizi ex art.2378 cc sono dunque ravvisabili: – da un lato, per la convenuta MEDIASET, un pregiudizio attinente allo stesso funzionamento dell’ente ed alle sue prospettive di sviluppo, come tale da considerare irreparabile; – dall’altro un pregiudizio per le impugnanti riconducibile al minor peso della loro partecipazione post-fusione, risolventesi in un minor valore della partecipazione suscettibile di rimedi risarcitori, con esito finale, dunque, nel senso della maggior rilevanza del pregiudizio che si verificherebbe in capo alla convenuta in caso di accoglimento delle istanze cautelari, istanze che vanno quindi rigettate>>, p. 11.
Concludo ricordando l’interessante questione posta da Vivendi: l’operazione di fusione con spostamento della sede in Olanda avrebbe il solo scopo di incrementare i poteri dei soci di maggiorenza, senza ulteriori scopi industriali. Il che attiene allo scopo della società: che di solito è individuato in quello di fare profitti e, oggi va aggiunto, di farli in modo sostenibile [precisazione densa di conseguenze giuridiche].
Sul purpose of the company v. il post <<A Fuller Sense of Corporate Purpose: A Reply to Martin Lipton’s ‘on the Purpose of the Corporation’>> di Bernard S. Sharfman del 9 giugno nel blog di Oxf. Univ.  che risponde a due post di Martin Lipton (uno dei più noti avvocati di diritto societario statunitense), ivi linkabili.