Nullità ed annullamento di delibera societaria tra rilevabilità di ufficio da parte del giudice e potere dispositivo della parte

Cass. sez. I del 18.04.2023 n. 10.233, rel. Dongiacomo:

<<4.11. Vanno, dunque, affermati i seguenti principi:

– il giudice, se investito dell’azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere (e il dovere), in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato;

– se, invece, la domanda ha per oggetto l’esecuzione o l’annullamento della delibera, la rilevabilità d’ufficio della nullità di quest’ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev’essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall’altra parte, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata;

– nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, tale potere (e dovere) di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza è rilevabile d’ufficio e può essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea>>.

Si noti poi la negazione della contrattualità (parrebbe, anche se solo in relazione al processo) dei rapporti societari:

<<4.5. In effetti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il principio per cui il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare in via ufficiosa, ove emergente dagli atti, l’esistenza di un diverso vizio di nullità, è suscettibile di applicazione estensiva anche nel sottosistema societario, e, precisamente, nell’ambito delle azioni di impugnazione delle deliberazioni assembleari, benché non assimilabili ai contratti, trattandosi, tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, di domanda pertinente ad un diritto autodeterminato (cfr., sul primo punto, Cass. SU n. 26242 del 2014, in motiv., punti 6.13.3. e ss. e, in particolare, 6.13.6., lì dove di evidenzia che “il giudizio di nullità/non nullità del negozio… sarà, così, definit(iv)o e a tutto campo indipendentemente da quali e quanti titoli di nullità siano stati fatti valere dall’attore”, e, sul secondo punto, Cass. n. 8795 del 2016), e cioè individuata a prescindere dallo specifico vizio (rectius, titolo) dedotto in giudizio: come, in effetti, accade per la proprietà e gli altri diritti reali di godimento, individuati, appunto, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto, con la conseguenza che, per un verso, la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo (contratto, successione ereditaria, usucapione, ecc.) che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, e, per altro verso, non viola il divieto dello ius novorum in appello la deduzione da parte dell’attore ovvero il rilievo ex officio iudicis di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio (Cass. n. 23565 del 2019)>>.

Il punto andava spiegato un poco, dato che in linea di principio il rapporto di società è pienamente contrattuale: anche se l’esito non sarebbe cambiato, valorizzando i giudici il comune profilo dell’autodeterminazione.

Responsabilità del revisore per mancato disinvestimento da parte del socio? Negata per mancata prova della reale possibilità disinvestimento e del nesso causale

Così Trib. Milano n. 132/2023, RG 18268/2020, rel. Alima Zana, relativamente a domanda di danno proposta da socio di Banca Popolare di Vicenza spa contro il revisore KPMG.

<<In limine, va in proposito rammentare che:
• nel caso di perdita di chance il nesso causale che deve essere dimostrato dall’attore è ipotetico,
giacché è di natura ipotetica il nesso che si predica tra l’assenza dell’illecito (che invece si è
verificato) e la esistenza della chance (che invece è venuta meno o non si è verificata);
• il giudice è tenuto quindi a formulare quella che viene definita una “prognosi postuma”,
ricostruendo la situazione ipotetica che si sarebbe verificata in assenza dell’illecito;
• il soggetto che si dichiara vittima dell’illecito deve quindi provare:
I.  l’esistenza reale di una chance;
II.  che la chance sia venuta meno per effetto diretto del comportamento illecito,
seppure utilizzando il criterio civilistico della c.d. probabilità prevalente>>

E’ mancata però la prova di entrambi i requisiti (sia I che II)

I): non c’è prova che, anche avesse saputo, sarebbe riuscito a disinvestire:

<< Ed in particolare, quanto al requisito sub I, va con considerato che:
✓ le azioni litigiose erano per loro natura illiquide.
Invero le stesse non erano strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati.
Le azioni BPVI erano dunque connaturate da un intrinseco carattere di illiquidità (“le
azioni della Banca Popolare di Vicenza non erano quotate in borsa e come tali si
caratterizzavano, in linea generale, per una scarsa possibilità di smobilizzo entro un
lasso di tempo ragionevole a condizioni di prezzo significativo” cfr. Tribunale di Milano,
sent. 8390/2021, in un caso del tutto analogo, afferente sempre alla domanda risarcitoria
esercitata contro il revisore a causa del mancato disimpegno di azioni di Banca Popolare
di Vicenza nella stessa frazione temporale qui considerata);
✓ avvicinandosi al periodo critico qui oggetto indagine, il disinvestimento -che già in sé
presentava rischi- era poi divenuto assai difficile, fino a poter essere diventare quasi
“impossibile” già nel 2014, come precisato Banca in occasione dell’aumento di Capitale
2014 a cui l’attore risulta avere partecipato;3
✓ proprio in data 24.4.2015 -in occasione dell’approvazione del bilancio di esercizio al
31.12.2014, momento in cui l’attore colloca la propria decisione di non procedere al
disinvestimento, tenuto conto della relazione accompagnatoria positiva del revisore- la
Banca dava atto della sopraggiunta impossibilità di assorbire le domande di vendita delle
proprie azioni. E ciò atteso il totale blocco del cd. “mercato interno” gestito dallo stesso
istituto di credito negli anni precedenti per agevolare le richieste di vendita dei titoli,
mediante utilizzo del Fondo per acquisto di azioni proprie, essendo stata azzerata medio
tempore da parte della BCE la possibilità di utilizzare di tale Fondo.4
Dunque, non vi è prova del requisito sub I, ossia di una reale chance di un disimpegno del
pacchetto litigioso- neppure attraverso la Banca- in tempi contenuti ad un prezzo ragionevole >>

Quanto a II), manca la prova del nesso di causa:

<<Quanto al requisito sub II, va osservato che:
✓ operando un giudizio c.d. controfattuale, c.d. della prognosi postuma, la condotta
alternativa di KPMG – attraverso lo svolgimento, secondo l’attore, a regola d’arte delle
verifiche prodromiche all’attestazione del bilancio al 31.12.2014 e con conseguente
disvelamento del vero della consistenza effettiva del patrimonio della banca- non
avrebbe comunque attribuito a parte attrice ragionevoli chance di smobilitare a
condizioni proficue il proprio investimento;
✓ infatti, non potendo accedere l’attore in via privilegiata ed anticipata alle corrette
informazioni -che ritiene illecitamente essergli state celate- rispetto agli altri operatori,
l’unico effetto della condotta alternativa di KPMG sarebbe stato invero di anticipare nel
tempo gli eventi poi realmente accaduti ed in particolare il deprezzamento delle azioni
della banca a € 0,10 ciascuna. Con conseguente impossibilità per l’attore di collocare il
proprio pacchetto azionare a prezzo conveniente, superiore al valore poi attribuito.
Manca dunque anche la prova del requisito sub II, non essendovi alcun riscontro che la
condotta alternativa lecita di KPMG (non in tesi non si è verificata) avrebbe impedito
all’investitore di perdere il valore delle proprie azioni (evento invece verificatosi). In
altre parole, non vi è prova che la relazione positiva del revisore sul bilancio al
31.12.2014 abbia cagionato la perdita di chance di vendita del pacchetto azionario
litigioso a prezzo conveniente, grazie all’acquisizione privilegiata rispetto al resto degli investitori delle corrette informazioni.
Con conseguente carenza del nesso di causalità, non essendo la perdita subita dall’attrice causalmente connessa alle carenze informative denunciate, invece presumibilmente riconducibile all’oscillazione del valore delle azioni propria dei titoli non quotati in borsa di cui l’investitore ha assunto consapevolmente il rischio>>.

Responsabilità degli amministratori societari: il dovere di controllo nei confronti dei cybersecurity risks

Interessante pronuncia della corte del Delaware sull’oggetto (esito infausto per gli attori): COURT OF CHANCERY OF THE STATE OF DELAWARE  , C.A. No. 2021-0940-SG , del 6 settembre 2022, CONSTRUCTION INDUSTRY LABORERS PENSION FUND ed altri c. Bingle ed altri (v.la nel sito delle corti Delaware).

La negligenza addebitata era di non aver prevenuto attacchi da hacker russi, nonostante alcune red flags di deficenza del sistema. L’azienda forniva supporto informatico a clienti importanti e tramite questa sua omissione permise la diffuse di virus nei loro server.

Conclusione del giudice Glasscock, p. 35/6: <<To recapitulate, a subpar reporting system between a Board subcommittee and the fuller Board is not equivalent to an “utter failure to attempt to assure” that a reporting system exists.138 The short time period here between the IPO and the trauma suffered, together with the fact that the Board apparently did not request a report on cybersecurity in that period, is not sufficient for me to infer an intentional “sustained or systematic failure” of oversight,139 particularly given directors are presumed to act in good faith.140 And again, the Complaint is silent as to what the Committees should in good faith have reported, and how it could have mitigated corporate trauma. Carelessness absent scienter is not bad faith. In sum, the Complaint has not pled sufficient particularized facts to support a reasonable inference of scienter and therefore actions taken in bad faith by the Board. Without a satisfactorily particularized pleading allowing reasonably conceivable inference of scienter, a bad faith claim cannot survive a motion to dismiss. Because the Caremark claim is not viable, there is no substantial likelihood of liability attaching to a majority of the directors on the demand Board. Therefore, demand on the Board would not have been futile>>.

Va richiamato anche un precedente 2021 sempre del Delaware e sempre in tema di responsabilità per cybersecurity risks: Firemen’s Retirement System of St. Louis v. Arne M. Sorenson, et al. (Marriott International, Inc.) del 05 ottobre 2021,  C.A. No. 2019-0965-LWW .

E a questo punto pure uno del 2020 seppur non da cyber risks mna pur sempre sul dovere di oversight degli amminisratori: Richardson v. Clark ad altri 31.12.2020, C.A. No. 2019-1015-SG ,

Il dovere di oversight (su molestie/harassment) grava su tutti gli amministratori, anche solo Officers e non membri del Board of Directors: la sentenza IN RE McDONALD’S CORPORATION STOCKHOLDER DER. LITIG. del Delaware (sul caso Fairhurst)

Il tribunale del Delaware ha emsso sentenza 26.01.2023 , C.A. No. 2021-0324-JTL, nel caso IN RE McDONALD’S CORPORATION STOCKHOLDER DERIVATIVE LITIGATION.

In breve Fairhurst, capo del personale di McDonal’s, non avrebbe promosso azioni per contrastare l’harassment di personale femminile; anzi lui stesso si sarebbe reso colpevole di condotte improprie. Alcuni soci agirono nei suoi confronti per danno alla società

Da noi l’art.  2392 cc regola la responsabilità plurisogettiva. Nel caso specifico, presupponendosi l’organizzaizone di monitoraggi adeguati sul rischio di violazioni di harassmdent, va tenuto conto pure del riparto di competenze tra esecutivi e board posto dall’art. 2381 cc

Dalla sentenza: <<The board’s need for information leads ineluctably to an imperative for officers to generate and provide that information ….. For relevant and timely information to reach the board, the officers who serve as the day-to-day managers of the entity must make a good faith effort to ensure that information systems are in place so that the officers receive relevant and timely information that they can provide to the directors. Think Strategically, supra, at 488. It follows that officers must have a duty to make a good faith effort to establish an information system as a predicate to fulfilling their obligation to provide information to the board. Id. at 488–89>>.

E subito dopo:  <<A related point is that officers must make decisions in their own right. . >>, p. 24.

Quindi: <<A third reason that Chancellor Allen provided for recognizing the board’s duty ofoversight was the importance of having compliance systems in place so the corporation  could receive credit under the federal Organizational Sentencing Guidelines. Id. at 970>, § 25.

<<The dimension of the oversight duty that supports the Red-Flags Claim also applies to officers>>, p. 26. T

<<For similar reasons, officers generally only will be responsible for addressing or reporting red flags within their areas of responsibility, although one can imagine possible exceptions. If a red flag is sufficiently prominent, for example, then any officer might have a duty to report upward about it. An officer who receives credible information indicating that the corporation is violating the law cannot turn a blind eye and dismiss the issue as “not in my area.” >>, p. 42.

<<The arguments about the oversight regime that should apply to officers parallel the arguments about whether an officer’s duty of care should resemble the director regime and require a showing of gross negligence, or whether it should track the agency regime and require only simple negligence. Scholars engaged in extensive debate on that topic>>, p. 46.

Molto interessant, infine, l’elenco delle red flags con relative risposte, pp. 55-60

Il compenso dell’amministratore di s.p.a. (tra delibera assembleare e delibera del CdA per “particolari cariche”)

Trib. Venezia 15.07.2021, n. 1449/2021, RG 8208/2018, rel. Torresan, precisa il rapporto tra il c. 1 e il c. 3 dell’art. 2389 cc:

<<La ratio della disposizione [cioè dell’2389 comma 3]  è quella di conferire ai componenti dell’organo amministrativo la facoltà di deliberare in ordine al compenso di coloro che, al suo interno, rivestono cariche connotate da un particolare ed elevato grado di impegno e di responsabilità : e ciò in ragione del fatto che la quantificazione di tale compenso sottende una valutazione tecnica che si ritiene possa essere formulata nel modo migliore proprio da parte del consiglio stesso.
L’organo amministrativo deve tuttavia rispettare i limiti, inderogabili, dettati dalla legge e dallo statuto, non potendo, l’art. 2389 cod civ. consentire al CdA di eludere la disciplina dell’art. 2389 cod. civ. che attribuisce all’assemblea o allo statuto il potere determinare il compenso degli amministratori, anche al fine di evitare che gli stessi possano autoattribuirsi ed arbitrariamente determinare i propri compensi .
In particolare, qualora lo statuto preveda che l’assemblea determini un ammontare complessivo per la remunerazione dei compensi degli amministratori, compresi quelli che esercitano particolari cariche, il CdA non potrà deliberare compensi ulteriori.
Nel caso in esame, lo statuto di Sitland ( doc. n. 20 di parte attrice) spa espressamente prevede, all’art. 33, che il consiglio di amministrazione possa delegare, nei limiti di cui all’art. 2381 cod. civ., parte delle proprie attribuzioni a uno o più dei suoi componenti, determinandone i poteri e la relativa remunerazione.
In tema di remunerazione degli amministratori, l’art. 36 stabilisce, invece, che il compenso degli amministratori sia determinato dell’assemblea all’atto della nomina.
L’art. 36.2 , in conformità a quanto prescritto dall’art. 2389, comma 3, cod. civ., prevede inoltre che la remunerazione degli amministratori investiti della carica di Presidente, Amministratore o consigliere delegato sia stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del parere del consiglio sindacale, nel rispetto dei limiti massimi determinati dall’assemblea.
È quindi chiaro che il compenso attribuito agli amministratori anche se dotati di particolari cariche non può eccedere l’ammontare massimo del compenso determinato dall’assemblea>>.

Sulla sostituzione di deliberazione invalida con nuova deliberazione

Trib. Roma n° 17476/2022 del 25.11.2022, RG 53880/2018, rel. Goggi, sull’oggetto:

<<Secondo, infatti, l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggiormente
condivisibile che si è affermato in materia (cfr. Trib. di Monza 5/3/2001), dopo la
sostituzione, l’annullamento della prima delibera è precluso, in ogni caso, per effetto della cessazione della materia del contendere, essendo riservato al giudice della impugnazione della seconda delibera, specie nell’ipotesi, come quella per cui è causa, in cui il giudizio sia tuttora pendente, ogni sindacato sulla legittimità dell’atto di rinnovo.
Tale tesi si fonda sul presupposto, di cui non sembra potersi dubitare, dell’efficacia estintiva degli effetti della deliberazione sostituita da attribuirsi alla nuova deliberazione avente lo stesso oggetto della prima: la nuova delibera, invero, priva di ogni effetto la delibera che ha sostituito e tale sua efficacia mantiene fin tanto che non venga annullata per essere, a sua volta, contraria alla legge o allo statuto. Ne consegue che la sua eventuale non conformità alla legge o allo statuto – prevista dall’art. 2377 c.c. quale condizione per l’operatività della preclusione all’annullamento della delibera impugnata – potrebbe privarla di tale efficacia estintiva degli effetti della prima delibera solo se venisse annullata a seguito di un autonomo giudizio di impugnazione, giudizio che non può essere introdotto nell’ambito del giudizio di impugnazione avente per oggetto la delibera sostituita – stante la diversità dell’oggetto e la conseguente novità dell’eventuale domanda così introdotta in tale giudizio – né essere oggetto di un accertamento incidentale, ai soli fini della verifica delle condizioni di operatività della norma contenuta nell’ottavo comma dell’art. 2377 c.c., stante la necessità, allo scopo di privare di efficacia la delibera successivamente adottata, di una pronuncia costitutiva di annullamento, per sua natura incompatibile con un accertamento incidenter tantum. Al giudice dell’impugnazione della prima delibera, pertanto, è preclusa ogni valutazione circa la validità della delibera sostitutiva, con la sola eccezione, come è stato correttamente osservato in dottrina, della possibilità di rilevare, ove ricorrano, vizi comportanti la nullità della stessa delibera a norma dell’art. 2379 c.c.; tale nullità, infatti, comportando l’improduttività di qualsiasi effetto della (seconda) delibera, rilevabile anche d’ufficio, senza necessità di alcuna pronuncia costitutiva, potrebbe essere assoggettata, indipendentemente dall’impugnazione da parte degli interessati, a sindacato incidentale in seno al processo originato dall’impugnazione della delibera originaria>>

OK, può essere sia così. Solo che  nel caso sub iudice si tratta di rapporto tra delibere di organi diversi (Cda e assemblea soci), mentre la legge regola la sostituzione tra delibere dello stesso organo: il Tribunale avrebbe dovuto motivare sul punto.

Andrebbe poi approfondito il fatto che la delibera sostiotutiva dell’assemblea dei soci era solo “ratificante” l’indicazione del CdA

Il dovere degli amministratori è favorire il beneficio dei soci, secondo il § 172.1 Companies Act del 2006

Secondo la disposizione citata, <A director of a company must act in the way he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a whole>.

Il che si determina avendo riguardo al lungo temrine, ai dipendneti etc. (ivi, lettere a-f).

Disposizione assai discussa nella sua portata: in particolare quale è il ruolo degli stakeholders diversi dai soci (soprattutto dei lavoratori)?

Ebbene, la Supreme Court inglese nella sentenza 5 ottobre 2022, BTI 2014 LLC (Appellant) v Sequana SA and others (Respondents), [2022] UKSC 25, dice che <<successo della company>> significa <<successo dei soci>>.

Almeno fino a che la società arriva vicino alla insolvenza, quando l’interesse da realizzare è anche quello dei creditori. Si v. < it is clear that, although the duty is owed to the company, the shareholders are the intended beneficiaries of that duty. To that extent, the common law approach of shareholder primacy is carried forward into the 2006 Act >, § 65

<The considerations listed in paragraphs (a) to (f) are capable of including the
treatment of certain creditors of the company. Creditors are liable to include
employees, suppliers, customers and others with whom the company has business
relationships; and their treatment may well affect the company’s reputation and its
creditworthiness, and have consequences for it in the long term. However, the primary
duty imposed by section 172(1) remains focused on promoting the success of the
company for the benefit of its members>, § 67.

E poi  : < In addition, it seems to me that acceptance that the fiduciary duty of directors to the
company is re-oriented so as to encompass the interests of creditors, when the
company is insolvent or bordering on insolvency, must result in a similar re-orientation
of related duties. The proper purposes for which powers can be exercised, in
accordance with section 171, include advancing the interests of the company, which in
those circumstances must be understood as including the interests of its creditors, as
was held in In re HLC Environmental Projects Ltd [2013] EWHC 2876 (Ch); [2014] BCC
337, para 99. Similarly, the duty under section 174 to exercise reasonable care, skill
and diligence must be directed, in those circumstances, to the interests of the
company as understood in that context, as appears to have been accepted in a number of cases>. § 73

Si tratta di sentenza molto ampia, diffusa da più fomnti : ad es. Irene-marie Esser e  Iain G MacNeil,   Shareholder Primacy and Corporate Purpose, 21 dic. 2022.

L’abuso di personalità giuridica può far cadere la responsabilità limitata del socio ma non lo schermo societario

Rimane ferma la SC nel limitare gli effetti dell’abuso di personalità giuridica alla trasformazione della responsabilità da limitata a illmitata per i debiti sociali: senza potere invece arrivare a far cadere la distinzione soggettiva e quindi a permettere il pignoramento dei beni sociali da parte del creditore particolare del socio.

Così Cass. 20.181 del 22 giugno 2022, rel. Scotti , sez. 1, che riprende testualmente un passo di Cass. n° 804 del 25.01.2000:

«il dato che in una società per azioni un socio ……. sia titolare della maggioranza del capitale della società cui esso partecipa, non giustifica la conclusione che egli sia titolare dell’intera società. Il c.d. “socio sovrano”, cui è inapplicabile l’art. 2362 c.c. a meno che non si dimostri la natura fittizia o fraudolenta delle partecipazioni di minoranza (cfr. Cass., 29 novembre 1983, n:7152), quando si serva della struttura sociale come schermo (così trasformandosi in “socio tiranno”) al fine di gestire i propri affari con responsabilità patrimoniale limitata, può incorrere nel fenomeno definito dell’abuso di personalità giuridica, ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto e per tutto individuale. Si è sostenuto che il singolo debba rispondere in tal caso illimitatamente anche con il proprio patrimonio e sono altresì ipotizzabili forme di responsabilità civile e Penale, avuto riguardo al ruolo svolto dal socio di maggioranza. Ma la società di capitali resta con tutti i suoi connotati, anche e soprattutto a tutela delle partecipazioni di minoranza non fittizie o fraudolente.»

La SC precisa che in causa non era stata chiesta la simulazione nè del trasferimento dell’immobile (che la Banca mirava ad apprendere) alla società, nè della costituzione della società medesima.

Ipotesi quest’ultima comunque vietata dall’art. 2332 cc (§ 4.3): <<E difatti questa Corte ha affermato che la simulazione assoluta dell’atto costitutivo di una società di capitali, iscritta nel registro delle imprese, non è configurabile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell’agire sociale, destinata ad interferire con gli Corte di Cassazione – copia non ufficiale7 di 12 interessi dei terzi, donde l’irrilevanza, dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese e la nascita del nuovo soggetto giuridico, della reale volontà dei contraenti manifestata nella fase negoziale; tale fondamento, espressione del valore organizzativo dell’ente, è sotteso all’art. 2332 c.c., imponendosi dunque una lettura restrittiva dei casi di nullità della società da essi previsti, in nessuno dei quali è, quindi, riconducibile la simulazione (Sez. 1, n. 20888 del 5.8.2019, Rv. 655290 – 01; Sez. 6 – 5, n. 29700 del 14.11.2019, Rv. 656118 – 01; Sez. 1, n. 22560 del 4.11.2015, Rv. 637675 – 01; Sez. 1, n. 30020 del 29.12.2011, Rv. 620961 – 01)>>

Chiarito perchè non può essere accertata la simulazione del contratto sociale (art. 2332 cc) , non è però chiarito per qual motivo non si possa far cadere lo schermo per abuso di personalità verso il creditore  agente.

La risposta forse riposa sempre sulla ratio sottesa all’art. cit. 2332 cc: tutela degli interessi dei terzi in contatto con la società. La caduta dello schermo societario non è altro dal disconoscimento dell’effetto giuridico prodotto  (distinzione sogettiva) , per cui è pur sempre nullità (nè potrebbe prodursi incidenter tantum e cioè solo per alcuni -creditore agente- e non per gli altri): il che porta all’applicazione diretta (nemmeno serve l’analogia) della disposizione citata.

Il discorso potrebbe tuttavia apparire di dubbia esattezza: anche disconoscere la responsabilità limitata è disconoscere un tipico effetto della disciplina societaria. Perchè quest’ultimo si, mentre  ma la intestazione dei beni no? la diversità di trattamento andrebbe meglio  giustificata. Superato lo scoglio della protezione del socio di minoranza (ad es. perchè anche egli coinvolto nell’abuso; si dovrà certo concordare sul concetto di <coinvolgimento>), l’abuso potrebbe allora portare al disconoscimento dell’effetto e cioè alla caduta dello schermo societario.

Tuttava anche nel ns caso ricorrono le esigenze di chiarezza e certezza dei rapporti giuridici (tutela del traffico giuridico)  proprie della nullità ex art. 2332. Si pensi al caos che genererebbe nei creditori dell’ente l’improvisa vanificazione dello stesso e quindi il dover agire contro i soci personalmente, magari centinaia di soci (solidalmente, tenuti, magari…), con aggravio burocatico spesso spaventoso (anche se magari con maggior soddisfazione recuperatoria …)

Qualche parola sul punto sarebbe stato preferibile che la Sc la introducesse.

Amministratore disattento scopre che la carica per statuto era gratuita (sul rapporto amministratore/società amministrata)

Istruttiva decisione da parte di Trib. Milano n. 256/2022 del 18.01.2022, Rg 50.852/2017, pres. e rel. Mambriani.

Più che la consueta affermazione di contrattualità del rapporto tra società e amministratore (era una srl) , interessa il collegamento tra statuto e contratto (delibera soci + accettazione).

<<Pertanto, al fine di individuare le modalità di regolamentazione del rapporto contrattuale con l’amministratore, occorre fare riferimento a quegli atti attraverso i quali, nell’ambito dell’organizzazione societaria, si manifesta la volontà dei soci con particolare riferimento al rapporto di amministrazione.
Sovviene, in primo luogo, lo statuto della società, cui l’amministratore, nell’accettare la nomina, aderisce.
Lo statuto – nel dettare le regole organizzatorie dell’ente – individua i diritti degli amministratori, le competenze e le facoltà attribuite all’assemblea riguardo a tale rapporto.
Astrattamente, ed in forza di quel che si è detto, sono prospettabili quattro alternative, potendo lo statuto: (i) attribuire agli amministratori un diritto al compenso, (ii) subordinare il diritto al compenso all’assunzione di apposita delibera dell’assemblea, (iii) escludere il diritto al compenso e stabilire, dunque, la gratuità dell’incarico (1) ovvero (iv) non prevedere nulla al riguardo>>ù

Lo statuto prevedeva la gratuità, tranne il rimbortso spese.

Il trib. non spiega però perchè ritenga di che lo statuto integri il contenuto del contratto ammnistarote – società: anche se è ovvio.

Diverso è per il ruolo di amm. delegato : qui ottiene ragione per il solo anno 2014. Per il quale gli viene aggiudicata , tenuto conto dell’andamento negativo, la somma di euro 5.000 in via equittivs.

L’amministratore di diritto (prestanome) non risponde automaticamente dei reati commessi dall’amministratore di fatto

Utili precisazioni di Cass. sez. penale seconda n° 43.969 del 19.10.2022 depos. il 18.11.2022, rel. Pardo.

<< Tali considerazioni, riferite ad ipotesi di reati tributari per i quali incombe sull’amministratore
di diritto l’onere della regolare tenuta delle scritture e del pagamento delle imposte, devono
essere ribadite anche in relazione alla posizione dell’amministratore di diritto a fronte di condotte
di riciclaggio ed autoriciclaggio compiute dai gestori di fatto delle società; deve infatti essere
evidenziato che il concorso punibile del titolare della posizione di responsabilità nelle singole
condotte illecite poste in essere dai gestori di fatto non può derivare esclusivamente
dall’assunzione della carica. Invero, le condotte di sostituzione dei proventi illeciti punite dagli
artt. 648 bis e 648 terl cod.pen. costituiscono un quid pluris rispetto alle semplici attività di
evasione fiscale richiedendo la prova che attraverso le attività di quella specifica società siano
state effettuate operazioni mirate a sostituire il profitto illecito dei reati fiscali commessi ad
esempio mediante l’emissione od utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Ne deriva,
pertanto, che la responsabilità a titolo di concorso sotto il profilo soggettivo può essere affermata
soltanto in presenza di indici rivelatori del concorso morale e cioè della consapevolezza da parte
dell’amministratore di diritto che la società verrà utilizzata anche per il compimento di azioni di
quel particolare tipo, non bastando una generica consapevolezza della destinazione della
struttura ad attività di elusione fiscale.
E nel caso in esame tale dimostrazione sembra mancare poiché a fronte delle specifiche
osservazioni del provvedimento impugnato, il ricorso si dilunga in una analisi dei precedenti
giurisprudenziali in tema di responsabilità dell’amministratore di diritto per condotte poste in
essere dai gestori di fatto senza però in alcun modo illuminare circa i rapporti concreti sussistenti
al momento della consumazione dei fatti, rimontanti peraltro al 2017-2018, tra De Giorgio ed i
gestori di fatto, i Giordano, tali da potere attribuire all’indagato una responsabilità anche a titolo
di dolo generico od eventuale non essendosi in alcun modo verificato come si fosse addivenuti
all’individuazione dell’amministratore di diritto, quali fossero i rapporti con i Giordano, quali le
ragioni della cessazione della carica>>

E subito dopo: <<Ma un tale obbligo giuridico che permetta l’applicazione generalizzata della clausola di cui
all’art. 40 cpv cod.pen. anche a tutti gli altri reati consumati all’interno delle compagini sociali
ovvero mediante le stesse non sussiste a carico dell’amministratore di diritto; se questi cioè è certamente tenuto alla regolare tenuta delle scritture contabili, al regolare pagamento delle
imposte ed alla regolare destinazione dei beni aziendali alle attività sociali, non sussiste invece
né potrebbe altrimenti prevedersi se non in violazione del principio di tassatività della norma
penale, una previsione che impone all’amministratore delle persone giuridìche dì vigilare sulla
regolare osservanza di qualsiasi norma penale da parte dei soggetti comunque coinvolti nelle
attività sociali.             Così che l’estensione dei principi dettati dall’art. 40 cpv cod.pen.
all’amministratore di diritto non è possibile proprio per assenza di un obbligo giuridico ricavabile
da uno specifico riferimento normativo in tal senso.
Ne consegue, pertanto, che la responsabilità dell’amministratore di diritto per le condotte poste
in essere dai gestori di fatto può essere affermata solo in applicazione dei criteri generali sul dolo
nel concorso di persone ex art. 110 cod.pen.>>.