Assegno divorzile (privo della compononente perequativa) e assegno alimentare: quali differenze?

Cass. Civ., Sez. I, ord. 16 febbraio 2025 n. 3952, rel. Russo:

<<Nella maggior parte dei casi la differenza concreta tra un assegno di divorzio privato della sua componente compensativa -perequativa e un assegno alimentare potrebbe essere di scarso rilievo: se la finalità assistenziale assume rilievo preponderante rispetto a quella perequativo-compensativa, la quantificazione dell’assegno divorzile deve tendenzialmente effettuarsi sulla base dei criteri di cui all’art. 438 c.c., salvi gli opportuni adattamenti.
Si tratta però di un tendenziale avvicinamento dei calcoli nel procedimento di concreta quantificazione, da farsi tenendo presente la differenza concettuale e normativa tra i due istituti.
Di conseguenza, assegno alimentare e assegno divorzile con funzione assistenziale possono essere anche sensibilmente differenti nel quantum qualora si tratti di patrimoni ingenti.>>

(massima di Valeria Cianciolo in Ondif)

Differenze tra credito alimentare e assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente

Cass. sez. I, ord.  10/02/2025, n. 3.329 rel. Reggiani:

<<3.3. In effetti, l’obbligo di mantenimento dei figli, posto a carico dei genitori, si differenzia dall’obbligo alimentare vero e proprio, per le diverse finalità ed anche per il suo contenuto, pur potendo le due provvidenze in parte coincidere (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2710 del 29/01/2024).
In particolare, l’obbligo di mantenimento si configura all’interno della famiglia nucleare, mentre l’obbligo alimentare riguarda anche rapporti parentali più estesi e, in determinati casi, si pone anche al di fuori di essi (v. l’obbligo del donatario ai sensi dell’art. 437 c.c.).
Inoltre, l’assegno di mantenimento può comprendere anche la quota alimentare, ma ha un contenuto diverso, normalmente più ampio, e, diversamente dagli alimenti, non presuppone lo stato di bisogno.
In altre parole, l’assegno alimentare costituisce un minus rispetto all’assegno di mantenimento, richiedendo una condizione di bisogno del beneficiario, e il suo contenuto è determinato in base a quanto è necessario per la vita dell’alimentando (avuto riguardo alla sua posizione sociale).
L’assegno di mantenimento del figlio, invece, che deriva direttamente dal rapporto di filiazione, come previsto dall’art. 30 Cost., deve far fronte a una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, essendo estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento corrispondente al tenore di vita economico e sociale goduto dalla famiglia quando era unita (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 19625 dell’11/07/2023).
Il diritto del figlio al mantenimento, al pari degli altri diritti che compongono lo status di figlio, ha un fondamento solidaristico ed è finalizzato a soddisfare interessi anche di carattere non patrimoniale, pur determinando il sorgere di prestazioni dal contenuto economico.
Il contenuto del mantenimento, allora, deve essere definito in ragione della sua funzione, che non si esaurisce nell’apporto economico necessario per il soddisfacimento dei bisogni necessari a vivere, ma include ogni apporto finalizzato ad una crescita e formazione adatta alla sua personalità e alle sue inclinazioni.
L’elasticità e la flessibilità che caratterizza il rapporto intersoggettivo tra genitori e figlio determina una variazione nel tempo del contenuto del dovere di mantenimento, correlata alle mutevoli esigenze e all’età del figlio, la cui crescita comporta, di regola, un incremento delle necessità di spesa per i suoi bisogni e una progressiva riduzione degli impegni legati all’accudimento materiale dello stesso, fino a quando, con la maggiore età, il compito dei genitori diventa essenzialmente un supporto al percorso del figlio verso l’indipendenza anche economica.
D’altronde, una volta raggiunta tale indipendenza, cessa l’obbligo di mantenimento ed esso non è nuovamente esigibile se il figlio perde le sue fonti di reddito, poiché i genitori hanno adempiuto al loro dovere di condurlo verso l’autosufficienza, fermo restando che il figlio, se si trova in stato di bisogno, può sempre chiedere che vengano corrisposti gli alimenti (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12477 del 07/07/2004; v. anche la particolare fattispecie esaminata da Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12123 del 06/05/2024).    (….)

3.6. Per quanto riguarda il contributo al mantenimento dei figli, invece, sia esso destinato ai figli minori di età o ai figli maggiorenni (ma non ancora autosufficienti economicamente), occorre guardare al disposto dell’art. 337 ter, comma 4, c.c. (così da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2536 del 26/01/2024; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4145 del 10/02/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2020 del 28/01/2021; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 19299 del 16/09/2020).
La menzionata disposizione normativa, per la parte di interesse, prevede che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore…”
In tale quadro, si inserisce la disciplina specifica del mantenimento dei figli maggiorenni, contenuta nell’art. 337 septies c.c., ove è previsto che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico.”
La stessa norma stabilisce, poi, che “Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto” (nel rispetto del principio della domanda, come più volte precisato da questa Corte v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 34100 del 12/11/2021).
La giurisprudenza di legittimità, a seguito di un elaborato percorso interpretativo, è arrivata a specificare le “circostanze” da valutare ai fini della decisione sulla spettanza dell’assegno in questione, date, in sintesi, dalla incolpevole non indipendenza economica del figlio maggiorenne, da provarsi a cura di colui che richiede l’assegno con prova sempre più rigorosa con l’aumentare dell’età del figlio stesso (v. in particolare Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26875 del 20/09/2023; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12123 del 06/05/2024)..
Come sopra evidenziato, la determinazione nel quantum del contributo al mantenimento, per il figlio maggiorenne, così come avviene per il figlio minore di età, è regolata dall’art. 337 ter, comma 4, c.c., con la sola differenza che, in base al disposto dell’art. 337 septies c.c., il figlio può chiedere che l’assegno venga corrisposto direttamente a lui stesso.
Non è, dunque, previsto che il genitore obbligato al mantenimento possa scegliere unilateralmente di adempiere all’obbligo mediante accoglimento in casa del figlio da parte di uno gei genitori.
Il legislatore, per il mantenimento di figli, investe il giudice della verifica della sussistenza o meno dei presupposti per l’attribuzione di un assegno e, in presenza degli stessi, stabilisce che lo stesso giudice preveda l’erogazione di un assegno periodico, in base ai criteri sopra ricordati, ove l’accoglimento o meno del figlio in casa, con contribuzione diretta al suo mantenimento, non è una modalità alternativa di adempimento dell’obbligo di mantenimento, costituendo, semmai, un elemento da valutare ai fini della quantificazione dell’assegno ai sensi dell’art. 337 ter, comma 4, c.c.
3.7. Non vi è, pertanto, ragione per estendere all’adempimento dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non indipendente economicamente, la disciplina prevista per la somministrazione degli alimenti, tenuto conto che l’obbligo di mantenimento dei figli, che ha diverse finalità e un diverso contenuto, reca una specifica disciplina, ove il giudice è chiamato a determinare la spettanza e l’entità del contributo economico spettante al figlio anche maggiorenne ma non economicamente autosufficiente>>.

Requisiti oggettivi per il diritto agli alimenti (stato di bisogno e incapacità di provvedere al proprio mantenimento)

Cass. sez. I, ord.  09/12/2024 n. 31.555, rel. Parise:

<<2.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa, sicché, ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabile, di trovarsi un’occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata (Cass.21572/2006). È stato altresì precisato (Cass. 11889/2015; Cass. 33789/2022) che lo stato di bisogno deve essere connotato da una oggettiva impossibilità di soddisfare i bisogni primari con proprie fonti o attingendo anche da una rete solidale, per quanto non giuridicamente vincolante e però sostanzialmente fruibile e continuativa [NB: è il passaggio più ibnteressnte] e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie (così anche Cass.25248/2013).

2.2. Nel caso di specie la Corte di merito, sulla scorta dell’accertamento peritale effettuato in primo grado e degli elementi probatori acquisiti, ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi, e, dopo aver dato conto delle complesse patologie fisiche da cui era affetta la controricorrente e della situazione anche psicologica in cui si trovava, ha affermato che la Bo.Ma. non era, allo stato, “concretamente in grado di attivarsi per reperire (e per mantenere) una occupazione lavorativa, seppur astrattamente compatibile con la propria formazione universitaria e con le proprie condizioni e limitazioni fisiche (ad esempio riprendendo le traduzioni a domicilio)”. In particolare la Corte di merito ha condiviso la valutazione effettuata dal Tribunale, secondo cui la malattia rara (“displasia neuronale viscerale, interessante il tubo digerente, con sintomatologia insorta nell’infanzia, con stipsi ostinata”) da cui è affetta la figlia del ricorrente aveva comportato, a partire dal 2013, interventi chirurgici e cure costanti. Era inoltre emersa «, pur a fronte di una pregressa istruzione universitaria ed attività lavorativa come traduttrice per alcune case editrici e privati, una attuale (dal 2013 ad oggi) situazione di ritiro sociale, assenza di occupazione, continua necessità di dedicarsi a specifiche manovre fisiologiche derivanti dalla patologia, con impossibilità di uscire di casa se non per poco tempo ed in dipendenza dalle condizioni fisiche del momento; la signora è risultata di umore deflesso, con note ansiose, affetta da “attendibile disturbo alimentare in magrezza grave”. Il consulente ha riconosciuto alla stessa una riduzione della capacità lavorativa generica, in rapporto ai quadri morbosi coesistenti, del 67%»>>.

Interessanti le circostanze fattuali, come sempre in casi del genere:

<<Sulla base di tali risultanze, la Corte di merito ha quindi concluso ritenendo “sussistente, quantomeno ad oggi, di fatto, uno stato di bisogno dovuto ad una incolpevole capacità di provvedere al proprio sostentamento”.

A fronte di tale congruo percorso motivazionale, la censura espressa con il primo motivo non coglie nel segno, poiché con la locuzione “incolpevole incapacità di provvedere al proprio sostentamento” la Corte di merito non ha affatto inteso, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, valorizzare un elemento soggettivo, ma proprio, invece, l’impossibilità concreta dell’alimentanda, allo stato, “di attivarsi per reperire (e per mantenere) una occupazione lavorativa” , così come previsto dall’art. 438 c.c.

2.3. Le doglianze espresse con gli altri motivi sono inammissibili perché non si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata o sollecitano impropriamente il riesame del merito.

Nello specifico, la Corte d’Appello ha dato atto che la controricorrente non ha più lavorato, come traduttrice a domicilio, solo da quando le sue condizioni di salute sono peggiorate e ha subito una serie ravvicinata di interventi chirurgici (e non da venti anni come si assume in ricorso) e non ha affatto basato il proprio convincimento sulla sola sussistenza di una riduzione parziale della capacità lavorativa generica (secondo motivo), ma sulla complessiva situazione fisica e psichica riscontrata dal C.T.U. e valutata all’attualità, ed anzi ha auspicato che l’alimentanda trovi un supporto “in quelle difficoltà collaterali (ad esempio nell’alimentazione, che la stessa ha riferito essere attualmente solo liquida), anche di natura verosimilmente psicologica, che le hanno reso sino ad oggi concretamente non spendibile neppure quella residua capacità lavorativa alla stessa riconosciuta dal consulente”.

I motivi terzo (ingenti disponibilità economiche della controricorrente), quarto (CTU “referente” ) e quinto (convincimento basato su mere deduzioni) denunciano la violazione degli artt. 428 c.c. e 115 e 116 c.p.c., ma in realtà si tratta di doglianze impropriamente dirette al riesame dei fatti. La Corte d’Appello ha preso in considerazione la situazione economica della controricorrente, in particolare l’aiuto anche economico consistente datole negli anni dallo zio materno, ma ne ha escluso motivatamente la rilevanza ai fini che qui interessano, così affermando “Il lodevole aiuto, di carattere materiale e non solo, fornito alla sig.ra Bo.Ma., da circa 20 anni (sostanzialmente dal decesso della madre) dallo zio materno non può essere utilizzato né per escludere lo stato di bisogno dell’appellata (atteso che le somme erogate sono ovviamente soggette ad inevitabile erosione in assenza di redditi periodici) né per esonerare il padre dal proprio onere di solidarietà familiare”.

Le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio hanno consentito di accertare la reale condizione fisica e psichica dell’alimentanda e le conclusioni peritali sono state condivise dalla Corte d’Appello e, prima, dal Tribunale in quanto basate su riscontri oggettivi e documentati. La motivazione della sentenza impugnata è congrua e pienamente comprensibile, nonché ancorata a dati di riscontro e sorretta da un ragionamento logicamente argomentato>>.

Sulla retroattività o meno della modifica in corso di causa degli assegni di mantenimento e divorzili inizialmente disposti hanno deciso le Sezioni Unite

Cass. sez. un. n. 32914 del 8 novembre 2022, rel. Iofrida , si sono pronunciate sul punto in oggetto con lunga sentenza qqui ricordata solo sul principio di diritto (largamente -ma non totalmente- incline verso la retroattività e quindi la ripetibilità):

«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:

a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile;

b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica;

c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».

Significativa è l’analisi del concetto di assegno alimentare e della presunta sua irripetibilità in caso di successiva modifca o cancellazione.

In generale è logico che la statuzione definitiva metta nel nulla tutti gli effetti giuiridici prodotti dalle statuizioni anteriori , come tali provvisorie (tutte quelle anteriori al giudicato).