Prova ematologico/genetica nel processo per dichiarazione di paternità naturale (art. 269 cc)

Cass. sez. I, ord. 05/08/2024  n. 21.979, rel. Tricomi:

<<Giova ricordare che costituisce orientamento consolidato quello per cui, nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, le indagini ematologiche e genetiche sul DNA possono fornire elementi di valutazione non solo per escludere, ma anche per affermare il rapporto biologico di paternità (Cass. 8451/1991; Cass. 15568/2011), anche se, in tale ipotesi, possono essere sufficienti anche altre risultanze processuali (Cass. 9412/2004). Inoltre, nella materia della dichiarazione giudiziale di paternità, la consulenza tecnica ematologica è uno strumento istruttorio officioso rivolto verso l’unica indagine decisiva in ordine all’accertamento della verità del rapporto di filiazione e, pertanto, la sua richiesta non può essere ritenuta esplorativa, intendendosi come tale l’istanza rivolta a supplire le deficienze allegative ed istruttorie di parte, così da aggirare il regime dell’onere della prova sul piano sostanziale o i tempi di formulazione delle richieste istruttorie sul piano processuale (cfr. Cass. n.22498/2021; Cass. 23290/2015, in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale).

Inoltre, nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, il rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, secondo comma, c.p.c., di così elevato valore indiziario da consentire, esso solo, di ritenere fondata la domanda (Cass. n.28886/2019; Cass. n.7092/2022).

Nel presente caso, la Corte di appello si è attenuta a questi principi ed ha preso in considerazione il rifiuto di Ma.Al. a sottoporsi all’esame del DNA, unitamente a una pluralità di emergenze probatorie riguardanti le vicende familiari ed i rapporti intercorsi tra l’appellante ed il minore, ben consapevole in ragione di pregresse e ripetute frequentazioni con Ma.Al. del rapporto di filiazione, con ampia ed articolata motivazione che il ricorrente vorrebbe impropriamente sovvertire con la censura in esame. (…)

Alla stregua dei suesposti principi, il quinto motivo risulta in realtà impropriamente diretto a sollecitare un riesame del materiale probatorio, ossia in buona sostanza a criticare il “peso probatorio” attribuito alle diverse emergenze probatorie, ed in particolare al rifiuto a sottoporsi all’esame del DNA, su cui la Corte di merito ha principalmente fondato il proprio convincimento, spiegandone, con adeguata motivazione, le ragioni, all’esito di dettagliata disamina e raffronto del contenuto del materiale probatorio>>.

La prova ematologica nell’azione per dichiarazione giudiziale di paternità non è sottoposta a precondizioni ma può essere dipostas in qualunque momento processuale

Cass. Sez. I, ord. 12 ottobre 2023 n. 28.444,  Rel. Pazzi, sull’art. 269 c.2 cc:

<<In tesi di parte ricorrente nell’economia del giudizio volto alla dichiarazione di paternità le indagini genetiche potrebbero essere disposte soltanto se risulti dimostrata in altro modo la sussistenza di una relazione sentimentale tra il presunto padre e la madre; in assenza di questa prova il rifiuto opposto alle indagini genetiche sarebbe giustificato e impedirebbe l’applicazione del disposto dell’art. 116 c.p.c..
La fondatezza di una simile tesi è stata smentita, da tempo, dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha chiarito come nei giudizi volti alla dichiarazione giudiziale di paternità l’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacchè il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall’art. 269 c.c., comma 2, non tollera surrettizie limitazioni, nè mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, nè, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status (si vedano in questo senso, per tutte, Cass. 14976/2007, Cass. 19583/2013, Cass. 3479/2016, Cass. 16128/2019).
Va dunque escluso che nei suddetti giudizi il figlio attore debba fornire alcuna prova o principio di prova in ordine all’esistenza di una relazione tra la propria madre ed il presunto padre antecedentemente all’ammissione della C.T.U. avente ad oggetto l’esame del D.N. A..
Ne discende che una simile pretesa probatoria, del tutto infondata, non poteva giustificare il rifiuto dell’odierno ricorrente di sottoporsi alle indagini ematologiche disposte dal primo giudice, come giustamente ha rilevato la Corte territoriale; i giudici distrettuali, di conseguenza, hanno fatto corretta applicazione dell’orientamento consolidato di questa Corte (Cass. 7092/2022, Cass. 3479/2016, Cass. 6025/2015, Cass. 12971/2014, Cass. 11223/2014) secondo cui il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c., anche in assenza di prove di rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l’effettivo concepimento a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti.
Per questo motivo è possibile trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificato a sottoporsi all’esame ematologico del presunto padre, posto in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre, e tale rifiuto costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116 c.p.c., comma 2, di così elevato valore indiziario da poter anche da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (Cass. 18626/2017, Cass. 26914/2017, Cass. 28886/2019)>>.

(segnalazione e testo offerti da Ondif)