Affisameno condiviso è la regola , quello esclusivo l’eccezione

Cass. sez. I, ord. 08/05/2024  n. 12.474, rel. Meloni:

<<In ordine all’affido esclusivo alla madre, la Corte di Appello ha ritenuto di “penalizzare” il padre a cagione della sua condotta ritenuta censurabile; la Corte tuttavia non ha motivato adeguatamente in ordine all’affido esclusivo delle minori alla madre nell’ottica dell’interesse delle minori e di una equilibrato rapporto tra i due genitori, cui è stata anteposta una valutazione in chiave sanzionatoria per comportamenti del padre, ritenuti inadeguati (per la scelta del Fi.Iv. di andare a vivere con la propria compagna, subito dopo la separazione, nello stesso stabile ove vivevano anche le minori, determinando la conseguente necessità del trasferimento delle bambine con la madre in altro edificio; per la “decisione” di “presentarsi al primo incontro” con le figlie, presso il consultorio familiare, accompagnato dalla nuova moglie).

Tuttavia, tali comportamenti – esaminati separatamente o posti tra di loro in connessione – non appaiono motivati dal giudice a quo con riferimento a quella gravità necessaria per giustificare l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori (e la penalizzazione dell’altro nella dialettica educativa delle minori): misura che può essere adottata, in via di eccezione, solo in presenza del manifestarsi di quelle concrete ragioni contrarie all’interesse del minore (art. 155-bis), tali da giustificare una tale misura rigorosa, quali ad esempio la obiettiva lontananza del genitore o il suo disinteresse rispetto all’affettività delle figlie e agli accordi in ordine alle stesse, espliciti o taciti, in tal senso raggiunti dalle parti.

La regola dell’affidamento condiviso costituisce la scelta tendenzialmente preferenziale (cfr. Cass. n. 6535 del 2019) onde garantire il diritto del minore “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, tanto che, avendo in tal modo dimostrato il legislatore di ritenere che l’affidamento condiviso costituisca il regime ordinario della condizione filiale nella crisi della famiglia (cfr. Cass. n. 1777 del 2012), la sua derogabilità, neppure consentita in caso di grave conflittualità tra i genitori (cfr. Cass. n. 5108 del 2012), risulta possibile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore” (cfr. Cass. n. 977 del 2017).

Tanto più che, come diversamente ritenuto dal Tribunale in prima istanza, nel caso di specie, non erano stati ritenuti sussistenti gli estremi per disporre in conformità della proposta domanda di affido esclusivo in quanto non era stata provata la completa assenza del resistente nella vita delle minori, sia sotto l’aspetto psichico ed educativo, sia sotto l’aspetto dei doveri economici>>.

Affidamento dei figli e assegno divorzile

Cass.  sez. I, Ord. 11/04/2024 n. 9.839, rel. Russo R.E.A.:

sul punto 1:

<<La Corte d’appello si è quindi correttamente attenuta, nel regolare l’affidamento, a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass. n. 18817 del 23/09/2015; Cass. n. 14728 del 19/07/2016; Cass. n. 28244 del 04/11/2019.) La Corte distrettuale ha altresì tenuto conto del fatto che costituisce giurisprudenza consolidata, anche sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte EDU, che per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare e che l’autorità giudiziale deve predisporre misure volte ad attuare, salvo che non sussistano serie controindicazioni, il diritto alla bigenitorialità (cfr. Kutzner c. Germania, n. 46544/99, Corte EDU 2002; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Cass. n. 9764 del 08/04/2019; Cass. n. 19323 del 17/09/2020)>>.

Sul punto 2:

<< La Corte distrettuale, da un lato, ritiene adeguata la ricostruzione dei redditi e in genere delle condizioni economiche delle parti effettuate dal Tribunale, dall’altro, senza condurre ulteriori indagini su quelle che sono le attuali condizioni economiche di tali parti, ha ridotto l’assegno già disposto dal giudice di primo grado in favore dei figli, genericamente menzionando le “esigenze di vita dei figli”, che non vengono però nel concreto specificate, e facendo riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per come rappresentate dalle condizioni di separazione. Ciò senza tenere conto che le condizioni della separazione erano dirette ad assicurare il mantenimento di due bambini in tenerissima età e che normalmente le esigenze dei figli crescono nel corso del loro sviluppo; ed inoltre che, tra il tempo della separazione e quello del divorzio, sono intercorse molteplici vicende tra cui le riferite vicissitudini giudiziarie conseguenti al fallimento delle iniziative economiche intraprese dal B.B. sul territorio nazionale, che lo hanno indotto a espatriare e vivere a lungo negli Emirati Arabi per poi rientrare in Italia, pur se – a quanto deduce la ricorrente – i suoi affari sono attualmente legati a società estere; e infine, ma non ultimo, che, nel momento in cui si ritiene corretta la ricostruzione dei redditi operata dal giudice di primo grado, per discostarsi dalle sue valutazioni sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata. Inoltre, la circostanza che nessuna delle parti abbia depositato dichiarazioni dei redditi aggiornati nulla sposta, perché in tali casi il giudice può, o addirittura deve, disporre indagini di polizia tributaria (Cass. n. 22616 del 19/07/2022).

4.1. – Pertanto, il giudizio sul quantum del mantenimento dei figli dovrà essere rivisto ed aggiornato alla attualità, tenendo conto che nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 4145 del 10/02/2023) Il contributo al mantenimento dei figli, si caratterizza per la sua bidimensionalità, poiché da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi é il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (Cass. n. 2536 del 26/01/2024).

(…)

Inoltre, la Corte distrettuale pur dando atto che la A.A. ha una professionalità, in quanto avvocato, e una età che le consente di reinserirsi nel mondo del lavoro, ed è proprietaria di un discreto patrimonio immobiliare, non pienamente sfruttato economicamente, ritiene di confermare l’assegno pur riducendolo, poiché “la situazione è da valutare in relazione al contesto sociale della famiglia, che ha avuto un elevato tenore di vita”.

Con questa ultima argomentazione il giudice d’appello fa cattiva applicazione del principio, ormai solido nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. sez. un n. 18287 del 11/07/2018) Ed ancora, si è affermato che il tenore di vita matrimoniale è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno e che l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 22738 del 11/08/2021).>>.

Il diritto alla bigenitorialità può essere leso quando un genitore, seppur per lavoro, si trasferisce con i figli a 850 km di distanza (da Napoli a Pordenone) dall’altro

Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 21/03/2024) 07/05/2024, n. 12282, rel. Meloni:

<<In particolare il Giudice di merito ha dichiarato di essere pervenuto alla impugnata decisione tenendo in considerazione le inequivoche volontà espresse dai minori, intese come favorevoli al trasferimento, in particolare sulla volontà dei minori ha affermato: “atteso che sia C.C. che D.D. sono parsi al giudice, che li ha ascoltati in presenza della Dr.ssa F.F. dell’UPP, hanno dichiarato entrambi di essere felici di trasferirsi a P, città che già conoscono per esservi stati spesso con la madre ed il suo compagno, di aver già visto le scuole presso le quali saranno iscritti, di essere certi del fatto che, in caso di loro disagio tornerebbero a N, come promesso dalla madre, di non aver alcuna intenzione di sostituire il padre con la figura del compagno della madre, di essere certi di tornare a N ogni qualvolta lo vorranno e che il padre potrà recarsi da loro senza alcun problema, di farsi portavoce anche della piccola E.E.”

Il primo motivo di ricorso è fondato in quanto il trasferimento dei tre figli in località distante parecchi chilometri da quella di residenza del padre non potrà non essere di ostacolo alla frequentazione del genitore coi figli nonostante al primo sia stata riconosciuta la “facoltà di vederli e tenerli quando desidera”. Infatti, la Corte di merito non ha valutato quella considerevole distanza tra le due città che non consente frequentazioni giornaliere, se non della durata di poche ore, ma al contrario solo visite di più giorni, data la notevole durata del viaggio. Tenendo poi conto che i figli frequentando la scuola, corsi sportivi, palestra, etc., non possono certo assentarsi troppo tempo dalla città di residenza, quantomeno nel lungo periodo scolastico, senza individuare idonee compensazioni.

Il trasferimento potrebbe configurare una violazione del diritto alla bigenitorialità anche in quanto la Corte di merito non ha valutato in alcun modo la questione, limitandosi a riportare le dichiarazioni rese dai due fratelli C.C. e D.D. ma non risulta sia stata ascoltata la più piccola E.E.>>.

Affidamento in prova ai servizi sociali e limitazione della potestà genitoriale

Cass. sez. I, ord. 30/04/2024 n. 11.624, rel. Parise:

<<4.1. Secondo l’orientamento più recente di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità (cfr. da ultimo Cass. 32290/2023), l’affidamento ai servizi sociali, oggi specificamente disciplinato dall’art. 5-bis della legge 4 maggio 1983 n. 184 (norma inserita dall’art. 28, comma 1, lett. d, del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023) costituisce una species del più ampio genus dell’affidamento a terzi, ma presenta alcune peculiarità, in ragione della natura e delle funzioni dei servizi sociali ed anche delle ragioni che determinano il giudice della famiglia a scegliere un soggetto pubblico, avente compiti istituzionali suoi propri, prefissati per legge, e non una persona fisica individuata in ambito familiare. Qualora sia disposto l’affidamento del minore ai servizi sociali occorre distinguere, anche nel regime previgente all’entrata in vigore dell’art. 5-bis della legge 184/1983 (che trova la sua base normativa negli artt. 25 e 26 r.d.l. 1404/1934, conv. nella l. 835/1935, e succ. modif.), l’affidamento con compiti di vigilanza, supporto ed assistenza senza limitazione di responsabilità genitoriale (c.d. mandato di vigilanza e di supporto) dall’affidamento conseguente a un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale. Nel primo caso, si tratta del conferimento da parte del giudice di un mandato con l’individuazione di compiti specifici per assicurare la funzione di supporto ed assistenza ai genitori ed ai figli e per vigliare sulla corretta attuazione dell’interesse del minore. Questa tipologia di “affidamento” ai servizi, da definire come mandato di vigilanza e supporto, non incidendo per sottrazione sulla responsabilità genitoriale, non richiede, nella fase processuale che precede la sua adozione, la nomina di un curatore speciale, salvo che il giudice non ravvisi comunque, in concreto, un conflitto di interessi, e non esclude che i servizi possano attuare anche altri interventi di sostegno rientranti nei loro compiti istituzionali; richiede, tuttavia, che il provvedimento del giudice sia sufficientemente dettagliato sui compiti demandati – con esclusione di poteri decisori- e che siano definiti i tempi della loro attuazione, che devono essere il più rapidi possibili. Nel secondo caso, il provvedimento di affidamento consegue ad un provvedimento limitativo (anche provvisorio) della responsabilità genitoriale. Esso costituisce un’ingerenza nella vita privata e familiare (similmente all’affidamento familiare, sul punto v. Cass. 16569/2021) e, pertanto, deve essere giustificato dalla necessità di non potersi provvedere diversamente all’attuazione degli interessi morali e materiali del minore, non avendo sortito effetto i programmi di supporto e sostegno già svolti in favore della genitorialità; l’adozione di questo provvedimento presuppone la sua discussione nel contraddittorio, esteso anche al minore, i cui interessi devono essere imparzialmente rappresentati da un curatore speciale; i contenuti del provvedimento devono essere conformati al di proporzionalità tra la misura adottata e l’obiettivo perseguito e il giudice deve esercitare un’adeguata vigilanza sull’operato dei servizi. Pertanto si richiede, anche nel regime previgente alla entrata in vigore dell’art. 5-bis l. 184/1983, che i compiti dei servizi siano specificamente descritti nel provvedimento, in relazione a quelli che sono i doveri e i poteri sottratti dall’ambito della responsabilità genitoriale e distinti dai compiti che sono eventualmente demandati al soggetto collocatario se questi è persona diversa da i genitori; i servizi non possono svolgere funzioni e compiti propri della responsabilità genitoriale se non specificamente individuati nel provvedimento limitativo; deve essere necessariamente nominato, nella fase processuale che precede la sua adozione, un curatore speciale del minore, i cui compiti vanno pure precisati>>.

Applicazione al caso in esame:

<<4.2 Nel caso di specie la Corte distrettuale ha riscontrato in entrambi i genitori “carenze e capacità genitoriali limitate e in parte compromesse, nel caso del padre a causa di atteggiamenti violenti e note caratteriali”, mentre nei confronti della madre è stato espresso un giudizio di “fragilità per una sua certa immaturità e la sua conseguente difficoltà a gestire in maniera equilibrata la difficile situazione familiare”, determinata dall’aspra conflittualità con il marito e dalla conseguente incomunicabilità tra i genitori. La Corte di merito ha, pertanto, confermato la statuizione del Tribunale, che aveva disposto l’affidamento dei minori ai Servizi Sociali, e detto provvedimento ha connotazioni certamente limitative, quantomeno, della responsabilità genitoriale del padre, al quale sono consentiti incontri con i figli solo con modalità protette e rigidamente regolamentate, benché, invero, non risultino specificamente descritti nella sentenza impugnata i compiti dei Servizi.

L’adozione di questo provvedimento di affidamento limitativo, tuttavia, non è avvenuta all’esito di una discussione in un contraddittorio complesso esteso anche ai minori, i cui interessi fossero adeguatamente rappresentati da un curatore speciale processuale.

L’emersione nel corso del giudizio di comportamenti dei genitori pregiudizievoli degli interessi dei figli, costituiti dall’elevato livello di conflittualità tra loro esistente e dal conseguente profondo coinvolgimento dei bambini nel dissidio, poneva in capo ai giudici distrettuali il dovere di provvedere a tale nomina, in ragione del sopravvenuto conflitto di interessi con i genitori, non più idonei a rappresentare i minori. L’inottemperanza a questo dovere, il difetto di interlocuzione che ne è derivato e il difetto di rappresentanza dei minori hanno determinato, in applicazione dei principi in precedenza richiamati, la nullità della decisione impugnata in relazione alle statuizioni che riguardano la regolamentazione dei rapporti genitoriali e di ogni aspetto agli stessi connesso, sicché si impone la cassazione della sentenza, limitatamente a dette statuizioni, con rinvio alla Corte di merito>>

Se la carica di amministratore del figlio in una società del padre è simulata, non se ne tiene conto in sede di determinazione dell’assegno di mantenimento

Cass. sez. I, Ord.  11/04/2024, n. 9.779, rel. Russo:

<<La Corte d’appello ripercorrendo la storia imprenditoriale del soggetto e degli affari da lui conclusi ha, in questo contesto, ritenuto che le società e le relative posizioni lavorative siano solo nominalmente riconducibili ai figli, valutando non solo la loro giovane età e la condizione di studente di uno di essi, nonché la attuale permanenza in casa con la madre, ma anche la circostanza che alcuni altri elementi indicavano che erano società riconducibili al padre, il quale peraltro aveva necessità di regolare le sue partite con i creditori; ha rilevato altresì che le stesse allegazioni sul punto fossero in parte contraddittorie.

Da tutti questi fatti noti ha tratto – facendo uso delle presunzioni – la conclusione che i figli non ricavino reddito dalle società; si tratta di una valutazione di merito non censurabile in questa sede, in conformità ai principi già sopra espressi>>.

Peccato non sia entrata nel merito, ritenendolo incensurabile in sede di legittimità

Concorso dei genitori nel mentenimento del figlio

Cass.  Sez. I, Ord. 17/04/2024 n. 10.359, rel. Reggiani, sugli artt. 337 ter c. 4 e 316 bis c.1 cc (dal tenore non identico, l’uno riferendosi al reddito e l’altro anche al patrimonio):

<<2.1. Com’è noto, ai fini della determinazione della misura del contributo al mantenimento, sia esso destinato ai figli minori di età o ai figli maggiorenni ma non ancora dipendenti economicamente, deve guardarsi al disposto dell’art. 337 ter, comma 4, c.c. che, introdotto dall’art. 55 D.Lgs. n. 154 del 2013, riproduce quanto già stabilito all’art. 155, comma 4, c.c. a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1 l. n. 54 del 2006 (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2020 del 28/01/2021 e Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 19299 del 16/09/2020).

La norma prevede, in particolare, che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.”

Si deve, a questo proposito, considerare che l’obbligo di mantenimento dei figli ha due dimensioni.

Da una parte vi è il rapporto tra genitori e figlio e da un’altra vi è il rapporto tra genitori obbligati.

Il principio di uguaglianza che accumuna i figli di genitori coniugati ai figli di genitori separati o divorziati, come pure a quelli nati da persone non unite in matrimonio (che continuano a vivere insieme o che hanno cessato la convivenza), impone di considerare che tutti i figli hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni (art. 315 bis, comma 1, c.c.).

È per questo che l’art. 337 ter c.c., nel disciplinare la misura del contributo al mantenimento del figlio, nel corso dei giudizi disciplinati dall’art. 337 bis c.c., pone subito, come parametri da tenere in considerazione, le attuali esigenze dei figli e il tenore di vita goduto da questi ultimi durante la convivenza con entrambi i genitori (art. 337 ter, comma 4, nn. 1 e 2, c.c.). I diritti dei figli di genitori che non vivono insieme, infatti, non possono essere diversi da quelli dei figli di genitori ancora conviventi, né i genitori possono imporre delle privazioni ai figli per il solo fatto che abbiano deciso di non vivere insieme.

Nei rapporti interni tra genitori vige, poi, il principio di proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno.

In generale, l’art. 316 bis, comma 1, c.c. prevede che i genitori (anche quelli non sposati) devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Lo stesso criterio di proporzionalità deve essere seguito dal giudice, quando, finita la comunione di vita tra i genitori (siano essi sposati oppure no) è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi, dovendo considerare le risorse economiche di ciascuno (art. 337 ter, comma 4, n. 4, c.c.), valutando anche i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (art. 337 ter, comma 4, nn. 3 e 5, c.c.), quali modalità di adempimento in via diretta dell’obbligo di mantenimento che, pertanto, incidono sulla necessità e sull’entità del contributo al mantenimento in termini monetari.

2.2. Non è sottratta a tale criterio la statuizione relativa alle spese straordinarie, previste in modo distinto rispetto al contributo periodico forfettario.

Come pure affermato dal questa Corte, infatti, in tema di riparto delle spese straordinarie per i figli, il concorso dei genitori, separati o divorziati, o della cui responsabilità si discuta in procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, non deve essere necessariamente fissato in misura pari alla metà per ciascuno, secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale, ma in misura proporzionale al reddito di ognuno di essi, tenendo conto delle risorse di entrambi e della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 35710 del 19/11/2021).

2.3. Nel caso di specie, dunque, come censurato nel primo motivo di ricorso, la Corte d’appello risulta avere violato il principio appena enunciato, tenuto conto che, a fronte di una specifica domanda di diversificazione della misura del contributo di ciascun genitore nelle spese straordinarie relative al figlio, dopo aver dato atto delle maggiori consistenze patrimoniali e reddituali del padre del bambino, oltre che del fatto che lo stesso vive stabilmente a Mosca con la madre, lontano dal padre che risiede in Italia, non abbia poi considerato tali aspetti ai fini della individuazione delle quote per la contribuzione alle spese straordinarie come pure imposto dall’art. 337 ter, comma 4, nn. 3 e 4, c.c., prevedendo la partecipazione a tali spese in misura percentuale uguale tra i due genitori>>

E poi:

<<In effetti, come sopra evidenziato, la misura della contribuzione al mantenimento dei figli non dipende da una valutazione delle “astratte potenzialità reddituali” dei genitori obbligati, ma dalla valutazione delle effettive condizioni reddituali e patrimoniali di questi ultimi, che, ovviamente, possono essere accertati anche in via presuntiva, ma mai astratta e potenziale.

La Corte d’appello, invece, pur prendendo atto dello stato di disoccupazione della ricorrente, come sopra evidenziato, ha ritenuto che quest’ultima fosse ben inserita nel mondo della musica, essendo in contatto con noti artisti italiani, il che le poteva consentire di introdursi con facilità in quell’ambito lavorativo, sia in Italia che nel suo Paese di origine, aggiungendo che, in ogni caso, era una donna di giovane età (nata nel (Omissis)), con conoscenza delle lingue e un buon livello di istruzione, e che pertanto poteva facilmente immettersi nel circuito produttivo anche in altro campo (ad esempio quello turistico).>>

Diritto del nonno a frequentare il nipote ma solo se nell’interesse di questi

Cass.  Sez. I, Ord. 16/04/2024, rel. Caiazzo, n. 10.250, sull’art. 317 bis cc

<Invero, il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni è funzionale all’interesse di questi ultimi e presuppone una relazione positiva, gratificante e soddisfacente per ciascuno di essi, pertanto il giudice non può disporre il mantenimento di tali rapporti dopo aver riscontrato semplicemente l’assenza di alcun pregiudizio per i minori, dovendo invece accertare il preciso vantaggio a loro derivante dalla partecipazione degli ascendenti al progetto educativo e formativo che li riguarda, senza imporre alcuna frequentazione contro la volontà espressa dei nipoti che abbiano compiuto i dodici anni o che comunque risultino capaci di discernimento, individuando piuttosto strumenti di modulazione delle relazioni, in grado di favorire la necessaria spontaneità dei rapporti (Cass., n. 2881/23; n. 15238/18). [non da poco: non basta l’assenza di danno, servendo la  presenza stimata di benefici per il minore]

Nella specie, la Corte territoriale ha posto a sostegno della decisione sia la c.t.u., espletata nel giudizio divorzile, che le relazioni della dott.ssa Ravrenna, psicologa incaricata dal padre della minore, poi da quest’ultimo revocata, recependo in sostanza i rilievi di tali professionisti a tenore dei quali la decisione di consentire il riavvicinamento della minore alla nonna (i cui rapporti erano sospesi fin dall’accordo di divorzio) era subordinata a una previa valutazione delle condizioni psicologiche della stessa minore e al superamento della conflittualità familiare nella quale la ricorrente era risultata profondamente coinvolta (come peraltro confermato in motivazione con riferimento ai riferiti incontri tra nonna e figli, in violazione delle prescrizioni dettata dal giudice), tentativo questo che non era riuscito con una recrudescenza della predetta conflittualità.

Pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto ancora insussistenti i presupposti per la ripresa della relazione in questione, essendo evidente l’inopportunità di una introduzione nel conflitto in atto della figura della nonna, anche considerando la fragilità mostrata dalla minore, priva di una effettiva “mentalizzazione” di quella figura. Inoltre, è stata evidenziata la correttezza delle preoccupazioni espresse dagli operatori (c.t.u. e psicoterapeuta) circa il coinvolgimento della nonna nelle conflittuali relazioni familiari e sulla necessità di osservare opportune cautele di natura psicologica prima di una possibile ripresa delle relazioni della stessa con la minore>.

Poi sul diritto del minore di partecipare al processo:

<<In generale i minori, nei procedimenti giudiziari che li riguardano, non possono essere considerati parti formali del giudizio, perché la legittimazione processuale non risulta attribuita loro da alcuna disposizione di legge; essi sono, tuttavia, parti sostanziali, in quanto portatori di interessi comunque diversi, quando non contrapposti, rispetto ai loro genitori. La tutela del minore, in questi giudizi, si realizza mediante la previsione dell’ascolto, e costituisce pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore il suo mancato espletamento, quando non sia sorretto da un’espressa motivazione sull’assenza di discernimento, tale da giustificarne l’omissione (Cass., n. 16410/20, che ha dettato il principio in un giudizio nel quale i nonni del minore, che domandavano di essere ammessi ad incontrarlo, avevano contestato la nullità della sentenza a causa della mancata nomina di un difensore del minore – critica respinta – e della mancata audizione di quest’ultimo, censura che è stata invece accolta, con rinvio della causa al giudice dell’appello).

Nel caso concreto, dagli atti non emerge che il minore sia stato sentito in ordine alla questione della frequentazione con la nonna ricorrente, né è stata fornita una motivazione giustificatrice del mancato ascolto. Sul punto, è stato ritenuto che l’art. 315-bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012 , n. 219, [oggi v. pure l’art. 473 bis.4 cpc] prevede il diritto del minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, e quindi anche in quelle relative all’affidamento ai genitori, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con il suo “superiore interesse”.

Al riguardo, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di ascolto del minore infradodicenne, nelle procedure giudiziarie che lo riguardino, l’audizione è adempimento necessario, a meno che l’ascolto sia ritenuto in contrasto con gli interessi superiori del minore medesimo (in ragione dell’età o del grado di maturità o per altre circostanze), come va specificamente enunciato dal giudice, in tal caso restando non necessaria la motivazione espressa sulla preventiva valutazione del discernimento del minore (Cass., n. 24626/23; n. 1474/21; n. 9691/22).

Nella specie, dalla sentenza impugnata si evince la fragilità della minore la quale non aveva “mentalizzato” la figura della nonna paterna, come rilevato dal c.t.u.; inoltre, come detto, i vari operatori avevano evidenziato l’inopportunità del coinvolgimento della nonna nelle conflittuali relazioni familiari e la necessità di osservare opportune cautele di natura psicologica prima di una possibile ripresa delle relazioni della stessa con la nipote.

Se ne deve dunque dedurre che l’omesso ascolto della minore sia stato adeguatamente giustificato dalla Corte territoriale, non rispondendo la relativa audizione all’interesse della stessa. Infatti, nel decreto impugnato è stato rilevato che la nonna era stata messa ampiamente in contatto con la nipote, liberamente e al di fuori di ogni cautela, ciò attraverso contatti telefonici e poi, durante le vacanza estive del 2022, grazie alla compiacenza dello stesso padre.

Invero, in tema di ascolto del minore maltrattato, il giudice deve sempre operare un bilanciamento tra l’esigenza di ricostruzione del volere e del sentimento del minore, quale principio fondamentale applicabile anche nel procedimento relativo alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, e quella della tutela del minore maltrattato, come persona fragile, nel caso in cui l’ascolto possa costituire pericolo di vittimizzazione secondaria per gli ulteriori traumi che il fanciullo che li abbia già vissuti possa essere costretto a rivivere (Cass., n. 23247/23).

Nel caso concreto, è dunque evidente come il mancato ascolto della minore fosse stato ritenuto necessario nel suo interesse, nell’ambito del percorso terapeutico volto a tutelare Gaia Claudia riguardo alle conflittuali relazioni familiari>>.

Motiviazione insufficiente sulla non raggiunta indipendenza economica del figlio maggiorenne

Cass. sez. I, Ord. 10/04/2024, n. 9.609, rel. Tricomi, in una situaizone fattuale alquanto peculiare:

<<2.1. – La Corte d’appello ha dato atto che il giovane, dopo un percorso scolastico irregolare aveva abbandonato la precedente occupazione e aveva rifiutato – o meglio non tenuto in considerazione – due offerte lavorative adeguate, di cui la seconda non distante da casa e ben remunerata. Al tempo stesso però, la Corte ha osservato che per un giovane ancora vicino alla minore età e privo di qualifiche professionali non è facile reperire un lavoro, pur essendosi egli iscritto ad una apposita agenzia. Così operando il giudice d’appello ha contrapposto all’accertamento concreto di circostanze specifiche (rifiuto di lavorare) una considerazione di carattere generale ed astratto – peraltro in aperto contrasto con le risultanze processuali perché di fatto il giovane aveva trovato concrete occasioni lavorative – di per sé non idonea a contrastare la presunzione di colpevole inerzia da parte del giovane. Di regola, invece, una volta ritenuta provata la negligenza negli studi e nel reperimento di un lavoro, dovrebbe trarsi la conclusione che il mancato conseguimento di autonomia economica non può giustificarsi e comporta la perdita del diritto al mantenimento da parte dei genitori (Cass. n. 19589 del 26/09/2011; Cass. n. 12952 del 22/06/2016; Cass. n. 26875 del 20/09/2023). La Corte d’appello ha poi fatto ricorso ad un altro argomento per giustificare “in parte” l’inerzia, rilevando che il giovane ha vissuto una drammatica situazione familiare a causa della malattia e morte della sorella (febbraio 2022) che “non può non avere influito sul suo stato d’animo e sul suo umore e che potrebbe davvero – come sostiene la B.B. – avere in parte influito sulla sua scelta di non accettare un lavoro come trasfertista che lo avrebbe tenuto lontano da casa, dove vivevano madre e sorella”.

Questo giudizio di fatto, pur se non privo di plausibilità, non è però temporalmente circoscritto, nonostante sia legato ad una vicenda già vissuta e non è adeguatamente spiegata quale sia la sua conseguenza in punto di diritto, vale a dire se la disposta riduzione dell’assegno di mantenimento sia destinata ad assicurare al giovane – e alla madre con la quale il figlio convive – un supporto per superare uno stato di difficoltà legato a circostanze contingenti, al tempo stesso implicitamente richiamandolo al dovere di attivarsi nel momento in cui queste difficoltà contingenti sono venute meno, oppure costituisca una giustificazione sine die del comportamento inerte>>.

Mantenimento del figlio maggiorenne economicamente non indipendente

Cass. sez. I, ord. 02/04/2024 n. 8.630, rel. Meloni:

<<Questa Corte, infatti, ha più volte premesso che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall’art. 147 cod. civ., obbliga i coniugi secondo i parametri previsti nel nuovo testo dell’art. 155 cod. civ., come sostituito dall’art. 1 legge 8 febbraio 2006, n. 54, il quale, nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.

Ebbene, con riferimento ai figli maggiorenni e ultramaggiorenni, questa Corte ha affermato una regula iuris che costituisce ormai diritto vivente: regula secondo cui (Sez. 1 -,Sentenza n. 26875 del 20/09/2023), “in tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto” in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa.”

L’ordinanza impugnata, che non tiene conto né dell’età della figlia di anni 33, né della sua autonomia (raggiunta o raggiungibile), né degli sforzi compiuti per conseguirla, non si è chiaramente uniformata a questa regula iuris e, pertanto, il ricorso merita accoglimento con la necessità che il giudice di merito riesamini l’applicazione dei criteri e dei principi che presidiano all’accertamento di autonomia dei figli ultramaggiorenni (oltre che le capacità patrimoniali dei genitori)>>.

Si veda ad es l’apprezzamento di raggiunta indipendenza economica operato da App Venezia nel 2022 e ritenuto  insindacabile (perchè fattuale ed esorbitante l’art 360 n. 5 cpc, immagino) dalla Cass., stesso relatore Meloni, in una sentenza di pari data e di numero inferiore di una unità (Cass. sez. I, ord. 2 aprile 2024 n. 8.629):

<<Tale accertamento di autosufficienza economica della figlia maggiorenne, sostenuto da adeguata motivazione e da iter argomentativo logico coerente, con conseguente venir meno dell’obbligo dei genitori al suo mantenimento, avrebbe effetto solo dalla data di pronuncia della sentenza pronunciata in sede di rinvio dalla Corte di Appello di Venezia (in data 15/9/2022). Tale sentenza n.2074/2022, pubblicata il 29.9.2022, ha infatti disposto: “sul punto, prende atto, in quanto mai contestato, che la ragazza fermo restando che la stessa ha definitivamente terminato gli studi superiori e non ha mai intrapreso studi universitari, risulta fondatrice di una società semplice,
assieme al padre, che è stata costituita nel febbraio del 2021 sotto la denominazione “Società Agricola di …e …s.s.”, avente quale oggetto sociale l’attività di coltivazione dei fondi dei soci; dalla fine dell’anno 2021, ella è altresì proprietaria di un terreno agricolo di mq. 17.809,00″. Prosegue la sentenza che: “ancora, la madre ha documentato di avere ricevuto una cartella esattoriale, avendo l’agenzia delle entrate riscontrato l’indebita detrazione per figli a carico, operata, per l’anno di imposta 2018, laddove la figlia aveva superato la soglia reddituale massima di euro 2.840,51; se da un lato tale ultimo documento (doc. 4) non dimostra il raggiungimento della completa autosufficienza della figlia, non essendo dato conoscere in quale misura il reddito abbia superato la soglia per le detrazioni fiscali, non può sottacersi come, allo stato attuale, C.C. abbia iniziato l’attività di impresa con il padre, proprio nel settore agricolo nel quale il genitore e tutta la famigli paterna hanno sempre operato. La stessa ora si assume il rischio di impresa ed ha anche acquistato un fondo di considerevoli dimensioni, ragione per la quale deve ritenersi che la medesima, ora ventiquattrenne, abbia operato una scelta professionale tendenzialmente stabile, che impone anche assunzione di oneri e conseguenti responsabilità nel medio- lungo periodo, e che dunque abbia conseguito una sua completa maturazione professionale, rispetto alla quale una contribuzione dei genitori al suo mantenimento ora non si giustifica più” >>

Erroneo giudizio sul cocnetto di indipenedsenzna economica del fighlio maghgiorenne (art. 2327 septies cc)

Continua, anzi si aggrava, la tendenza giudiziaria a penalizzare i figli maggiorennni non autosufficienti economicamente con inrerepretazioni assai restrittive dell’art. 337 septies cc.  Così ad es. Cass. Sez. I, Ord. 27/03/2024, n. 8.240, rel. Meloni:

<<Infatti, in ordine al primo e secondo mezzo di cassazione, va premesso che secondo questa Corte (Sez. 1 – , Sentenza n. 26875 del 20/09/2023) ha enunciato la regula iuris secondo cui: “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto” in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

Questa Corte ha più volte affermato che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall’art. 147 cod. civ., obbliga i coniugi secondo i parametri previsti nel nuovo testo dell’art. 155 cod. civ., come sostituito dall’art. 1 legge 8 febbraio 2006, n. 54, il quale, nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.

L’ordinanza impugnata non si è uniformata ai principi richiamati ed elaborati da questa Corte e pertanto il ricorso merita accoglimento. E, precisamente, occorre evidenziare che la Corte territoriale, tenuto conto che il A.A. guadagna 39.000,00 euro mentre la Foscarini € 20.000,00, ha valutato che la figlia C.C., laureata in storia dell’arte ed insegnante nella materia, negli anni 2018 e 2019 ha guadagnato, grazie a collaborazioni saltuarie, circa 4.000,00 euro mentre ne ha consumato circa 6.000,00 per spese mediche, in quanto necessitante di assistenza psicologica perché affetta da sindrome delirante, con manie di persecuzione (senza che, tuttavia, ricorra il caso della menomazione psichica e del conseguente regime giuridico del figlio affetto da tali serie patologie).

Tuttavia, seppur Ella ha documentato un modesto guadagno (solo 4.000,00 euro annui), deve ritenersi che la stessa ha comunque incominciato a mettere a frutto le proprie capacità professionali, seppur saltuariamente esercitate, così cominciando a conseguire i propri redditi da lavoro e, anche se in attesa di una migliore e più sicura definizione del suo inserimento nel mondo produttivo, ne consegue che – in ragione dei richiamati principi – si deve seriamente dubitare che vi sia ragione per conservare, in suo favore, l’assegno di mantenimento, ferma la eventuale possibilità di un eventuale soccorso paterno, qualora ne ricorrano i presupposti, e perciò di chiedere e ottenere un assegno alimentare>>.

L’errore è grave: euro 4.000 all’anno (se ben capisco: non in due anni, spererei!) renderebbero il figlio “economicamente indipendente” (art. 337 septies).