Sulla cessazione del dovere di mantenimento del figlio maggiorenne

Cass. sez. 1 n. 19530 del 10.07.2023, rel. Pazzi:

<<6.2 Va poi escluso che la condizione di disoccupazione rimanga a
carico del genitore attraverso una perpetuazione ad libitum
dell’obbligo di mantenimento.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte a questo proposito il figlio
di genitori divorziati, il quale abbia ampiamente superato la
maggiore età e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo
professionale sul mercato del lavoro, un’occupazione lavorativa
stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo
economicamente autosufficiente, non può soddisfare l’esigenza a
una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve
aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del
genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di
dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al
reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi
nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di
vita dell’individuo bisognoso (Cass. 29264/2022; Cass.
38366/2021)>>.

Opinione errata : l’art. 337 septies cc fa (a contrario id est implicitamente, ma inequivocamente) cessare il dovere di mantenimento solo al raggiungimento della “indipendenza economica”del figlio.

Violato il divieto di pubblicare l’immagine dei figli minori senza il consenso di entrambi i genitori

Trib. Roma 23.05.2023 n° 8066/2023, RG 61585/2019, giudice Pratesi sull’oggetto (immagine pubblicata a fini commerciali col consenso della mamma ma non del padre, all’epoca affidatario esclusivo):

premessa:

<<La giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’inserimento di foto di figli minori sui social networks costituisca una operazione potenzialmente pregiudizievole in ragione delle caratteristiche proprie della rete internet. Il web consente infatti la diffusione di immagini e dati personali ad una rapidità tale da rendere difficoltosa e inefficace una qualsiasi forma di controllo sui flussi di informazioni. Da ciò consegue che – tanto più in presenza di una situazione di conflitto intrafamiliare (nella quale la manifestazione di consenso dell’uno non può far presumere analoga intenzione nell’altro) – la pubblicazione può dirsi lecita solo se consentita da entrambi i genitori. La base normativa della conclusione che precede si rinviene in una molteplicità di fonti nazionali e sovranazionali, a partire dall’art. 10 del codice civile che tutela l’interesse a
non vedere diffusa la propria immagine senza consenso, per passare poi alle
disposizioni dettate a tutela della privacy, alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre del 1989, ratificata in Italia con la L. n. 176 del 1991, ed ancora alla Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia (in particolare l’art. 19) ed alla Carta di Nizza (art. 24). Si deve pertanto ribadire che la pubblicazione di una o più immagini ritraenti una minore non sia lecita se non con il consenso di entrambi i genitori>>

Danno liquidato (per un numero elevato di immagini, in cui la mniore appariva di spalle):

  • euro 500,00 per danno patrimoniale;
  • euro 5.000 al padre iure proprio e altrettante come rappresentante della figlia per danno non patrimoniale:

<<Quanto al danno non patrimoniale, si tratta del patimento d’animo derivato dalla indebita apparizione dell’immagine della propria figlia, tanto più in quanto accostata alla struttura alberghiera gestita dal partner della propria ex compagna, ed in alcune immagini della pagina Facebook identificata con il cognome di costui.
L’apparizione non è stata episodica e marginale (si pensi a titolo esemplificativo alle circostanze di tempo e di luogo in cui la brochure è stata rinvenuta dalla teste Malagoli Togliatti) e la sua diffusività si può dire incontrollabile per quanto attiene alla pagina Facebook, destinata anch’essa a scopo pubblicitario (si consideri che nel mese di marzo l’attore ha inoltrato una diffida alla società e che nel mese di aprile l’agenzia di investigazioni ha rinvenuto la presenza delle fotografie della minore, rimosse solo in un momento imprecisato, successivo alla instaurazione della lite); per altro verso si tratta di immagini in buona parte gioiose e non offensive o sconvenienti; anche quella in cui Eleonora appare in atteggiamento affettuoso con Presutti, su cui molto si sofferma la difesa Falasca, non presenta connotati oggettivamente scabrosi, per quanto sia comprensibile che possa avere particolarmente urtato la sensibilità del padre>>.

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e divorzile

Cass. sez. I ord. 24.05.2023 n. 14.343, rel. Caprioli:
In materia di assegno di mantenimento in favore del coniuge separato ai sensi dell’art. 156 c.c., il giudice deve verificare la mancanza da parte del richiedente di adeguati redditi propri, ovvero di redditi sufficienti a garantire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Infatti, l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa.
La valutazione relativa alle capacità di lavoro del coniuge beneficiario dell’assegno non potrà che avere ad oggetto l’effettiva e concreta possibilità di procurarsi mezzi propri mediante l’espletamento di un’attività lavorativa, essendo irrilevanti, per contro, valutazioni astratte
Niente di nuovo: ius receptum.
(massime di Valeria Cianciolo in www.osservatoriofamiglia.it)

Obbligo dei nonni e dei genitori per il mantenimento dei figli

Cass. Sez. I, ord. 16 maggio 2023 n. 13345 , Rel. Russo, sul concorso del dovere dei genitori con quello dei nonno (art. 316 bis cc):

<<L’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli.
Nel caso in esame, sussistevano i presupposti per ritenere l’obbligo degli ascendenti, in ragione della complessiva considerazione delle condizioni economiche dei genitori e dei loro comportamenti. In particolare, il comportamento del padre, non solo elusivo, ma anche doloso, posto che era stato condannato in sede penale, e che restando di fatto irreperibile, era venuto meno non solo a doveri di mantenimento ma anche a quelli di cura, educazione ed istruzione che di conseguenza gravavano per intero sulla madre, capace di una produzione reddituale inadeguata al mantenimento dei minori>>.

(massima di Valeria Cianciolo, osservatoriofamiglia.it)

Revisione dell’assegno di mantenimento dei figli e sua retroattività

In relazione all’art. 337 ter c.c. e in  una complessa lite tra genitori non legati da matrimonio sulla determinazione dell’assegno di mantenimento della figlia, offre utili precisazioni Cass. sez. I del 26.04.2023 n. 10.974, rel. Iofrida, circa la retroattività della sua revisione:

<<Anche le disposizioni di natura economica attinenti ai figli sono soggette a modifica nel caso di variazione dei presupposti sui cui si fondava la decisione precedente.

Questa Corte ha affermato il principio secondo cui in materia di revisione dell’assegno di mantenimento per i figli, il diritto di un coniuge a percepirlo ed il corrispondente obbligo dell’altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui, di fatto, sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell’accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass. 16173/2015; Cass. n. 3922/2012; Cass. 11913/2009; Cass., n. 28/2008; Cass., n. 19722/2008; Cass., n. 22941/2006; Cass., n. 6975/2005; Cass., n. 8235/2000).

Da ultimo, Cass. 4224/ 2021 ha chiarito che “la decisione del giudice relativa al contributo dovuto dal genitore non affidatario o collocatario per il mantenimento del figlio non ha effetti costitutivi, bensì meramente dichiarativi di un obbligo che è direttamente connesso allo “status” genitoriale e il diritto alla corresponsione del contributo sussiste finché non intervenga la modifica di tale provvedimento, sicché rimane ininfluente il momento in cui sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’obbligo, decorrendo gli effetti della decisione di revisione sempre dalla data della domanda di modificazione”.

(…)  Nella motivazione [di Cass. sez. un. sez. un. n. 32914 del 8 novembre 2022]  si è tuttavia, in particolare, evidenziato come: a) non vi è una norma che sancisce la irripetibilità dell’assegno in senso stretto alimentare provvisoriamente concesso, e dunque, a fortiori, non potrebbe affermarsi, per via analogica, la irripetibilità dell’assegno di mantenimento separativo o divorzile provvisoriamente (o comunque non definitivamente) attribuito; b) un temperamento al principio di piena ripetibilità trova giustificazione solo per ragioni equitative, sulla base dei principi costituzionali di solidarietà umana (Cost., art. 2) e familiare in senso ampio (Cost., art. 29), e solo nella misura in cui si esoneri il soggetto beneficiario dal restituire quanto percepito provvisoriamente anche “per finalità alimentare”, sul presupposto che le somme versate in base al titolo provvisorio siano state verosimilmente consumate per far fronte proprio alle essenziali necessità della vita (arg. ex art. 438, comma 2 c.c.); c) occorre, allora, dare il giusto rilievo alle esigenze equitative e solidaristiche anche con riferimento alla crisi della famiglia, nel cui ambito si collocano gli assegni di mantenimento, esigenze che inducono a temperare la generale operatività della regola civilistica della ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.), nel quadro di una interpretazione costituzionalmente orientata della stessa; d) non si tratta di dettare una regola di “automatica irripetibilità” delle prestazioni rese in esecuzione di obblighi di mantenimento, quanto di operare un necessario bilanciamento tra l’esigenza di legalità e prevedibilità delle decisioni e l’esigenza, di stampo solidaristico, di tutela del soggetto che sia stato riconosciuto parte debole del rapporto; e) ove con la sentenza venga escluso in radice e “ab origine” (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno “stato di bisogno” o, comunque, per la insussistenza di una sperequazione tra redditi tra i soggetti della coppia in crisi, ovvero sia addebitata la separazione al coniuge che, nelle more, abbia goduto di un assegno con funzione non meramente alimentare, non vi sono ragioni per escludere l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell’art. 2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità); f) invece, non sorge, a favore del coniuge separato o dell’ex coniuge, obbligato o richiesto, il diritto di ripetere le maggiori somme provvisoriamente versate sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione) sia nel caso in cui l’assegno stabilito in sede presidenziale (o nel rapporto tra la sentenza definitiva di un grado di giudizio rispetto a quella, sostitutiva, del grado successivo) venga rimodulato “al ribasso”, il tutto sempre se l’assegno in questione non superi la misura che garantisca al soggetto debole di far fronte alle normali esigenze di vita della persona media, tale che la somma di denaro possa ragionevolmente e verosimilmente ritenersi pressoché tutta consumata, nel periodo per il quale è stata prevista la sua corresponsione; g) l’entità, necessariamente modesta, di tale somma di denaro non può essere determinata in maniera fissa e astratta essendosi ritenuta necessaria una valutazione personalizzata e in concreto, la cui determinazione è riservata al giudice di merito, valutate tutte le variabili del caso concreto, la situazione personale e sociale del coniuge debole, le ragionevoli aspettative di tenore di vita ingenerate dal rapporto matrimoniale ovvero di non autosufficienza economica, nonché il contesto socioeconomico e territoriale in cui i coniugi o gli ex coniugi sono inseriti.

Nella fattispecie in esame, si discute, in sede di giudizio avviato nel settembre 2012 per la modifica delle condizioni concordate dai genitori nel 2002 e trasposte nel decreto presidenziale del 29/10/2002, riguardanti l’affidamento ed il mantenimento della figlia nata dalla loro unione al di fuori del matrimonio, dell’intervenuta rimodulazione al ribasso, in via provvisoria, nel corso del giudizio, da Euro 1.500,00 + 500,00 (a titolo di contributo per il canone locatizio) a Euro 1.000,00, oltre spese straordinarie, dell’ assegno di mantenimento della figlia, minorenne prima e poi maggiorenne ma non autosufficiente economicamente (per quanto risulta), che viveva, sino al luglio 2016, presso la madre.

Ora, l’assegno in oggetto ha comunque natura para-alimentare, rispondendo il contributo al mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti economicamente, al pari degli alimenti, alla necessità di sopperire, in rapporto alle esigenze anche presunte in relazione all’età, agli studi, etc…, ai bisogni di vita della persona, sia pure in un’accezione più ampia e pur non essendo necessario uno stato di indigenza, come negli alimenti (cfr. sul carattere “sostanzialmente alimentare” dell’assegno Cass. 28987/2008; Cass. 13609/2016; Cass. 23569/2016; Cass. 11689/2018).

Deve quindi affermarsi che, in ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita; il diritto di ritenere quanto è stato pagato non opera nell’ipotesi in cui sia accertata la non sussistenza, quanto al figlio maggiorenne, ab origine dei presupposti per il versamento (vale a dire la non autosufficienza economica, in rapporto all’età ed al percorso formativo e/o professionale sul mercato del lavoro avviato, Cass. 38366/21) e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza comunque sempre dalla domanda di revisione o, motivatamente, da periodo successivo>>.

Separazione personale, permanenza del vincolo coniugale e determinazione dell’assegno di mantenimento

Cass . , sez. I, ord., 23 marzo 2023 n. 8254:

<<7.1. — Costituisce principio interpretativo ormai acquisito che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (cfr. Cass. 12196/2017; id. 16809/2019; id. 5605/2020; id.4327/2022).
7.2. — Ciò posto è stato altresì precisato, in relazione allo stato di bisogno che giustifica il contributo e rispetto al quale rilevano sia i redditi percepiti dal coniuge richiedente che la sua capacità lavorativa, che l’attitudine al lavoro proficuo valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, è costituita dalla effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di un ‘attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass.24049/2021).
7.3. — Ebbene, nel caso di specie la corte territoriale non si è attenuta a questi principi là dove ha respinto la domanda di mantenimento della sig.ra D’E. senza alcuna considerazione, da un canto del tenore di vita matrimoniale, ed ancora rilevante ai fini del contributo di mantenimento, e dall’altro, all’effettiva possibilità di reperire un lavoro adeguato nella zona di trasferimento (Monte di Procida prima e San Prisco dopo).
7.4.— Infatti, per quanto riguarda il tenore di vita non è contestato che la famiglia abbia potuto beneficiare di una buona disponibilità finanziaria assicurata dal lavoro del sig. P. – conduttore radiofonico e disc-jochey, noto con lo pseudonimo di R. F. – e che ciò sia proseguito anche dopo il trasferimento in Campania della sig.ra D’E. con la figlia mediante il versamento da parte del marito della somma mensile di circa euro 3.400,00 (euro 2000,00 oltre euro 700,00 per affitto ed oltre euro 700,00 per la governante).
7.5.— Tale disponibilità non è stata considerata dalla corte territoriale mentre è in realtà rilevante ai fine di ricostruire l’effettivo livello di vita matrimoniale e il contributo dalla stessa fornito.
7.6.— Inoltre, la corte d’appello non ha considerato l’effettiva possibilità per la sig.ra D’E. di reperire un’adeguata attività lavorativa, in una regione che conosce notoriamente tali problemi, ma anche in ragione delle caratteristiche specifiche delle esigenze di cura della figlia e delle difficoltà, pure riconosciute, quali l’indisponibilità di un mezzo di trasporto personale.
7.7. — A questo riguardo, infatti, la corte territoriale ha motivato erroneamente il rigetto con la “poco incisiva” ricerca di un posto di lavoro allegata dall’appellante e con il mancato riferimento all’eventuale richiesta del reddito di cittadinanza, in una prospettiva astratta che non può automaticamente condurre ad escludere l’osservanza dell’obbligo, ancora normativamente esistente in sede separativa, di assistenza materiale a favore del coniuge che non disponga di propri mezzi adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale. >>

Non trascrivibilità dell’atto matrimoniale estero e non registrabilità dell’atto di nascita di figlio da genitori omossessuali a seguito di maternità surrogata

Importante intervento nomofilattico di Cass. sez. un. 30.12.2022 n. 38.162 , rel. Giusti, di cui hanno dato conto tutti i media.

fatto : <<Il caso che ha dato origine al giudizio riguarda un bambino nato all’estero da maternità surrogata.

In base al progetto procreativo condiviso dalla coppia omoaffettiva, uno dei due uomini ha fornito i propri gameti, che sono stati uniti nella fecondazione in vitro con l’ovocita di una donatrice. L’embrione è stato poi trasferito nell’utero di una diversa donna, non anonima, che ha portato a termine la gravidanza e partorito il bambino.

I due uomini, entrambi di cittadinanza italiana, si sono uniti in matrimonio in Canada e l’atto è stato trascritto in Italia nel registro delle unioni civili.

Il bambino, di nome P., è nato nel (Omissis).

Quando il bambino è venuto alla luce, le autorità canadesi hanno formato un atto di nascita che indicava come genitore il solo padre biologico, F.P., mentre non sono stati menzionati né il padre intenzionale, B.F., né la madre surrogata, né la donatrice dell’ovocita.

Accogliendo il ricorso della coppia, nel 2017 la Corte Suprema della British Columbia ha dichiarato che entrambi i ricorrenti devono figurare come genitori del bambino e ha disposto la corrispondente rettifica dell’atto di nascita in (Omissis).

Costoro, sulla base del provvedimento della Corte Suprema della British Columbia, hanno chiesto all’ufficiale di stato civile italiano di rettificare anche l’atto di nascita del bambino in Italia, che indicava come genitore il solo padre biologico.

L’ufficiale di stato civile ha rifiutato la richiesta, sia perché esisteva già un atto di nascita trascritto, sia per l’assenza di dati normativi certi e di precedenti favorevoli da parte della giurisprudenza di legittimità.>>

Risposta: istanza non accoglibile visto che la maternità surrogata è contraria al ns ordine pubblico e non può permettere la genitorialità al genitore cd intenzionale. La tutela del minore avverrà tramite l’adozione “in casi particolare” che può chiedere il genitore “intenzionale” medesimo.

Copio solo gli ultimi §§ di un ragionamento appprofondito, che si confronta apertamente con  gli argomenti contrari:

<<20. – Poste queste coordinate, deve allora escludersi la trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori dell’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il padre d’intenzione. L’ineludibile esigenza di garantire al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è assicurata attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame con il partner del genitore biologico che ha condiviso il progetto genitoriale e ha di fatto concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita.
21. – Il provvedimento giudiziario straniero non è trascrivibile per un triplice ordine di considerazioni.
21.1. – In primo luogo, perché nella non trascrivibilità si esprime la legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale.
Il riconoscimento ab initio, mediante trascrizione o delibazione del provvedimento straniero di accertamento della genitorialità, dello status filiationis del nato da surrogazione di maternità anche nei confronti del committente privo di legame biologico con il bambino, finirebbe in realtà per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante.
L’automatismo del riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore di intenzione sulla base del contratto di maternità surrogata e degli atti di autorità straniere che riconoscono la filiazione risultante dal contratto, non è funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, attuando semmai quello degli adulti che aspirano ad avere un figlio a tutti i costi.
L’interesse superiore del minore è uno dei valori in cui si sostanzia l’ordine pubblico internazionale.
Esso costituisce non soltanto il valore fondante di ogni disciplina che riguardi i minori, ma anche l’indice concreto ed effettivo al quale la tutela deve essere commisurata.
Il fatto che l’interesse del minore debba essere oggetto di valutazione prioritaria non significa, tuttavia, che lo Stato sia obbligato a riconoscere sempre e comunque uno status validamente acquisito all’estero.
21.2. – In secondo luogo, perché va escluso che il desiderio di genitorialità, attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita lasciata alla autodeterminazione degli interessati, possa legittimare un presunto diritto alla genitorialità comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo (Corte Cost., sentenza n. 79 del 2022).
Non v’é nel sistema normativo un paradigma genitoriale fondato unicamente sulla volontà degli adulti di essere genitori e destinato a concorrere liberamente con quello naturalistico.
È esatto che l’accertamento della filiazione prescinde, oggi, dalla rigida dicotomia, che in passato costituiva il fondamento del sistema, tra filiazione biologica, basata sulla discendenza ingenita, e filiazione adottiva, incentrata sulla affettività e sulla necessità per il minore di crescere in un ambiente familiare idoneo all’accoglienza.
L’ordinamento – è vero – già conosce e tutela rapporti di filiazione non originati dalla genetica, ma sorti sulla base della “scelta”, e quindi dell’assunzione di responsabilità, di dar vita a un progetto genitoriale comune.
La L. n. 40 del 2004 ha dato ingresso alla possibilità di costituire in via diretta lo stato di figlio a prescindere dalla trasmissione di geni anche al di fuori delle ipotesi di adozione.
La scelta di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita eterologa non consente ripensamenti rispetto alla creazione del rapporto di filiazione (artt. 8 e 9 della legge citata). Il consenso è integralmente sostitutivo della mancanza di discendenza genetica.
La disciplina del fenomeno procreativo ormai si compone di modelli fondati sul legame biologico realizzato attraverso il rapporto sessuale e modelli affidati all’intervento in via assistita di tecniche mediche, anche con il contributo genetico di un soggetto terzo rispetto alla coppia, la quale si assume la responsabilità dell’evento procreativo.
La genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita è legata anche al consenso prestato e alla responsabilità conseguentemente assunta.
Con la L. n. 40 del 2004, artt. 8 e 9 il legislatore ha inteso definire lo status di figlio del nato da procreazione medicalmente assistita anche eterologa, ancor prima che fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale del relativo divieto (sentenza n. 162 del 2014).
Nel fondare un progetto genitoriale comune, i soggetti maggiorenni che, all’interno di coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi, abbiano consensualmente fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita (L. n. 40 del 2004, art. 5), divengono, per ciò stesso, responsabili nei confronti dei nati, destinatari naturali dei doveri di cura, pur in assenza di un legame biologico.
Dalla disciplina della L. 40 del 2004, artt. 8 e 9 tuttavia, non possono trarsi argomenti per sostenere l’idoneità del consenso a fondare lo stato di figlio nato a seguito di surrogazione di maternità.
Lo spazio entro il quale il consenso risulta idoneo ad attribuire lo stato di figlio in difetto di legame genetico è circoscritto ad una specifica fattispecie – la fecondazione eterologa – ben diversa e ben distinta dalla surrogazione di maternità. In caso di maternità surrogata, la genitorialità giuridica non può fondarsi sulla volontà della coppia che ha voluto e organizzato la procreazione assistita, così come avviene per la fecondazione assistita.
21.3. – In terzo luogo, perché il riconoscimento della genitorialità non può essere affidato ad uno strumento di carattere automatico. L’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza: quella valutazione di concretezza che postula il riscontro del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale.
Una diversa soluzione porterebbe a fondare l’acquisto della genitorialità sulla sola scelta degli adulti, anziché su una relazione affettiva già di fatto instaurata e consolidata.
La Corte costituzionale ha indicato la strada, che non è quella della delibazione o della trascrizione dei provvedimenti stranieri, secondo un più o meno accentuato automatismo funzionale ad assecondare il mero desiderio di genitorialità degli adulti che ricorrono all’estero ad una pratica vietata nel nostro ordinamento>>.

Il §§ 22 spuea che la tuytela del minire avviene con l’adoione incasi particolari

Inoltre le SSUU spiegano che <<Va da sé che una valutazione negativa circa la sussistenza del requisito dell’interesse del minore non può fondarsi sull’orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner.
L’orientamento sessuale della coppia non incide sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale (Cass., Sez. I, 2 giugno 2016, n. 12962; Corte Cost., sentenza n. 230 del 2020).
La giurisprudenza ha in più occasioni chiaramente respinto la tesi che l’omosessualità sia una condizione in sé ostativa all’assunzione e allo svolgimento dei compiti genitoriali.>>

Infine inerssanti i §§ 7-8  di teoria civilistica sul concetto di clausola generale e sul  ruolo creativo/meramente applicativo della giurisdizione (data anche la preparazione del relatore, studioso del diritto civile):

<<Anche quando non si trova al cospetto di un enunciato normativo concepito come regola a fattispecie, ma è investito del compito di concretizzare la portata di una clausola generale come l’ordine pubblico internazionale, che rappresenta il canale attraverso cui l’ordinamento si confronta con la pluralità degli ordinamenti salvaguardando la propria coerenza interna, o di un principio, come il migliore interesse del minore, in cui si esprime un valore fondativo dell’ordinamento, il giudice non detta né introduce una nuova previsione normativa.

La valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l’assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore.

La giurisprudenza non è fonte del diritto.

Soprattutto in presenza di questioni, come quella oggetto del presente giudizio, controverse ed eticamente sensibili, che finiscono con l’investire il significato della genitorialità, al giudice è richiesto un atteggiamento di attenzione particolare nei confronti della complessità dell’esperienza e della connessione tra questa e il sistema.

Si tratta di temi, infatti, in rapporto ai quali lo stesso diritto di famiglia, nel mentre riflette, come uno specchio, lo stato dell’evoluzione delle relazioni familiari nel contesto sociale, tuttavia non può prescindere dal sistema, affidato anche alle cure del legislatore.

Ciò vale soprattutto in una vicenda, come l’attuale, nella quale si profila un ambito di discrezionalità del legislatore che la Corte costituzionale ha inteso preservare, indicando un percorso di collaborazione istituzionale nel quadro di un bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso alla maternità surrogata e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori.

Una pluralità di ragioni giustifica l’indicato approccio metodologico.

Il rispetto del pluralismo e dell’equilibrio tra i poteri, profilo centrale della democrazia, perché la ricerca dell’effettività deve seguire precise strade compatibili con il principio di leale collaborazione e con il dialogo istituzionale che la Corte costituzionale ha avviato con il legislatore.

La presa d’atto che talora la ricerca dell’effettività richiede un camminare in direzione di una meta non ancora completamente a portata di mano, perché la gradualità concorre a far assorbire il cambiamento e le novità nel sistema, con la giurisprudenza che accompagna ed asseconda l’evoluzione che si realizza nel costume e nella coscienza sociale.

La coerenza degli orientamenti giurisprudenziali, giacché le nuove frontiere dell’interpretazione che aspirino a offrire stabilità e certezza non conseguono a bruschi cambiamenti di rotta, ma sono il frutto di un progredire nel dialogo con i precedenti, con le altre Corti e con la cultura giuridica.

Non c’è spazio, in altri termini, né per una penetrazione diretta – attraverso la ricerca di un bilanciamento diverso da quello già operato dal Giudice delle leggi – di quell’ambito di discrezionalità legislativa che la Corte costituzionale ha inteso far salvo, né per una messa in discussione del punto di equilibrio da essa indicato.

  1. – La Corte costituzionale, rivolgendosi in prima battuta al legislatore, ha riconosciuto il ruolo primario del legislatore e della sua discrezionalità a fronte del ventaglio delle opzioni possibili.

Ciò nondimeno, al giudice compete pur sempre di valutare la situazione rimasta in attesa di una migliore disciplina per via legislativa.

La giurisprudenza, nell’interpretazione e nell’applicazione della legge, dà vita al testo normativo e dà contenuto alle clausole generali, elaborando la regola del caso concreto e poi reiterando la regola del caso nelle successive decisioni.

La riserva espressa della competenza del legislatore si riferisce, evidentemente, al piano della normazione primaria, al livello cioè delle fonti del diritto: come tale, essa non estromette il giudice comune, nel ruolo – costituzionalmente diverso da quello affidato al legislatore – di organo chiamato, non a produrre un quid novi sulla base di una libera scelta o a stabilire una disciplina di carattere generale, ma a individuare e dedurre la regola del caso singolo bisognoso di definizione dai testi normativi e dal sistema, nel quadro dell’equilibrio dei valori già indicato con chiarezza dalla Corte costituzionale.>>

Tutto molto bello e giusto: solo che ciò è diritto nuovo, non presente nella clausola generale. La attispecie sub iudice è nei fatti governata dal decisum del giudice, non dalla clausola stessa.

Il principio sul riconoscimento dello status , affermato dalle S.U., è ora riaffermato da Cass. Sez. I, ord. 3 gennaio 2024 n. 85 , rel. Tricomi.

Il diritto di visita dei nonni è subordinato al benessere del minore: la Cassazione sull’art. 317 bis c.c.

Chiarimenti sulla retta interpretazione dell’art. 317 bis cc “Rapporti con gli ascendenti” forniti da Cass, sez. 1 n° 2881 del 31.01.2023, rel. Pazzi.

<<L’interesse superiore del minore, perciò, deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori o degli altri familiari (cfr. Corte EDU, 9/2/2017, Solarino c. Italia).

6.3 E’ fuor di dubbio che ciascun minore ha un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed affettivo, con la linea articolata delle generazioni che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine.

Queste relazioni, d’ordinario, funzionano secondo linee armoniche e spontanee, perciò fruttuose per tutti gli attori in campo.

Ciò però non può far escludere che, in casi particolari, esse generino situazioni limite che esigono l’intervento giudiziale, quando non sia sufficiente il buon senso a far superare le frizioni fra gli adulti, allo scopo di assicurare il beneficio di una frequentazione fra ascendenti e nipoti di carattere biunivoco e capace di reciproco arricchimento spirituale ed affettivo.

6.4. L’intervento del giudice in questo ambito deve tenere conto del fatto che l’art. 317-bis c.c., nel riconoscere agli ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, non attribuisce allo stesso un carattere incondizionato, ma ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno o entrambi i genitori, a una valutazione del giudice avente di mira l'”esclusivo interesse del minore”, ovverosia la realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote (Cass. 15238/2018).

La Corte di merito, quindi, doveva preoccuparsi di verificare, in termini positivi, la possibilità di procedere a un simile coinvolgimento, costituente il presupposto indispensabile per un’utile cooperazione degli ascendenti all’adempimento degli obblighi educativi e formativi dei genitori.

Questo coinvolgimento, all’evidenza, ha una consistenza ben diversa dalla mera constatazione, compiuta nel caso di specie dalla Corte di merito, dell’insussistenza di “un reale pregiudizio nel passare del tempo con i nonni e lo zio paterni”, perché implica un accertamento non – in termini negativi – della mera mancanza di conseguenze pregiudizievoli in esito alla frequentazione, bensì – in termini positivi – della possibilità per gli ascendenti di prendere fruttuosamente parte attiva alla vita dei nipoti attraverso la costruzione di un rapporto relazionale ed affettivo e in maniera tale da favorire il sano ed equilibrato sviluppo della loro personalità>>.

In altri termini, <<non è il minore a dovere offrirsi per soddisfare il tornaconto dei suoi ascendenti a frequentarlo, ove non ne derivi un “reale pregiudizio”, ma è l’ascendente – il diritto del quale ex art. 317-bis c.c. vale nei confronti dei terzi, ma non dei nipoti, il cui interesse è destinato a prevalere – a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all’interesse del discendente>>.

Se si considera che tanto l’assunzione di responsabilità da parte dei genitori, prevista dall’art. 316 c.c., quanto il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significati con i discendenti, riconosciuto dall’art. 317-bis c.c., <<costituiscono situazioni giuridiche “serventi” focalizzate sul primario interesse del minore, sulla sua protezione e sull’esigenza che egli cresca con il sostegno di un adeguato ambiente familiare, capace anche di assicurare il vantaggio derivante da una relazione positiva con le relazioni precedenti, ben si comprende, allora, come in caso di conflittualità fra genitori e ascendenti non si tratti di assicurare tutela a potestà contrapposte individuando quale delle due debba prevalere sull’altra, ma di bilanciare, se e fin dove è possibile, le divergenti posizioni nella maniera più consona al primario interesse del minore, il cui sviluppo è normalmente assicurato dal sostegno e dalla cooperazione dell’intera comunità parentale.

Il compito del giudice, dunque, non è quello di individuare quale dei parenti debba imporsi sull’altro nella situazione di conflitto, ma di stabilire, rivolgendo la propria attenzione al superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici (o addirittura conflittuali) fra gli adulti facenti parte della comunità parentale si possano comporre e come ciò debba avvenire.

In una prospettiva avente di mira, costantemente, il superiore interesse del minore occorrerà, allora, verificare – in caso di non armonici rapporti fra genitori e ascendenti – se si possa in qualche modo attuare una cooperazione fra gli adulti partecipanti alla comunità parentale nella realizzazione del progetto educativo e formativo del bambino, determinare le concrete modalità di questa necessaria collaborazione, tenendo conto dei differenti ruoli educativi, e stabilire, di conseguenza, – per ciascuno dei minori coinvolti, anche procedendo al loro ascolto nei termini previsti dall’art. 315-bis c.c., comma 3, e rispetto a ognuno degli ascendenti aventi interesse a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni – i sistemi più proficui di frequentazione e le più opportune modalità di organizzazione degli incontri>>.

Assegno vitalizio ex art. 580 cc al figlio non riconoscibile per sua scelte di non far rimuovere giudizialmente lo status incompatibile attuale

Interessante precisazione sull’assegno vitalizio ex artt. 580-279 cc da Cass. sez. 1 del 26.10.2022 n° 31.672, rel. Parise:

Premessa generale:

<<Occorre premettere, ricostruendo in estrema sintesi il sistema specialmente come delineato con l’ultima riforma (I. n. 219/2012 e d. legisl. n. 154/2013), che, pur essendo il fatto procreativo e la successiva nascita del figlio i presupposti per il sorgere della responsabilità del genitore ex art. 316 e ss. c.c., questa viene in essere e produce effetti giuridici, compresi quelli di carattere patrimoniale, soltanto a seguito di accertamento dello status, che è requisito essenziale per la piena titolarità e l’esercizio di situazioni giuridiche soggettive derivanti dal rapporto filiale.    In altri termini, il fatto procreativo non determina automaticamente la costituzione del rapporto giuridico di filiazione e la relativa attribuzione con efficacia erga omnes dello status, occorrendo a tal fine, come ben evidenziato dalla dottrina richiamata anche dal controricorrente, o un atto di autoresponsabilità del genitore, o un provvedimento del giudice, o comunque – con riferimento alla filiazione matrimoniale – l’operare del sistema di presunzioni di cui agli artt. 231 ss. c.c..

In quest’ottica di sistema si innesta l’ulteriore rilievo che, in talune fattispecie legali, il fatto procreativo in sé può assumere una ben minore valenza, diversa sia per natura sia per conseguenze giuridiche, poiché può determinare solo il sorgere di una responsabilità patrimoniale limitata del genitore, senza che avvenga la costituzione dello status, come per l’appunto si verifica nelle ipotesi previste dalla legge, derogatorie ed eccezionali, di accertamento cd. indiretto della paternità, nel cui alveo si inquadra la fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c..

Ritiene, infatti, il Collegio di dover dare continuità a quanto affermato da questa Corte con le pronunce sopra citate, secondo cui la ratio della disposizione di cui trattasi è quella di assicurare, in via eccezionale e derogatoria, una tutela patrimoniale successoria sui generis, ossia un diritto di credito nei confronti dell’eredità del genitore biologico, senza attribuzione né della qualità di erede dello status di figlio, ai soggetti sprovvisti di un titolo di stato di filiazione nei confronti del de cuius.

Pertanto il fatto procreativo, come puro fatto materiale, nei casi di accertamento cd. indiretto di paternità connotati dalla “non riconoscibilità” del figlio, determina solo il sorgere di un rapporto obbligatorio ex lege a limitati fini patrimoniali.

Le ipotesi a cui la tutela è certamente riferibile sono quelle in cui il figlio si trova dinanzi ad un ostacolo alla rimozione dello stato di “figlio altrui” non dipendente dalla propria volontà (figli non riconoscibili perché nati da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salva l’autorizzazione del giudice – art. 250, comma 5, c.c.; figlio infraquattrodicenne non riconoscibile per mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l’autorizzazione del Tribunale – art. 250, commi 3 e 4, come modificato dall’arti, comma 2, lett. d) I.n. 219/2012; figlio privo di assistenza morale e materiale, per il quale siano intervenuti la dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo – art. 11, ultimo comma, I.n. 184/1983- per essere in tale ipotesi il riconoscimento divenuto inefficace).>> [si noti l’elenco di casi di non riconoscibilità].

Ritiene il Collegio che <<nel novero della categoria dei figli “non riconoscibili” propria della fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c., il cui testo è rimasto sostanzialmente immutato dopo l’ultima riforma, che, dunque, né lo ha abrogato, né ne ha specificato l’ambito soggettivo di applicazione, debbano comprendersi anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, e ciò in linea di continuità evolutiva rispetto a quanto statuito dalla citata Cass. 6365/2004, che ha attribuito rilevanza anche all’impossibilità sopravvenuta, ossia derivante dall’omessa proposizione dell’azione di disconoscimento di paternità entro il termine di decadenza in allora vigente per il figlio, ai fini del riconoscimento ex art. 279 c.c.>>.

<<Nel caso in esame ritiene il Collegio che possano mutuarsi gli stessi principi, con gli opportuni adattamenti. Nello specifico, una volta affermato che il favor veritatis non ha valenza costituzionale., nonché ribadito che è salvaguardato il principio dell’unicità dello stato di filiazione poiché uno solo resta il titolo di stato, subordinare il riconoscimento dei diritti patrimoniali successori del figlio biologico alla rimozione dello status preesistente significherebbe violare il suo diritto all’identità familiare, declinato ex art. 30 Cost. e anche ex art. 8 Cedu, che tutela il diritto alla stabilità dell’identità familiare del figlio in tutti casi in cui, sul piano fattuale e sostanziale, si sia instaurato, per un periodo apprezzabile, un rapporto corrispondente alla genitorialità (cfr. parere consultivo del 10 aprile 2019 Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo).>>

<<. Da quest’impostazione evolutiva, in linea anche con l’art. 2 Cost. oltre che con l’ordinamento sovranazionale, discende che non può negarsi al figlio, pena la violazione delle citate norme, la possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., non subordinata alla previa rimozione dello status di figlio altrui, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione biologica. Come rimarcato dalla dottrina richiamata anche dal controricorrente, solo attribuendo la suddetta scelta al figlio gli si consente di operare un bilanciamento dipendente da sue valutazioni soggettive e personali correlate a più diritti meritevoli di tutela, ossia solo in tal modo gli si può consentire di decidere di preservare lo status e l’identità familiare con il genitore sociale, in forza di un legame affettivo verosimilmente consolidatosi in maniera continuativa per anni, senza dovere, al contempo, rinunciare ad ottenere quanto dovuto dal genitore biologico per i limitati diritti patrimoniali successori previsti dalla legge.>>

Principio di diritto ex art. 384 c.p.c.: “Il diritto all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c., che sorge “ex lege” per responsabilità patrimoniale del genitore biologico avente fonte nel fatto procreativo, spetta anche al figlio che abbia già il diverso “status” di figlio altrui e nel novero dei figli “non riconoscibili” devono comprendersi anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, non potendo negarsi al figlio, pena la violazione degli artt. 2 e 30 Cost. e 8CEDU, la possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., conservando la stabilità della sua identità familiare precedente, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione biologica”.

Assegno di mantenimento del figlio una volta divenuto (abbondantemente) maggiorenne

Cass. sez. 1 n° 358 del 10.02.2023, rel. Casadonte, sulloggetto (figlia quarantenne: § 9).

Domanda basata sull’art. 337 quinquies cc (dopo la statuzione iniziale contenuta nellla sentenza che -a conclusione di precedente giudizio- riconosceva lo status di figlio naturale e dava i comandi conseguenti).

Circostanze addotte dal padre ricorrente:

<<A sostegno della domanda, il sig. Martella ha esposto di aver
corrisposto ingenti quantità di denaro a favore della figlia, la quale
era tuttavia rimasta inerte nel reperire un’attività lavorativa,
avendo impiegato le risorse ricevute dal padre per acquistare un
immobile in una località balneare. Il medesimo ha inoltre lamentato
una drastica contrazione delle proprie consistenze conseguente alla
sua attuale condizione di pensionato, alla dismissione delle attività
imprenditoriali in precedenza intraprese, all’utilizzazione del
ricavato derivante dalla vendita di immobili di sua proprietà per
affrontare le spese del proprio sostentamento. Inoltre, ha allegato
il sopravvenuto obbligo di versare una tantum la somma di euro
100.000,00 in favore della moglie, in ragione dell’intervenuta
separazione consensuale tra i due avvenuta nel 2017>>.

Per il Tribunale adito si trattava di circostanze già vagliate.

Ma il ricorrente replica che, se viste in luce (cronologicamente) dinamica (cioè nella loro proieizonie temporale), erano sopravvenute.

La SC gli dà ragione:

<<Le doglianze del ricorrente, segnatamente quelle contenute
nel primo motivo di ricorso, colgono nel segno, giacché in base al
consolidato insegnamento giurisprudenziale, puntualmente
richiamato nel ricorso, ai fini del riconoscimento dell’obbligo di
mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti
economicamente, ovvero del diritto all’assegnazione della casa
coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente
apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore
proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le
circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o
l’assegnazione dell’immobile, fermo restando che tale obbligo non
può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura,
poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di
un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto
delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le
condizioni economiche dei genitori) aspirazioni” (cfr. Cass., n.
17183/2020)>>