Differenze tra credito alimentare e assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente

Cass. sez. I, ord.  10/02/2025, n. 3.329 rel. Reggiani:

<<3.3. In effetti, l’obbligo di mantenimento dei figli, posto a carico dei genitori, si differenzia dall’obbligo alimentare vero e proprio, per le diverse finalità ed anche per il suo contenuto, pur potendo le due provvidenze in parte coincidere (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2710 del 29/01/2024).
In particolare, l’obbligo di mantenimento si configura all’interno della famiglia nucleare, mentre l’obbligo alimentare riguarda anche rapporti parentali più estesi e, in determinati casi, si pone anche al di fuori di essi (v. l’obbligo del donatario ai sensi dell’art. 437 c.c.).
Inoltre, l’assegno di mantenimento può comprendere anche la quota alimentare, ma ha un contenuto diverso, normalmente più ampio, e, diversamente dagli alimenti, non presuppone lo stato di bisogno.
In altre parole, l’assegno alimentare costituisce un minus rispetto all’assegno di mantenimento, richiedendo una condizione di bisogno del beneficiario, e il suo contenuto è determinato in base a quanto è necessario per la vita dell’alimentando (avuto riguardo alla sua posizione sociale).
L’assegno di mantenimento del figlio, invece, che deriva direttamente dal rapporto di filiazione, come previsto dall’art. 30 Cost., deve far fronte a una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, essendo estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento corrispondente al tenore di vita economico e sociale goduto dalla famiglia quando era unita (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 19625 dell’11/07/2023).
Il diritto del figlio al mantenimento, al pari degli altri diritti che compongono lo status di figlio, ha un fondamento solidaristico ed è finalizzato a soddisfare interessi anche di carattere non patrimoniale, pur determinando il sorgere di prestazioni dal contenuto economico.
Il contenuto del mantenimento, allora, deve essere definito in ragione della sua funzione, che non si esaurisce nell’apporto economico necessario per il soddisfacimento dei bisogni necessari a vivere, ma include ogni apporto finalizzato ad una crescita e formazione adatta alla sua personalità e alle sue inclinazioni.
L’elasticità e la flessibilità che caratterizza il rapporto intersoggettivo tra genitori e figlio determina una variazione nel tempo del contenuto del dovere di mantenimento, correlata alle mutevoli esigenze e all’età del figlio, la cui crescita comporta, di regola, un incremento delle necessità di spesa per i suoi bisogni e una progressiva riduzione degli impegni legati all’accudimento materiale dello stesso, fino a quando, con la maggiore età, il compito dei genitori diventa essenzialmente un supporto al percorso del figlio verso l’indipendenza anche economica.
D’altronde, una volta raggiunta tale indipendenza, cessa l’obbligo di mantenimento ed esso non è nuovamente esigibile se il figlio perde le sue fonti di reddito, poiché i genitori hanno adempiuto al loro dovere di condurlo verso l’autosufficienza, fermo restando che il figlio, se si trova in stato di bisogno, può sempre chiedere che vengano corrisposti gli alimenti (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12477 del 07/07/2004; v. anche la particolare fattispecie esaminata da Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12123 del 06/05/2024).    (….)

3.6. Per quanto riguarda il contributo al mantenimento dei figli, invece, sia esso destinato ai figli minori di età o ai figli maggiorenni (ma non ancora autosufficienti economicamente), occorre guardare al disposto dell’art. 337 ter, comma 4, c.c. (così da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2536 del 26/01/2024; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4145 del 10/02/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2020 del 28/01/2021; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 19299 del 16/09/2020).
La menzionata disposizione normativa, per la parte di interesse, prevede che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore…”
In tale quadro, si inserisce la disciplina specifica del mantenimento dei figli maggiorenni, contenuta nell’art. 337 septies c.c., ove è previsto che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico.”
La stessa norma stabilisce, poi, che “Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto” (nel rispetto del principio della domanda, come più volte precisato da questa Corte v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 34100 del 12/11/2021).
La giurisprudenza di legittimità, a seguito di un elaborato percorso interpretativo, è arrivata a specificare le “circostanze” da valutare ai fini della decisione sulla spettanza dell’assegno in questione, date, in sintesi, dalla incolpevole non indipendenza economica del figlio maggiorenne, da provarsi a cura di colui che richiede l’assegno con prova sempre più rigorosa con l’aumentare dell’età del figlio stesso (v. in particolare Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26875 del 20/09/2023; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12123 del 06/05/2024)..
Come sopra evidenziato, la determinazione nel quantum del contributo al mantenimento, per il figlio maggiorenne, così come avviene per il figlio minore di età, è regolata dall’art. 337 ter, comma 4, c.c., con la sola differenza che, in base al disposto dell’art. 337 septies c.c., il figlio può chiedere che l’assegno venga corrisposto direttamente a lui stesso.
Non è, dunque, previsto che il genitore obbligato al mantenimento possa scegliere unilateralmente di adempiere all’obbligo mediante accoglimento in casa del figlio da parte di uno gei genitori.
Il legislatore, per il mantenimento di figli, investe il giudice della verifica della sussistenza o meno dei presupposti per l’attribuzione di un assegno e, in presenza degli stessi, stabilisce che lo stesso giudice preveda l’erogazione di un assegno periodico, in base ai criteri sopra ricordati, ove l’accoglimento o meno del figlio in casa, con contribuzione diretta al suo mantenimento, non è una modalità alternativa di adempimento dell’obbligo di mantenimento, costituendo, semmai, un elemento da valutare ai fini della quantificazione dell’assegno ai sensi dell’art. 337 ter, comma 4, c.c.
3.7. Non vi è, pertanto, ragione per estendere all’adempimento dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non indipendente economicamente, la disciplina prevista per la somministrazione degli alimenti, tenuto conto che l’obbligo di mantenimento dei figli, che ha diverse finalità e un diverso contenuto, reca una specifica disciplina, ove il giudice è chiamato a determinare la spettanza e l’entità del contributo economico spettante al figlio anche maggiorenne ma non economicamente autosufficiente>>.

L’accordo tra ex conviventi, determinativo del dovere di mantenimento del figlio, costituisce contratto sinallgmatico e come tale suscettibile di risoluzione per inadempimento?

Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 10/10/2024) 20/01/2025, n. 1.324, rel. Ioffrida, su una clausola di un accordo transattivo-deterinativo con questo contenuto: <<clausola n. 5 di una scrittura privata sottoscritta da tali parti in data 21.11.2018, “a transazione”, per definire gli aspetti relativi all’esercizio della responsabilità sul figlio minore (nato, nel 2007, dalla relazione sentimentale con convivenza more uxorio tra i due, terminata nel 2011) e quelli patrimoniali, clausola con la quale la A.A. si era impegnata “in qualità di proprietaria esclusiva dell’abitazione sita in M alla via (Omissis),… a vendere il predetto immobile ed a riconoscere al sig. B.B. sul prezzo della vendita un ricavato pari alla somma complessiva di Euro 380.000,00 (euro trecentottantamila/00)”, riconoscimento di debito, sul prezzo di vendita di immobile di proprietà della A.A., “finalizzato all’equiparazione delle elargizioni e dei beni conferiti dal sig. B.B. alla prima famiglia ed al primo figlio… con quelle riconosciute e da riconoscersi alla seconda famiglia ed al secondo figlio” >>.

Prima parte largamente accettata:

<<Questa Corte ha affermato che le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso È stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c. (Cass. S.U. 21761/2021). Ed, inoltre, si è chiarito che l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto neppure al giudice per l’omologazione (Cass. 24621/2015) e questa Corte ha stabilito che la soluzione dei contrasti interpretativi, tra una pattuizione “a latere” ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetta al Giudice di merito ordinario, il quale dovrà fare ricorso ai criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. in tema di interpretazione dei contratti.

Cio’ in relazione alla natura di contratti estranei all’oggetto del giudizio di divorzio (status, assegno di mantenimento per il coniuge o per i figli, casa coniugale) – seppure aventi causa nella crisi coniugale -, il che ne evidenzia la natura di contratti, impugnabili secondo le regole ordinarie>>.

Nella specie, si verte in ipotesi di accordo stipulato tra ex conviventi di fatto, al momento della cessazione della convivenza, al fine di disciplinare sia profili relativi al mantenimento della prole sia questioni patrimoniali insorte nella coppia.

Al riguardo, è stato affermato che “In tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cu all’art.337 ter comma 4 c.c., anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell’autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l’adempimento di un obbligo “ex lege”, l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all’interesse morale e materiale della prole” (Cass. 663/2022).

Orbene, riconosciuto dalla stessa Corte d’Appello che rientrasse nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali, estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti, occorreva vagliare con attenzione il contenuto complessivo delle pattuizioni e della clausola n. 5 in particolare dell’accordo inter partes del 2018, in base ai criteri di legge in ambito di interpretazione del contratto.

Risponde, peraltro, ad un orientamento altrettanto consolidato il principio per cui, in sede di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate (Cass. n. 7927 del 2017).

Si è, tuttavia, precisato al riguardo che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale. Il giudice, infatti, non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto (Cass. n. 7927 del 2017, in motivazione; Cass. 23701 del 2016, in motivazione). Il giudice, quindi, deve raffrontare e coordinare tra loro le varie espressioni che figurano nella dichiarazione negoziale, riconducendole ad armonica unità e concordanza (Cass. n. 2267 del 2018; Cass. n. 8876 del 2006)>>.

Si v. pure Cass. Sez. I, ord. 28 gennaio 2024 n. 1985 rel . Tricomi, che la richiama aggiungendo: “L’interpretazione del contratto è rimessa al giudice di merito; in sede di legittimità questa interpretazione è sindacabile solo nei limiti dell’applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale e della logica della sua motivazione (Cass. n. 435/1997). Nell’interpretazione del contratto, funzione fondamentale assume l’elemento letterale. Nel contempo, il senso letterale della singola parola, anche nella sua chiarezza, è insufficiente (come l’art. 1362 primo comma cod. civ. presuppone) a delineare la comune intenzione delle parti (obiettivo dell’interpretazione), la quale emerge solo (come l’incondizionata, affermazione dell’art. 1363 cod. civ. esige) attraverso la connessione degli elementi letterali (“le une per mezzo delle altre”), la relativa integrazione (“il senso che risulta dal complesso dell’atto”), e la valutazione del complessivo comportamento delle parti (art. 1362 secondo comma cod. civ.) (Cass. n. 34687/2023; Cass. n. 6233/2004): passaggi necessari del procedimento interpretativo, di funzione non subordinata, bensì concorrente (Cass. n. 6389/1998).

Questa progressiva dilatazione degli elementi dell’interpretazione contrattuale si sviluppa man mano dalle singole parole alla clausola, alla connessione delle clausole, al complesso dell’atto, ed al comportamento complessivo delle parti (Cass. n. 5960/1999; Cass. n. 8574/1999), il quale non costituisce un canone sussidiario, bensì un parametro necessario ed indefettibile (“si deve valutare”: art. 1362 secondo comma cod. civ.). In tal modo, le disposizioni degli artt. 1362 primo comma, 1363 e 1362, secondo comma, cod. civ. sono fondate sulla stessa logica, che, esprimendo l’intrinseca insufficienza della singola parola (e del suo formale significato: come, in diverso campo ed in diversa misura, segnala l’art. 12 primo comma delle preleggi), prescrive la più ampia dilatazione degli elementi di interpretazione: le singole espressioni letterali devono essere inquadrate nella clausola, questa nelle altre clausole, queste nel complesso dell’atto, e l’atto nel complessivo comportamento delle parti.

Ciò comporta che la censura in sede di legittimità dell’interpretazione di una clausola contrattuale offerta dal giudice di merito imponga al ricorrente l’onere di fornire, con formale autosufficienza, gli elementi alla complessiva unitarietà del testo e del comportamento non adeguatamente considerati dal giudice di merito, nella loro materiale consistenza e nella loro processuale rilevanza (Cass. n. 34687/2023)“.

Seconda aprte più interessante, affrontanto una questione non banale: l’accordo determinativo dell’assegno (come di qualunque obbligo da quantificare) è forse privo di sinallagmaticità, con conseguente inapplicabilità della disciplina generale risolutoria?

<<La sentenza impugnata, invece, laddove ha ritenuto la clausola n. 5, in relazione al contenuto dell’accordo complessivo, nella parte relativa ad una obbligazione ex lege, quale il mantenimento della prole che ricade su ciascun genitore, non avesse natura contrattuale, con conseguente inapplicabilità dei rimedi dell’eccezione di inadempimento e della risoluzione per inadempimento, in mancanza di sinallagmaticità tra gli obblighi previsti delle parti, non ha provveduto a ricostruire la volontà delle parti, per come fatta palese dal ricorso ai criteri di interpretazione teleologica e sistematica, oltre che letterale del testo al suo esame, omettendo, in particolare, di vagliare il tenore letterale della clausola n. 5, nella sua parte finale, laddove afferma che “il riconoscimento dell’importo di Euro 380.000,00 al sig. B.B. è finalizzato alla equiparazione delle elargizioni e dei beni conferiti dal sig. B.B. alla prima famiglia ed al primo figlio, al quale è stato intestato l’appartamento di via (Omissis), con quelle riconosciute e da riconoscersi alla seconda famiglia ed al secondo figlio ed alla ulteriore ed eventuale prole che dovesse sopravvenire”.

Del pari si è trascurato di vagliare l’autonomia dell’impegno di cui al punto 5 della scrittura, rispetto agli altri assunti negli art. da 2 a 4, quale poteva emergere dalla stessa lettera della scrittura dalle parti sottoscritta che, al punto 6, impegnava le parti a depositare un ricorso congiunto ex art. 316 e 337 bis ss. c.c., “aventi le medesime condizioni della presente scrittura (ad eccezione dei punto 5 e 6) entro un mese dalla sottoscrizione della presente scrittura privata” (doc. 5, p. 8).

Orbene, la clausola 5 (relativa ai 380.000 Euro che la A.A. si impegnava a versare all’ex convivente) deve essere letta nel suo insieme e già dal significato letterale emerge la condizionalità con l’assolvimento degli obblighi di mantenimento, laddove inadempiuti. Invero, si dice espressamente che si equiparano i diritti della “prima famiglia” e della “seconda” dello B.B.

Si È così ritenuto che una delle parti, nell’ambito di un accordo con l’ex convivente sul mantenimento del figlio (questo lo scopo) e sulla sostanziale sistemazione dei profili patrimoniali (ma sempre in funzione del figlio), abbia riconosciuto un debito, del tutto disancorato dall’assunzione dell’obbligo ex lege, nonostante sia spiegata, nell’atto complessivo, la causa concreta del riconoscimento, la equiparazione dei diritti dei figli delle due famiglie dello B.B.

Si deve ribadire che l’accordo va letto nel suo insieme, non potendo il nesso condizionale tra la prima parte e la seconda essere scisso.

Risultano pertanto essere stati violati i canoni legali ermeneutici, in primis quello letterale della singola clausola (art.5) che va letta nell’insieme dell’accordo e con la prima parte dello stesso atto.

La conseguente conclusione circa la non possibilità di una risoluzione per inadempimento risulta dunque falsata ed erronea>>.

Questioni interessanti ma difficili.

E’ vero che l’accordo pareva essere non solo determinativo ma con un plus di contenuto (l’impegno a parificare i due figliavuti  da donne diverse). Ma questo basta a farlo ritenere sinallagmatico anche per la componente determinativa dell’obbligo di ex lege?

E comunque resta la questione a monte: la sola componente determinativa, cioè prescindendo dal resto, è di per sè risolubile per inadepimento ?

Il genitore è legittimato a richiedere l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente

Cass. sez. I, ord. 22/11/2024  n.30.179, rel Pazzi:

<<La legittimazione iure proprio del genitore a richiedere l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente, che non abbia formulato autonoma richiesta giudiziale, sussiste quand’anche costui si allontani per motivi di studio dalla casa genitoriale, qualora detto luogo rimanga in concreto un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e sempre che il genitore anzidetto sia quello che, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio>>.

(massima da De Jure)

Sempre sul mantenimento del figlio maggiorenne ma economicamente non autosufficiente

Cass. sez. I, ord. 28/10/2024 n. 27.818, rel. Tricomi:

<<4.1.- In materia di mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l’esclusione del relativo diritto, oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone alla domanda, sono integrati: dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass. n. 38366 /2021). Inoltre, ove il figlio dei genitori separati abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, adeguata alle sue competenze, non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso (Cass. n.29264/2022; Cass. n. 12123/2024)>>.

Due osservazioni:

1) si noti l’onere della prova, erroneamente posto sul genitore;

2) l’assenza di diritto all’assegno, se il figlio è ampiamente (quanto?) maggiorenne: insegnamento diffuso, ma privo di base testuale e con base logico giuridica alquanto incerta, qualora egli abbia attuato seri sforzi per “emanciparsi”.

Determinazione dell’assegno di mantenimento (verso coniuge e figli) da separazione personale

Cass. sez. I, ord. 18/09/2024  n. 25.055, rel. Tricomi:

<<4.2. – L’art. 156, primo comma 1, c.c., stabilisce che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”. Per quanto riguarda i figli, l’art. 155 c.c. richiama l’art. 337-ter c.c. (applicabile anche ai figli maggiorenni ancora non indipendenti economicamente), il quale prevede che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (così, tra le tante, Cass. n. 9915-2007). Anche l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, o maggiori d’età ma non autosufficienti economicamente, deve essere determinato considerando le esigenze del beneficiario in rapporto al tenore di vita goduto durante la convivenza dei genitori, tenendo conto di tutte le risorse a disposizione della famiglia, non potendo i figli di genitori separati essere discriminati rispetto a quelli i cui genitori continuano a vivere insieme (cfr. già Cass. n. 9915-2007 e, di recente, Cass. n. 16739-2020). È per questo che l’art. 706 c.p.c., nel disciplinare i procedimenti in materia di separazione personale dei coniugi, in deroga alla disciplina ordinaria dell’onere della prova, lasciata di regola alla libera iniziativa delle parti interessate, stabilisce che “Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate”.

Dall’esame delle norme sopra richiamate si evince con chiarezza che ciò che rileva, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, e dei figli è l’accertamento del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato (Cass. n. 9915-2007), a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l’ordinamento prevede, anzi, strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l’emersione ai fini della decisione, quali le indagini di polizia tributaria (Cass. n.22616-2022) e l’espletamento di una consulenza tecnica.

Inoltre, va rammentato che in tema di separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (Cass. n. 32871-2018; Cass. n.34728-2023) e che il diritto all’assegno di mantenimento, in caso di crisi familiare, viene meno ove, durante lo stato di separazione, il coniuge avente diritto instauri un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduca in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, con onere della prova a carico del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno; ne consegue che la stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, se le risorse economiche sono state messe in comune, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all’assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa (Cass. n.34728-2023)>>.

Ancora sull’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne

Cass. Sez. I, ord. 16 settembre 2024 n. 24.731, rel. Pazzi:

<<Deve essere provato dal richiedente il suo impegno rivolto al reperimento di un’occupazione nel mercato del lavoro e la concreta assenza di personale responsabilità nel ritardo a conseguirla .
La dimostrazione del diritto all’assegno di mantenimento sarà più gravosa man mano che l’età del figlio aumenti, sino a configurare il c.d. “figlio adulto”, rispetto al quale, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, si valuterà, caso per caso, se possa ancora pretendere di essere mantenuto, anche con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate e all’impegno realmente profuso nella ricerca, prima, di una idonea qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa>>.

(massima di Cianciolo Valeria di ONDIF)

Assegno di mantenimento di figlio maggiorenne

Cass. sez. I, ord. 11/09/2024 n. 24.391, rel. Reggiani:

<<2.1. Non senza qualche iniziale discordanza, questa Corte si è consolidata nel ritenere che, in tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro. Di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegue nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento. Viceversa, per il “figlio adulto” in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26875 del 20/09/2023).

In tale ottica, i presupposti su cui si fonda l’esclusione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne ma non autosufficiente economicamente, oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone alla domanda di revoca, sono integrati dall’età del figlio – destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento -e dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio, oltre che dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 38366 del 03/12/2021).

2.2. Ovviamente, tale accertamento deve essere effettuato non in astratto e in modo standardizzato, ma tenendo conto delle circostanze del caso concreto.

Il disposto dell’art. 337 ter, comma 4, c.c., si applica, infatti anche al mantenimento del figlio maggiorenne (“…salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli.”) e, nella parte in cui enuncia il principio di proporzionalità, ai fini della determinazione dell’assegno periodico, pone quale primo criterio, esterno alle condizioni reddituali e patrimoniali dei genitori, “le attuali esigenze del figlio”.

Ai sensi dell’art. 337 septies c.c., poi, il giudice, “valutate le circostanze”, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico.

Tali “circostanze” impongono di valutare in concreto e nell’attualità della situazione dei figli maggiorenni non economicamente autosufficiente, alla luce del principio di autoresponsabilità sopra indicato, ove l’età e il percorso formativo del figlio (che sia terminato o in corso di esecuzione) assumono rilievo fondamentale, ma non asettico, dovendosi, infatti sempre tenere conto della loro situazione personale e familiare, della loro personalità, delle comprovate attitudini e aspirazioni – proprio alla luce delle loro attuali esigenze, ai sensi dell’art. 337 ter, comma 4, c.c. – che hanno la massima rilevanza quando si tratta di giovani che hanno da poco raggiunto la maggiore età e vanno via via lasciando il posto al principio di autoresponsabilità con il passare del tempo.

Nel valutare tali circostanze, assumono rilievo tutti gli elementi di prova suscettibili di essere impiegati, comprese le presunzioni, che dimostrino la situazione concreta ed attuale dei figli (e dei genitori) al momento della decisione>>.

Nel caso de quo:

<<2.3. Nel caso di specie, la Corte di appello non risulta avere operato una siffatta valutazione in concreto e nell’attualità, poiché non ha tenuto conto che si è trattato di giovani ragazze che, al momento in cui è stato instaurato il giudizio di merito, avevano da poco raggiunto la maggiore età ed avevano comunque deciso di impegnarsi negli studi, né ha tenuto conto della loro effettiva e attuale loro situazione personale ed economica.

Con riferimento ad Wa.An., ferma l’obiettiva mancanza di indipendenza economica per il mancato svolgimento di attività lavorativa, la Corte d’Appello ha dato rilievo al fatto che al momento della decisione del Tribunale, la ragazza avesse svolto un solo esame peraltro, poco importante, e avesse cambiato Università, ma non ha esaminato quanto offerto alla decisione in sede di reclamo dalla ricorrente, in ordine agli esami poi sostenuti dalla giovane una volta effettuato il cambiamento.

Anche con riguardo alla percezione di reddito da attività lavorativa da parte della figlia più piccola, Wa.Le., che pure aveva avuto difficoltà nel proseguire regolarmente gli studi, la Corte si è fermata a stigmatizzare la lentezza con cui la giovane ha seguito il percorso formativo (verosimilmente quando era ancora minorenne), aggiungendo, poi, che la stessa aveva cominciato a svolgere attività lavorativa, senza valutare tale attività in rapporto alla sua formazione e alla possibilità o meno di considerare, per ciò solo, la ragazze autosufficiente>>.

Assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne non indipendente economicamente ed onere della prova

Cass. sez. I, ord. 06/05/2024  n. 12.123, rel. Tricomi:

<<Va ricordato che il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso (Cass. n.29264/2022) e che, in materia di mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l’esclusione del relativo diritto, oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone alla domanda di esclusione, sono integrati: dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass. n. 38366 /2021); inoltre, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento – che è a carico del richiedente il mantenimento – vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro, richiede una prova particolarmente rigorosa per il caso del “figlio adulto” in ragione del principio dell’autoresponsabilità delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass. n. 26875/2023), se del caso anche ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (Cass. n. 17183/2020; Cass. n.27904/2021).

La Corte di merito ha riservato valenza decisiva alla declaratoria di inammissibilità delle testimonianze prodotte dalla Fo.Ro., trascurando di considerare la retta applicazione dei principi in tema di onere probatorio, prima ricordati, gravanti su colui che richiede l’assegno, ovvero, a secondo della prospettiva dell’azione, su colui che si oppone alla revoca, a cui la ricorrente odierna si era richiamata; inoltre, non risulta l’esame della documentazione prodotta dalla ricorrente e la statuizione risulta decontestualizzata dalla concreta ed attuale situazione personale della figlia, che non appare esplicitata in alcun modo>>.

Non chiara la regola posta sul riparto dell’onere probatorio. Parrebbe che incombesse al genitore quando è lui a chiedere la revoca dell’assegno ed invece al figlio quando è lui a chiederne la disposizione.

Se la carica di amministratore del figlio in una società del padre è simulata, non se ne tiene conto in sede di determinazione dell’assegno di mantenimento

Cass. sez. I, Ord.  11/04/2024, n. 9.779, rel. Russo:

<<La Corte d’appello ripercorrendo la storia imprenditoriale del soggetto e degli affari da lui conclusi ha, in questo contesto, ritenuto che le società e le relative posizioni lavorative siano solo nominalmente riconducibili ai figli, valutando non solo la loro giovane età e la condizione di studente di uno di essi, nonché la attuale permanenza in casa con la madre, ma anche la circostanza che alcuni altri elementi indicavano che erano società riconducibili al padre, il quale peraltro aveva necessità di regolare le sue partite con i creditori; ha rilevato altresì che le stesse allegazioni sul punto fossero in parte contraddittorie.

Da tutti questi fatti noti ha tratto – facendo uso delle presunzioni – la conclusione che i figli non ricavino reddito dalle società; si tratta di una valutazione di merito non censurabile in questa sede, in conformità ai principi già sopra espressi>>.

Peccato non sia entrata nel merito, ritenendolo incensurabile in sede di legittimità

Concorso dei genitori nel mentenimento del figlio

Cass.  Sez. I, Ord. 17/04/2024 n. 10.359, rel. Reggiani, sugli artt. 337 ter c. 4 e 316 bis c.1 cc (dal tenore non identico, l’uno riferendosi al reddito e l’altro anche al patrimonio):

<<2.1. Com’è noto, ai fini della determinazione della misura del contributo al mantenimento, sia esso destinato ai figli minori di età o ai figli maggiorenni ma non ancora dipendenti economicamente, deve guardarsi al disposto dell’art. 337 ter, comma 4, c.c. che, introdotto dall’art. 55 D.Lgs. n. 154 del 2013, riproduce quanto già stabilito all’art. 155, comma 4, c.c. a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1 l. n. 54 del 2006 (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2020 del 28/01/2021 e Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 19299 del 16/09/2020).

La norma prevede, in particolare, che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.”

Si deve, a questo proposito, considerare che l’obbligo di mantenimento dei figli ha due dimensioni.

Da una parte vi è il rapporto tra genitori e figlio e da un’altra vi è il rapporto tra genitori obbligati.

Il principio di uguaglianza che accumuna i figli di genitori coniugati ai figli di genitori separati o divorziati, come pure a quelli nati da persone non unite in matrimonio (che continuano a vivere insieme o che hanno cessato la convivenza), impone di considerare che tutti i figli hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni (art. 315 bis, comma 1, c.c.).

È per questo che l’art. 337 ter c.c., nel disciplinare la misura del contributo al mantenimento del figlio, nel corso dei giudizi disciplinati dall’art. 337 bis c.c., pone subito, come parametri da tenere in considerazione, le attuali esigenze dei figli e il tenore di vita goduto da questi ultimi durante la convivenza con entrambi i genitori (art. 337 ter, comma 4, nn. 1 e 2, c.c.). I diritti dei figli di genitori che non vivono insieme, infatti, non possono essere diversi da quelli dei figli di genitori ancora conviventi, né i genitori possono imporre delle privazioni ai figli per il solo fatto che abbiano deciso di non vivere insieme.

Nei rapporti interni tra genitori vige, poi, il principio di proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno.

In generale, l’art. 316 bis, comma 1, c.c. prevede che i genitori (anche quelli non sposati) devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Lo stesso criterio di proporzionalità deve essere seguito dal giudice, quando, finita la comunione di vita tra i genitori (siano essi sposati oppure no) è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi, dovendo considerare le risorse economiche di ciascuno (art. 337 ter, comma 4, n. 4, c.c.), valutando anche i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (art. 337 ter, comma 4, nn. 3 e 5, c.c.), quali modalità di adempimento in via diretta dell’obbligo di mantenimento che, pertanto, incidono sulla necessità e sull’entità del contributo al mantenimento in termini monetari.

2.2. Non è sottratta a tale criterio la statuizione relativa alle spese straordinarie, previste in modo distinto rispetto al contributo periodico forfettario.

Come pure affermato dal questa Corte, infatti, in tema di riparto delle spese straordinarie per i figli, il concorso dei genitori, separati o divorziati, o della cui responsabilità si discuta in procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, non deve essere necessariamente fissato in misura pari alla metà per ciascuno, secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale, ma in misura proporzionale al reddito di ognuno di essi, tenendo conto delle risorse di entrambi e della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 35710 del 19/11/2021).

2.3. Nel caso di specie, dunque, come censurato nel primo motivo di ricorso, la Corte d’appello risulta avere violato il principio appena enunciato, tenuto conto che, a fronte di una specifica domanda di diversificazione della misura del contributo di ciascun genitore nelle spese straordinarie relative al figlio, dopo aver dato atto delle maggiori consistenze patrimoniali e reddituali del padre del bambino, oltre che del fatto che lo stesso vive stabilmente a Mosca con la madre, lontano dal padre che risiede in Italia, non abbia poi considerato tali aspetti ai fini della individuazione delle quote per la contribuzione alle spese straordinarie come pure imposto dall’art. 337 ter, comma 4, nn. 3 e 4, c.c., prevedendo la partecipazione a tali spese in misura percentuale uguale tra i due genitori>>

E poi:

<<In effetti, come sopra evidenziato, la misura della contribuzione al mantenimento dei figli non dipende da una valutazione delle “astratte potenzialità reddituali” dei genitori obbligati, ma dalla valutazione delle effettive condizioni reddituali e patrimoniali di questi ultimi, che, ovviamente, possono essere accertati anche in via presuntiva, ma mai astratta e potenziale.

La Corte d’appello, invece, pur prendendo atto dello stato di disoccupazione della ricorrente, come sopra evidenziato, ha ritenuto che quest’ultima fosse ben inserita nel mondo della musica, essendo in contatto con noti artisti italiani, il che le poteva consentire di introdursi con facilità in quell’ambito lavorativo, sia in Italia che nel suo Paese di origine, aggiungendo che, in ogni caso, era una donna di giovane età (nata nel (Omissis)), con conoscenza delle lingue e un buon livello di istruzione, e che pertanto poteva facilmente immettersi nel circuito produttivo anche in altro campo (ad esempio quello turistico).>>