Determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli da separazione o divorzio: irrilevanti le liberalità ai figli da parte dell’obbligato

Cass. sez. I, ord. 07/03/2024  n. 6.111, rel. Valentino:

<<L’assegno dovuto al coniuge separato o divorziato, per il mantenimento dei figli ad esso affidati, non può subire riduzioni o detrazioni in relazione ad altre elargizioni del coniuge obbligato in favore dei figli medesimi, ove queste risultino effettuate per spirito di liberalità per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle poste a base del predetto assegno, sicché restino ricollegabili ad un titolo diverso (Cass., n. 12212/1990). Nella specie, la Corte ha correttamente accertato che si trattava di un mutuo contratto a favore della figlia a scopo di liberalità, vivendo la medesima con il padre.

Inoltre, in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio, in linea di principio, di per sè permane, nella misura stabilita dalla sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se il suo titolare instauri una convivenza “more uxorio” con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno, secondo il principio generale posto dall’art. 9, comma 1, l. 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 13 l. 6 marzo 1987, n. 74: e cioè che sia data la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento “in melius” – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraendesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza. La relativa prova, pertanto, non può essere limitata a quella della mera instaurazione e del permanere di una convivenza “mora uxorio” dell’avente diritto con altra persona, essendo detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare, potendo essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, e dovendo l’incidenza economica di detta convivenza essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano (Cass., n. 1557/2004; Cass., n. 21080/2004; cfr., da ultimo, Cass. S.U. 32198/2021)>>.

Mantenimento del figlio ventinovenne con disturbi di personalità? No, dice la Cassazione

Cass.  Sez. I, Ord. 27/02/2024 n. 5.177, rel. Pazzi:

<<5.2 Va poi aggiunto che il figlio di genitori divorziati, nel caso in cui abbia ampiamente superato la maggiore età e non abbia reperito un’occupazione lavorativa stabile (o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente), non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso (Cass. 29264/2022).

Questo principio non soffre eccezioni ove il figlio ultramaggiorenne non autosufficiente risulti affetto da qualche patologia [nds: indicata dalla SC appena sopra: “disturbo di personalità di tipo borderline, descritto (a pag. 7 del provvedimento impugnato) come “disturbo dell’area affettiva cognitiva comportamentale”, le cui caratteristiche essenziali erano “una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé dell’umore ed una marcata impulsività”], ma non tale da integrare – come appena detto – la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l’obbligo di mantenimento. In una simile fattispecie, per soddisfare le essenziali esigenze di vita del figlio ultramaggiorenne non autosufficiente, occorrerà richiedere, ove ne sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure sarà possibile proporre l’azione per il riconoscimento degli alimenti (i quali rappresentano un minus rispetto all’assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti; cfr. Cass. 23133/2023)>>.

Revisione dell’assegno di mantenimento del figlio, titolare di contratto di apprendistato (sull’art. 337 septies cc)

Cass. sez. I, Ord. 19/12/2023  n. 35.494, rel. Meloni (da Onelegale):

<Si deve premettere che la modifica dei provvedimenti adottati con la sentenza di divorzio è subordinata alla condizione del sopravvenire di fatti nuovi rispetto alle circostanze valutate in sede di emissione degli stessi provvedimenti: ebbene la Corte ha già valutato e vagliato le nuove condizioni patrimoniali del ricorrente e ridotto a 200,00 Euro l’assegno originario di 350,00. Infatti, la Corte ha, nel provvedimento impugnato, compiutamente valutato la situazione economica del sig. A.A. e ritenuto che, pur essendo allo stato Egli disoccupato, a far data dal 10.01.2022, “non è verosimile che per la sua età e per la sua capacità lavorativa, non riesca a trovare lavoro avendo dimostrato anche capacità imprenditoriali – sia pur intraprese in (Omissis) – ove ha costituito una scuola di lingua inglese per bambini (doc 17, fasc. primo grado) ed ove ha gestione anche una pizzeria “(Omissis)” (docc. nn. 16-22) attività per le quali, come già anche rilevato dal Tribunale di Monza non ha documentato i suoi redditi.

La Corte di merito ha poi accertato che attualmente egli vive con gli anziani genitori a Monza, ai quali presta assistenza ed è mantenuto dalla madre e dal fratello come dallo stesso dichiarato in udienza alla Corte; che la disdetta del contratto di locazione dell’immobile di cui era proprietario sita in (Omissis) non gli avrebbe impedito di locarlo nuovamente – come rilevato già dal Tribunale – ma comunque la vendita del predetto immobile – avvenuta nel 2020 – per l’importo di Euro 57.000,00 ed il successivo acquisto per l’importo di Euro 42.000,00 di altra casa – in località (Omissis) – fanno presumere che lo A.A. non versi in serie condizioni di ristrettezze economiche proprio per la scelta di investimento in un altro immobile che non è escluso che possa essere messo a reddito tenuto conto del fatto che lui vive con i genitori a Monza – come dallo stesso dichiarato all’udienza del 24 febbraio 2022.

La Corte ha poi valutato, con apprezzamento legittimo, sulla base della certificazione resa dal centro per l’impiego di Milano (che attesta che la figlia C.C. – ancora studentessa – svolge lavoro di apprendistato con decorrenza 01.09.2021) che “la tipologia di contratto di lavoro di apprendistato non consente di considerare un figlio economicamente autosufficiente, non essendo stati provati – nella presente fattispecie – una serie di parametri ed in particolare l’importo del reddito percepito e la durata del contratto medesimo”. Il ricorrente, di contro, non ha dimostrato che il trattamento economico ricevuto dalla figlia C.C. – quale apprendista – è non solo proporzionato e sufficiente, ma anche idoneo ad assicurare la sua autosufficienza economica e pertanto, tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte d’Appello ha legittimamente ritenuto di poter accogliere solo parzialmente il reclamo paterno riducendo ad Euro 200,00 l’importo per il mantenimento mensile che lo A.A. deve versare per la figlia C.C..

Tutte le valutazioni del giudice di merito sopra riportate non contrastano con la giurisprudenza di questa Corte che più volte ha affermato il principio secondo cui il mantenimento del figlio resta a carico dei genitori fintanto che non si sia esaurito in congruo termine, la fase di formazione ed inserimento nel mondo del lavoro. Nella specie, tale progressione, ancora in corso, non si è del tutto completata, onde il giudice di merito ha limitato ma non escluso completamente la contribuzione genitoriale>>.

Ancora sul mantenimento del figlio maggiorenne

Cass. ass. Civ., Sez. I, ord. 20 settembre 2023 n. 26875, rel. Nazzicone, interessante anche per gli aspetti fattuali.

Principi di diritto enunciati:

1 – “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

2 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata”.

3 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura”.

Ancora la SC (analiticamente, ma poco convicentemente) sul dovere di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente

Cass. sez. I del 20.09.2023 n. 26.875, rel. Nazzicone:

<<La giurisprudenza della Corte è ormai uniforme nell’affermare il principio di diritto, che occorre ora ribadire, secondo cui l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente.

Ai fini dell’accoglimento della domanda, così come del permanere dell’obbligo a fronte dell’istanza di revoca dello stesso da parte del genitore, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica – precondizione del diritto preteso – ma anche di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione, professionale o tecnica, e di essersi con pari impegno attivato nella ricerca di un lavoro.[errore se la domanda è di revoca:  spetta al genitore provare l’autosufficienza, non al figlio il permanere della non aujtosufficienza]

Infatti, raggiunta la maggiore età, si presume l’idoneità al reddito [no, errore grave in violazione del’art. 2729 cc: presunzione priva di ogni fondamenrtio che contrasta con i dati economiuci sociali] che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore.

Ciò è coerente con il consolidato principio generale di prossimità o vicinanza della prova, secondo cui la ripartizione dell’onere probatorio deve tenere conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio riconducibile all’art. 24 Cost., ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova; conseguentemente, ove i fatti possano essere noti solo ad una delle parti, ad essa compete l’onere della prova, pur negativa.[molteplice errore: la presunzione è altro dalla vicinanza alla prova; questo opera quando non è chiara la fattispecie dell’effetto aizonato …]

Va altresì ribadito che la prova sarà tanto più lieve per il figlio, quanto più prossima sia la sua età a quella di un recente maggiorenne: invero, da un lato, qualora sia stato emesso dal giudice il provvedimento di mantenimento del figlio minorenne a carico del genitore non convivente, esso resta ultrattivo di per sé, sino ad un eventuale diverso provvedimento del giudice; e, dall’altro lato, qualora sussista una domanda di revoca da parte del genitore obbligato, l’onere della prova risulterà particolarmente agevole per il figlio in prossimità della maggiore età appena compiuta ed anche per gli immediati anni a seguire, quando il soggetto abbia intrapreso un percorso di studi, già questo integrando la prova presuntiva del compimento del giusto sforzo per meglio avanzare verso l’ingresso nel mondo adulto.

E’ opportuno, altresì, evidenziare come l’applicazione in buona fede di tali principî mai potrà permettere al genitore di negare il suo mantenimento al figlio, convivente o no, non appena e solo perché questi entri nella maggiore età, ove impegnato ancora negli studi superiori (se non universitari), poiché non si legittima affatto la cessazione del contributo da parte del genitore verso il figlio solo in quanto sia divenuto maggiorenne.

Di converso, la prova del diritto all’assegno di mantenimento sarà più gravosa man mano che l’età del figlio aumenti, sino a configurare il c.d. “figlio adulto”: che, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, si valuterà, caso per caso, se possa ancora pretendere di essere mantenuto, anche con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate e all’impegno realmente profuso nella ricerca, prima, di una idonea qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa>>.

I tre principi di diritto:

1 – “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

2 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata”.

3 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura”.

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e divorzile

Cass. sez. I ord. 24.05.2023 n. 14.343, rel. Caprioli:
In materia di assegno di mantenimento in favore del coniuge separato ai sensi dell’art. 156 c.c., il giudice deve verificare la mancanza da parte del richiedente di adeguati redditi propri, ovvero di redditi sufficienti a garantire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Infatti, l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa.
La valutazione relativa alle capacità di lavoro del coniuge beneficiario dell’assegno non potrà che avere ad oggetto l’effettiva e concreta possibilità di procurarsi mezzi propri mediante l’espletamento di un’attività lavorativa, essendo irrilevanti, per contro, valutazioni astratte
Niente di nuovo: ius receptum.
(massime di Valeria Cianciolo in www.osservatoriofamiglia.it)

Separazione personale, permanenza del vincolo coniugale e determinazione dell’assegno di mantenimento

Cass . , sez. I, ord., 23 marzo 2023 n. 8254:

<<7.1. — Costituisce principio interpretativo ormai acquisito che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (cfr. Cass. 12196/2017; id. 16809/2019; id. 5605/2020; id.4327/2022).
7.2. — Ciò posto è stato altresì precisato, in relazione allo stato di bisogno che giustifica il contributo e rispetto al quale rilevano sia i redditi percepiti dal coniuge richiedente che la sua capacità lavorativa, che l’attitudine al lavoro proficuo valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, è costituita dalla effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di un ‘attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass.24049/2021).
7.3. — Ebbene, nel caso di specie la corte territoriale non si è attenuta a questi principi là dove ha respinto la domanda di mantenimento della sig.ra D’E. senza alcuna considerazione, da un canto del tenore di vita matrimoniale, ed ancora rilevante ai fini del contributo di mantenimento, e dall’altro, all’effettiva possibilità di reperire un lavoro adeguato nella zona di trasferimento (Monte di Procida prima e San Prisco dopo).
7.4.— Infatti, per quanto riguarda il tenore di vita non è contestato che la famiglia abbia potuto beneficiare di una buona disponibilità finanziaria assicurata dal lavoro del sig. P. – conduttore radiofonico e disc-jochey, noto con lo pseudonimo di R. F. – e che ciò sia proseguito anche dopo il trasferimento in Campania della sig.ra D’E. con la figlia mediante il versamento da parte del marito della somma mensile di circa euro 3.400,00 (euro 2000,00 oltre euro 700,00 per affitto ed oltre euro 700,00 per la governante).
7.5.— Tale disponibilità non è stata considerata dalla corte territoriale mentre è in realtà rilevante ai fine di ricostruire l’effettivo livello di vita matrimoniale e il contributo dalla stessa fornito.
7.6.— Inoltre, la corte d’appello non ha considerato l’effettiva possibilità per la sig.ra D’E. di reperire un’adeguata attività lavorativa, in una regione che conosce notoriamente tali problemi, ma anche in ragione delle caratteristiche specifiche delle esigenze di cura della figlia e delle difficoltà, pure riconosciute, quali l’indisponibilità di un mezzo di trasporto personale.
7.7. — A questo riguardo, infatti, la corte territoriale ha motivato erroneamente il rigetto con la “poco incisiva” ricerca di un posto di lavoro allegata dall’appellante e con il mancato riferimento all’eventuale richiesta del reddito di cittadinanza, in una prospettiva astratta che non può automaticamente condurre ad escludere l’osservanza dell’obbligo, ancora normativamente esistente in sede separativa, di assistenza materiale a favore del coniuge che non disponga di propri mezzi adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale. >>

Sulla retroattività o meno della modifica in corso di causa degli assegni di mantenimento e divorzili inizialmente disposti hanno deciso le Sezioni Unite

Cass. sez. un. n. 32914 del 8 novembre 2022, rel. Iofrida , si sono pronunciate sul punto in oggetto con lunga sentenza qqui ricordata solo sul principio di diritto (largamente -ma non totalmente- incline verso la retroattività e quindi la ripetibilità):

«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:

a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile;

b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica;

c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».

Significativa è l’analisi del concetto di assegno alimentare e della presunta sua irripetibilità in caso di successiva modifca o cancellazione.

In generale è logico che la statuzione definitiva metta nel nulla tutti gli effetti giuiridici prodotti dalle statuizioni anteriori , come tali provvisorie (tutte quelle anteriori al giudicato).

L’assegno di mantenimento da separazione è diverso da quello divorzile

Cass., sez. 1, 13.09.2022 n. 26.890, rel. Lamorgese:

L’appello riduceva l’assegno a favopre del marito così motiovando:

<<Il G., all’epoca della separazione nel 2012, aveva quarantasette anni ed era dotato di piena capacità lavorativa e notevole professionalità, avendo goduto di un ottimo stipendio fino al 2007, quando aveva lasciato il lavoro per dedicarsi all’accudimento del figlio (bisognoso di sostegno e di essere seguito nelle attività sportive) e alla cura della prestigiosa abitazione coniugale acquistata con proventi della moglie; egli “era dotato di tutte le risorse personali e professionali per provvedere autonomamente al proprio dignitoso mantenimento” ed era diventato istruttore di tecnica equestre, né aveva dimostrato che le somme erogategli dalla moglie (indicate dal ricorrente in circa Euro 10000,00 al mese) servissero per le proprie esigenze personali piuttosto che per i bisogni del figlio; il G. non contribuiva al mantenimento del figlio, al quale provvedeva la T.; il tenore di vita del G. aveva subito “un rilevante ridimensionamento, con la perdita dell’abitazione familiare… e la necessità di reperire altra abitazione a pagamento, non disponendo egli di proprietà immobiliari”, sicché l’assegno mensile di Euro 300,00 serviva “per consentirgli di disporre di una adeguata abitazione”; dal canto suo, la T. “continua a godere del tenore di vita precedente alla separazione, grazie alle sue numerose proprietà immobiliari e ai proventi che le derivano dalla sua famiglia, pur dovendo provvedere in via esclusiva a mantenere il figlio”>>.

La Sc però accoglie , così censurandolo

<<Da queste argomentazioni traspare che il criterio seguito per la quantificazione del contributo di mantenimento a favore del G. non è quello seguito dalla giurisprudenza di legittimità, che è espresso dal principio secondo cui i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l’assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione (ex plurimis, Cass. 5605 del 2020, 16809 del 2019, 12196 del 2017).

Ed infatti, il contributo di mantenimento in favore del G. non è stato quantificato in misura idonea a garantirgli, in via tendenziale, la conservazione del tenore di vita matrimoniale – che, come accertato dalla Corte di merito, aveva subito un rilevante ridimensionamento dopo la separazione, contrariamente alla T., la quale poteva contare su notevoli risorse a sua disposizione – ma solo a consentirgli di procurarsi una abitazione, nell’ottica di un aiuto a provvedere al proprio “dignitoso mantenimento”.

Apodittica è l’affermazione secondo cui il G. sarebbe titolare di idonee risorse personali e professionali, essendo priva di una comprensibile esplicitazione dei fatti idonei a corroborarla. Ne’ è chiaro il significato dell’ulteriore affermazione secondo cui “egli peraltro ha goduto per quattro anni di un contributo mensile da parte della moglie di Euro 1500,00 mensili (attribuitogli in sede presidenziale)”, non comprendendosi se e quali elementi rilevanti la Corte ne abbia tratto sul piano decisorio.

Si tratta di una motivazione in fatto perplessa e sostanzialmente apparente, dunque censurabile in sede di legittimità>>.

La tolleranza di infedeltà pregressa è di ostacolo all’addebito della separazione? La Cassazione sulla separazione Ferragamo

E’ stato diffuso il testo di   Cass. 25.966 del 02.09.2022 sez. 1, rel. Mercolino dal collega Alessandro Casartelli.

La SC accoglie la critica al rigetto della domanda di addebito avanzata dal marito.

Premette che <<Grava dunque sulla parte che richieda l’addebito della separazione all’altro coniuge, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi l’inidoneità dell’infedeltà a determinare l’intollerabilità della convivenza, fornire la prova delle circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire dell’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (cfr. Cass., Sez. VI, 19/02/2018, n. 3923; Cass., Sez. I, 14/02/2012, n. 2059). Ai fini di tale accertamento, è stata ritenuta peraltro irrilevante la prova della tolleranza eventualmente manifestata da un coniuge nei confronti della condotta infedele tenuta dall’altro, essendosi esclusa la configurabilità della stessa come “esimente oggettiva”, idonea a far venire meno l’illiceità del comportamento, o l’ammissibilità di una rinuncia tacita allo adempimento dei doveri coniugali, in quanto aventi carattere indisponibile, ed essendosi ritenuto che la sopportazione dell’infedeltà del coniuge possa essere piuttosto presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore di una crisi in atto da tempo, nell’ambito di una più ampia valutazione volta a stabilire se tra le parti fosse già venuta meno raffectio coniugalis (cfr. Cass., Sez. I, 20/09/2007, n. 19450; 27/06/1997, n. 5762; 2/03/1987, n. 2173)>>.

Va poi al caso sub iudice, con l’interessante precisaizone:

<< deve riternersi che la tolleranza manifestata dal ricorrente nei confronti della relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda in tanto potesse impedirgli di far valere la violazione del dovere di fedeltà, in quanto fosse stato dedotto e dimostrato che la predetta relazione non aveva costituito causa della crisi coniugale, all’epoca già in atto e mai più sanata, ovvero che la stessa era rimasta un episodio isolato, eventualmente dovuto ad un temporaneo appannamento del vincolo affettivo tra i coniugi, e superato da una piena e completa ripresa dei rapporti tra gli stessi, nuovamente deterioratisi in epoca successiva per altre ragioni.

A sostegno della domanda di addebito, il ricorrente aveva invece allegato e chiesto di essere ammesso a provare che la predetta relazione era stata seguita da altre, intraprese successivamente alla cessazione della prima e fino all’instaurazione del giudizio di separazione, in tal modo lasciando chiaramente intendere che la tolleranza da lui inizialmente manifestata nei confronti della condotta del coniuge era venuta meno, a causa della reiterata violazione del dovere di fedeltà da parte dello stesso, che aveva determinato il fallimento dell’unione. A fronte di tale allegazione, l’atteggiamento tenuto dal ricorrente nei confronti della prima relazione non poteva essere considerato sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione, a tal fine occorrendo prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale, ed in particolare accertare se si fossero verificate nuove violazioni del dovere di fedeltà da parte della G., e quale fosse stata la reazione del F.: soltanto ove fosse risultato che a seguito delle cessazione della predetta relazione la vita coniugale era ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, oppure che la donna aveva intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l’uomo vi desse importanza, si sarebbe potuto concludere che non erano state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno l’affectio coniugalis.>>

Quindi cassa con rinvio.

Però non ritiene assorbito il motivo impugnatorio relativo alla determinazione dell’assegno: <<se è vero, infatti, che, ai sensi dell’art. 156 c.c., comma 1, l’esclusione dell’addebito costituisce presupposto indispensabile per il riconoscimento dell’assegno, è anche vero, però, che nel caso in cui la predetta statuizione dovesse trovare conferma a conclusione del giudizio di rinvio, la questione posta con il secondo motivo diverrebbe nuovamente rilevante, sicché non può escludersi l’interesse delle parti all’esame della stessa, il cui esito resta tuttavia condizionato a quello del riesame della domanda di addebito (cfr. Cass., Sez. I, 27/09/2017, n. 22602; Cass., Sez. III, 29/02/2008, n. 5513; 6/06/ 2006, n. 13259).>>. Motivo però che viene respinto perchè non in diritto ma sostanzialmente volto a rivalutare il giudizio fattuale, senza rispettare l’art. 360 n. 5 cpc