Determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli da separazione o divorzio: irrilevanti le liberalità ai figli da parte dell’obbligato

Cass. sez. I, ord. 07/03/2024  n. 6.111, rel. Valentino:

<<L’assegno dovuto al coniuge separato o divorziato, per il mantenimento dei figli ad esso affidati, non può subire riduzioni o detrazioni in relazione ad altre elargizioni del coniuge obbligato in favore dei figli medesimi, ove queste risultino effettuate per spirito di liberalità per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle poste a base del predetto assegno, sicché restino ricollegabili ad un titolo diverso (Cass., n. 12212/1990). Nella specie, la Corte ha correttamente accertato che si trattava di un mutuo contratto a favore della figlia a scopo di liberalità, vivendo la medesima con il padre.

Inoltre, in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio, in linea di principio, di per sè permane, nella misura stabilita dalla sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se il suo titolare instauri una convivenza “more uxorio” con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno, secondo il principio generale posto dall’art. 9, comma 1, l. 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 13 l. 6 marzo 1987, n. 74: e cioè che sia data la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento “in melius” – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraendesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza. La relativa prova, pertanto, non può essere limitata a quella della mera instaurazione e del permanere di una convivenza “mora uxorio” dell’avente diritto con altra persona, essendo detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare, potendo essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, e dovendo l’incidenza economica di detta convivenza essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano (Cass., n. 1557/2004; Cass., n. 21080/2004; cfr., da ultimo, Cass. S.U. 32198/2021)>>.

Affido esclusivo al padre (anche) per mutamento di residenza in città lontana da parte della madre: valutazione incensurabile in Cassazione

Cass. Sez. I Ord. 27/02/202  n. 5.136, rel. Parise, circa uno spostamento da Novara in Sardegna:

<<2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili perché diretti, tramite l’apparente denuncia di vizi motivazionali e di violazione di legge, a censurare il riesame dei fatti e di valutazioni espresse dalla Corte di merito con adeguata motivazione sotto ogni profilo di rilevanza.

In particolare, la Corte territoriale ha ricostruito in dettaglio i fatti salienti ed ha effettuato un’analitica disamina delle condotte dei genitori, anche sulla base delle risultanze della C.T.U., e della situazione psicologica in cui versava la minore. All’esito, la Corte d’appello ha espresso un motivato giudizio in ordine alle statuizioni ritenute più consone a realizzare l’interesse della bambina ed ha confermato il regime di frequentazione tra madre e figlia dettato dal Tribunale, in quanto oggettivamente stabiliva una tempistica idonea a garantire il mantenimento della relazione con la madre, nei limiti di quanto consentito dall’eventuale residenza di quest’ultima in Sardegna, dando altresì atto che il padre risultava avere sempre rispettato il principio di bigenitorialità, favorendo e consentendo lo svolgimento degli incontri tra la bambina e la madre. La Corte di merito ha, infine, precisato che “l’affido condiviso inizialmente prospettato dalla C.T.U. dottoressa D.D. non è in concreto attuabile in quanto esigerebbe che la signora A.A. risiedesse ad O o nelle vicinanze in modo da poter essere maggiormente partecipativa rispetto alla vita della figlia e alle decisioni da assumere nell’interesse della minore”.

Per contro, la ricorrente, nel richiamare diffusamente la normativa asseritamente violata e la giurisprudenza di questa Corte, nel denunciare la violazione del principio di bigenitorialità e l’asserita omessa adeguata valutazione di talune circostanze, da ella interpretate diversamente dalla Corte d’appello, in buona sostanza prospetta impropriamente una difforme ricostruzione fattuale e sollecita un nuovo riesame valutativo.

Occorre, peraltro, ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori (in tesi gli atti del processo penale a carico degli zii paterni su denuncia dell’odierna ricorrente e conclusosi con l’archiviazione) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatti-o storici-o, rilevanti-e in causa (nella specie le condotte dei genitori, la loro relazione con la minore e le problematicità emerse anche nel contesto complessivo della famiglia di origine di ciascun genitore), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante cfr. Cass. n. 27415/2018).

Generico, oltre che inconferente, è il richiamo della normativa Europea e internazionale, prospettato in ricorso sul presupposto di una “rottura” del legame con la madre che non trova riscontro nel regime di frequentazione con la figlia dettato dai giudici di merito e anche, in concreto, nelle relazioni dei servizi sociali e della neuropsichiatra citate nel decreto impugnato, da cui era emerso che C.C. esprimeva sentimenti positivi nei confronti di entrambi i genitori e stata costruendo un rapporto equilibrato e equidistante con entrambi. Il riferimento all’ascolto della minore, indicato nella rubrica del settimo motivo, non risulta neppure illustrato nell’esposizione di detto mezzo, difettando, al riguardo, una compiuta e pertinente critica>>.

Non chiara la SC: una cosa è l’errata percezione delle risultanze istruttorie; un’altra è l’errata applicazione ad esse del canone normativo del best interest of the child (art. 337 ter c.2 cc: “con esclusivo rierimento all’interesse morale e materiale” della prole, che è violazione di legge.

Mantenimento del figlio ventinovenne con disturbi di personalità? No, dice la Cassazione

Cass.  Sez. I, Ord. 27/02/2024 n. 5.177, rel. Pazzi:

<<5.2 Va poi aggiunto che il figlio di genitori divorziati, nel caso in cui abbia ampiamente superato la maggiore età e non abbia reperito un’occupazione lavorativa stabile (o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente), non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso (Cass. 29264/2022).

Questo principio non soffre eccezioni ove il figlio ultramaggiorenne non autosufficiente risulti affetto da qualche patologia [nds: indicata dalla SC appena sopra: “disturbo di personalità di tipo borderline, descritto (a pag. 7 del provvedimento impugnato) come “disturbo dell’area affettiva cognitiva comportamentale”, le cui caratteristiche essenziali erano “una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé dell’umore ed una marcata impulsività”], ma non tale da integrare – come appena detto – la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l’obbligo di mantenimento. In una simile fattispecie, per soddisfare le essenziali esigenze di vita del figlio ultramaggiorenne non autosufficiente, occorrerà richiedere, ove ne sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure sarà possibile proporre l’azione per il riconoscimento degli alimenti (i quali rappresentano un minus rispetto all’assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti; cfr. Cass. 23133/2023)>>.

La mancata audizione del minore infradodicenne è giustificata anche in presenza di “suo turbamento e disagio”: un nuovo caso di legittimo non ascolto?

Cass. Sez. I, Ord. n. 3.465 del 07.02.2024, rel. Pazzi, sull’ascolto del minore infradodicenne (art. 337 octies c.1 cc; regola sostanzialmente uguale nella corrispondente norma del rito di famiglia Cartabia, art. 473 bis.4 c.1 cpc):

<<5.3 Non vi è dubbio che, in tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisca un adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore (cfr., per tutte, Cass. 1474/2021).

Il particolare valore di questa audizione in termini di contraddittorio sostanziale, nel senso illustrato al punto precedente, impone al giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, non solo se egli ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato a un esperto al di fuori di detto incarico (Cass. 12957/2018).

Si deve, tuttavia, ritenere che nel caso di specie il mancato ascolto del minore sia stato giustificato da un’espressa e adeguata motivazione, poiché la Corte di merito non si è affatto limitata a ricordare di non aver ascoltato il minore (nato il omissis e dunque infradodicenne nel corso dell’intero procedimento di appello) a seguito del ricorso presentato ai sensi dell’art. 709-ter cod. proc. civ., ma ha precisato che ciò è avvenuto “in considerazione del suo palese stato di turbamento e di disagio” (pag. 15), aggiungendo, poi, che anche nella successiva fase del processo persistevano le medesime ragioni per non disporre l’audizione (pag. 18).

Questa spiegazione, infatti, non può essere considerata come avulsa dal contesto motivazionale in cui è inserita, tramite il quale la Corte territoriale ha abbondantemente spiegato in cosa consisteva lo stato di turbamento e disagio addotto a ragione della mancata audizione, laddove a più riprese ha rappresentato che il bambino si era dimostrato fortemente influenzato dalle “modalità educative inadeguate” della madre, che avevano non solo ostacolato il suo sviluppo, ma anche provocato comportamenti respingenti nei confronti del padre non imputabili a quest’ultimo.

Il puntuale riferimento al “comportamento possessivo ed escludente” tenuto dall’odierna ricorrente, determinante la mancanza di un autonomo e spontaneo discernimento del bambino (influenzato dalla madre al punto da rendere non genuine dichiarazioni accusatorie nei confronti del padre; cfr. pag. 17), assolve, dunque, l’obbligo di motivazione a cui i giudici distrettuali erano tenuti per giustificare la sua mancata audizione>>.

Censurabilità in Cassazione delle statuizione del giudice circa le modalità di frequentazione e visita del minore

Cass.  Sez. I  Ord.  19 febbraio 2024, n. 4.327, rel. Caiazzo:

<<Alcuni dubbi interpretativi sono, tuttavia, sorti con riferimento alle statuizioni che disciplinano, nello specifico, i tempi e i modi di visita e frequentazione dei figli da parte dei genitori esercenti la responsabilità. Superando recenti discordanze, questa Corte, con orientamento condiviso, ha affermato che i provvedimenti giudiziali che, all’esito dell’appello o del reclamo (a seconda del tipo di procedimento avviato) statuiscono sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori, sono ricorribili per cassazione nella misura in cui il diniego si risolve nella negazione della tutela giurisdizionale a un diritto fondamentale, quello alla vita familiare che, sancito dall’art. 8 CEDU (Corte EDU, sentenza del 09/02/2017, Solarino c. Italia), è leso da quelle statuizioni che, adottate in materia di frequentazione e visita del minore, risultino a tal punto limitative ed in contrasto con il tipo di affidamento scelto, da violare il diritto alla bigenitorialità, inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione della prole il cui rispetto deve essere sempre assicurato nell’interesse superiore del minore (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4796 del 14/02/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9764 dell’08/04/2019; v. anche Cass., Sez. U, Sentenza n. 30903 del 19/10/2022).

In altre parole, le statuizioni che attengono alle modalità di frequentazione e visita del minore sono censurabili per cassazione, superando il filtro dell’inammissibilità per il difetto di decisorietà o per carattere di valutazione di merito, quando l’invalidità dedotta si risolve nella lesione del diritto alla vita familiare, che appartiene al minore ed anche a ciascuno dei genitori, e trova esplicazione nel diritto alla bigenitorialità”.

(testo da Ondif)

Sulla condotta pregiudizievole ex art. 333 c.c. che può far limitare la responsabilità genitriaLE

Cass.  Sez. I, Ord. 19/01/2024, n.  2.021, rel. Caiazzo:

<<Ora, ai fini della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c. non occorre che la condotta del genitore abbia causato danno al figlio, poiché la norma mira ad evitare ogni possibile pregiudizio derivante dalla condotta (anche involontaria) del genitore, rilevando l’obiettiva attitudine di quest’ultima ad arrecare nocumento anche solo eventuale al minore, in presenza di una situazione di mero pericolo di danno (Cass., n. 27533/21).

Nella specie, il ricorso, con il quale sono criticate le statuizioni del provvedimento impugnato che hanno regolamentato l’esercizio della responsabilità genitoriale, attiene proprio alla asserita violazione del diritto alla genitorialità, a causa della mancata previsione dell’affidamento del minore al padre.

Il ricorso è, pertanto, da ritenersi ammissibile, ma va rigettato. Nel caso concreto, invero, è stata statuita una sospensione provvisoria che non preclude un pieno recupero delle capacità genitoriali del padre, il quale conserva la facoltà d’incontrare il figlio con le modalità stabilite, anche in ragione della pendenza dell’impugnazione proposta dal ricorrente avverso la condanna penale in primo grado. Ne consegue che le doglianze espresse circa il mancato esame delle capacità genitoriali del ricorrente non sono accoglibili, appunto perché la provvisorietà della predetta sospensione della responsabilità genitoriale, è stata fondata sul disvalore intrinseco alla condanna ed anche sul rilievo della pericolosa spendita di attività criminale in ambito domestico; del resto, in seguito, potranno essere compiuti accertamenti in rapporto alla capacità di superare questa condizione di persona dedita a gravi reati qualità a cui consegue la qualificazione di figura genitoriale nociva e pericolosa per la stessa crescita filiale.>>

Revisione dell’assegno di mantenimento del figlio, titolare di contratto di apprendistato (sull’art. 337 septies cc)

Cass. sez. I, Ord. 19/12/2023  n. 35.494, rel. Meloni (da Onelegale):

<Si deve premettere che la modifica dei provvedimenti adottati con la sentenza di divorzio è subordinata alla condizione del sopravvenire di fatti nuovi rispetto alle circostanze valutate in sede di emissione degli stessi provvedimenti: ebbene la Corte ha già valutato e vagliato le nuove condizioni patrimoniali del ricorrente e ridotto a 200,00 Euro l’assegno originario di 350,00. Infatti, la Corte ha, nel provvedimento impugnato, compiutamente valutato la situazione economica del sig. A.A. e ritenuto che, pur essendo allo stato Egli disoccupato, a far data dal 10.01.2022, “non è verosimile che per la sua età e per la sua capacità lavorativa, non riesca a trovare lavoro avendo dimostrato anche capacità imprenditoriali – sia pur intraprese in (Omissis) – ove ha costituito una scuola di lingua inglese per bambini (doc 17, fasc. primo grado) ed ove ha gestione anche una pizzeria “(Omissis)” (docc. nn. 16-22) attività per le quali, come già anche rilevato dal Tribunale di Monza non ha documentato i suoi redditi.

La Corte di merito ha poi accertato che attualmente egli vive con gli anziani genitori a Monza, ai quali presta assistenza ed è mantenuto dalla madre e dal fratello come dallo stesso dichiarato in udienza alla Corte; che la disdetta del contratto di locazione dell’immobile di cui era proprietario sita in (Omissis) non gli avrebbe impedito di locarlo nuovamente – come rilevato già dal Tribunale – ma comunque la vendita del predetto immobile – avvenuta nel 2020 – per l’importo di Euro 57.000,00 ed il successivo acquisto per l’importo di Euro 42.000,00 di altra casa – in località (Omissis) – fanno presumere che lo A.A. non versi in serie condizioni di ristrettezze economiche proprio per la scelta di investimento in un altro immobile che non è escluso che possa essere messo a reddito tenuto conto del fatto che lui vive con i genitori a Monza – come dallo stesso dichiarato all’udienza del 24 febbraio 2022.

La Corte ha poi valutato, con apprezzamento legittimo, sulla base della certificazione resa dal centro per l’impiego di Milano (che attesta che la figlia C.C. – ancora studentessa – svolge lavoro di apprendistato con decorrenza 01.09.2021) che “la tipologia di contratto di lavoro di apprendistato non consente di considerare un figlio economicamente autosufficiente, non essendo stati provati – nella presente fattispecie – una serie di parametri ed in particolare l’importo del reddito percepito e la durata del contratto medesimo”. Il ricorrente, di contro, non ha dimostrato che il trattamento economico ricevuto dalla figlia C.C. – quale apprendista – è non solo proporzionato e sufficiente, ma anche idoneo ad assicurare la sua autosufficienza economica e pertanto, tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte d’Appello ha legittimamente ritenuto di poter accogliere solo parzialmente il reclamo paterno riducendo ad Euro 200,00 l’importo per il mantenimento mensile che lo A.A. deve versare per la figlia C.C..

Tutte le valutazioni del giudice di merito sopra riportate non contrastano con la giurisprudenza di questa Corte che più volte ha affermato il principio secondo cui il mantenimento del figlio resta a carico dei genitori fintanto che non si sia esaurito in congruo termine, la fase di formazione ed inserimento nel mondo del lavoro. Nella specie, tale progressione, ancora in corso, non si è del tutto completata, onde il giudice di merito ha limitato ma non escluso completamente la contribuzione genitoriale>>.

Sospennsione della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c.: basta il pericolo potenziale (cioè il suo rischio)

Cass. ord. sez. 1 del 23.11.2023 n. 32.537, rel. Iofrida:

<<La Corte d’appello, pur dando atto dei progressi in termini di consapevolezza del ruolo genitoriale da parte della A.A. e del miglioramento generale del clima del nucleo familiare, non emergendo criticità, secondo le segnalazioni dei servizi sociali, ha ritenuto di dovere comunque confermare i provvedimenti adottati dal Tribunale, solo perchè non dovevano essere interrotti la situazione di difficile equilibrio e i progressi raggiunti.

Questa Corte ha da ultimo chiarito che “Ai fini della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c., non occorre che la condotta del genitore abbia causato danno al figlio, poichè la norma mira ad evitare ogni possibile pregiudizio derivante dalla condotta (anche involontaria) del genitore, rilevando l’obiettiva attitudine di quest’ultima ad arrecare nocumento anche solo eventuale al minore, in presenza di una situazione di mero pericolo di danno” (Cass. 27553/2021).

Si è osservato, avuto riguardo alla formula elastica usata dal legislatore, che ritiene sufficiente, per l’adozione del provvedimento di sospensione della potestà genitoriale, a norma dell’art. 333 c.c., una condotta del genitore che “appare comunque pregiudizievole al figlio”, che non occorre, a tal fine, che un tale comportamento abbia già cagionato un danno al figlio minore, potendo il pregiudizio essere anche meramente eventuale per essersi verificata una situazione di mero pericolo di un danno per lo stesso minore. Il legislatore ha, in sostanza, introdotto una disciplina molto protettiva per il minore allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, ogni obiettivo pregiudizio derivante dalla condotta di un genitore, che può essere anche non volontaria, rilevando la mera attitudine obiettiva ad arrecare danno al figlio (Cfr. Cass. 21 febbraio 2004, n. 3529 in motivazione).

Anche lo stesso decreto impugnato dà atto che le criticità emerse nel nucleo familiare erano indubbiamente da ricollegare alle fragilità manifestate dalla A.A., da ricollegare soprattutto alla difficilissima situazione personale conseguente al traumatico lutto per la morte del marito e padre dei minori, E.E., quando i figli avevano appena tre anni, F.F. portatore di disabilità, due anni, B.B., e due mesi, C.C., nonchè dall’assenza di supporto adeguato ad opera dei servizi sociali del Comune di (Omissis).

La Corte d’appello ha riconosciuto come la A.A. aveva dimostrato, dopo una condizione iniziale di “assoluta ed ingovernabile instabilità di ciascun membro della famiglia”, tanto da fare apparire come unica soluzione quella del collocamento dei ragazzi presso una casa-famiglia, grazie all’apporto dei Servizi sociali del Comune di (Omissis), ove la A.A. si è trasferita, e del Curatore speciale dei minori, di essere in grado, se adeguatamente guidata, di assolvere “in maniera sufficientemente corretta ai doveri inerenti alla responsabilità genitoriale”, essendosi anche attivata a percorrere un proprio “percorso di supporto individuale” oltre a quello di psicoterapia familiare.

Orbene, se il venir meno del clima conflittuale in passato esistente in famiglia ha consentito il rientro di tutti e tre i fratelli nella casa familiare dove convivono con la madre, non si spiega – e qui la contraddittorietà motivazionale anche denunciata – la conferma del provvedimento di limitazione della responsabilità genitoriale, in assenza di violazioni dei doveri del genitore e di condotte comunque pregiudizievoli per i figli del genitore>>.

Niente di particolarmente innovativo

Ancora sul mantenimento del figlio maggiorenne

Cass. ass. Civ., Sez. I, ord. 20 settembre 2023 n. 26875, rel. Nazzicone, interessante anche per gli aspetti fattuali.

Principi di diritto enunciati:

1 – “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

2 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata”.

3 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura”.

Ancora la SC (analiticamente, ma poco convicentemente) sul dovere di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente

Cass. sez. I del 20.09.2023 n. 26.875, rel. Nazzicone:

<<La giurisprudenza della Corte è ormai uniforme nell’affermare il principio di diritto, che occorre ora ribadire, secondo cui l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente.

Ai fini dell’accoglimento della domanda, così come del permanere dell’obbligo a fronte dell’istanza di revoca dello stesso da parte del genitore, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica – precondizione del diritto preteso – ma anche di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione, professionale o tecnica, e di essersi con pari impegno attivato nella ricerca di un lavoro.[errore se la domanda è di revoca:  spetta al genitore provare l’autosufficienza, non al figlio il permanere della non aujtosufficienza]

Infatti, raggiunta la maggiore età, si presume l’idoneità al reddito [no, errore grave in violazione del’art. 2729 cc: presunzione priva di ogni fondamenrtio che contrasta con i dati economiuci sociali] che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore.

Ciò è coerente con il consolidato principio generale di prossimità o vicinanza della prova, secondo cui la ripartizione dell’onere probatorio deve tenere conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio riconducibile all’art. 24 Cost., ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova; conseguentemente, ove i fatti possano essere noti solo ad una delle parti, ad essa compete l’onere della prova, pur negativa.[molteplice errore: la presunzione è altro dalla vicinanza alla prova; questo opera quando non è chiara la fattispecie dell’effetto aizonato …]

Va altresì ribadito che la prova sarà tanto più lieve per il figlio, quanto più prossima sia la sua età a quella di un recente maggiorenne: invero, da un lato, qualora sia stato emesso dal giudice il provvedimento di mantenimento del figlio minorenne a carico del genitore non convivente, esso resta ultrattivo di per sé, sino ad un eventuale diverso provvedimento del giudice; e, dall’altro lato, qualora sussista una domanda di revoca da parte del genitore obbligato, l’onere della prova risulterà particolarmente agevole per il figlio in prossimità della maggiore età appena compiuta ed anche per gli immediati anni a seguire, quando il soggetto abbia intrapreso un percorso di studi, già questo integrando la prova presuntiva del compimento del giusto sforzo per meglio avanzare verso l’ingresso nel mondo adulto.

E’ opportuno, altresì, evidenziare come l’applicazione in buona fede di tali principî mai potrà permettere al genitore di negare il suo mantenimento al figlio, convivente o no, non appena e solo perché questi entri nella maggiore età, ove impegnato ancora negli studi superiori (se non universitari), poiché non si legittima affatto la cessazione del contributo da parte del genitore verso il figlio solo in quanto sia divenuto maggiorenne.

Di converso, la prova del diritto all’assegno di mantenimento sarà più gravosa man mano che l’età del figlio aumenti, sino a configurare il c.d. “figlio adulto”: che, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, si valuterà, caso per caso, se possa ancora pretendere di essere mantenuto, anche con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate e all’impegno realmente profuso nella ricerca, prima, di una idonea qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa>>.

I tre principi di diritto:

1 – “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

2 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata”.

3 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura”.