L’interesse e la volontà del minore nella decisione sul collocamento genitoriale

Cass. sez. I, ord. 06/02/2025  n. 2.947, rel. Tricomi:

<<3.7.- Innanzi tutto, va osservato che l’ascolto del minore (nel caso in esame, infradodicenne) e le dichiarazioni rese dallo stesso, anche quando ricorrano elementi tali da ritenere che siano espresse con maturità e consapevolezza, non possono costituire l’esclusivo elemento in base al quale valutare il superiore interesse del minore e assumere la decisione richiesta, in un quadro di rapporti familiari altamente conflittuali, nell’ambito dei quali siano stati accertati – come nel presente caso, senza che vi sia stata impugnazione sul punto – comportamenti apertamente ostativi, ostruzionistici e manipolativi da parte di un genitore atti a limitare consistentemente l’esercizio della bigenitorialità dell’altro, comportamenti risultati recessivi solo a seguito della differente collocazione del minore.

In proposito proprio la Corte EDU (Causa A.S. e M.S. c. Italia n.48618/22, par. 147), in un caso in cui vari rapporti indicavano che il minore era influenzato da sua madre, ha affermato “A questo proposito, la Corte rammenta che il parere di un minore non è necessariamente immutabile, e che le obiezioni che quest’ultimo formula, anche se devono essere debitamente prese in considerazione, non sono necessariamente sufficienti per prevalere sull’interesse dei genitori, in particolare sul loro interesse ad avere dei contatti regolari con il loro figlio. Il diritto di un minore di esprimere la propria opinione non deve essere interpretato nel senso che conferisce effettivamente un diritto di veto incondizionato ai minori senza che siano presi in considerazione altri fattori e senza che sia condotto un esame per determinare il loro interesse superiore. Inoltre, se un Tribunale basasse una decisione sull’opinione di minori che sono evidentemente incapaci di formarsi ed esprimere un’opinione sui loro desideri – ad esempio a causa di un conflitto di lealtà – una tale decisione potrebbe essere contraria all’articolo 8 della Convenzione (K.B. e altri, sopra citata, par. 143, e I.S. c. Grecia, n. 19165/20, par. 94, 23 maggio 2023).”.

La decisione impugnata non ha dato retta applicazione ai principi espressi perché, una volta prese in esame le dichiarazioni della minore, avrebbe dovuto vagliare in maniera complessiva e non atomistica tutti gli altri fattori a sua conoscenza per determinare il concreto interesse del minore e non lo ha fatto, pur avendo dato atto della permanenza del livello conflittuale e del permanere delle criticità relazionali già accertate in primo grado – e non smentite da alcuna positiva evenienza nonostante il tempo trascorso- e avrebbe dovuto valutare le possibili ripercussioni sulla minore della modifica richiesta e la congruità ed adeguatezza della misura da adottare.

Risulta, invero, errata la identificazione del superiore interesse della minore con la volontà da questa espressa, ove – come nel caso in esame – la valutazione sia stata compiuta decontestualizzandola da tutti gli altri fattori rilevanti che il giudice deve necessariamente prendere in considerazione, ai fini della adozione delle misure idonee a creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita del genitore pregiudicato, nel caso in cui si controverta del diritto del minore alla bigenitorialità fortemente ostacolata da continue condotte manipolative e ostruzionistiche di uno dei due genitori avverso l’altro nell’ambito di un contesto familiare conflittuale.

La Corte di appello non poteva prescindere, nell’assumere la valutazione del superiore interesse della minore e nello statuire circa la modifica del collocamento della minore, dal prendere in considerazione la perdurante accesa conflittualità tra i genitori , la volontà della madre – come riferisce stessa Corte di merito – di “vuole tenere saldo il rapporto preesistente della cui quotidianità lei e Gi. si sono viste di fatto private”, rapporto che si era connotato per costanti comportamenti escludenti la figura paterna, e – sempre come si esprime la stessa Corte di merito – “un’importante risultato” relativo alla realizzazione di un’effettiva bigenitorialità conseguito a seguito dell’esecuzione del provvedimento di primo grado di collocazione della minore presso il padre.

Va rimarcato, infine, che queste circostanze non sono state prese in esame nemmeno per prevedere l’intervento dei Servizi Sociali, nominati affidatari, per ridurre la conflittualità e un monitoraggio collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell’interesse del minore (Cass. n.13506/2015); invero, risulta demandata ai Servizi Sociali esclusivamente la decisione “di volta in volta -ove permanga il conflitto- su tutte le questioni afferenti all’istruzione, alla salute ed alla educazione della minore” (fol.14 del decr.imp.).>>

Assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, economicamente non autosufficiente e affetto da patologia psichiatrica

Cass. sez. I, ord.  02/01/2025  n. 32, rel. Parise::

<<2.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, in materia di mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l’esclusione del relativo diritto, oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone alla domanda di esclusione, sono integrati: dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass. n. 38366/2021); inoltre, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento – che è a carico del richiedente il mantenimento – vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro, richiede una prova particolarmente rigorosa per il caso del “figlio adulto” in ragione del principio dell’autoresponsabilità delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass. n. 26875/2023; Cass. 12123/2024).

2.2. La Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi, scrutinando tutti i profili di rilevanza, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, ed ha accertato, con motivazione congrua, sulla base delle risultanze istruttorie, che la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale del figlio maggiorenne fosse dipesa, in via diretta ed in modo incolpevole, da peculiari e specifiche ragioni individuali di salute, che avevano, di fatto, impedito al ragazzo, fino al momento della decisione, di reperire una attività lavorativa. In particolare la Corte di merito ha rimarcato che Os.An. (nato nel (Omissis)) era affetto da depressione maggiore cronicizzata, disturbo post traumatico da stress e insonnia reattiva, causate dagli episodi di aggressività fisica e verbale posti in essere dal padre nei confronti della madre, che avevano profondamente turbato il ragazzo. A quest’ultimo era stata riconosciuta nel 2021 una provvidenza in base alla legge regionale n. 15/1992 proprio in relazione alla suddetta infermità, in quanto rientrante tra quelle indicate nell’allegato A della citata legge come invalidante.

Infine la Corte territoriale ha rilevato che la patologia psichiatrica era stata diagnosticata nel febbraio 2020, ossia pochi mesi dopo la sentenza di separazione, pronunciata tra le parti nel settembre 2019, quando Os.An. aveva già compiuto 20 anni, e che con la suddetta sentenza era stato riconosciuto per il figlio il contributo di mantenimento a carico del padre, per l’importo mensile di Euro 250,00, pari a quello riconosciuto con la sentenza ora impugnata. La Corte d’Appello ha, quindi, ritenuto che fosse incolpevole la persistente mancanza di autosufficienza economica del figlio, “allo stato, anche tenuto conto dell’età del ragazzo e del breve tempo intercorso dalla sentenza di separazione e dalla diagnosi medica”, così facendo corretta applicazione dei principi suesposti>>.

L’assegnazione della casa familiare comprende mobili e arredi

Esatto quanto insegna Cass. sez. I, ord. 17/06/2024 n. 16.691, rel. Valentino:

<<8.1 – Il terzo e il quarto motivo possono essere trattati unitariamente e sono fondati. L’assegnazione della casa familiare si estende – anche a mobili ed arredi, essendo indissolubilmente legata alla collocazione dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, i quali hanno diritto di conservare l’habitat domestico nel quale sono nati o cresciuti, composto delle mura e degli arredi. L’assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi, ai sensi dell’art. 155, comma 4, c.c., ricomprende, per la finalità sopraindicate, non il solo immobile, ma anche i mobili, gli arredi, gli elettrodomestici ed i servizi, con l’eccezione dei beni strettamente personali che soddisfano esigenze peculiari dell’altro ex coniuge (Cass., n. 5189/1998; Cass, n. 878/1986; Cass., n. 7303/1983). Il logico collegamento tra immobile e mobili ai fini di tutelare l’interesse del minore alla conservazione dell’ambiente familiare va ribadito anche se la proprietà dell’immobile è di proprietà esclusiva del coniuge non proprietario dei beni mobili al fine di garantire al minore quel complesso di comfort e di servizi che durante la convivenza ha caratterizzato lo standard di vita familiare. In tale direzione è principio costantemente ribadito da questa Corte che il collegamento stabile con l’abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione anche non quotidiana ma compatibile con assenze giustificate da motivi riconducibili al percorso formativo, purché vi faccia ritorno periodicamente e sia accertato che la casa familiare sia luogo nel quale è conservato il proprio habitat domestico. Uno degli indici probatori può essere la circostanza che l’effettiva presenza sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (Cass., n. 29977/2020; Cass., n. 16134/2019, Cass., n. 21749/2022)>>.

La scelta della scuola per il minore da parte del giudice

Cass. sez. I, ord. 16/05/2024 n. 13.570, rel. Caiazzo:

<<Il contrasto insorto tra genitori legalmente separati, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, in ordine alla scelta della scuola (se d’ispirazione “religiosa” o “laica”) presso cui iscrivere i figli, deve essere risolto in considerazione dell’esigenza di tutelare il preminente interesse dei minori a una crescita sana ed equilibrata, e importa una valutazione di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, che può ben essere fondata sull’esigenza, in una fase esistenziale già caratterizzata dalle difficoltà conseguenti alla separazione dei genitori, di non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come facilmente conseguenti alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa (Cass., n. 21553/21).

Secondo l’orientamento della CEDU (sentenza n. 54032/22), alcune limitazioni sulle modalità di coinvolgimento del minore in una pratica religiosa scelta da uno dei genitori non costituiscono una discriminazione se funzionali a garantire e preservare il superiore interesse del minore.

E’ stato altresì affermato che, in caso di contrasto tra genitori in ordine a questioni di maggiore interesse per i figli minori, la relativa decisione, ai sensi dell’art. 337-ter, comma 3, c.p.c., è rimessa al giudice, il quale, chiamato, in via del tutto eccezionale, a ingerirsi nella vita privata della famiglia attraverso l’adozione dei provvedimenti relativi in luogo dei genitori, deve tener conto esclusivamente del superiore interesse, morale e materiale, del minore a una crescita sana ed equilibrata, con la conseguenza che il conflitto sulla scuola primaria e dell’infanzia, pubblica o privata, presso cui iscrivere il figlio, deve essere risolto verificando non solo la potenziale offerta formativa, l’adeguatezza edilizia delle strutture scolastiche e l’assolvimento dell’onere di spesa da parte del genitore che propugna la scelta onerosa ma, innanzitutto, la rispondenza al concreto interesse del minore, in considerazione dell’età e delle sue specifiche esigenze evolutive e formative, nonché della collocazione logistica dell’istituto scolastico rispetto all’abitazione del bambino, onde consentirgli di avviare e/o incrementare rapporti sociali e amicali di frequentazione extrascolastica, creando una sua sfera sociale, e di garantirgli congrui tempi di percorrenza e di mezzi per l’accesso a scuola e il rientro alla propria abitazione (Cass., n. 26820/23: nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, in quanto, nella scelta tra la scuola pubblica e privata, aveva considerato criterio dirimente l’assolvimento dell’esborso economico da parte di uno dei due genitori).

Nella fattispecie, la Corte territoriale ha adeguatamente argomentato nel senso che la scelta della prosecuzione del ciclo scolastico secondario (dopo la scuola elementare) rispondeva all’esigenza di preservare il miglior interesse del minore il quale aveva espresso il desiderio di continuare a frequentare l’istituto privato Gonzaga in Milano dove aveva numerose amicizie e buoni rapporti con gli insegnanti; come desumibile dalla relazione psicodiagnostica preventivamente richiesta da entrambi i genitori: il minore aveva bisogno di stabilità e conservazione dei riferimenti acquisiti, anche alla luce del disturbo non specificato, di cui soffriva.

Pertanto, la Corte territoriale – con ragionamento conforme ai principi già elaborati da questa Corte – ha correttamente ritenuto che l’esigenza di garantire la piena liberà di credo religioso a favore del minore era da ritenere recessiva rispetto al superiore interesse di quest’ultimo di soddisfare i propri desideri di continuare la frequentazione della scuola privata e di garantirne la crescita equilibrata e stabile, fondata sui riferimenti sociali acquisiti.

Né può, infine, obiettarsi che la decisione impugnata possa essere intesa come una violazione del principio di laicità del nostro ordinamento costituzionale, in quanto essa esprime, di fatto, un plausibile giudizio di bilanciamento dello stesso con i principi di rango costituzionale afferenti alla cura e alla tutela dei minori, in ogni loro declinazione.

In conclusione, il detto principio di laicità non può essere invocato in termini assoluti, né esso può assurgere a valore tiranno, rispetto agli altri, pure in gioco, la cui portata è stata legittimamente limitata in ragione della tutela degli interessi del minore e dei limiti strettamente indispensabili per realizzare tale tutela sì che la complessiva ponderazione giudiziale risulta immune dai pretesi vizi logici e giuridici. Le spese seguono la soccombenza>>.

Affisameno condiviso è la regola , quello esclusivo l’eccezione

Cass. sez. I, ord. 08/05/2024  n. 12.474, rel. Meloni:

<<In ordine all’affido esclusivo alla madre, la Corte di Appello ha ritenuto di “penalizzare” il padre a cagione della sua condotta ritenuta censurabile; la Corte tuttavia non ha motivato adeguatamente in ordine all’affido esclusivo delle minori alla madre nell’ottica dell’interesse delle minori e di una equilibrato rapporto tra i due genitori, cui è stata anteposta una valutazione in chiave sanzionatoria per comportamenti del padre, ritenuti inadeguati (per la scelta del Fi.Iv. di andare a vivere con la propria compagna, subito dopo la separazione, nello stesso stabile ove vivevano anche le minori, determinando la conseguente necessità del trasferimento delle bambine con la madre in altro edificio; per la “decisione” di “presentarsi al primo incontro” con le figlie, presso il consultorio familiare, accompagnato dalla nuova moglie).

Tuttavia, tali comportamenti – esaminati separatamente o posti tra di loro in connessione – non appaiono motivati dal giudice a quo con riferimento a quella gravità necessaria per giustificare l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori (e la penalizzazione dell’altro nella dialettica educativa delle minori): misura che può essere adottata, in via di eccezione, solo in presenza del manifestarsi di quelle concrete ragioni contrarie all’interesse del minore (art. 155-bis), tali da giustificare una tale misura rigorosa, quali ad esempio la obiettiva lontananza del genitore o il suo disinteresse rispetto all’affettività delle figlie e agli accordi in ordine alle stesse, espliciti o taciti, in tal senso raggiunti dalle parti.

La regola dell’affidamento condiviso costituisce la scelta tendenzialmente preferenziale (cfr. Cass. n. 6535 del 2019) onde garantire il diritto del minore “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, tanto che, avendo in tal modo dimostrato il legislatore di ritenere che l’affidamento condiviso costituisca il regime ordinario della condizione filiale nella crisi della famiglia (cfr. Cass. n. 1777 del 2012), la sua derogabilità, neppure consentita in caso di grave conflittualità tra i genitori (cfr. Cass. n. 5108 del 2012), risulta possibile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore” (cfr. Cass. n. 977 del 2017).

Tanto più che, come diversamente ritenuto dal Tribunale in prima istanza, nel caso di specie, non erano stati ritenuti sussistenti gli estremi per disporre in conformità della proposta domanda di affido esclusivo in quanto non era stata provata la completa assenza del resistente nella vita delle minori, sia sotto l’aspetto psichico ed educativo, sia sotto l’aspetto dei doveri economici>>.

Affidamento dei figli e assegno divorzile

Cass.  sez. I, Ord. 11/04/2024 n. 9.839, rel. Russo R.E.A.:

sul punto 1:

<<La Corte d’appello si è quindi correttamente attenuta, nel regolare l’affidamento, a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass. n. 18817 del 23/09/2015; Cass. n. 14728 del 19/07/2016; Cass. n. 28244 del 04/11/2019.) La Corte distrettuale ha altresì tenuto conto del fatto che costituisce giurisprudenza consolidata, anche sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte EDU, che per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare e che l’autorità giudiziale deve predisporre misure volte ad attuare, salvo che non sussistano serie controindicazioni, il diritto alla bigenitorialità (cfr. Kutzner c. Germania, n. 46544/99, Corte EDU 2002; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Cass. n. 9764 del 08/04/2019; Cass. n. 19323 del 17/09/2020)>>.

Sul punto 2:

<< La Corte distrettuale, da un lato, ritiene adeguata la ricostruzione dei redditi e in genere delle condizioni economiche delle parti effettuate dal Tribunale, dall’altro, senza condurre ulteriori indagini su quelle che sono le attuali condizioni economiche di tali parti, ha ridotto l’assegno già disposto dal giudice di primo grado in favore dei figli, genericamente menzionando le “esigenze di vita dei figli”, che non vengono però nel concreto specificate, e facendo riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per come rappresentate dalle condizioni di separazione. Ciò senza tenere conto che le condizioni della separazione erano dirette ad assicurare il mantenimento di due bambini in tenerissima età e che normalmente le esigenze dei figli crescono nel corso del loro sviluppo; ed inoltre che, tra il tempo della separazione e quello del divorzio, sono intercorse molteplici vicende tra cui le riferite vicissitudini giudiziarie conseguenti al fallimento delle iniziative economiche intraprese dal B.B. sul territorio nazionale, che lo hanno indotto a espatriare e vivere a lungo negli Emirati Arabi per poi rientrare in Italia, pur se – a quanto deduce la ricorrente – i suoi affari sono attualmente legati a società estere; e infine, ma non ultimo, che, nel momento in cui si ritiene corretta la ricostruzione dei redditi operata dal giudice di primo grado, per discostarsi dalle sue valutazioni sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata. Inoltre, la circostanza che nessuna delle parti abbia depositato dichiarazioni dei redditi aggiornati nulla sposta, perché in tali casi il giudice può, o addirittura deve, disporre indagini di polizia tributaria (Cass. n. 22616 del 19/07/2022).

4.1. – Pertanto, il giudizio sul quantum del mantenimento dei figli dovrà essere rivisto ed aggiornato alla attualità, tenendo conto che nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 4145 del 10/02/2023) Il contributo al mantenimento dei figli, si caratterizza per la sua bidimensionalità, poiché da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi é il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (Cass. n. 2536 del 26/01/2024).

(…)

Inoltre, la Corte distrettuale pur dando atto che la A.A. ha una professionalità, in quanto avvocato, e una età che le consente di reinserirsi nel mondo del lavoro, ed è proprietaria di un discreto patrimonio immobiliare, non pienamente sfruttato economicamente, ritiene di confermare l’assegno pur riducendolo, poiché “la situazione è da valutare in relazione al contesto sociale della famiglia, che ha avuto un elevato tenore di vita”.

Con questa ultima argomentazione il giudice d’appello fa cattiva applicazione del principio, ormai solido nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. sez. un n. 18287 del 11/07/2018) Ed ancora, si è affermato che il tenore di vita matrimoniale è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno e che l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 22738 del 11/08/2021).>>.

Il diritto alla bigenitorialità può essere leso quando un genitore, seppur per lavoro, si trasferisce con i figli a 850 km di distanza (da Napoli a Pordenone) dall’altro

Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 21/03/2024) 07/05/2024, n. 12282, rel. Meloni:

<<In particolare il Giudice di merito ha dichiarato di essere pervenuto alla impugnata decisione tenendo in considerazione le inequivoche volontà espresse dai minori, intese come favorevoli al trasferimento, in particolare sulla volontà dei minori ha affermato: “atteso che sia C.C. che D.D. sono parsi al giudice, che li ha ascoltati in presenza della Dr.ssa F.F. dell’UPP, hanno dichiarato entrambi di essere felici di trasferirsi a P, città che già conoscono per esservi stati spesso con la madre ed il suo compagno, di aver già visto le scuole presso le quali saranno iscritti, di essere certi del fatto che, in caso di loro disagio tornerebbero a N, come promesso dalla madre, di non aver alcuna intenzione di sostituire il padre con la figura del compagno della madre, di essere certi di tornare a N ogni qualvolta lo vorranno e che il padre potrà recarsi da loro senza alcun problema, di farsi portavoce anche della piccola E.E.”

Il primo motivo di ricorso è fondato in quanto il trasferimento dei tre figli in località distante parecchi chilometri da quella di residenza del padre non potrà non essere di ostacolo alla frequentazione del genitore coi figli nonostante al primo sia stata riconosciuta la “facoltà di vederli e tenerli quando desidera”. Infatti, la Corte di merito non ha valutato quella considerevole distanza tra le due città che non consente frequentazioni giornaliere, se non della durata di poche ore, ma al contrario solo visite di più giorni, data la notevole durata del viaggio. Tenendo poi conto che i figli frequentando la scuola, corsi sportivi, palestra, etc., non possono certo assentarsi troppo tempo dalla città di residenza, quantomeno nel lungo periodo scolastico, senza individuare idonee compensazioni.

Il trasferimento potrebbe configurare una violazione del diritto alla bigenitorialità anche in quanto la Corte di merito non ha valutato in alcun modo la questione, limitandosi a riportare le dichiarazioni rese dai due fratelli C.C. e D.D. ma non risulta sia stata ascoltata la più piccola E.E.>>.

Erroneo giudizio sul cocnetto di indipenedsenzna economica del fighlio maghgiorenne (art. 2327 septies cc)

Continua, anzi si aggrava, la tendenza giudiziaria a penalizzare i figli maggiorennni non autosufficienti economicamente con inrerepretazioni assai restrittive dell’art. 337 septies cc.  Così ad es. Cass. Sez. I, Ord. 27/03/2024, n. 8.240, rel. Meloni:

<<Infatti, in ordine al primo e secondo mezzo di cassazione, va premesso che secondo questa Corte (Sez. 1 – , Sentenza n. 26875 del 20/09/2023) ha enunciato la regula iuris secondo cui: “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto” in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

Questa Corte ha più volte affermato che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall’art. 147 cod. civ., obbliga i coniugi secondo i parametri previsti nel nuovo testo dell’art. 155 cod. civ., come sostituito dall’art. 1 legge 8 febbraio 2006, n. 54, il quale, nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.

L’ordinanza impugnata non si è uniformata ai principi richiamati ed elaborati da questa Corte e pertanto il ricorso merita accoglimento. E, precisamente, occorre evidenziare che la Corte territoriale, tenuto conto che il A.A. guadagna 39.000,00 euro mentre la Foscarini € 20.000,00, ha valutato che la figlia C.C., laureata in storia dell’arte ed insegnante nella materia, negli anni 2018 e 2019 ha guadagnato, grazie a collaborazioni saltuarie, circa 4.000,00 euro mentre ne ha consumato circa 6.000,00 per spese mediche, in quanto necessitante di assistenza psicologica perché affetta da sindrome delirante, con manie di persecuzione (senza che, tuttavia, ricorra il caso della menomazione psichica e del conseguente regime giuridico del figlio affetto da tali serie patologie).

Tuttavia, seppur Ella ha documentato un modesto guadagno (solo 4.000,00 euro annui), deve ritenersi che la stessa ha comunque incominciato a mettere a frutto le proprie capacità professionali, seppur saltuariamente esercitate, così cominciando a conseguire i propri redditi da lavoro e, anche se in attesa di una migliore e più sicura definizione del suo inserimento nel mondo produttivo, ne consegue che – in ragione dei richiamati principi – si deve seriamente dubitare che vi sia ragione per conservare, in suo favore, l’assegno di mantenimento, ferma la eventuale possibilità di un eventuale soccorso paterno, qualora ne ricorrano i presupposti, e perciò di chiedere e ottenere un assegno alimentare>>.

L’errore è grave: euro 4.000 all’anno (se ben capisco: non in due anni, spererei!) renderebbero il figlio “economicamente indipendente” (art. 337 septies).

Affido esclusivo al padre (anche) per mutamento di residenza in città lontana da parte della madre: valutazione incensurabile in Cassazione

Cass. Sez. I Ord. 27/02/202  n. 5.136, rel. Parise, circa uno spostamento da Novara in Sardegna:

<<2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili perché diretti, tramite l’apparente denuncia di vizi motivazionali e di violazione di legge, a censurare il riesame dei fatti e di valutazioni espresse dalla Corte di merito con adeguata motivazione sotto ogni profilo di rilevanza.

In particolare, la Corte territoriale ha ricostruito in dettaglio i fatti salienti ed ha effettuato un’analitica disamina delle condotte dei genitori, anche sulla base delle risultanze della C.T.U., e della situazione psicologica in cui versava la minore. All’esito, la Corte d’appello ha espresso un motivato giudizio in ordine alle statuizioni ritenute più consone a realizzare l’interesse della bambina ed ha confermato il regime di frequentazione tra madre e figlia dettato dal Tribunale, in quanto oggettivamente stabiliva una tempistica idonea a garantire il mantenimento della relazione con la madre, nei limiti di quanto consentito dall’eventuale residenza di quest’ultima in Sardegna, dando altresì atto che il padre risultava avere sempre rispettato il principio di bigenitorialità, favorendo e consentendo lo svolgimento degli incontri tra la bambina e la madre. La Corte di merito ha, infine, precisato che “l’affido condiviso inizialmente prospettato dalla C.T.U. dottoressa D.D. non è in concreto attuabile in quanto esigerebbe che la signora A.A. risiedesse ad O o nelle vicinanze in modo da poter essere maggiormente partecipativa rispetto alla vita della figlia e alle decisioni da assumere nell’interesse della minore”.

Per contro, la ricorrente, nel richiamare diffusamente la normativa asseritamente violata e la giurisprudenza di questa Corte, nel denunciare la violazione del principio di bigenitorialità e l’asserita omessa adeguata valutazione di talune circostanze, da ella interpretate diversamente dalla Corte d’appello, in buona sostanza prospetta impropriamente una difforme ricostruzione fattuale e sollecita un nuovo riesame valutativo.

Occorre, peraltro, ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori (in tesi gli atti del processo penale a carico degli zii paterni su denuncia dell’odierna ricorrente e conclusosi con l’archiviazione) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatti-o storici-o, rilevanti-e in causa (nella specie le condotte dei genitori, la loro relazione con la minore e le problematicità emerse anche nel contesto complessivo della famiglia di origine di ciascun genitore), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante cfr. Cass. n. 27415/2018).

Generico, oltre che inconferente, è il richiamo della normativa Europea e internazionale, prospettato in ricorso sul presupposto di una “rottura” del legame con la madre che non trova riscontro nel regime di frequentazione con la figlia dettato dai giudici di merito e anche, in concreto, nelle relazioni dei servizi sociali e della neuropsichiatra citate nel decreto impugnato, da cui era emerso che C.C. esprimeva sentimenti positivi nei confronti di entrambi i genitori e stata costruendo un rapporto equilibrato e equidistante con entrambi. Il riferimento all’ascolto della minore, indicato nella rubrica del settimo motivo, non risulta neppure illustrato nell’esposizione di detto mezzo, difettando, al riguardo, una compiuta e pertinente critica>>.

Non chiara la SC: una cosa è l’errata percezione delle risultanze istruttorie; un’altra è l’errata applicazione ad esse del canone normativo del best interest of the child (art. 337 ter c.2 cc: “con esclusivo rierimento all’interesse morale e materiale” della prole, che è violazione di legge.

La mancata audizione del minore infradodicenne è giustificata anche in presenza di “suo turbamento e disagio”: un nuovo caso di legittimo non ascolto?

Cass. Sez. I, Ord. n. 3.465 del 07.02.2024, rel. Pazzi, sull’ascolto del minore infradodicenne (art. 337 octies c.1 cc; regola sostanzialmente uguale nella corrispondente norma del rito di famiglia Cartabia, art. 473 bis.4 c.1 cpc):

<<5.3 Non vi è dubbio che, in tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisca un adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore (cfr., per tutte, Cass. 1474/2021).

Il particolare valore di questa audizione in termini di contraddittorio sostanziale, nel senso illustrato al punto precedente, impone al giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, non solo se egli ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato a un esperto al di fuori di detto incarico (Cass. 12957/2018).

Si deve, tuttavia, ritenere che nel caso di specie il mancato ascolto del minore sia stato giustificato da un’espressa e adeguata motivazione, poiché la Corte di merito non si è affatto limitata a ricordare di non aver ascoltato il minore (nato il omissis e dunque infradodicenne nel corso dell’intero procedimento di appello) a seguito del ricorso presentato ai sensi dell’art. 709-ter cod. proc. civ., ma ha precisato che ciò è avvenuto “in considerazione del suo palese stato di turbamento e di disagio” (pag. 15), aggiungendo, poi, che anche nella successiva fase del processo persistevano le medesime ragioni per non disporre l’audizione (pag. 18).

Questa spiegazione, infatti, non può essere considerata come avulsa dal contesto motivazionale in cui è inserita, tramite il quale la Corte territoriale ha abbondantemente spiegato in cosa consisteva lo stato di turbamento e disagio addotto a ragione della mancata audizione, laddove a più riprese ha rappresentato che il bambino si era dimostrato fortemente influenzato dalle “modalità educative inadeguate” della madre, che avevano non solo ostacolato il suo sviluppo, ma anche provocato comportamenti respingenti nei confronti del padre non imputabili a quest’ultimo.

Il puntuale riferimento al “comportamento possessivo ed escludente” tenuto dall’odierna ricorrente, determinante la mancanza di un autonomo e spontaneo discernimento del bambino (influenzato dalla madre al punto da rendere non genuine dichiarazioni accusatorie nei confronti del padre; cfr. pag. 17), assolve, dunque, l’obbligo di motivazione a cui i giudici distrettuali erano tenuti per giustificare la sua mancata audizione>>.