Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 06/03/2025) 17/03/2025, n. 7121;
<<Analoghe considerazioni vanno fatte per quel che attiene al mantenimento della figlia.
L’incremento dell’assegno in favore di quest’ultima non poggia su elementi obiettivamente idonei a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
In generale, l’art. 316 bis c.c., comma 1, prevede, poi, che i genitori (anche quelli non sposati) devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Lo stesso criterio di proporzionalità deve essere seguito dal giudice, quando, finita la comunione di vita tra i genitori (siano essi sposati oppure no), è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi, dovendo considerare le risorse economiche di ciascuno (art. 337 ter c.c., comma 4, n. 4)), valutando anche i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (art. 337 ter c.c., comma 4, nn. 3) e 5)), quali modalità di adempimento in via diretta dell’obbligo di mantenimento che, pertanto, incidono sulla necessità e sull’entità del contributo al mantenimento in termini monetari.
In tale ottica, perché possa essere operata la revisione del contributo al mantenimento del figlio, non basta che si determini un mutamento di alcuni dei parametri di riferimento previsti dall’art. 337 ter c.c., comma 4, essendo necessario che tale mutamento comporti un’alterazione del principio della proporzionalità che aveva determinato la misura dell’assegno in questione.
In particolare, se sono ritenute esistenti maggiori spese per il mantenimento del figlio (art. 337 ter c.c., comma 4, n. 1), ciò non comporta un automatico aumento del contributo al mantenimento a carico del genitore obbligato, perché deve sempre essere garantito il rispetto del sopra menzionato principio della proporzionalità, da verificarsi in base ai parametri sopra indicati ai nn. 3, 4, e 5 dell’art. 337 ter c.c.
Ciò significa che, se risultano immutati tutti gli altri elementi di valutazione, che attengono al riparto interno dell’obbligo di mantenimento, l’aumento delle spese di mantenimento legate alla crescita del figlio, in relazione alle specifiche esigenze di quest’ultimo, deve comportare un aumento del contributo al mantenimento gravante sul genitore obbligato, perché altrimenti le maggiori spese graverebbero ingiustamente solo sull’altro.
Ove, tuttavia, le condizioni economiche dell’uno o dell’altro genitore dovessero cambiare, o il figlio decidesse di andare a vivere per più tempo presso l’abitazione dell’uno piuttosto che dell’altro (art. 337 ter c.c., comma 4, n. 3), la misura del contributo al mantenimento non potrebbe essere automaticamente aumentata solo perché il figlio è cresciuto, dovendo essere nuovamente operato il giudizio relativo alla proporzionalità incentrato sui parametri sopra indicati.
In sintesi, a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga esistenti tali maggiori spese, non è chiamato ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato in grado di giustificare l’aumento del contributo, ma deve limitarsi a verificare se tali maggiori spese comportino la necessità di rivedere l’assegno per assicurare la proporzionalità del suo contributo alla luce dei parametri fissati dall’art. 337 ter c.c., comma 4, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo con redditi (dei genitori) immutati (o mutati senza modificare la rispettiva debenza), ovvero non incidere sulla misura del contributo, ove le attuali consistenze economiche dei genitori non rilevino per la misura del contributo, come già determinato>>.