Assegno divorzile (privo della compononente perequativa) e assegno alimentare: quali differenze?

Cass. Civ., Sez. I, ord. 16 febbraio 2025 n. 3952, rel. Russo:

<<Nella maggior parte dei casi la differenza concreta tra un assegno di divorzio privato della sua componente compensativa -perequativa e un assegno alimentare potrebbe essere di scarso rilievo: se la finalità assistenziale assume rilievo preponderante rispetto a quella perequativo-compensativa, la quantificazione dell’assegno divorzile deve tendenzialmente effettuarsi sulla base dei criteri di cui all’art. 438 c.c., salvi gli opportuni adattamenti.
Si tratta però di un tendenziale avvicinamento dei calcoli nel procedimento di concreta quantificazione, da farsi tenendo presente la differenza concettuale e normativa tra i due istituti.
Di conseguenza, assegno alimentare e assegno divorzile con funzione assistenziale possono essere anche sensibilmente differenti nel quantum qualora si tratti di patrimoni ingenti.>>

(massima di Valeria Cianciolo in Ondif)

Parametri per la determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 11/02/2025 n. 3.506, rel. Caiazzo:

<<La ricorrente aveva appellato la sentenza di primo grado – che le aveva riconosciuto la misura di Euro 350,00 mensile – chiedendone l’aumento a Euro 1500,00 mensile, lamentando l’erronea applicazione delle norme disciplinati l’istituto, con riguardo al profilo assistenziale dell’assegno.

La ricorrente lamenta in particolare che la Corte d’Appello ha escluso anche il profilo assistenziale dell’assegno (accogliendo l’appello incidentale dell’ex marito), non avendo tenuto conto della rilevante sproporzione tra la situazione reddituale e patrimoniale tra le parti. Sul punto, in effetti, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che “se si considera che il matrimonio è avvenuto allorquando l’appellante aveva già compiuto 45 anni ed aveva certamente impostato correttamente la propria vita ed il proprio mantenimento, che il matrimonio stesso è durato solo 9 anni e che manca qualunque allegazione, che concretamente faccia ritenere che sussista tra le parti una sperequazione economica dovuta a scelte funzionali alla famiglia, che non consenta (oggi) all’appellante una vita dignitosa, di tal che il sacrificio deve essere compensato.”.

Inoltre, dalla sentenza di divorzio si evince che il Bi.Re. era socio “nella misura di 1/3 della Sassomet che presenta una notevole capacità di fatturato, ha circa 13/14 dipendenti, non sono stati prodotti documenti contabili recenti attestanti un calo dei ricavi che deve presumersi siano rimasti invariati e che quindi negli anni abbia accantonato notevoli risparmi, percepisce la pensione di Euro 1.885,22, è comproprietario di 95 porzioni di terreni e di 19 immobili”; di contro la Sl.Ir. ha prodotto solo le dichiarazioni dei redditi relative agli anni di imposta 2016-2019 da cui risulta che ha percepito annualmente soltanto la somma di Euro 4.200,00 a titolo di contributo erogato dai Servizi Sociali per l’affido della nipote”.

Invero, l’assegno di divorzio, avente funzione anche perequativa-compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l’assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass., n. 26520/2024).

Nel caso concreto, la ricorrente aveva allegato il notevole squilibrio tra le situazioni patrimoniale delle partii, e il fatto di essere impossidente e di non poter ricercare un lavoro, essendo disabile al 75%, considerata anche l’età avanzata (nata nel 1957).

La Corte territoriale ha ritenuto assorbente rilevare che la ricorrente lavorava continuativamente, sebbene in maniera irregolare, senza attribuire rilievo al suddetto squilibrio patrimoniale, alla disabilità dell’ex moglie e alla relativa età che costituiscono elementi oggettivi incidenti sulla capacità di ricercare un’occupazione o anche di conservare quella pregressa.

Al riguardo, non può essere sottaciuto che l’irregolarità del lavoro prestato, che comportava una certa dose di energia fisica, sia un fatto che – a prescindere dalle violazioni di legge relative ai diritti spettanti alla lavoratrice – oggettivamente rende incerta la prosecuzione dell’attività che risultava svolta dall’ex moglie alla data della sentenza impugnata – .

Ora, atteso che dagli atti emergeva chiaramente tra le parti la sperequazione tra redditi e patrimoni – resa particolarmente acuita dal fatto che l’ex marito era proprietario di ben 19 immobili e 95 porzioni di terreno-, la Corte di merito non ha compiuto una corretta ricognizione dei presupposti dell’assegno divorzile nella funzione assistenziale, avendo ritenuto che la ricorrente disponesse di un lavoro stabile, trascurando di valutare, come detto, la sua disabilità, la sua età, e la relativa influenza sulla capacità lavorativa futura, omettendo altresì di approfondire la questione dell’irregolarità del lavoro prestato>>.

Assegno di mantenimento da separazione e assegno divorzile: differenze e (alcune) somiglianze

Breve ripasso in tema da parte di Cass. sez. I, ord. 07/01/2025 n. 234, rel. Russo R. E. A.:

<<La Corte territoriale si è limitata ad affermare che la moglie al momento della separazione non lavorava e che ha diritto di conservare l’elevato tenore di vita mantenuto in costanza di convivenza, senza valutare se ella sia in possesso di risorse economiche tra le quali rileva certamente, oltre che l’eventuale patrimonio, anche la capacità lavorativa, da valutarsi in concreto e non in astratto (Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

2.1.- Non si tratta qui di estendere automaticamente alla separazione i principi affermati da questa Corte in tema di assegno divorzile (Cass. S.U. 18287/2018), quanto di verificare se sussistano i presupposti per ottenere l’assegno di mantenimento ed in che misura, con accuratezza e considerando la concreta situazione, pur tenendo fermo che assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è correlato al tenore di vita ed è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art 156 c.c.).

2.2.- Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

2.3.- Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale fintanto che il matrimonio non è sciolto; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale (Cass. n. 34728 del 12/12/2023 in motivazione).

3.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative. Tuttavia, deve rilevarsi che l’accertamento del diritto ad esser mantenuti dall’altro coniuge a seguito di separazione non è scisso dalla valutazione che la solidarietà presuppone un rapporto paritario e di reciproca lealtà, incompatibile con comportamenti parassitari diretti a trarre ingiustificati vantaggi dal coniuge separato. Più volte questa Corte ha sottolineato come anche nelle relazioni familiari valga il principio di autoresponsabilità che è strettamente correlato alla solidarietà; tutte le comunità solidali presuppongono che ciascuno contribuisca al benessere comune secondo le proprie capacità e che nessuno si sottragga ai propri doveri.

4. – Deve quindi rilevarsi che ferma la differenza tra assegno di divorzio e assegno di separazione, vi sono alcuni tratti comuni tra i due istituti e tra questi il presupposto che il richiedente sia privo di risorse adeguate. L’art. 156 parla invero di mancanza di “adeguati redditi propri”, e non di “mezzi adeguati” come l’art. 5 della legge divorzile, ma, ove il richiedente sia dotato di concreta e attuale capacità lavorativa e non la metta a frutto senza giustificato motivo la assenza di adeguati redditi propri non può considerarsi un fatto oggettivo involontario ma una scelta addebitabile allo stesso interessato.

4.1.- Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che il riconoscimento dell’assegno previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass. n. 20866 del 21/07/2021). Ed ancora si è affermato che l’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. n. 5817 del 09/03/2018; Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

Nella specie la Corte d’Appello di Napoli non ha fatto buon governo di questi principi nell’omettere qualsivoglia indagine sulle capacità lavorative concrete della richiedente assegno e non indagando sulla possibilità che la moglie si procuri redditi diversi, ad esempio da patrimonio, limitandosi ad affermare che la stessa al momento della separazione non lavorava>>.

Ancora sull’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 28/11/2024  n. 30.602, rel. Garri:

<<I criteri di cui all’art.5, comma 6, in esame costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’ an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà. (…).

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa.

Ciò detto, il giudice del merito dovrà effettuare un esame bifasico in ordine all’an debeatur dell’assegno divorzile in cui l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, nonché dello squilibrio economico/patrimoniale fra i coniugi costituisce un prius logico-giuridico e fattuale preliminare alla ulteriore valutazione dell’apporto dato dal coniuge economicamente più debole al c.d. menage familiare in costanza di rapporto matrimoniale>>.

Solo che a  tutta questa copiosa (e costante, tutto sommato) giurisporudenza sfugge che nell’art. 5.6 è solo il parametro dell’ultima parte che regola l’AN, mentre sono solo quelli della prima parte che regolano il QUANTUM.

Nella determinazione dell’assegno divorzile, la possibilità di critica dell’omessa disposizione di indagini economico-patrimoniali vale anche per l’omesso esame di contestazioni sull’esito delle indagini disposte

Cass. sez. I, ord. 27/11/2024n. 30.537, rel. Reggiani:

<<3.3. Nei giudizi di divorzio, inoltre, ai sensi dell’art. 5, comma 9, L. cit. (abrogato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, che ha introdotto l’art. 473-bis.2 c.p.c., ma applicabile al presente giudizio ratione temporis) i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al Presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune, con la precisazione che, in caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi se del caso, anche della polizia tributaria.

Questa Corte ha precisato che il potere di disporre indagini sui redditi è un potere senza dubbio discrezionale, il cui mancato esercizio può essere sindacato per vizio di motivazione, ove non venga attivato a fronte di richiesta fondata su fatti concreti e circostanziati, di cui non sia spiegata l’irrilevanza ai fini della decisione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013).

Tale principio opera anche nel caso in cui le indagini siano state effettuate, ma a fronte di contestazioni circostanziate sull’esito e la completezza delle stesse venga richiesto al giudice di discostarsi dall’elaborato peritale o di effettuare delle integrazioni.>>

Cass. sez. I, Ord. 18.10.2024, n. 27.043, rel. Parise:

Regola astratta

<Secondo il più recente orientamento di questa Corte, invero, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa (Cass. S.U. 32198/2021 ; Cass. 14256/2022). Infatti, alla luce delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e n. 32198/2021, la ricostruzione dell’assegno divorzile sulla base di un criterio non più soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta un temperamento del principio della perdita “automatica ed integrale” del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza.

È stato altresì precisato che, ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023) [solo che con la convivenza di fatto non nasce alcun obbligo, nemmeno dopo la L. 76/2016!!!!]. Si è affermato che il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. 14151/2022).

La coabitazione, dunque, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo”. Occorre, comunque, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729
c.c.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729
c.c. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche e, come si è detto, il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023citata)>>.

Applicata al caso de quo:

<<2.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi e, con motivazione congrua (Cass. S.U. 8053/2014), ha accertato che “gli elementi emersi, pacificamente assente la stabile convivenza (C.C. peraltro vive a R e non a P), non documentano con sufficiente certezza la formazione di una famiglia di fatto, non essendo prova sufficiente di una sostanziale comunione e condivisione di vita e di impegni economici i viaggi e le vacanze estive della coppia, la frequentazione domestica, documentata occasionalmente, né la dazione di somme di denaro nel periodo (marzo 2010 – 2018) in cui A.A. non le versava gli assegni (circostanza che aveva indotto la controparte ad iniziare azioni esecutive sulle quote delle società di famiglia del A.A., abbandonate dopo il pagamento da questi effettuato con denari provenienti da una eredità pervenutagli dalla madre), e che dopo tale pagamento la B.B. ha iniziato a parzialmente restituire come da documentazione prodotta già in primo grado”.

Dunque, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito non ha valorizzato solo la mancata coabitazione, ma ha valutato il compendio probatorio complessivo, pervenendo alla conclusione della mancata dimostrazione in causa della “famiglia di fatto”. Va ribadito che è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza, o della non ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 1216/2006; Cass. 15219/2007; Cass. 656/2014; Cass. 1792/2017, che ha affermato come il risultato dell’ accertamento in merito alla valida prova presuntiva, se adeguatamente e coerentemente motivato, “si sottrae al sindacato di legittimità, che è invece ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante”; Cass. 19987/2018; Cass. 1234/2019, ove si è ribadito che il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 , comma 1, n. 5, c.p.c.). È stato altresì chiarito, a tale riguardo, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 , n. 3, c.p.c. per violazione della norma dell’art. 2729 c.c., la critica non può svolgersi mediante argomentazioni dirette ad infirmare la plausibilità della ricostruzione del fatto da parte del giudice di merito (Cass. 18611/2021), come, invece, è nella specie, poiché il ricorrente in buona sostanza si limita a criticare la valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di merito (secondo motivo)>>.

Assegno di mantenimento da divorzio

Cass. sez. I ord. 11 ottobre 2024 n. 26.520,
Rel  Iofrida:

<<L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico – patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale>>.

(Nella fattispecie, il contributo dato dalla moglie alla formazione del patrimonio del marito e/o di quello comune è derivato dall’assunzione su di sé dell’onere di accudimento della casa e dei figli così da consentire al marito di dedicarsi alla propria carriera.

In punto quantificazione, considerato il testo della norma, la Corte d’appello si è riportata alla motivazione espressa in primo grado, integrandola correttamente con la considerazione della spettanza dello stesso in funzione perequativa – compensativa, tenuto conto della durata del matrimonio, dell’età dell’avente diritto, del contributo fornito dalla moglie alla condizione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale dell’ex coniuge, del venir meno dell’assegnazione della casa coniugale e così rispettando dunque i parametri di legge).

(massima e commento di Cesare Fossati in Ondif)

La componente compensativo-perequativa nella determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 19/08/2024  n.22.942, rel. Caiazzo:

<<Il ricorrente lamenta l’omesso esame del nesso causale, da una parte, tra il contributo alla vita familiare della ex moglie e la formazione del patrimonio comune e personale degli ex coniugi e, dall’altra parte, la rinuncia da parte della stessa di opportunità lavorative o professionali, nonché l’omesso esame della questione dell’impossibilità della controricorrente di procurarsi migliori occasioni di lavoro.

Al riguardo, va rilevato che l’assegno divorzile assolve una funzione non solo assistenziale, ma anche compensativo-perequativa che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole; ne consegue che detto assegno deve essere riconosciuto, in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, non solo quando la rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole sia il frutto di un accordo intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, esprime una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio (Cass., n. 4328/24). Nel caso concreto, la Corte territoriale ha esaminato i fatti sottesi alle predette questioni e, attraverso un ragionamento presuntivo, come detto, è pervenuta al convincimento che la madre si era prevalentemente dedicata alla crescita del figlio, di 17 anni- fatto ritenuto non contestato dalla controparte- anche se coadiuvata da colf e baby-sitter, e che il ricorrente abbia potuto dedicare gran parte delle sue energie all’attività lavorativa, anche grazie a tale maggior contributo dell’ex moglie nella gestione familiare e nell’accudimento del figlio, considerando altresì la durata del matrimonio>>.

No assegno divorzile quando il matrimonio è stata di brevissima durata

Cass. sez. I, ord. 05/08/2024 n. 21.955, est. Tricomi:

<<Non spetta l’assegno divorzile in funzione assistenziale qualora la breve durata del matrimonio non abbia consentito l’effettiva realizzazione di una comunione di vita tra i coniugi, che costituisce, secondo quanto previsto dall’art. 1 L. 898/1970, l’essenza stessa del matrimonio in difetto, altresì, di una convivenza continuativa ed effettiva>> (massima di Cesare Fossati in ONDIF)

Sulla durata del matrimonio:  “erano rimasti uniti in matrimonio dal 15 maggio 2004 al 17 gennaio 2005 e poi, dopo una richiesta di separazione avanzata dalla moglie, dal 4 dicembre 2007, quando era intervenuta la riconciliazione, al 15 giugno 2009, anno in cui era stato introdotto un altro giudizio di separazione, senza la nascita di prole”

La revoca della casa familiare non dà luogo automaticamente al diritto di vedersi incrementato l’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 13/06/2024 n. 16.462, rel. Valentino, con insegnamento esatto anche se scontato:

<<9.1 – La censura è fondata. In tema di divorzio, la revoca dell’assegnazione della casa familiare al coniuge beneficiario dell’assegno divorzile non giustifica l’automatico aumento di tale assegno, trattandosi di un provvedimento che ha come esclusivo presupposto l’accertamento del venir meno dell’interesse dei figli alla conservazione dell’habitat domestico, in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell’autosufficienza economica, o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario (Cass., n.20452-2022) e la revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio, in quanto il relativo godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell’ambiente familiare in favore dei figli, riveste valore economico tanto per l’assegnatario, che ne viene privato con la revoca, quanto per l’altro ex coniuge, che se ne avvantaggia attraverso il compimento di attività suscettibili di valutazione economica, che gli erano state precluse col provvedimento di assegnazione, potendo lo stesso andarvi ad abitare o concederla in locazione o impiegarla per la produzione di reddito (Cass., n. 7961-2024). Questi elementi già presenti in primo grado possono rilevare, nei sensi indicati, ai fini della determinazione del quantum dell’assegno divorzile, ma vanno considerati, ove ravvisata la necessità di contribuzione, avuto riguardo ad un’esigenza abitativa astrattamente considerata ed al quantum dell’assegno già complessivamente riconosciuto. Orbene, la valutazione di questo elemento non può variare, in assenza di ulteriori e specifiche ragioni, solo in funzione dell’effettivo costo concretamente sostenuto per soddisfare la specifica scelta abitativa che, di volta in volta, il titolare dell’assegno divorzile possa fare. La Corte non ha tenuto conto, inoltre, che la raggiunta autosufficienza economica dei figli si riverbera sia sul padre che sulla madre, facendo venir meno per entrambi (e non soltanto per l’ex coniuge che provvede al mantenimento indiretto) l’obbligo di mantenimento e quindi, determina per entrambi una maggiore disponibilità economica>>.