Richiesto uno squilibrio economico per l’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 13/05/2024  n. 12.953, rel. Meloni:

fatti

<<Con ricorso notificato l’11.03.2022 Ma.An. impugnò la sentenza n. 1167/2021 pubblicata il 19 agosto 2021 nel giudizio n. 3526/2018 dal Tribunale di Nocera Inferiore, prima sezione civile, che negava il riconoscimento di un assegno divorzile alla medesima censurandola con particolare riguardo alla insussistenza dello squilibrio economico tra i coniugi così come ritenuta dal Tribunale. L’appellante affermò nell’atto di appello di aver dovuto locare un immobile da adibire a casa familiare, inoltre evidenziò di aver iniziato a lavorare soltanto nel 2004 all’età di 47 anni, perché i coniugi di comune accordo stabilirono che la stessa dovesse sacrificare le proprie aspettative professionali per dedicarsi unicamente al menage familiare, ed infine dimostrò attraverso i modelli 730/2016,2017 e 2018 di essere titolare di un reddito imponibile di circa 25.000,00.

La Corte di Appello di Salerno, in riforma dell’impugnata sentenza, attribuì all’appellante un assegno divorzile di euro 200,00 ritenendo che: “tra i coniugi è poi, documentata una disparità reddituale, atteso che dai modelli 730/2016,2107 e 2018 di parte appellante risulta un reddito imponibile di circa 25.000,00 mentre dalla documentazione fiscale di parte appellata risulta un reddito imponibile di circa 32.000,00 euro. Allo stato, dunque, alla luce dei principi giurisprudenziali richiamati si ritiene che Ma.An. abbia diritto ad un assegno di divorzio nella misura minima di euro 200,00, considerata la situazione complessiva delle parti come sopra delineata”. (…)  La Corte di merito così ha motivato: “Orbene, nel caso di specie deve rilevarsi che il matrimonio contratto nel 1984 ha avuto lunga durata (circa 29 anni), dall’unione non sono nati figli, Ma.An., prima di iniziare l’attività lavorativa quale dipendente ASL nel 2004 (come documentato dall’estratto conto INPS) ha necessariamente contribuito con il proprio lavoro personale e casalingo al menage familiare. Dopo la cessazione della unione matrimoniale, mentre Fr.An. ha continuato a vivere nella casa familiare di sua proprietà, la moglie ha dovuto locare un appartamento, come da contratto di locazione in atti, dal quale si desume la pattuizione di un canone mensile di euro 370,00, oltre spese. Tra i coniugi è, poi, documentata una disparità reddituale, atteso che dai modelli 730/2016, 2017 e 2018 di parte appellante risulta un reddito imponibile di circa 25.000,00, mentre dalla documentazione fiscale di parte appellata risulta un reddito imponibile di circa 32.000,00 euro.” >>

Diritto:

<<Se questi sono i fatti emersi pacificamente e riconosciuti da parte dei Giudici di Appello, non emerge un sostanziale squilibrio delle rispettive condizioni reddituali delle parti trattandosi di una differenza minimale. La Corte di Appello di Salerno nel caso di specie ha applicato non correttamente l’art. 5 comma 6 della Legge 898 del 1970, avendo fondato anzitutto il suo errato convincimento sulla circostanza (Pag. 7 della sentenza – parte finale) che la ex moglie prima di iniziare l’attività lavorativa quale dipendente ASL nel 2004, avrebbe necessariamente contribuito con il proprio lavoro personale e casalingo al menage familiare. Tuttavia tale ultima circostanza non è stata provata ma risulta formulata in forma ipotetica e non all’esito di valutazione presuntiva di mezzi di prova.

In mancanza di tale riscontro e dell’allegazione di un’esigenza specifica di carattere assistenziale, il modesto squilibrio reddituale è del tutto inidoneo, in via esclusiva a fondare il diritto all’attribuzione dell’assegno di divorzio.

Si deve rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, nr. 18287 del 11/07/2018) hanno affermato riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (sul punto anche Cass. 5603/2020 e 17098/2019).

Ciò premesso nel caso concreto, oltre alla comparazione reddituale e al mancato svolgimento di attività lavorativa in corso di matrimonio, non si ravvisa alcun altro elemento indiziante l’applicazione del criterio compensativo e, come già rilevato, non è stata allegata un’esigenza specificamente assistenziale, tenuto conto del fatto che la mancanza di figli esclude dalle statuizioni post scioglimento del vincolo quella relativa all’assegnazione della casa coniugale.

Il ricorso deve quindi essere accolto, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Salerno anche per le spese del giudizio di legittimità perché si proceda al concreto accertamento della sussistenza in concreto di elementi di fatto idonei a consentire l’applicazione del criterio compensativo>>.

Ancora sulla funzione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 29/04/2024 n. 11.479, rel. Valentino:

<<6.1 – La censura è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi ed offre una peculiare interpretazione della sentenza delle S.U. citata. Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico – patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto (Cass., S.U. n. 18287/2018). Nella motivazione della sentenza si chiarisce limpidamente la funzione e i rapporti esistenti tra i vari criteri: l’arresto di Cass., n. 11504/2017 si è “(…) pur condividendo la premessa sistematica relativa alla rigida distinzione tra criterio attributivo e determinativo, ha individuato come parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, la non autosufficienza economica dello stesso ed ha stabilito che solo all’esito del positivo accertamento di tale presupposto possano essere esaminati in funzione ampliativa del quantum i criteri determinativi dell’assegno indicati nella prima parte della norma”. La sentenza svolge la sua significativa statuizione esaltando il valore degli altri parametri in sintonia con i principi di autoresponsabilità e solidarietà, ma soltanto come elementi che incidono sulla quantificazione dell’assegno che creano vincoli ineludibili per il giudice di merito che non può considerare come parametro il pregresso tenore di vita. La Corte statuisce che: “Al fine di indicare un percorso interpretativo che tenga conto sia dell’esigenza riequilibratrice posta a base della dell’orientamento proposto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 11490 del 1990 sia della necessità di attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio anche in relazione agli standards Europei, questa Corte ritiene di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell’art. 5, c.6, più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito, come già evidenziato, dagli artt. 2,3 e 29 Cost.”. “Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari”. La norma regolatrice dell’assegno “conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente”. Elementi tutti che la Corte di merito ha elencato e valutato con chiarezza evidenziando che la scelta di dedicarsi ad un ruolo esclusivamente endofamiliare sia stata condivisa e che le attualità difficoltà del sistema economico rendevano particolarmente complesso la ricerca di un lavoro adeguato alla specificità professionale e compatibile con il ruolo di madre della controricorrente. Si può riconoscere l’assegno divorzile soltanto sulla base del criterio assistenziale; e il mero accertamento della potenziale capacità lavorativa diviene inadeguato se la parte prova, efficacemente, che allo stato le richieste di lavoro non sono state accolte>>.

la sopravvenuta stabile convivenza è causa di revisione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 30/04/2024 n. 11.627, rel. Meloni, sull’art. 8 legge divorzio:

<<Nel caso in esame la Corte d’appello ha ampiamente motivato in ordine al presunto giudicato: ” ritiene la Corte che il provvedimento impugnato debba essere confermato posto che si rilevano circostanze sopravvenute e provate dalla controparte tali da alterare l’equilibrio raggiunto e accertato in precedenza dal medesimo Tribunale nell’ambito del processo di divorzio, la cui sentenza è stata impugnata e poi confermata dalla Corte di Appello e, successivamente, anche dalla Suprema Corte di Cassazione, ma, a differenza di quanto sostenuto dalla reclamante, non ha delibato l’aspetto della consolidata convivenza con il Bu.Fr., che costituisce dunque l’elemento nuovo che ha legittimato la revoca dell’assegno divorzile ivi riconosciuto in suo favore: nella sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio si era fatto invece riferimento ad una precedente relazione della Gi.An., che però era da poco cessata e si fa cenno in sede di appello all’inizio di una nuova convivenza, che all’epoca dunque non era consolidata. Ed invero, la produzione dei documenti significativi della stabilità della convivenza in sede in primo grado è avvenuta in occasione dell’udienza di trattazione e comunque di questi ha preso atto il legale della reclamante che a verbale ha dichiarato di non contestarli dovendo rilevarsi che ben poteva interloquire sul punto chiedendo un termine per note sicché la produzione non può ritenersi irrituale alla luce della libertà delle forme di cui ai procedimenti di volontaria giurisdizione. In buona sostanza un elemento nuovo c’è che giustificherebbe la modifica delle condizioni di divorzio e cioè la stabile convivenza della reclamante con il Bu.Fr., che dura da moltissimi anni, tanto che gli accertamenti prodotti sono stati fatti da un’agenzia investigativa nel corso di 12 anni, ed è significativo che egli stesso abbia ricevuto la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado qualificandosi come persona di famiglia convivente, mentre a nulla rileva a questi fini che questi mantenga la residenza anagrafica in altro Comune. Da un lato, quindi, abbiamo una relazione di convivenza stabile, un nuovo progetto famigliare che dura da anni e che non può essere messo in discussione e deve ritenersi elemento nuovo rispetto alla sentenza di divorzio.”. Sulla base di tali sovrani accertamenti di merito, non è né illogico né irrazionale concludere – come ha fatto la Corte territoriale – che, nel caso, era venuta del tutto meno la componente relativa alla funzione assistenziale dell’assegno divorzile.

Con riguardo alla componente compensativa, la Corte ha così motivato:” come ha osservato il Tribunale di Pescara, la ricorrente non ha fornito elementi, già in occasione della causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di aver contribuito alla comunione familiare, così come nella memoria difensiva, dovendosi ritenere all’uopo certamente non sufficiente il dato del mancato svolgimento di attività lavorativa, avendo in proposito la Suprema Corte evidenziato (Cass. n. 21228/2019, richiamata dalle Sezioni Unite sopra citate) che il giudice di merito non potrà nemmeno presumere, puramente e semplicemente, che il non aver uno dei due coniugi svolto alcuna attività lavorativa sia da ascrivere ad una scelta comune dei coniugi e neppure che il non aver svolto attività lavorativa abbia di per sé sicuramente giovato al successo professionale dell’altro coniuge”.

I motivi proposti nel presente ricorso, pertanto, non sono idonei a censurare tali passaggi argomentativi che costituiscono accertamenti di merito non rivalutabili in questa sede>>.

Affidamento dei figli e assegno divorzile

Cass.  sez. I, Ord. 11/04/2024 n. 9.839, rel. Russo R.E.A.:

sul punto 1:

<<La Corte d’appello si è quindi correttamente attenuta, nel regolare l’affidamento, a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass. n. 18817 del 23/09/2015; Cass. n. 14728 del 19/07/2016; Cass. n. 28244 del 04/11/2019.) La Corte distrettuale ha altresì tenuto conto del fatto che costituisce giurisprudenza consolidata, anche sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte EDU, che per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare e che l’autorità giudiziale deve predisporre misure volte ad attuare, salvo che non sussistano serie controindicazioni, il diritto alla bigenitorialità (cfr. Kutzner c. Germania, n. 46544/99, Corte EDU 2002; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Cass. n. 9764 del 08/04/2019; Cass. n. 19323 del 17/09/2020)>>.

Sul punto 2:

<< La Corte distrettuale, da un lato, ritiene adeguata la ricostruzione dei redditi e in genere delle condizioni economiche delle parti effettuate dal Tribunale, dall’altro, senza condurre ulteriori indagini su quelle che sono le attuali condizioni economiche di tali parti, ha ridotto l’assegno già disposto dal giudice di primo grado in favore dei figli, genericamente menzionando le “esigenze di vita dei figli”, che non vengono però nel concreto specificate, e facendo riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per come rappresentate dalle condizioni di separazione. Ciò senza tenere conto che le condizioni della separazione erano dirette ad assicurare il mantenimento di due bambini in tenerissima età e che normalmente le esigenze dei figli crescono nel corso del loro sviluppo; ed inoltre che, tra il tempo della separazione e quello del divorzio, sono intercorse molteplici vicende tra cui le riferite vicissitudini giudiziarie conseguenti al fallimento delle iniziative economiche intraprese dal B.B. sul territorio nazionale, che lo hanno indotto a espatriare e vivere a lungo negli Emirati Arabi per poi rientrare in Italia, pur se – a quanto deduce la ricorrente – i suoi affari sono attualmente legati a società estere; e infine, ma non ultimo, che, nel momento in cui si ritiene corretta la ricostruzione dei redditi operata dal giudice di primo grado, per discostarsi dalle sue valutazioni sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata. Inoltre, la circostanza che nessuna delle parti abbia depositato dichiarazioni dei redditi aggiornati nulla sposta, perché in tali casi il giudice può, o addirittura deve, disporre indagini di polizia tributaria (Cass. n. 22616 del 19/07/2022).

4.1. – Pertanto, il giudizio sul quantum del mantenimento dei figli dovrà essere rivisto ed aggiornato alla attualità, tenendo conto che nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 4145 del 10/02/2023) Il contributo al mantenimento dei figli, si caratterizza per la sua bidimensionalità, poiché da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi é il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (Cass. n. 2536 del 26/01/2024).

(…)

Inoltre, la Corte distrettuale pur dando atto che la A.A. ha una professionalità, in quanto avvocato, e una età che le consente di reinserirsi nel mondo del lavoro, ed è proprietaria di un discreto patrimonio immobiliare, non pienamente sfruttato economicamente, ritiene di confermare l’assegno pur riducendolo, poiché “la situazione è da valutare in relazione al contesto sociale della famiglia, che ha avuto un elevato tenore di vita”.

Con questa ultima argomentazione il giudice d’appello fa cattiva applicazione del principio, ormai solido nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. sez. un n. 18287 del 11/07/2018) Ed ancora, si è affermato che il tenore di vita matrimoniale è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno e che l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 22738 del 11/08/2021).>>.

Funzione dell’assgno divorzile a costitizione di trust

Cass. sez. I, ord. 03/04/2024 n. 8.859, rel. Caiazzo:

<<La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass., SU, n. 18287/18).

In tema di attribuzione dell’assegno divorzile e in considerazione della sua funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, il giudice del merito deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte “manente matrimonio”, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali – reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente; a tal fine, l’assunzione, in tutto o in parte, delle spese di ristrutturazione dell’immobile adibito a casa coniugale, di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, non costituisce ex se prova del suddetto contributo, rientrando piuttosto nell’ambito dei doveri primari di solidarietà e reciproca contribuzione ai bisogni della famiglia durante la comunione di vita coniugale (Cass., n. 9144/23).

Nella specie, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, il thema decidendum consiste nel verificare se la Corte d’appello abbia correttamente applicato i principi affermati dapprima dalle Sezioni Unite, e poi ribaditi da questa stessa Sezione, in ordine ai presupposti dell’assegno divorzile.

In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata che non avrebbe motivato sul contributo dell’ex moglie alla formazione del patrimonio comune, o dell’ex coniuge; la So.Ro. ha sostanzialmente replicato che avrebbe contribuito alla formazione del trust che, sebbene formalmente di proprietà della madre del ricorrente, si sarebbe costituito con il contributo di entrambi i coniugi (s’invoca la proprietà indivisa, in comunione).

Al riguardo, la Corte d’appello, nell’argomentare sui presupposti dell’assegno divorzile, ha affermato che “..considerando le utilità connesse all’essere beneficiaria, insieme al coniuge, dei proventi di gestione del trust, l’appellata non aveva certamente investito in proprie aspettative professionali, che pur ha coltivato..”.

La controricorrente assume altresì che la prova di tale comproprietà sarebbe desumibile dalle lettere inviatele dal ricorrente nelle quali avrebbe sostanzialmente riconosciuto tale comproprietà, prescindendo dai dati formali (e ciò sebbene la stessa controricorrente abbia eccepito, infondatamente, l’improcedibilità del ricorso proprio per la mancata regolare produzione di tali lettere).

Orbene, come detto, la Corte territoriale ha fatto riferimento, genericamente, alle utilità che l’ex moglie traeva dal trust, ma non ha certo argomentato su una proprietà comune indivisa (in tal senso, alla luce della narrazione della controricorrente, emerge che neppure il Tribunale abbia chiaramente affermato ciò).

Si può dunque ragionevolmente presumere che l’ex moglie beneficiasse delle rendite del trust allo stesso modo di ogni utilità connessa al tenore di vita garantito dalla rilevante consistenza del patrimonio e del reddito dell’ex marito.

Pertanto, può affermarsi che, effettivamente, come lamentato dal ricorrente, la Corte d’appello abbia riconosciuto la funzione perequativa – assistenziale dell’assegno divorzile, senza nessuna evidenza probatoria del contributo che l’ex moglie avrebbe apportato alla formazione del patrimonio comune, o dell’ex marito, né di rinunce ad aspettative professionali (al riguardo, la So.Ro. assume di non svolgere l’attività di psicoterapeuta dal 2013), considerando altresì che la sentenza impugnata ha accertato che l’unico figlio, convivente dall’età di 12 anni con il padre, sia stato poi accudito e mantenuto esclusivamente dallo stesso genitore.

Inoltre, la corte d’appello ha accertato che il patrimonio della So.Ro. è consistente e, quantunque, di dimensioni inferiori a quello del ricorrente, certo idoneo alla richiedente per garantire di vivere autonomamente e dignitosamente.

Peraltro, la questione della contitolarità del patrimonio costituente il trust (prescindendo dalla valenza probatoria che s’intenda attribuire alle lettere inviate dal ricorrente all’allora moglie, di cui la sentenza impugnata non discorre) non può, in astratto, venire in rilievo ai fini dell’assegno divorzile, ma solo in ordine all’accertamento delle comproprietà; ma il ricorrente adduce la sentenza del marzo 2022, che avrebbe riconosciuto la titolarità del trust in capo alla propria madre; tale sentenza risulta depositata in cassazione, indicata al punto 5.ci del relativo indice, da intendersi come inammissibile produzione di documento nuovo.

Invero, nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, c.p.c. (Cass., n. 18464/18; n. 4415/20).

In definitiva, deve affermarsi che la motivazione della Corte territoriale risulta di fatto imperniata sul mantenimento del tenore di vita pregresso di cui godeva l’ex moglie e, pertanto, non è rispettosa dei principi affermati dalla richiamata elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, ai fini della liquidazione dell’assegno divorzile, dei quali ha sostanzialmente omesso l’esame>>.

Sui criteri determinativi dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 15/03/2024 n.  7.069, rel. Reggiani:

<<Dalla lettura della menzionata ordinanza si evince chiaramente che questa Corte, nel richiamare la decisione delle Sezioni Unite del 2018 (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 dell’11/07/2018), ha ribadito il principio secondo cui il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, richiede ai fini dell’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, l’applicazione dei criteri contenuti nella prima parte della norma, i quali costituiscono, in posizione pari ordinata, i parametri cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’ assegno. Il giudizio, premessa la valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, avrà ad oggetto, in particolare, il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Nel valutare la statuizione impugnata, poi, ha rilevato che “3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel richiamare la pronuncia di questa Corte n. 11504/2017, ha basato il proprio convincimento ed ha motivato il percorso argomentativo della decisione assunta prendendo in considerazione, quanto alla situazione dell’attuale ricorrente, il solo requisito dell’inesistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli, senza attenersi ai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18287/2018 e senza, quindi, effettuare alcuna valutazione comparativa degli altri parametri rilevanti nel senso precisato, alla stregua delle circostanze allegate da parte della ex moglie, come indicate in ricorso, anche in relazione al ruolo che assume di avere svolto all’interno della coppia durante la vita matrimoniale. Resta da aggiungere che la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti in virtù di un nuovo orientamento interpretativo termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativa, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio (Cass. n. 11178/2019)” (p. 4-5 dell’ordinanza n. 17426/2020 di questa Corte).

È pertanto evidente che la pronuncia di legittimità ha imposto un rinnovato giudizio in ordine al diritto all’attribuzione dell’assegno divorzile e alla sua quantificazione, che rimette in gioco tutti i parametri normativi previsti>>.

Nella revisione delle condizioni di divorzio costituisce sopravvenienza valutabile per l’aumento dell’assegno divorzile la revoca dell’assegnazione della casa familiare

Cass. Sez. I, Ord. 25/03/2024 n. 7.961, rel. Reggiani, pone il seguente principi odi diritto sulla revisione dell’assegno divorzile:

In tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce sopravvenienza valutabile, ai fini dell’accertamento dei giustificato motivi per l’aumento dell’assegno divorzile, la revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell’ambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per l’assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l’altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca, potendo andare ad abitare la casa coniugale o concederla in locazione a terzi o comunque impiegarla in attività produttive, compiendo attività suscettibili di valutazione economica che, durante l’assegnazione all’altro coniuge, non erano consentite.”

Debito per assegno di mantenrimento e sopravvenienza di figli per il debiore

Cass.  sez. I, ORD. 12/03/2024,  n. 6.455, rel. Tricomi:

<<Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la quantificazione dell’assegno di mantenimento previsto in favore del figlio, deve tenere conto non solo delle “rispettive sostanze”, ma anche della capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali (Cass. n. 6197/2005 e Cass. n. 3974/2002), in uno con la considerazione delle esigenze attuali del figlio (Cass. n. 4811/2018; Cass., n. 16739/2020 e Cass. n. 19299/2020), nonché dei tempi di permanenza dello stesso presso ciascuno dei genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti (Cass. n. 17089/2013).

Inoltre, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli con il nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza che può incidere nella determinazione dell’importo dovuto in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico (Cass. n. 14175/2016; Cass. n. 21818/2021). [o incide o non incide: non può essere che “possa incidere”]

Nel caso in esame, la Corte di merito non si è attenuta ai principi ricordati, essendo la motivazione sul raddoppio del mantenimento della figlia minore del tutto generica ed apodittica, oltre che costituente violazione delle norme succitate, essendo fondata sul solo presuntivo incremento delle esigenze della minore e sulla valorizzazione della più ampia permanenza temporale presso la madre, atteso che non vengono in alcun modo illustrate le ragioni del così cospicuo aumento, né vengono presi in esame ad alcun titolo i sopravvenuti oneri di mantenimento rispetto alla nuova prole dello Za.Ma>>.

E poi sul tema in generale ripete le note consideraizoni della sezione (anzi del relatore):

<<Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U. n.18287/2018).

Nella specie, la Corte d’appello – pur avendo accertato che, al momento della decisione, la moglie aveva quasi cinquanta anni, che la medesima, pur essendo laureata, si era sempre dedicata alla cura della figlia, pur avendo ricevuto diverse proposte di lavoro, e che aveva comunque cercato di lavorare, trasferendosi all’estero – ha negato l’assegno, sulla base del riscontro di un diritto di abitazione acquisito su di una casa in Firenze e della nuda proprietà di altra abitazione, senza effettuare ulteriori accertamenti sui redditi effettivi della medesima, e sulla sua ipotetica autosufficienza economica. La Corte ha, poi, del tutto omesso di effettuare una valutazione comparativa con i redditi del marito, neppure indicati, e sul contributo dato dalla donna alla formazione del patrimonio familiare, rinunciando ad accettare le proposte di lavoro dalla stessa Corte elencate>>.

Ancora su assegno di mantenimento e convivenza more uxorio

Cass. sez. I, ord.  12/03/2024  n. 6.443, rel. Tricomo:

<<3.2.- Come chiarito nei precedenti di legittimità (Cass. n.3645/2023 e Cass. n. 14151/2022, Cass. n.34374/2023, in motivazione), la coabitazione assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo” e la Corte di appello si è attenuta a tale principio, perché non si è limitata a valorizzare la circostanza dell’assenza di coabitazione, ma ha affermato che non risultava provato nemmeno un progetto comune di vita.

Orbene, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, occorre che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal comma 1 dell’art. 2729 cod.civ.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729 cod.civ. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio.

Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche. Il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno.

3.3.- La Corte d’appello si è attenuta a detti principi ed ha individuato plurimi elementi sintomatici dell’instaurazione di una relazione affettiva stabile e duratura (relazione investigativa confermata dal titolare dell’Agenzia, materiale fotografico documentante atteggiamenti intimi non meramente amicali, ruolo assunto da Cr. nella gestione del conto corrente intestato alla Ca.Sa., partecipazione di Cr. all’asta per la vendita dell’immobile di cui gli ex coniugi erano proprietari, acquisizione da parte di Ca.Sa. del diritto di abitazione dell’immobile di proprietà di Cr. per sua cessione, prove testimoniali, etc.), non utilmente elisi dalle avverse deduzioni della ricorrente, elementi che manifestano l’esistenza – non contestata – di un legame affettivo e di un effettivo progetto di vita comune tra l’ex coniuge e il terzo, con una effettiva compartecipazione alle spese di entrambi.

3.4.- A fronte di tali accertamenti in fatto, il ricorso tende evidentemente ad una rivalutazione del merito. (…)  . Va, inoltre, ribadito che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass. n. 29730/2020; Cass. n. 3601/2006)>>.

E poi sull’an e quantum in generale:

<<4.2.- Com’è noto, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 18287/2018) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, pertanto, dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, l. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita assistenziale e perequativo-compensativa di detto assegno (Cass. n. 32398/2019).

II giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

La natura perequativo-compensativa, poi, discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo, volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate.

In altre parole, il giudice del merito è chiamato ad accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (Cass. n. 9144/2023; Cass. n. 23583/2022; Cass. n. 38362/2021).

Infine, qualora – come nel caso di specie – sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa, dovendo fornire la prova secondo i criteri già indicati (Cass. Sez. U. n. 32198/2021)>>.

Ancora sull’assegno divorzile

Cass sez. I, ord. 08/03/2024  n. 6.263, rel. Caiazzo:

<<l riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto del mancato svolgimento della propria attività lavorativa per il periodo di due anni nel quale aveva seguito la famiglia in Polonia. Il secondo e terzo motivo (spettanza dell’assegno divorzile), aventi carattere preliminare rispetto al primo (misura dell’assegno divorzile)-esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi- sono fondati.

All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto (Cass., S.U. 18287/2018).

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento; tuttavia tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa>>.

Il rapporto tra le due funzioni (perequativa; assistenziale) non è chiarito adeguatamente, però.

Poi:

<<Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021; Cass. 23583/2022; Cass. 9144/2923).>>

Applicato al caso sub iudice:

<<Nel caso di specie, la Corte d’appello, con una motivazione più che stringata, ha ritenuto non provate le condizioni per il riconoscimento dell’assegno divorzile, poiché la Fe. insegna ed è proprietaria della porzione di casa in cui vive, e non provato – a differenza di quanto aveva ritenuto il giudice di primo grado, e senza alcun mutamento del quadro probatorio – che la medesima avesse perso la retribuzione e i contributi per il trattamento pensionistico per i 20 mesi nei quali aveva seguito il marito in Polonia, per ragioni di lavoro del medesimo. Orbene, la Corte territoriale non ha tenuto conto della durata (23 anni) del matrimonio, dell’età (circa 60 anni) della Fe., del fatto pacifico, che la stessa si fosse recata per 20 mesi in Polonia al seguito del marito, del fatto – del pari pacifico, essendo stato riconosciuto anche in questa sede dal Carver nel controricorso – che la ex moglie si era messa in aspettativa ai sensi della l. 26/1980, che prevede che il dipendente in aspettativa non ha diritto ad alcun assegno (art. 2) e che “Il tempo trascorso in aspettativa concessa ai sensi dello articolo 1 della presente legge non è computato ai fini della progressione di carriera, dell’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza”>>.