La convivenza more uxorio anteriore al matrimonio rileva ai fini della determinazione dell’assegno divorzile

Ripasso significaivo dei principi in mafteria da aprrte di Cass. sez. un. 35385 del 18.12.2023, rel. Iofrida:

<<6.8. In definitiva, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi, in ragione di un progetto di vita comune, a una convivenza prematrimoniale della coppia, vertendosi, al più, in “fasi di un’unica storia dello stesso nucleo familiare” (si è parlato, in dottrina (a) di una convivenza che si distingue da tutte le altre, in quanto “scrutata retrospettivamente essa quasi muta sostanza e partecipa della natura del matrimonio che l’ha seguita” ovvero (b) del fatto che, nell’ipotesi in cui le nozze siano state precedute da una significativa convivenza prematrimoniale, “la decisione di sposarsi includa anche la volontà di compensare (nel caso di futuro divorzio) i sacrifici effettuati in attuazione di un indirizzo comune già concordato ed attuato per un significativo periodo precedente alle nozze” ovvero ancora della circostanza (c) che ” le parti, contraendo un’unione formalizzata, hanno dimostrato la volontà non soltanto di impegnarsi reciprocamente per il futuro, ma anche di dare continuità alla vita familiare pregressa, inglobandone l’organizzazione all’interno delle condizioni di vita del matrimonio o dell’unione civile”), va computato, ai fini dell’assegno divorzile, il periodo della convivenza prematrimoniale solo ai fini della verifica dell’esistenza di scelte condivise dalla coppia durante la convivenza prematrimoniale, che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare sacrifici o rinunce alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio.

Ovviamente, resta necessaria una previa allegazione e prova rigorosa, giovando ribadire che: a) la convivenza prematrimoniale rileverà, ai fini patrimoniali che interessano, ove poi consolidatasi nel matrimonio, se assuma “i connotati di stabilità e continuità”, essendo necessario che i conviventi abbiano elaborato ” un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio)”, dal quale inevitabilmente discendono anche reciproche contribuzioni economiche; b) l’assegno divorzile, nella sua componente compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del nesso causale tra l’accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il “contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali”, in quanto solo un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari può, invece, giustificare il riconoscimento di un assegno perequativo, tendente a colmare tale squilibrio, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa e versi in situazione di oggettiva impossibilità di procurarseli; c) sarà necessario verificare poi l’effettivo nesso tra le scelte compiute nella fase di convivenza prematrimoniale e quelle compiute nel matrimonio.

6.9. Nella fattispecie in esame, la Corte d’appello, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile dovuto dall’ex marito alla ricorrente, non ha effettivamente considerato, nella valutazione del contributo al me’nage familiare dato dalla M., anche con il ruolo svolto di casalinga e di madre, per come allegato, il periodo (dal 1996 al 2003), continuativo e stabile, di convivenza prematrimoniale (nell’ambito del quale era nato anche un figlio della coppia), avendo incentrato il giudizio, oltre che sulle disponibilità economiche del soggetto onerato, solo sulla “durata legale del matrimonio”.

Deve essere quindi enunciato il seguente principio di diritto: “Ai fini dell’attribuzione e della quantificazione, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase “di fatto” di quella medesima unione e la fase “giuridica” del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio“>>.

Che precisa pure: <<I presupposti dell’assegno divorzile, quali individuati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, come interpretato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 18287/2018, costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante complessiva ponderazione dell’intera storia familiare, in relazione al contesto specifico, e una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà>>.

Come da me già scritto altrove, peccato che le SS.UU. dimentichino che il presupposto, per far operare detti parametri, sia l’ “assenza di mezzi adeguati” (art. 7.5 legge divorzio): “mezzi”  dunque rilevanti solo in negativo e cioè in caso di loro assenza per fare operare i parametri, a null’altro servendo. Il ternore letterale è decisamente chiaro

Ancora sulla determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, Ord., 12/12/2023 n. 34 .711, rel. Caiazzo:

Motivo di ricorso in Cass.:

<L’unico motivo denunzia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per aver la Corte d’appello valorizzato il divario reddituale e patrimoniale tra le parti, senza considerare che la parte immobiliare del ricorrente proveniva integralmente dalla sua famiglia per successione ereditaria e che la sua famiglia aveva vissuto esclusivamente delle rendite di tali immobili, non svolgendo quest’ultima attività lavorativa retribuita. Pertanto, il ricorrente assume: che la rilevante suddetta differenza preesisteva al matrimonio, e che l’ex moglie non aveva contribuito alla sua formazione, decidendo di non lavorare per scelta personale, anche dopo la fine del rapporto coniugale nel 2008, dunque la Corte territoriale non si era attenuta ai principi fissati nell’ordinanza del 2021, non accertando il nesso eziologico tra il contributo dell’ex moglie alla conduzione della vita familiare e la formazione del patrimonio dell’ex marito e della stessa ex moglie>.

Insegnamenti della SC:

<La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (SU, n. 18287/18).

Ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile secondo il parametro assistenziale e perequativo – compensativo, è indispensabile il previo accertamento di un significativo squilibrio delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, rilevando a tal fine anche la suddivisione del patrimonio operata dal marito durante il matrimonio e dopo la separazione, in favore della moglie. Ne consegue, che ove sia accertato che, a seguito di tali attribuzioni, la situazione patrimoniale degli ex coniugi sia sostanzialmente equivalente – ancorchè costituita, per il marito, da reddito pensionistico e per la moglie da una rendita finanziaria – non sussistono presupposti per l’attribuzione dell’assegno in favore della moglie (Cass., n. 28936/22).

Inoltre, al fine di accertare se sussistano i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione compensativo-perequativa del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali o reddituali, ferma l’irrilevanza del pregresso tenore di vita familiare, il giudice deve verificare: a) se tra gli ex coniugi, a seguito del divorzio, si sia determinato o aggravato uno squilibrio economico-patrimoniale prima inesistente (ovvero di minori proporzioni); b) se, in costanza di matrimonio, gli ex coniugi abbiano convenuto che uno di essi sacrificasse le proprie prospettive professionali per dedicarsi al soddisfacimento delle incombenze familiari; c) se, con onere probatorio a carico del richiedente, tali scelte abbiano inciso sulla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi determinando uno spostamento patrimoniale da riequilibrare; d) quale sia lo spostamento patrimoniale, e la conseguente esigenza di riequilibrio, causalmente rapportabile alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari (Cass., n. 22738/21). Nella specie, il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia statuito sull’assegno divorzile senza accertare se l’ex moglie avesse apportato un contributo alla formazione del patrimonio dell’ex marito e se la scelta di non svolgere attività lavorativa fosse stata o meno concordata e avesse causato il sacrificio di aspettative professionali e lavorative.

Ora, la Corte territoriale, sul presupposto che nella specie non era contestato l’an, ma solo il quantum dell’assegno, ha affermato che l’ex moglie aveva contribuito alla formazione del patrimonio comune e personale dell’ex marito dedicandosi esclusivamente alla cura delle figlie dello stesso coniuge, dal 1992 almeno sino al 2008 (seguendo il marito nei viaggi all’estero, trasferendosi inizialmente in Svizzera) riducendo l’assegno divorzile a favore della B.B. a Euro 7.000,00 (da Euro 18.000,00) mensili in ragione delle proprietà immobiliari di cui lei era divenuta titolare per le donazioni ricevute in costanza di matrimonio da parte della famiglia del A.A..

Ora, considerando l’incommensurabile squilibrio reddituale e patrimoniale tra le parti, ma soprattutto il contributo fornito dalla ex-moglie alla famiglia, ove si è dedicata esclusivamente alla cura di marito e figlia (nata nel 2008), il giudice di merito ne ha tratto le conseguenze e ha ragionevolmente accertato il diritto della controricorrente all’assegno divorzile, in conformità del principio di diritto sancito nell’ordinanza di questa Corte n. 452/2021.

A tale soluzione non osta il rilievo secondo il quale l’ex moglie non ha lamentato di aver dovuto sacrificare aspettative lavorative nel darsi pienamente alla famiglia e alla figlia, e che l’intero suo patrimonio si sia formato esclusivamente con gli apporti dell’ex coniuge (le donazioni del marito e del suocero: un immobile a Parigi e la comproprietà al 50% di altri due immobili all’estero). Invero, da un lato, come rilevato dalla Corte territoriale, occorre considerare che l’ex moglie non ha più le condizioni e l’età per intraprendere ex novo un lavoro e che il suddetto indubbio contributo apportato alla formazione del patrimonio del ricorrente ha verosimilmente determinato un lauto accrescimento patrimoniale a favore di quest’ultimo>.

Peccato che la SC dimentichi che il presupposto, per far operare detti parametri, sia l’ “assenza di mezzi adeguati” (art. 7.5 legge divorzio). Irrilevante è che non ci sia più comntestazione sull’an ma solo sul quantum, data la generalità del ragionamento condotto.

Precisazioni sull’assegno (separatorio) di mantenimento e su quello divorzile

Cass. 12/12/2023  n. 34.728, rel. Russo:

<<Questa Corte ha invero affermato che in presenza di una convivenza stabile si deve presumere che le risorse economiche vengano messe in comune, salvo la prova contraria data dall’interessato (Cass.16982/2018). E però, perché possa legittimamente farsi ricorso a detta presunzione, occorre preventivamente accertare che si tratti di una relazione non solo “affettiva” ma di un rapporto stabile e continuativo, ispirato al modello solidale che connota il matrimonio, che non necessariamente deve sfociare in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche, gravando il relativo l’onere probatorio sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. n. 3645 del 07/02/2023).

Questa Corte ha inoltre affermato, in tema di divorzio, che, ove sia richiesta la revoca dell’assegno in favore dell’ex coniuge a causa dell’instaurazione da parte di quest’ultimo di una convivenza “more uxorio”, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. n. 14151 del 04/05/2022).

6.1.- Questo orientamento, pienamente condivisibile, va qui ribadito, con le opportune precisazioni in ordine alle ragioni per le quali la convivenza può comportare la perdita dell’assegno di separazione. [non condivisibile: la convivenza non dà diritto ad alcuna stabilità, è puro fatto]

In tema di assegno divorzile, infatti, è principio consolidato che qualora sia instaurata una stabile convivenza tra un terzo e l’ex coniuge, viene meno la componente assistenziale all’assegno divorzile, e se ne perde il correlativo diritto, ma non viene meno la componente compensativa, qualora l’interessato alleghi e dimostri non solo di essere privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, ma anche, nel caso concreto, il comprovato emergere di un contributo dato alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge (Cass. sez. un. 32198 del 05/11/2021; Cass. n. 14256 del 05/05/2022). Di conseguenza qualora sia stato il coniuge divorziato ad intraprendere una nuova relazione familiare di fatto, non necessariamente ciò comporta il venire meno dell’assegno di divorzio, perché, anche rimodulato nel quantum, il diritto può essere mantenuto.

Assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono però diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art. 156 c.c.).

Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis c.p.c., comma 1 è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

La funzione conservativa della separazione, ad oggi, si invera prevalentemente nel riconoscimento del diritto del coniuge economicamente debole a mantenere lo stesso tenore di vita. In fase di separazione infatti alcuni doveri matrimoniali vengono meno (ad esempio l’obbligo di coabitazione) oppure si attenuano (ad esempio l’obbligo di fedeltà), ma è essenzialmente conservata la solidarietà economica, espressione del principio costituzionale di parità dei coniugi, che si esprime nel dovere di assistenza, in ragione della quale il coniuge cui non sia addebitabile la separazione ha diritto a mantenere lo stesso tenore di vita matrimoniale e quindi a ricevere un assegno di mantenimento dal coniuge economicamente più forte.

In termini, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass. n. 12196 del 16/05/2017; conf. Cass. n. 16809 del 24/06/2019; Cass. n. 4327 del 10/02/2022).

Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale, il che significa che chi ha maggiori risorse economiche deve condividerle con chi ne ha di meno. In ogni caso, il coniuge economicamente debole deve essere consapevole che la separazione è una condizione di possibile, anzi probabile, breve durata e che nella maggior parte dei casi non prelude a una riconciliazione bensì allo scioglimento del vincolo, in seguito al quale l’assegno di divorzio è riconosciuto -se riconosciuto- sulla base di diversi presupposti e prescindendo dal rapporto con il tenore di vita (Cass. civ. sez. un. 18287/2018).

Tuttavia, finché perdura lo stato di separazione resta attiva la solidarietà matrimoniale, che si concreta nel dovere di assistenza tra coniugi, sebbene diversamente attuato che in costanza di convivenza, e cioè con una prestazione patrimoniale periodica, perché i coniugi non vivono più insieme; ed è attivo anche – di conseguenza – il legame con il modello matrimoniale concretamente vissuto dai coniugi e cioè il pregresso tenore di vita. Ciò non significa che detto legame non possa essere spezzato per effetto di una scelta volontaria, ed in tal senso la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che durante la separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (Cass. n. 32871 del 19/12/2018).

7.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative.

Nel nostro ordinamento il modello di relazione familiare tra due adulti, sia essa fondata sul matrimonio, che sulla unione civile, che su un rapporto di fatto, è un modello monogamico: non è consentito contrarre matrimonio o unione civile se si è già vincolati da analogo legame, e neppure stipulare validi patti di convivenza se si è legati da altro vincolo matrimoniale o da altra convivenza regolata da patto (L. n. 76 del 2016, comma 57, art. 1, che prevede in tal caso la nullità insanabile del patto).

L’ordinamento non tollera la concorrenza di due vincoli solidali fondati sullo stesso tipo di relazione, e pertanto il coniuge separato non può al tempo stesso beneficiare dell’assistenza materiale del dell’altro coniuge e della assistenza materiale del (nuovo) convivente.

Quanto sopra esposto rende evidente l’errore della Corte d’appello di Lecce che non ha accertato, iuxta alligata et probata, e a fronte della contestazione della ricorrente sull’assenza di prova di una convivenza stabile, le caratteristiche del legame tra l’odierna ricorrente l’uomo di cui si parla nella relazione investigativa, e non ha spiegato le ragioni per cui, in relazione a quanto accertato, ha ritenuto di revocare l’assegno di mantenimento.

Di conseguenza, in accoglimento del quarto motivo di ricorso, respinti gli altri, la sentenza in esame deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione per un nuovo esame attenendosi ai seguenti principi di diritto:

7.1.- “In tema di crisi familiare, se durante lo stato di separazione il coniuge avente diritto all’assegno di mantenimento instaura un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduce in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, caratterizzato da assistenza morale e materiale tra i due partner, viene meno l’obbligo di assistenza materiale da parte del coniuge separato e quindi il diritto all’assegno.

La prova dell’esistenza di un tale legame deve essere data dal coniuge gravato dall’obbligo di corrispondere assegno.

Dalla prova della stabilità e continuità della convivenza può presumersi, salvo prova contraria, che le risorse economiche siano state messe in comune; ma nel caso in cui difetti la coabitazione, la prova dovrà essere rigorosa, dovendosi dimostrare che, stante il comune progetto di vita, i partner si prestano assistenza morale e materiale”>>

Presupposti per l’assegno divorzile

Cass. Sez. I, Ord. 14/11/2023, n. 31.719, rel. Pazzi:

<<7.3 La Corte distrettuale ha mancato di attribuire all’assegno riconosciuto la funzione equilibratrice-perequativa che esso doveva necessariamente avere, omettendo di verificare in maniera appropriata, innanzitutto, l’inadeguatezza dei mezzi della richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.
Occorreva poi verificare – con riferimento all’intera vicenda coniugale, protrattasi nel caso di specie per dodici anni – se una simile condizione fosse saldamente ancorata alle caratteristiche e alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.
La mancanza di quest’ultima verifica ha finito per condurre la Corte territoriale ad attribuire valore determinante alla comparazione della situazione economico-patrimoniale delle parti, quando, al contrario, la situazione della richiedente costituiva una mera premessa fenomenica ed oggettiva che doveva essere seguita dalla verifica della riconducibilità delle cause che avevano prodotto la condizione di inadeguatezza agli indicatori delle caratteristiche dell’unione matrimoniale così come descritti nella L. n. 898 del 1970 , art. 5 , comma 6, prima
parte i quali assumono rilievo in misura direttamente proporzionale alla durata del matrimonio.
In altri termini il giudice di merito, nel valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che richieda l’assegno divorzile, o l’impossibilità per lo stesso di procurarseli per ragioni oggettive, deve tener conto, utilizzando i criteri di cui alla L. n. 898 del 1970 , art. 5 , comma 6, sia della impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte di quest’ultimo, sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo che dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, senza che abbiano rilievo, da soli, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale dell’altro ex coniuge, tenuto conto che la differenza reddituale è coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, ma è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno, e l’entità del reddito e/o del patrimonio dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sè, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. 21234/2019>>.

L’interpretazione dell’art. 5.5 legge divorzio , sulla scia di Cass. sez. un. 18.287/2018, è ormai consolidata.

(testo fornito da Ondif)

La pretesa di indagini fiscali per la determinazione dell’assegno divorzile presuppone che l’istante abbia effettuato disclosure della propria situazione economica

Cass. sez. I, 22 agosto 2023 n. 24.995, rel. Amatore:

<<2.5 Invero, la Corte territoriale ha, infatti, escluso la fondatezza della domanda volta al riconoscimento dell’assegno divorziale avanzata dal M., evidenziando la mancata allegazione e prova da parte di quest’ultimo dei profili fattuali sottesi ai requisiti perequativi e compensativi del predetto assegno, secondo gli insegnamenti forniti dalla giurisprudenza di questa Corte negli arresti da ultimo citati.

2.6 Ne consegue che la predetta statuizione giudiziale circa la mancata dimostrazione in giudizio degli altri presupposti applicativi richiesti per il riconoscimento dell’invocato assegno divorziale (diversi rispetto al profilo dell’inadeguatezza dei mezzi economici dell’ex coniuge istante) – statuizione, come detto conforme, peraltro, ai principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte (per sopra ricordati) – toglie respiro anche all’ulteriore censura relativa alla mancata assunzione di indagine tributarie sui redditi e condizioni di vita degli ex coniugi, censura che si fondava proprio sulla necessità di acquisire informazioni sulla sperequazione reddituale e patrimoniali tra gli odierni contendenti.

2.7 Non essendo stata pertanto adeguatamente censurata da parte del ricorrente la ratio decidendi relativa alla dichiarata infondatezza dell’istanza istruttoria relativa agli accertamenti tributari, diventa superfluo esaminare le doglianze articolate in relazione alla prima ratio decidendi, come tale collegata all’affermata tardività nella presentazione di tale approfondimento istruttorio solo in grado di appello, in quanto anche il loro eventuale accoglimento non farebbe caducare la statuizione in merito all’affermata inutilità del richiesto mezzo istruttorio (cfr. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9752 del 18/04/2017; Sez. 5 -, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 18119 del 31/08/2020).

2.8 Senza contare che, comunque, la L. 898 del 1970, art. 5, comma 9, non impone in alcun modo al Giudice l’obbligo di disporre indagini tramite la polizia tributaria, ma dispone più semplicemente che “In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”, scelta istruttoria che non può certo essere censurata in sede di legittimità, almeno nei termini proposti dal ricorrente, che, peraltro neanche aveva prodotto la richiesta documentazione fiscale né nella fase presidenziale celebrata innanzi al Tribunale di Ivrea né successivamente, come invece disposto nella successiva ordinanza 07.02.20. Ne consegue che la pretesa istruttoria, su cui si fondano le doglianze qui in esame, è destituita di fondamento logico, oltre che giuridico, in quanto non si può pretendere che il Giudice disponga d’ufficio approfondimenti tramite la polizia tributaria sulle condizioni economiche della controparte quando è la stessa parte interessata all’approfondimento a non avere adempiuto agli oneri di esibizione e di disclosure disposti dal Giudicante>>.

la brevissima durata del matrimonio circa la determinazione dell’assegno divorzile

Interessanti precisazioni della SC circa la rilevanza della durata del matrimonio al fine di determinare l’assegno di mantenimento (Cass. sez. I del 24 luglio 2023 n. 22.021, rel. Campese:

Premessa generale:

<< 1.1. Il suo articolato contenuto, peraltro, rende opportuno anteporre al relativo scrutinio alcune considerazioni di carattere generale, ricavate dalla pronuncia resa da Cass., SU, n. 32914 del 2022 (richiamata, in parte qua, nella più recente Cass. n. 8764 del 2023), circa gli effetti della separazione e del divorzio (e della crisi del rapporto di coppia, avuto riguardo alle unioni civili) sui rapporti patrimoniali fra i coniugi,

1.2. E’ stato ivi osservato, tra l’altro, che “La separazione personale tra i coniugi non estingue il dovere reciproco di assistenza materiale, espressione del dovere, più ampio, di solidarietà coniugale, ma il venir meno della convivenza comporta significati mutamenti: a) il coniuge cui non è stata addebitata la separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, qualora non abbia mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacità concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato, che può essere liquidato in via provvisoria nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 708 c.p.c.; b) il coniuge separato cui è addebitata la separazione perde, invece, il diritto al mantenimento e può pretendere solo la corresponsione di un assegno alimentare se versa in stato di bisogno. (…). Invece, l’assegno divorzile, del tutto autonomo rispetto a quello di mantenimento concesso al coniuge separato, a seguito della riforma introdotta nel 1987, e dell’intervento chiarificatore da ultimo espresso da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 18287/2018, ha natura composita, in pari misura, assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno dei coniugi non gli assicuri l’autosufficienza economica) e riequilibratrice o, meglio, perequativo compensativa (quale riconoscimento dovuto, laddove le situazioni economico-patrimoniali dei due coniugi, pur versando entrambi in condizione di autosufficienza, siano squilibrate, per il contributo dato alla realizzazione della vita familiare, con rinunce ad occasioni reddituali attuali o potenziali e conseguente sacrificio economico), nel senso che i criteri previsti dall’art. 5 l. div. (tra i quali la durata del matrimonio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e le ragioni della decisione) rilevano nel loro insieme sia al fine di decidere l’an della concessione sia al fine di determinare il quantum dell’assegno. Si è quindi evidenziato (Cass. SS.UU. n. 18287/2018) che “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile – al pari dell’assegno di mantenimento in sede di separazione -, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”. In sostanza, in presenza di uno squilibrio economico tra le parti, patrimoniale e reddituale, occorrerà verificare se esso, in termini di correlazione causale, sia, o meno, il frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare che abbiano comportato il sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi. (…). In ogni caso, l’assegno divorzile cesserà con le nuove nozze dell’avente diritto (art. 5, comma 10), mentre, nell’ipotesi di instaurazione di una stabile convivenza di fatto con un terzo, viene caducata, alla luce di quanto affermato da queste Sezioni Unite nella recente sentenza n. 32198/2021, la sola componente assistenziale dello stesso, potendo essere mantenuto il diritto al riconoscimento di un assegno a carico dell’ex coniuge economicamente più debole, in funzione esclusivamente perequativa-compensativa. (…). Sia l’assegno di mantenimento sia quello divorzile possono subire variazioni, in aumento o in diminuzione, per effetto del cambiamento della situazione patrimoniale relativa al debitore o al creditore considerata al momento della sentenza. Quanto all’assegno divorzile, se la necessità di un assegno si manifesti dopo il passaggio in giudicato della statuizione attributiva del nuovo status, esso verrà liquidato in separato giudizio, restando ferma la possibilità di avanzare la domanda successivamente alla sentenza di divorzio, anche in difetto di pregressa domanda giudiziale (Cass. n. 2198/2003, ove si è chiarito che il deterioramento delle condizioni economiche di uno o di entrambi gli ex coniugi, che consente il riconoscimento dell’assegno, può verificarsi anche dopo il divorzio, proprio perché trova fondamento nel dovere di assistenza, e non nel nesso di causalità o di concomitanza tra divorzio e deterioramento delle condizioni di vita). Ove si verifichino mutamenti di circostanza, così da richiedere una modifica dell’assegno, la pronuncia potrebbe far retroagire tale aumento dal momento (successivo alla domanda) del mutamento di circostanza o addirittura disporlo a far data dalla decisione (cfr., sul punto, Cass. 15 marzo 1986, n. 3202)”.

1.3. Esigenze di completezza, infine, impongono di rimarcare che l’indirizzo interpretativo inaugurato dalla già descritta decisione resa da Cass., SU, n. 18287 del 2018, è stato successivamente seguito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 1882 del 2019; Cass. n. 21234 del 2019; Cass. n. 5603 del 2020; Cass. n. 4215 del 2021; Cass. n. 23977 del 2022; Cass., SU, n. 32914 del 2022; Cass. n. 1996 del 2023; Cass. n. 2669 del 2023; Cass. n. 5395 del 2023; Cass. n. 8764 del 2023; Cass. n. 9104 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass., n. 11832 del 2023; Cass. n. 12708 del 2023; Cass. n. 13224 del 2023), la quale, peraltro, ha opinato pure che “Il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente” (cfr. Cass. n. 29920 del 2022, nonché, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 23583 del 2022; Cass. n. 38362 del 2021). Significativa, infine, è anche la più recente Cass. n. 5395 del 2023, la quale ha ritenuto (cfr. in motivazione) che “la valutazione del contributo fornito alla conduzione della vita familiare e in questo senso alla formazione del patrimonio comune non può andar disgiunta dalla considerazione del patrimonio (oltre che del reddito) personale di ciascuno degli ex coniugi, della durata del matrimonio e dell’età del coniuge economicamente più debole. La funzione perequativo-compensativa resta identificabile anche in rapporto alla condizione economica del coniuge più debole siccome conseguente alle scelte familiari”>>.

Andando poi al punto specifico:

<<1.4. Alla stregua di quanto fin qui riferito, allora, la doglianza in esame si rivela infondata.

1.4.1. Invero, pur dandosi atto della situazione di squilibrio economico, reddituale e patrimoniale tra gli ex coniugi, come dedotta dalla D.S., tanto non e’, di per sé, sufficiente a giustificare il riconoscimento dell’assegno ancora oggi invocato da quest’ultima, atteso che, come si è già ampiamente esposto, in presenza del suddetto squilibrio, occorre verificare: i) se esso, in termini di correlazione causale, sia, o meno, il frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare che abbiano comportato anche il sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi; ii) la impossibilità, per la odierna ricorrente, per ragioni oggettive, di procurarsi mezzi di sostentamento adeguati. Il tutto, peraltro, tenendo conto che, come puntualizzato dalla già più volte citata Cass., SU, n. 18287 del 2018, i criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5 (tra i quali la durata del matrimonio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e le ragioni della decisione) rilevano nel loro insieme sia al fine di decidere l’an del riconoscimento dell’assegno de quo, sia per determinarne il quantum.

1.4.2. In quest’ottica, allora, viene immediatamente in rilievo che, come può agevolmente desumersi dalla sentenza oggi impugnata, oltre che da quanto riferito dalla stessa ricorrente, il matrimonio di quest’ultima con il B., contratto il (Omissis) (allorquando ella aveva circa trenta anni, a fronte dei cinquantotto del marito), era naufragato pressoché subito, se solo si pensi al fatto che già il successivo 7 luglio 2010 (poco meno di tre mesi dopo detta celebrazione) il B. aveva intrapreso il giudizio di separazione personale nei confronti della moglie, solo nel corso del quale era nata (il (Omissis)), la loro figlia E..

1.4.3. Per stessa ammissione della D.S., inoltre, le condizioni patrimoniali e reddituali dei due coniugi, già al momento del matrimonio, erano totalmente squilibrate in favore del B., titolare di una migliore situazione patrimoniale rispetto alla prima, giovane cittadina brasiliana, priva di cespiti patrimoniali, mobiliari o immobiliari.

1.4.4. Già solo per questo, allora, si rivela del tutto ragionevole la conclusione per cui lo squilibrio suddetto, in termini di correlazione causale, non poteva sicuramente ricondursi, stante la descritta, brevissima durata del matrimonio, a scelte comuni di conduzione della vita familiare, eventualmente comportanti anche il sacrificio di aspettative lavorative e professionali (nemmeno concretamente allegate, ancor prima che dimostrate) della D.S., evidentemente derivando esso esclusivamente dalle rispettive condizioni dei coniugi anteriori al matrimonio stesso.

1.4.5. Proprio la durata assolutamente esigua di quest’ultimo permette, altrettanto ragionevolmente, di escludere qualsivoglia significativo rilievo alla tipologia di vita concretamente svolta, in quel brevissimo lasso di tempo, dai coniugi (ove anche si volesse valorizzare l’art. 143, ultimo comma, c.c., che impone di tenere conto anche del lavoro casalingo quanto alle modalità di contribuzione ai bisogni della famiglia, e non solo dei soli suoi aspetti patrimoniali), come pure consente di negare un’effettiva sua incidenza con riguardo, da un lato, ad un eventuale incremento della complessiva situazione economica del B. e, dall’altro, ad un ipotetico mancato miglioramento (o addirittura ad un peggioramento) di quella della D.S.. In altri termini, l’estrema brevità della loro relazione non permette di affermare che vi sia stata conduzione di vita familiare e rende non valutabili eventuali scelte medio tempore effettuate, altresì ricordandosi che lo squilibrio patrimoniale costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

1.4.6. Va rimarcato, inoltre, che l’appellante nemmeno ha fornito adeguata dimostrazione circa la reale impossibilità, per ragioni oggettive (tale non potendosi intendere la mera, lamentata difficoltà a trovare una occupazione, cui era finalizzata la prova testimoniale invocata in sede di gravame), malgrado la sua ancora giovane età (trent’anni, al momento dell’inizio del giudizio di separazione; trentacinque, al momento della instaurazione del giudizio di divorzio) e l’assenza di patologie incidenti negativamente sulla sua capacità lavorativa.

1.5. In definitiva, come si legge in Cass. n. 13224 del 2023, “la corte di appello, investita della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex-coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi” (l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale. Cfr. Cass., n. 38362 del 2021).

1.5.1. Ne consegue che, nella specie, alla stregua di tutto quanto si è detto circa la brevissima durata che ha caratterizzato il matrimonio tra la D.S. ed il B., le cui rispettive, reciproche condizioni patrimoniali erano pacificamente squilibrate, in favore di quest’ultimo, già prima del matrimonio stesso (senza significativi mutamenti nel corso del medesimo), la conclusione negativa della corte distrettuale quanto al riconoscimento, in favore della D.S. dell’invocato assegno divorzile si rivela assolutamente coerente con quanto ormai sancito dalla qui giurisprudenza di legittimità formatasi successivamente al descritto intervento delle Sezioni Unite del 2018 e, come tale, immune dalle censure ad essa ascritte dalla doglianza in esame.

1.6. Resta solo da dire che la ricorrente dovrà cercare di far fronte alla dedotta sua difficile situazione dovuta al non aver reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, la remuneri in misura tale da assicurarle una vita dignitosa, attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito>>.

Presupposti per l’assegno divorzile

Cass. 20.04.2023 n. 10.702:

Sintesi della giurisprudenza:

<<In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio,
presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale
delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle
esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno perequativo,
cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio, mentre in assenza della
prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente
giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il
riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi
sufficienti per un’esistenza dignitosa, o non può pr ocurarseli per ragioni
oggettive>>.

Applicazione al caso de quo:

<<Nella specie, quanto alla componente perequativo compensativa dell’assegno
(attesa la sperequazione reddituale tra gli ex coniugi), la Corte d’appello ha
rilevato che nessuna delle parti risultava avere sacrificato il proprio percorso professionale onde consentire la crescita dell’altro coniuge ovvero risultava
avere contribuito alla formazione “di un patrimonio familiare (inesistente)”.
La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale”
La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale” da essada essa investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà esclusiva dell’ex marito.esclusiva dell’ex marito.

Ora, in ordine ai presupposti dell’assegno divorzile, questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, ha chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che: 1) “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”; 2) “all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”; 3) “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

Successivamente, questa Corte ha chiarito (Cass. 21926/2019) che “L’assegno divorzile ha una imprescindibile funzione assistenziale, ma anche, e in pari misura, compensativa e perequativa. Pertanto, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due. Laddove, però, risulti che l’intero patrimonio dell’ex coniuge richiedente sia stato formato, durante il matrimonio, con il solo apporto dei beni dell’altro, si deve ritenere che sia stato già riconosciuto il ruolo endofamiliare dallo stesso svolto e – tenuto conto della composizione, dell’entità e dell’attitudine all’accrescimento di tale patrimonio ? sia stato già compensato il sacrificio delle aspettative professionali oltre che realizzata con tali attribuzioni l’esigenza perequativa, per cui non è dovuto, in tali peculiari condizioni, l’assegno di divorzio” (cfr. anche Cass. 15773/2020; Cass. 4215/2021). In Cass. 24250/2021, si è affermato che ” sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, tuttavia tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa. Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale” (cfr. anche Cass. 23583/2022).

In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno perequativo, cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa, o non può procurarseli per ragioni oggettive. [questa è la parte più im,prtante della  motivazione]

Nella specie, quanto alla componente perequativo-compensativa dell’assegno (attesa la sperequazione reddituale tra gli ex coniugi), la Corte d’appello ha rilevato che nessuna delle parti risultava avere sacrificato il proprio percorso professionale onde consentire la crescita dell’altro coniuge ovvero risultava avere contribuito alla formazione “di un patrimonio familiare (inesistente)”.

La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale” da essa investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà esclusiva dell’ex marito.

Ora, dalla sentenza non risulta tale allegazione e in ricorso non si dice dove, come e quando tale documentazione sarebbe stata prodotta nel presente giudizio e solo nella memoria la ricorrente fa riferimento a documentazione (estratti conto corrente integrali del conto bancario comune delle parti) “prodotti in sede separativa” . Peraltro, questa Corte (Cass. 18749/2004) ha già affermato che “i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 c.c., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale” (nell’enunciare il principio, si è confermato la sentenza impugnata, la quale – esclusa la configurabilità, nella specie, di un mutuo endofamiliare – aveva ritenuto espressione di partecipazione alle esigenze dell’intero nucleo familiare, ai sensi della citata norma codicistica, il consistente intervento finanziario della moglie a titolo di concorso nelle spese relative alla ristrutturazione della casa di villeggiatura di proprietà del marito ma di uso familiare comune). E successivamente, si è precisato (Cass. 10927/2018) che “poiché durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dall’art. 143 c.c. e art. 316 bis c.c., comma 1, a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio”.

Nella specie, comunque si deduce che ciò (il contributo nelle spese di ristrutturazione della casa di proprietà dell’ex coniuge) dovrebbe rilevare sotto l’aspetto del contributo richiesto per assolvere alla funzione perequativo-compensativa dell’assegno, ma la deduzione risulta generica ed aspecifica.

Sul piano delle condizioni patrimoniali delle parti e del criterio perequativo-compensativo, la Corte ha dunque operato una valutazione in fatto, motivata, sulla mancata rinuncia da parte di entrambi i coniugi ai propri percorsi professionali, né è dimostrato l’affermato contributo della ricorrente alla formazione del patrimonio familiare.

Quanto alla componente assistenziale dell’assegno, la Corte d’appello ha tenuto conto delle documentate condizioni di salute della U., rilevando che la grave patologia oncologica era insorta durante il matrimonio e che, a seguito del divorzio, la U., malgrado le fosse riconosciuta un’invalidità nella misura del 75% dal 2018, aveva continuato a svolte l’attività di libera professione, avendo dichiarato una “retribuzione mensile media pari a circa Euro1.000,00”, concludendo per un giudizio di inattendibilità dei redditi dichiarati (peraltro, solo attraverso dichiarazioni sostitutive di atto notorio, per quanto emerge).

Deve poi aggiungersi che la stessa ricorrente assume di avere rinunciato a richiedere un sussidio in relazione all’invalidità riconosciutale in sede amministrativa, “in ragione della libera professione esercitata, confidando nel mantenimento di una soglia reddituale tale da consentirle di prescindere dalla richiesta di invalidità/accompagno” (pag. 16 del presente ricorso).

Il principio enunciato dalle Sezioni Unite, nella sentenza sopra richiamata del 2018 è che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e IN PARI MISURA compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive (Cass. S.U. 18287/2018; Cass. 21234/2019).

Nella specie, la Corte d’appello ha accertato che le condizioni di salute della U. (isterectomia) erano già sussistenti alla data del matrimonio (durato meno di dieci anni), che la stessa non ha cessato l’attività lavorativa, che – anzi – la medesima non ha contestato di prestare attività lavorativa, come psicologa, in un altro centro, che la odierna ricorrente, pur essendo invalida al 75%, non ha richiesto né pensione di invalidità, né assegno di mantenimento, proprio perché continuava a lavorare>>.

Segnalzione di C. Fossati su Ondif.

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e divorzile

Cass. sez. I ord. 24.05.2023 n. 14.343, rel. Caprioli:
In materia di assegno di mantenimento in favore del coniuge separato ai sensi dell’art. 156 c.c., il giudice deve verificare la mancanza da parte del richiedente di adeguati redditi propri, ovvero di redditi sufficienti a garantire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Infatti, l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa.
La valutazione relativa alle capacità di lavoro del coniuge beneficiario dell’assegno non potrà che avere ad oggetto l’effettiva e concreta possibilità di procurarsi mezzi propri mediante l’espletamento di un’attività lavorativa, essendo irrilevanti, per contro, valutazioni astratte
Niente di nuovo: ius receptum.
(massime di Valeria Cianciolo in www.osservatoriofamiglia.it)

Sempre sull’assegno divorzile

Cass. sez. I n. 13.420 del 16 maggio 2023, rel. Russo:

in astratto:

<Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cass. s.u. n. 18287 dell’11.07.2018) il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5 comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (cass. 07.12.2021, n. 38928; 08.09.2021, n. 24250). È vero che il richiedente deve dare la prova della oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, ma la prova si può raggiungere anche tramite presunzioni e con valutazione resa in concreto alla attualità. Il giudizio sull’adeguatezza dei redditi, infatti, deve essere improntato ai criteri dell’effettività e concretezza non potendo esso risolversi in un ragionamento ipotetico, i cui esiti
vengano ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici non più rispondenti, all’attualità, a quello di riferimento (cass. 19.11.2021, n. 35710)>>

In concreto:
<3.2.- Di questi principi la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione, poiché nel valutare i requisiti per riconoscere un assegno con funzione assistenziale, ha svolto un ragionamento ipotetico, dando rilievo a vicende pregresse, esposte peraltro in termini dubitativi, osservando che il richiedente “avrebbe (non è chiaro quando) cessato l’attività lavorativa non essendo dato conoscere neppure se l’attività redditizia di commercio di materiale fotografico e altro e -parrebbe- la titolarità di quote sociali siano state cedute a terzi”; considerazioni che vengono collegate al rilievo che nel periodo tra il 1995 ed il 2007 egli ha “certamente avuto qualche risorsa” poiché nessun contributo era previsto in sede di separazione nè, in via provvisoria, nel giudizio di divorzio. Vicende appunto pregresse, delle quali -proprio perché ricostruite in termini vaghi- non si apprezza l’incidenza sulla attuale condizione economica del richiedente che, come lo stesso giudice d’appello rileva, ha documentato una invalidità del 46% e ha dedotto di essere privo di redditi e di cespiti, a fonte invece di una condizione della ex moglie più favorevole (pensionata e con proprietà della casa di abitazione). Del resto, l’assenza di contributo al mantenimento nelle condizioni di separazione non è elemento di per sé sufficiente a escludere il dritto all’assegno divorzile, posto che le valutazioni dell’assetto economico effettuate in sede di separazione rappresentano, al più, un mero indice di riferimento (cass. 22.09.2021, n. 25635).
Anche in punto di diligenza del ricorrente nel reperire una attività lavorativa, compatibile con le sue attuali condizioni di salute, la Corte rende un giudizio ipotetico, non calibrato alla attualità, perché ha molto valorizzato la circostanza che l’E., iscritto nelle liste di disponibilità immediata al lavoro sin dal 2010, ne è stato dichiarato decaduto nel febbraio 2015 -vicenda dovuta secondo il ricorrente ad un fraintendimento- senza tener conto che egli si è nuovamente iscritto in data 4 dicembre 2017 e tale risultava ancora al 18 marzo 2019, e cioè quando ha avanzato la pretesa di revisione delle condizioni di divorzio. Risultava inoltre ancora iscritto al 28 ottobre 2020, ma senza riferimento alla condizione di disabilità, il che ha portato la Corte, anziché a valorizzare la continuità nella ricerca -infruttuosa- di un lavoro, a rendere un altro giudizio ipotetico e dubitativo (“non potendosi escludere che il quadro complessivo delle condizioni dell’odierno reclamante sia in seguito migliorato”), non fondato su certificazione medica o accertamento sanitario, e ciò nonostante la deduzione del ricorrente di essere stato vittima di un altro incidente stradale nel 2016, la documentazione prodotta e la richiesta di prove testi e di consulenza medica.
Così operando la Corte non ha in concreto verificato, e nonostante le premesse sulla ammissibilità della domanda di revisione, se le attuali condizioni del ricorrente fossero effettivamente quelle dedotte in base alle prove offerte, e tali da richiedere l’applicazione del principio di solidarietà post- coniugale, che non è esclusa dalla circostanza che per lungo tempo egli abbia provveduto a sé stesso autonomamente ovvero anche -come da lui dedotto- con l’aiuto del padre, il cui intervento non varrebbe comunque ad esonerare l’ex coniuge dai suoi obblighi (cass. n. 15774 del 23.07.2020; 14.06.2016, n. 12218)>>.

<In sintesi, deve qui ribadirsi che ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile è sufficiente anche verificare, in concreto e all’attualità, l’esigenza assistenziale, che ricorre ove l’ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto procurarsele, pur se in ipotesi abbia già goduto in passato di risorse sufficienti ad assicurarne il sostentamento nel periodo intercorrente tra la separazione e il divorzio, posto che tanto la sussistenza di mezzi adeguati che la diligenza spesa nel tentativo di procurarseli sono da valutare alla attualità, tenendo conto delle condizioni personali, di salute e del contesto individuale ed economico in cui agisce il richiedente>>.

Assegno divorzile di mantenimento in caso di moglie dedicatasi all’accudimento dei figli: due Cassazioni recenti

Cass. sez. 1 del 15.05.2023 n. 12.224, rel. Caiazzo:

<<La Corte d’appello, investita della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex-coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass., n. 38362/21).

E’ stato altresì affermato che, in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex-coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, che il richiedente l’assegno ha l’onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio (Cass., SU, n. 18287/18; n. 23583/22)>>.

Ora , nel caso concreto il giudice di secondo grado ha ritenuto <<che la controricorrente abbia diritto all’assegno divorzile nella misura stabilita; infatti, è stato accertato, con motivazione insindacabile in questa sede, che la controricorrente si era dedicata per tutta la durata del matrimonio all’accudimento e all’educazione di tre figli, quale scelta condivisa con l’ex-coniuge, costituendo ciò una ragione impeditiva dello svolgimento di attività lavorative.

Ne consegue che l’assegno è stato correttamente liquidato in favore della controricorrente, nella sua declinazione compensativa e perequativa, sulla base della disparità reddituale-patrimoniale tra gli ex-coniugi, e del contributo che la L. aveva apportato alla formazione del patrimonio dell’ex-marito>>.

Si badi: non basta la prova della rinuncia alla carriera professionale, serve anche quella del lucro cessante conseguente.

* * * * * * * *
Cass. Sez. I, ord. 16 maggio 2023 n. 13316 , Tricomi:

In generale:

<<Invero, come già affermato da questa Corte “Il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, – essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente.” (Cass. n. 29920/2022).

Quanto alla prova di tali circostanze, essa può essere desunta anche mediante il ricorso alle presunzioni semplici, potendosi rammentare in proposito che “Affinché sia riconoscibile valore giuridico alle presunzioni semplici è necessario che gli elementi presi in considerazione siano gravi, precisi e concordanti, ovvero devono essere tali da lasciar apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità. senza che sia consentito al giudice, in mancanza di un fatto noto, fare riferimento ad un fatto presunto e far derivare da questo un’altra presunzione.” (Cass. n. 14115/2006; cfr. Cass. n. 20671/2005)>>.

Applicando poi al caso sub iudice:

<<la Corte territoriale ha proceduto – conformemente ai principi ricordati – all’esame della situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi ed ad evidenziare il rilevante squilibrio esistente tra le condizioni economiche degli stessi alla stregua degli indici di riferimento previsti dalla L. n. 898 del 1970 cit., art. 5, comma 6, ritenendo di dover valutare il contributo fornito dal coniuge economicamente più debole ( G.) in costanza di matrimonio, al fine di accertare la ricorrenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione compensativa.

Su tale premessa, facendo applicazione del criterio probatorio presuntivo, ha ravvisato i presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione compensativa, avendo considerato che G.- in costanza di matrimonio – si era precocemente pensionata con decisione condivisa dal coniuge, rinunciando così ad retribuzione altrimenti destinata ad incrementarsi progressivamente e che la lunga durata del matrimonio, la nascita di due figli ed l’impegnativo lavoro svolto dall’appellato (titolare di studio notarile) costituivano indizi da cui presumere l’esistenza di un rilevante contributo domestico nello svolgimento dei compiti genitoriale e di gestione della casa da parte dell’ex moglie, oramai impossibilitata per ragioni anagrafiche a rientrare nel mondo del lavoro>>