Calcolo del reddito tramite busta-paga in sede di determinazione degli assegni di mantenimento: si tiene conto o no delle trattenute effettuate dal datore di lavoro?

Stimolante problema affontato da Cass. sez. 1 del 3 marzo 2023 n. 6515, rel. CAmnopese:;

Per rispondere, si deve distinguere.

la risposta è positiva , per quelle operanti ex lege (irpef e pensioni).

è invece sospesa per altre ritenute, dovendosi valutare se sono applicazione di atti dispositivi necessitati o meno da parte del lavoratore (cessioni a garanzia, rimborso prestiti etc.)

<<2.2. Questa Corte, poi, ha già chiarito – con pronuncia che, sebbene riguardante l’assegno di mantenimento ex art. 156 c.c., può agevolmente riferirsi anche a quello divorzile, almeno nella misura in cui anch’esso richiede comunque una valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti (cfr. Cass. n. 28936 del 2022, a tenore della quale “Ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile secondo il parametro assistenziale e perequativo-compensativo, è indispensabile il previo accertamento di un significativo squilibrio delle condizioni economico-patrimoniali delle parti”), benché da effettuarsi considerando pure il contributo fornito dal richiedente l’assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto – che “Non ogni trattenuta che venga operata in busta paga sulla retribuzione di un lavoratore dipendente va presa in considerazione ai fini della determinazione del suo reddito. Certamente vanno prese in considerazione le ritenute fiscali e contributive, perché la loro applicazione dà luogo alla determinazione del reddito disponibile da parte del soggetto. Ma le altre trattenute eventualmente operate dal datore di lavoro corrispondono, nella generalità dei casi, a titoli che, a differenza di quelli di cui si è appena detto, non prescindono dalla volontà dell’obbligato e derivano, invece, da suoi atti di disposizione (si pensi alle ritenute sindacali, alle cessioni del quinto della retribuzione in relazione a prestiti ricevuti, ecc.). Il rilievo attribuibile a tali ritenute, in sede di determinazione della condizione economica del coniuge ai fini dell’assegno di separazione, può variare a seconda del loro specifico titolo, dovendosi valutare il grado di necessità del corrispondente esborso (in caso di cessione del quinto della retribuzione, ad esempio, un conto è essersi indebitati per far fronte a indispensabili spese, altro conto essersi indebitati per spese voluttuarie)” (cfr., anche in motivazione, Cass. n. 10380 del 2012).

2.3. Sarebbe stato necessario, dunque, laddove la sentenza impugnata ha proceduto alla riduzione dell’entità dell’assegno divorzile riconosciuta dalla G. dal tribunale, che la corte distrettuale verificasse da cosa fossero concretamente scaturite le altre trattenute operate in busta paga dal datore di lavoro del F., evidentemente derivanti (attesa la specifica loro tipologia – “cessione “(Omissis)” di Euro 397,00 con scadenza il 6/2029 e prestito “(Omissis)” di Euro 347,00 con scadenza il 12/2024″ – descritta dalla medesima corte) da atti di disposizione di quest’ultimo. Nulla, invece, sul punto, ha specificato la corte di appello che, peraltro, nemmeno ha concretamente proceduto, ai fini della riduzione di quell’emolumento, ad una effettiva ponderazione alla stregua dei criteri tutti imposti dal descritto nuovo orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto>>.

Principio di diritto:

In tema di assegno divorzile e di contributo al mantenimento del figlio, la determinazione del reddito da lavoro dipendente del soggetto a carico del quale sono richieste quelle prestazioni impone di tenere conto delle ritenute fiscali e contributive operategli in busta paga sulla retribuzione, mentre il rilievo attribuibile, per il medesimo fine, ad altre trattenute ivi eventualmente effettuategli dal datore di lavoro può variare a seconda del loro specifico titolo, dovendosi valutare il grado di necessità del corrispondente esborso“.

Sulla retroattività o meno della modifica in corso di causa degli assegni di mantenimento e divorzili inizialmente disposti hanno deciso le Sezioni Unite

Cass. sez. un. n. 32914 del 8 novembre 2022, rel. Iofrida , si sono pronunciate sul punto in oggetto con lunga sentenza qqui ricordata solo sul principio di diritto (largamente -ma non totalmente- incline verso la retroattività e quindi la ripetibilità):

«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:

a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile;

b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica;

c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».

Significativa è l’analisi del concetto di assegno alimentare e della presunta sua irripetibilità in caso di successiva modifca o cancellazione.

In generale è logico che la statuzione definitiva metta nel nulla tutti gli effetti giuiridici prodotti dalle statuizioni anteriori , come tali provvisorie (tutte quelle anteriori al giudicato).

L’assegno di mantenimento da separazione è diverso da quello divorzile

Cass., sez. 1, 13.09.2022 n. 26.890, rel. Lamorgese:

L’appello riduceva l’assegno a favopre del marito così motiovando:

<<Il G., all’epoca della separazione nel 2012, aveva quarantasette anni ed era dotato di piena capacità lavorativa e notevole professionalità, avendo goduto di un ottimo stipendio fino al 2007, quando aveva lasciato il lavoro per dedicarsi all’accudimento del figlio (bisognoso di sostegno e di essere seguito nelle attività sportive) e alla cura della prestigiosa abitazione coniugale acquistata con proventi della moglie; egli “era dotato di tutte le risorse personali e professionali per provvedere autonomamente al proprio dignitoso mantenimento” ed era diventato istruttore di tecnica equestre, né aveva dimostrato che le somme erogategli dalla moglie (indicate dal ricorrente in circa Euro 10000,00 al mese) servissero per le proprie esigenze personali piuttosto che per i bisogni del figlio; il G. non contribuiva al mantenimento del figlio, al quale provvedeva la T.; il tenore di vita del G. aveva subito “un rilevante ridimensionamento, con la perdita dell’abitazione familiare… e la necessità di reperire altra abitazione a pagamento, non disponendo egli di proprietà immobiliari”, sicché l’assegno mensile di Euro 300,00 serviva “per consentirgli di disporre di una adeguata abitazione”; dal canto suo, la T. “continua a godere del tenore di vita precedente alla separazione, grazie alle sue numerose proprietà immobiliari e ai proventi che le derivano dalla sua famiglia, pur dovendo provvedere in via esclusiva a mantenere il figlio”>>.

La Sc però accoglie , così censurandolo

<<Da queste argomentazioni traspare che il criterio seguito per la quantificazione del contributo di mantenimento a favore del G. non è quello seguito dalla giurisprudenza di legittimità, che è espresso dal principio secondo cui i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l’assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione (ex plurimis, Cass. 5605 del 2020, 16809 del 2019, 12196 del 2017).

Ed infatti, il contributo di mantenimento in favore del G. non è stato quantificato in misura idonea a garantirgli, in via tendenziale, la conservazione del tenore di vita matrimoniale – che, come accertato dalla Corte di merito, aveva subito un rilevante ridimensionamento dopo la separazione, contrariamente alla T., la quale poteva contare su notevoli risorse a sua disposizione – ma solo a consentirgli di procurarsi una abitazione, nell’ottica di un aiuto a provvedere al proprio “dignitoso mantenimento”.

Apodittica è l’affermazione secondo cui il G. sarebbe titolare di idonee risorse personali e professionali, essendo priva di una comprensibile esplicitazione dei fatti idonei a corroborarla. Ne’ è chiaro il significato dell’ulteriore affermazione secondo cui “egli peraltro ha goduto per quattro anni di un contributo mensile da parte della moglie di Euro 1500,00 mensili (attribuitogli in sede presidenziale)”, non comprendendosi se e quali elementi rilevanti la Corte ne abbia tratto sul piano decisorio.

Si tratta di una motivazione in fatto perplessa e sostanzialmente apparente, dunque censurabile in sede di legittimità>>.

Ancora sull’assegno divorzile

Si legge in Cass. 28 luglio 2022 n. 23.583, sez. 1, rel. Fidanzia:

<< L’assegno di divorzio deve essere riconosciuto, non in rapporto al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata anzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, secondo un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, e inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l’onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021).

La giurisprudenza di legittimità ha poi costantemente ritenuto inidonea ad escludere l’obbligo di corrispondere un contributo di natura assistenziale la sola generica (e nella specie non professionale) capacità lavorativa. In particolare, ha stabilito che, con riguardo alla capacità lavorativa del coniuge beneficiario dell’assegno, l’indagine del giudice di merito, onde verificare se risulti integrato o escluso il presupposto dell’attribuzione dell’assegno, va condotta “secondo criteri di particolare rigore e pregnanza, non potendo una attività concretamente espletata soltanto saltuariamente (nella specie, di estetista) giustificare l’affermazione della “esistenza di una fonte adeguata di reddito” – onde negare il diritto all’assegno divorzile in capo all’istante -, specie a fronte della rilevazione, da parte dello stesso giudice di merito, del carattere meramente episodico e occasionale di tale attività, e non potendosi, in tal caso, legittimamente inferire, “sic et simpliciter”, la presunzione della effettiva capacità del coniuge a procurarsi un reddito adeguato” (Cass. 6468/1998; conf. Cass. 4584/2000). E l’irrilevanza, al riguardo, della generica ed astratta possibilità del coniuge di procurarsi lavori saltuari è stata più volte ribadita da questo giudice di legittimità (Cass. 10260/1999), essendosi chiarito che tale indagine, condotta in sede di merito, deve esprimersi sul piano della concretezza e dell’effettività, tenendo conto di tutti gli elementi e fattori (individuali, ambientali, territoriali, economico sociale) della specifica fattispecie (Cass. 432/2002; Cass. 13169/2004).

Ora, nella specie, è mancata un’effettiva valutazione dei presupposti dell’assegno divorzile in quanto si doveva accertare [1] l’effettiva mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa, e [2] , nel caso di accertamento dell’autosufficienza ma di riscontro di uno squilibrio reddituale-patrimoniale, verificare se vi fosse la necessità di compensare uno dei coniugi per il particolare contributo che egli dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, avendo sacrificato le proprie concrete (e non aleatorie) aspettative professionali (cfr. Cass. civ. 21234/2019, 5603/2020, 22499/2021).>> (numeri in rosso aggiunti)

Nessuna particolare novità.

Assegno divorzile e oneri sopravvenuti per il debitore

Cass. 23.998 sez. 1 del 02.08.2022, rel. Valentino, interviene sull’oggetto (non ci sono apprfondimento o spunti di interesse).

L’ex marito, alla luce di allegati oneri sopraggiunti a suo carico, contesta la permanenza del suo debito di euro 1.400,00 mensili a favore della moglie (la quale nel aveva in primo grado chiesto 2.000,00 mensili)

1° <<La Corte di Appello
ha applicato correttamente i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di
questa Corte con la sentenza n. 18278/2018, secondo la quale il
riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge
deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura
compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della I.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale6
n. 898 del 1970 richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei
mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per
ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima
parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre
attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione
dell’assegno>>;

2° : << Deve sottolinearsi, inoltre, che la circostanza dell’aumentato
impegno economico del ricorrente a causa della nascita dei suoi
gemelli ha indotto prima il Tribunale a diminuire l’assegno divorzile
e poi la Corte a confermare la diminuzione per cui il ricorrente non
può dolersi della violazione delle norme che enuncia. In tema di
assegno divorzile, «qualora a supporto della richiesta di sua
diminuzione o revoca siano allegati sopravvenuti oneri familiari
dell’obbligato, il giudice deve verificare se gli stessi abbiano
determinato un effettivo depauperamento delle sostanze di
quest’ultimo, tale da postulare una rinnovata valutazione
comparativa della situazione economico-patrimoniale delle parti o
se, viceversa, la complessiva, mutata condizione dell’obbligato non
sia comunque di consistenza tale da rendere irrilevanti i nuovi oneri»
(Cass., n. 21818/21;Cass., n. 14175/16; Cass., n. 618/2022).
Di talchè, allo stato, il ricorrente espone nuovamente i medesimi fatti
chiedendone una diversa valutazione nel merito insindacabile in sede
di giudizio di legittimità (ex multis Cass., S.U. n. 8053/2014; Cass.,
36171/2021). La Corte territoriale ha applicato correttamente le
norme richiamate dal ricorrente, svolgendo un esame dei fatti
acquisiti completo ed esaurientemente motivato (da ultimo Cass.,
n.618/2022). Il motivo è, pertanto, inammissibile in quanto diretto
a sollecitare un riesame dei fatti, attraverso una diversa loro
interpretazione
>>

Assegno divorzile e successiva convivenza di fatto : finalmente le sezioni unite

L’estensione alla convivenza della cessazione dell’assegno in caso di nuove nozze, disposta dall’art. 5/19 l. divorzio  è stata decisa dalla sezioni unite con sentenza 5 novembre 20121 n. 32198, rel. Rubino (leggila ad es. qui nel sito wolters kluwer)

Principi di diritto:

<<L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.

Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.

A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio>>.

Vi era stata rinviata dall’ord.  di Cass. n° 28995 del dicembre 2020.

La SC , accogliendo l’impostazione del collegio rimettente,  distingue dunque tra componente assistenziale e componente compensativa (secondo il noto insegnamento di Cass. sez. un. 18287/2018).

Quanto alla prima, la convivenza fa perdere l’assegno; quanto alla seconda, invece, no.

Il secondo punto ci pare corretto senz’altro; non altrettanto il primo.

Qui interessa solo la giustificazione del primo, che riporto:

<<23.2 – L’instaurazione di una nuova convivenza stabile, frutto di una scelta, libera e responsabile, comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, dai quali si ha diritto a pretendere, finché permanga la convivenza, un impegno dal quale possono derivare contribuzioni economiche che non rilevano più per l’ordinamento solo quali adempimento di una obbligazione naturale, ma costituiscono, dopo la regolamentazione normativa delle convivenze di fatto, anche l’adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale (come attualmente previsto dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), benché non privo di precarietà nel suo divenire, in quanto legato al perdurare della situazione di fatto.

23.3 – Ne consegue che, qualora sia stata fornita la prova dell’instaurarsi di tale stabile convivenza, il cui accertamento può intervenire sia nell’ambito dello stesso giudizio volto al riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, come nella specie, sia all’interno del giudizio di revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio, può ritenersi che cessi, in conseguenza del nuovo progetto di vita intrapreso, che indubbiamente costituisce una cesura col passato, e nell’ambito del quale l’ex coniuge potrà trovare e prestare reciproca assistenza, il diritto alla componente assistenziale dell’assegno, anche se il nuovo nucleo familiare di fatto abbia un tenore di vita che non sia minimamente paragonabile al precedente, e neppure a quello che sarebbe assicurato al convivente qualora potesse integrarlo con l’assegno divorzile>>.

Mi pare un errore.  La convivenza , anche se regolata dall’art. 1 commi 36 e segg. legge 76/2016, non attribuisce alcuna pretesa economica/di mantenimento: l’unica è quella dell’assegno alimentare dopo la fine della convivenza stessa, art. 1 c. 65.

Dunque far cadere l’assegno, in caso di nuovo rapporto affettivo convivenziale per la tranquillità economica da esso scaturente (in sostanza dice così),  non pare esattissimo …

Trasferimenti immobiliari in sede di divorzio congiunto: le Sezioni Unite chiariscono che sono ammissibili

Cass. sez. un. 29.07.2021 n. 21.761  chiariscono (annosa questione!) che in sede di divorzio congiutno (e di separazione) sono ammissibili accordi di trasferimento immobiliare. Il verbale di udienza che documenta l’accordo cistituisce atto pubblico.

Al § 3.5: <<Dando, conclusivamente, risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, queste Sezioni Unite affermano i seguenti principi di diritto: “sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento; il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.; la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis; non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.>>

Segnalo solo un precedente passaggio:

<<3.4.4.3 E’ del tutto evidente, pertanto, che – ferma la natura costituiva della sentenza che definisce il procedimento di divorzio a domanda congiunta, con la peculiarità che siffatta pronuncia è emessa sull’accordo delle parti, sia pure avente natura ricognitiva dei presupposti per la pronuncia sullo status, che il Tribunale ha comunque il dovere di verificare – la sentenza in parola viene a rivestire un valore meramente dichiarativo, o di presa d’atto, invece, quanto alle condizioni “inerenti alla prole ed ai rapporti economici”, che la domanda congiunta di divorzio deve “compiutamente” indicare. Fermo il limite invalicabile costituito dalla necessaria mancanza di un contrasto tra gli accordi patrimoniali e norme inderogabili, e dal fatto che gli accordi non collidano con l’interesse dei figli, in special modo se minori.

3.4.5. La pacifica – secondo tutta la giurisprudenza di legittimità succitata – natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c., comma 2, comporta pertanto che – al di fuori delle specifiche ipotesi succitate – nessun sindacato può esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizione stipulate dalle parti, e riprodotte nel verbale di separazione. Come del resto – sul piano generale – il giudice non può sindacare qualsiasi accordo di natura contrattuale privato, che corrisponda ad una fattispecie tipica, libere essendo le parti di determinarne liberamente il contenuto (art. 1322 c.c., comma 1), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private e, se si tratta di pattuizioni atipiche, sempre che l’accordo sia anche meritevole di tutela secondo l’ordinamento (art. 1322 c.c., comma 2).

3.4.6. E’ del tutto evidente, pertanto, che l’impostazione seguita – nel caso di specie – dalla Corte d’appello si è tradotta, in concreto, in un limite ingiustificato all’esplicazione dell’autonomia privata, che potrebbe dispiegarsi – ad avviso della Corte territoriale esclusivamente in direzione di un accordo obbligatorio, avente il valore sostanziale di un preliminare, e non di un atto traslativo definitivo. L’operazione ermeneutica che ne è derivata si è concretata, pertanto, in una sorta di peculiare – quanto inammissibile – “conversione” dell’atto di autonomia, che da trasferimento definitivo è stato trasformato d’ufficio, dal giudice, in un mero obbligo di trasferimento immobiliare>>

Separazione tra coniugi, costituzione di simil rendita vitalizia e successiva decisione sull’assegno divorzile

Cass. n. 11.012 del 26.04.2021 si occupa dell’incidenza dell’accordo post separazine sul giudizio circa l’assegno divorzile.

Il giudice di legittimità ribadisce che <<la giurisprudenza di questa Corte è costante nel sanzionare con la nullità gli accordi conclusi in sede di separazione in vista del futuro divorzio. In particolare, nella sentenza n. 2224 del 30/01/2017 (vedi anche Cass. 5302 del 10/03/2006) è stato enunciato il principio di diritto secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio.>>p. 4-5

La corte rigetta l’utilzizabilit àòdel precedente Cass. 8109/2000 in cui l’accordo medio tempore inrevenuto (ante divorzio) era una transazione.

Il principio di diritto allora è : <<“In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito – credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)”.>>