Assegno di mantenimento da separazione

Cass. sez. I, 17/03/2025 n. 7.123, rel. Caprioli:

<<Com’è noto, l’art. 156, comma 1, c.c., dispone che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.

Ciò che rileva, ai fini della determinazione dell’assegno in questione è l’accertamento del tenore di vita condotto dalle parti quando vivevano insieme, da rapportare alle condizioni reddituali e patrimoniali esistenti al momento della separazione.

Ai fini del compimento di entrambi gli accertamenti (le condizioni economico-patrimoniali durante la convivenza e quelle attuali di entrambi i coniugi) non è sufficiente guardare solo al reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma si deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9915 del 24/04/2007; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22616 del 19/07/2022).

La stessa valutazione deve essere compiuta con riferimento alle condizioni di vita di ciascuno dei coniugi successive alla separazione.

In tale ottica, l’attitudine dei coniugi al lavoro proficuo, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, dovendosi verificare la effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di tale attività, e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24049 del 06/09/2021)>>.

Ciò in genrale. Applicandolo al caso de quo:

<<Nel caso di specie, la Corte di merito, dall’esame delle dichiarazioni reddituali del ricorrente in atti, ha potuto rilevare che, durante la convivenza matrimoniale, le entrate familiari erano tutte provenienti dai redditi del Pe.Gi. che disponeva di un considerevole patrimonio frutto di un’attività di intermediazione immobiliare esercitata da parecchi anni fonte di guadagni significativi in un mercato locale di nicchia che notoriamente non aveva subito flessioni di particolare rilievo.

Ha poi messo in evidenza le partecipazioni societarie Cortina Snc di cui l’appellante è legale rappresentante e socio al 45% assieme alla madre) e della Saura Srl di cui lo stesso possiede una partecipazione del 32,5% dedita agli investimenti immobiliari in una località turistica di notevole pregio ambientale e di prestigio internazionale come Cortina d’Ampezzo.

Ha poi messo in luce che non aveva formato oggetto di contestazione il fatto che la famiglia era vissuta sulle molteplici disponibilità facenti capo a Pe.Gi.

Ha rilevato che in ragione dei numerosi cespiti che facevano capo al marito il tenore di vita goduto dalla famiglia non poteva considerarsi modesto.

Conclusione questa rafforzata dagli esiti dell’indagine affidata alla Guardia di Finanza di Belluno che certificava la consistenza del variegato e cospicuo patrimonio di Pe.Gi., il quale “non era riuscito a smentire e neppure a mettere in dubbio che le sue svariate disponibilità (diretto e/o indirette) abbiano sempre soddisfatto a pieno tutte le necessità familiari, essendo ben superiori ai redditi formalmente dichiarati (almeno nel periodo 2017-2020)”.

Ora nella specie il ricorrente intende confutare il convincimento della Corte territoriale, formatosi su una serie di elementi documentali e sugli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, contrapponendo ad essi varie argomentazioni nell’ambito di una complessiva diversa valutazione del compendio istruttorio.

Il Giudice distrettuale ha altresì rilevato che l’appellante non aveva contestato il suo consolidato ruolo attivo nel mercato immobiliare di Cortina oggettivamente idoneo a garantire una redditività importante non scalfita da alcuna recessione.

Quanto alla posizione della moglie la Corte ha messo in luce che durante il matrimonio la stessa non aveva mai lavorato , non disponeva di beni immobili, ed aveva un’ età (v. 49 anni all’epoca della separazione del 2018) che non le consentiva un utile inserimento nel mondo lavorativo con una retribuzione piena capace di soddisfare i bisogni essenziali, seppure in presenza di una capacità lavorativa che avrebbe potuto essere messa a frutto perlomeno a livello stagionale in una realtà come quella ampezzana.

Il giudice di merito ha pertanto considerato l’effettiva possibilità per la richiedente di reperire un’adeguata attività lavorativa, le caratteristiche specifiche del soggetto (età, condizione fisica), il grado di istruzione, l’avere prestato attività lavorativa in precedenza ed il fattore ambientale.

In particolare si è tenuto conto in una prospettiva concreta che nella realtà ampezzana la maggior parte delle attività presenti, hanno un andamento stagionale e quindi le professionalità richieste sono quelle legate all’attività alberghiera (camerieri, cuochi, barman, facchini) oppure all’attività commerciale che rendono particolarmente complicato per una donna di circa 50 anni, per di più affetta da serie patologie tumorali (all 4 del controricorso doc 101,102 e 103) l’inserimento nel mercato del lavoro.

Pertanto nell’ottica di garantire nell’immediato il tenore di vita di cui la stessa di cui la stessa godeva in costanza di matrimonio, è stato ritenuto congruo l’importo di Euro 500,00, per sostenere esborsi di importanza primaria nella quotidianità, quali vitto, utenze della casa, spese sanitarie in ragione della durata non modesta del matrimonio e del principio solidaristico verso il coniuge di derivazione costituzionale.

Per quanto riguarda il quantum dell’assegno in favore delle figlie la Corte ha giustificato la misura in considerazione del fatto che con un menage familiare improntato senz’altro al benessere (viste le possibilità del padre e della sua famiglia d’origine e dal momento che non è stato dedotto nulla in senso contrario) nonché in un contesto socio-economico dove i costi per vitto, istruzione, abbigliamento, sport, intrattenimento sono più elevati dei livelli medi nazionali.

La Corte ha quindi vagliato con ampia motivazione ben al di sopra del minimo costituzionale le posizioni delle parti alla luce dei principi di diritto sopra illustrati senza incorrere violazione del riparto dell’onere della prova.

Il Giudice di merito ha esaminato le risultanze acquisite al processo e, sulla base di quelle, ha valutato gli elementi di prova relativi al periodo di convivenza dei coniugi, così acquisendo elementi per ricostruire il tenore di vita matrimoniale, rapportandolo alla situazione attuale delle parti, dando rilievo al fatto incontroverso della dedizione per della moglie alla famiglia per tutta la durata del matrimonio.

Le doglianze in esame, nel lamentare l’apparenza della motivazione”, non adducono che le spiegazioni offerte dalla Corte di merito non fossero idonee a rappresentare l’iter logico-intellettivo seguito dal collegio giudicante per arrivare alla decisione sotto i vari profili in contestazione, ma intendono confutare la fondatezza e la plausibilità degli argomenti sviluppati dai giudici di merito, ripercorrendoli passo passo e muovendo critiche alle ragioni offerte sui singoli punti oggetto di censura.

Simili censure non evidenziano, quindi, alcuna criticità dell’apparato argomentativo presente all’interno della decisione impugnata nei limiti attualmente ammissibili (v. Cass., Sez. U., 8053/2014), ma sono espressione di un mero dissenso motivazionale rispetto a un apprezzamento di fatto – assunto, in tesi, “contra alligata et probata”, discostandosi dalle risultanze istruttorie ed anzi contraddicendole – che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte>>.

Un solo episodio di violenza sul coniuge è di per sè titolo per ottenere una separazione con l’addebito

Cass. sez. I, Ord. 16/02/2025, n. 3.946, rel. Tricomi:

<<Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che il Collegio intende qui convintamente ribadire, in tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall’altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo, comunque, a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona (Cass. 817/2011; Cass. 433/2016).

È stato altresì precisato che le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse-, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass. 7388/2017; Cass. 35249/2023).

Le violenze, infatti, integrano atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei e pertanto ad esse va riconnessa incidenza causale preminente rispetto a preesistenti cause di crisi dell’affectio coniugalis (Cass. 3925/2018; Cass. 31351/2022).

Il criterio di valutazione seguito dalla Corte di appello per accertare la eventuale sussistenza della responsabilità del marito ai fini della domanda di addebito della separazione è in netto contrasto con la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata. Nel caso di specie la Corte di appello, pur riconoscendo la gravità dell’episodio che aveva dato luogo ad un procedimento penale a carico del marito definito con la sentenza di patteggiamento e le conseguenze che ne sono derivate sul piano fisico alla vittima costretta a ricorrere al pronto soccorso, non ha attribuito rilievo all’episodio ritenendo non provato il nesso causale di quell’episodio così violento con la fine dell’unione.

In tal modo non si è conformata ai principi sopra esposti secondo cui, come si è detto, resta irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale. La decisione impugnata va, pertanto, cassata sul punto e rinviata alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà a liquidare le spese della presente fase>>.

Presupposti per l’assegno di mantenimento da separazione

Cass. sez. I, ord. 10/02/2025, (ud. 21/01/2025, dep. 10/02/2025), n.3.354, rel. Caiazzo:

<<In tema di separazione personale dei coniugi, l‘attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., n. 5817/2018: in applicazione di tale principio la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del giudice di merito, che aveva escluso il diritto al mantenimento del coniuge, in ragione della pacifica esistenza di proposte di lavoro immotivatamente non accettate).

In materia di separazione dei coniugi, grava sul richiedente l’assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l’onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un’occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell’assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass., n. 20866/2021; n. 24049/21; n. 234/20215).

Nella specie, in applicazione del citato consolidato orientamento di questa Corte, la doglianza in esame è dunque inammissibile, poiché la questione della rilevante disparità delle condizioni reddituali tra i coniugi è da ritenere preclusa dall’accertamento preliminare della mancata prova dell’adeguata ricerca di lavoro, tanto più che è emersa la mancata accettazione di un’offerta di lavoro e la mancata allegazione dei motivi del rifiuto>>.

Si noti la preliminarità dell’accertamento della ricerca lavorativa.

In sede di accordi di separazione, i coniugi possono modificare le quote di comproprietà dell’immobile, che era in comunione legale

La quota di comproprietà nel regime di comunione legale è inderogabilmente del 50% cadauno (art. 210 cc)

In sede di separazione, però, scioltasi la comunione, può essere modificata (71 % e 29 %, nel caso de quo).

Così Cass. sez. I, ord. 03/02/2025 n. 2.546, rel. Tricomi:

<<Tanto premesso, è decisivo ricordare che questa Corte con la sentenza n. 21761/2021 resa a Sezioni Unite, di recente, ha affermato, richiamando pregressi precedenti di legittimità, che sono da ritenersi pienamente valide, anche con riferimento ai beni che ricadono nella comunione legale, le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno, o ad entrambi i coniugi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili nel complessivo riassetto degli interessi economico – patrimoniali, ovvero che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. In particolare, ha chiarito che “Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume – per vero – forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi. Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, infatti, con effetto “ex nunc”, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale” (Cass. Sez. U. n.21761/2021, par.3.2.2.; Cass. n.4306/1997).

È stato, inoltre, affermato – con riferimento ad una vicenda di proposizione dell’azione revocatoria – che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondono, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua “tipicità” propria. Tale tipicità – intesa in senso lato, con riferimento alla finalità, comune a questi accordi, di regolare i rapporti economici a seguito della crisi di coppia – ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass. n. 2740/2019). In tale decisione, la Corte ha ribadito come il verbale in cui le parti avevano espresso le condizioni di separazione personale costituisse a seguito dell’omologa, ed in quanto atto pubblico – titolo per la trascrizione, a norma dell’art. 2657 c.c. (in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Cass.n.10443/2019).

Nel caso in esame, si verte in ipotesi di accordo stipulato tra ex coniugi, al momento della separazione consensuale, al fine di disciplinare i profili relativi alle questioni patrimoniali insorte nella coppia.

Ne discende che, una volta sciolta la comunione legale con la separazione consensuale, rientra nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali – estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti – con l’accordo di separazione omologato; in tale sede le parti possono liberamente disporre dei beni in comunione al fine di regolare i rapporti economici della coppia e possono prevedere una ripartizione del bene immobile in comunione legale per quote non egalitarie nell’ambito delle reciproche attribuzioni patrimoniali, in vista della successiva divisione, senza che ricorra alcuna ipotesi di nullità>>.

Trattasi di affermazione esatta ma ovvia. Ci sarà quindi un trasferimento di quota dall’uno all’altro coniuge (del 21%, nel caso).

Sul dovere di cercarsi un lavoro, ai fini dell’assegno di mantenimento da separazione

Cass. Civ., Sez. I, ord. 7 gennaio 2025 n. 234, rel. Russo, enuncioa il seguente principio di diritto:

<<In tema di separazione dei coniugi il diritto a ricevere un assegno di mantenimento ai sensi dell’art 156 c.c. è fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale, è correlato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio e non ha, a differenza dell’assegno di divorzio, componenti compensative. Tuttavia, nel valutare se il richiedente è effettivamente privo di adeguati redditi propri, deve tenersi conto anche della sua concreta e attuale capacità lavorativa, pur se l’istante non la metta a frutto senza giustificato motivo, dal momento che l’assegno di mantenimento non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo>>.

Quando l’allontanamento dalla casa familiare può dirsi causa di addebito della separazione personale

Cass. sez. I, ord. 28/01/2025 n. 2.007, rel. D’Aquino:

<<Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’allontanamento dalla casa familiare, costituendo violazione del dovere di coabitazione, è fortemente pregnante come motivo di addebito, benché a condizione che abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, salvo che la convivenza fosse già in quel momento intollerabile (Cass., n. 11032/2024; Cass., n. 25966/2016); efficacia causale esclusa, dal giudice di appello, in quanto allontanamento concordato tra i coniugi, di carattere non definitivo, così come è stata esclusa l’efficacia causale della relazione extraconiugale del marito intrattenuta successivamente; valutazioni che rientrano nel potere-dovere del giudice di valutare e scegliere gli elementi di prova nell’esaminare le domande proposte dalle parti. Valutazioni che, a loro volta, incidono sul giudizio di efficienza causale di intollerabilità della convivenza, giudizio fondato pertanto su valutazioni in fatto incensurabili in sede di legittimità>>.

Assegno di mantenimento da separazione e assegno divorzile: differenze e (alcune) somiglianze

Breve ripasso in tema da parte di Cass. sez. I, ord. 07/01/2025 n. 234, rel. Russo R. E. A.:

<<La Corte territoriale si è limitata ad affermare che la moglie al momento della separazione non lavorava e che ha diritto di conservare l’elevato tenore di vita mantenuto in costanza di convivenza, senza valutare se ella sia in possesso di risorse economiche tra le quali rileva certamente, oltre che l’eventuale patrimonio, anche la capacità lavorativa, da valutarsi in concreto e non in astratto (Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

2.1.- Non si tratta qui di estendere automaticamente alla separazione i principi affermati da questa Corte in tema di assegno divorzile (Cass. S.U. 18287/2018), quanto di verificare se sussistano i presupposti per ottenere l’assegno di mantenimento ed in che misura, con accuratezza e considerando la concreta situazione, pur tenendo fermo che assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è correlato al tenore di vita ed è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art 156 c.c.).

2.2.- Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

2.3.- Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale fintanto che il matrimonio non è sciolto; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale (Cass. n. 34728 del 12/12/2023 in motivazione).

3.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative. Tuttavia, deve rilevarsi che l’accertamento del diritto ad esser mantenuti dall’altro coniuge a seguito di separazione non è scisso dalla valutazione che la solidarietà presuppone un rapporto paritario e di reciproca lealtà, incompatibile con comportamenti parassitari diretti a trarre ingiustificati vantaggi dal coniuge separato. Più volte questa Corte ha sottolineato come anche nelle relazioni familiari valga il principio di autoresponsabilità che è strettamente correlato alla solidarietà; tutte le comunità solidali presuppongono che ciascuno contribuisca al benessere comune secondo le proprie capacità e che nessuno si sottragga ai propri doveri.

4. – Deve quindi rilevarsi che ferma la differenza tra assegno di divorzio e assegno di separazione, vi sono alcuni tratti comuni tra i due istituti e tra questi il presupposto che il richiedente sia privo di risorse adeguate. L’art. 156 parla invero di mancanza di “adeguati redditi propri”, e non di “mezzi adeguati” come l’art. 5 della legge divorzile, ma, ove il richiedente sia dotato di concreta e attuale capacità lavorativa e non la metta a frutto senza giustificato motivo la assenza di adeguati redditi propri non può considerarsi un fatto oggettivo involontario ma una scelta addebitabile allo stesso interessato.

4.1.- Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che il riconoscimento dell’assegno previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass. n. 20866 del 21/07/2021). Ed ancora si è affermato che l’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. n. 5817 del 09/03/2018; Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

Nella specie la Corte d’Appello di Napoli non ha fatto buon governo di questi principi nell’omettere qualsivoglia indagine sulle capacità lavorative concrete della richiedente assegno e non indagando sulla possibilità che la moglie si procuri redditi diversi, ad esempio da patrimonio, limitandosi ad affermare che la stessa al momento della separazione non lavorava>>.

Per l’assegno di mantenimento dei figli, contano solo le condiizoni economiche dei genitori, non quelle dei nonni

Cass. sez. I, ord. 13 dicembre 2024, n. 32.365, rel. Tricomi:

In tema di assegno di mantenimento per i figli trova applicazione il principio secondo cui, in sede di separazione, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge, non rilevano le condizioni economiche dei genitori del soggetto obbligato, giacché questi, una volta che il figlio sia divenuto autonomo e abbia fondato un proprio nucleo familiare, non hanno più alcun obbligo giuridico nei suoi confronti; pertanto, eventuali elargizioni dei genitori, ancorché continuative, costituiscono atti di liberalità e non possono essere considerate reddito del coniuge obbligato, salva la possibilità, ove ricorrano lo stato di bisogno e i presupposti di legge, di proporre domanda per il riconoscimento degli alimenti ex art. 433 e ss c.c.

(massima di Cesare Fossati in Ondif)

Nella separazione coniugale, l’assegno di mantenimento va parametrato al precedente tenore di vita (a differenza dal divorzio)

Cass. Civ., Sez. I, Ord. 26 novembre 2024, n. 30502, rel. Acierno:

<<Risulta, infine, pienamente condivisibile l’interpretazione dell’art. 156 c.c.
offerta dalla Corte d’Appello presta piena adesione alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte per cui: “a norma dell’art. 156 cod. civ., il
diritto all’assegno di mantenimento sorge nella separazione personale a favore
del coniuge cui essa non sia addebitabile, quando questi non fruisca di redditi
che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello esistente
durante il matrimonio e sussista disparità economica tra i coniugi; il parametro
al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza è dato dalle potenzialità
economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento
condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del
richiedente, senza che occorra un accertamento dei redditi rispettivi nel loro
esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle
situazioni patrimoniali complessive di entrambi” (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n.
3974 del 19/03/2002 )>>

La violenza fisica e verbale rende di per se intollerabile la prosecuzione della convivenza e l’addebito della separazione (anche quando intervenuta una sola volta)

Cass. sez. I, ord. 29/11/2024 n. 30.721, rel. Acierno:

<<Certamente, l’orientamento consolidato di questa Corte ritiene che la pronuncia di addebito non possa fondarsi unicamente sul mero riscontro della violazione dei doveri che discendono dal vincolo matrimoniale, che sia invece necessario l’accertamento dell’effettiva idoneità della condotta a essere causa, non necessariamente unica, ma comunque determinante dell’intollerabilità della prosecuzione del rapporto (Cass. civ. 12.05.2017, n. 11929) e che il nesso possa escludersi presuntivamente allorquando la violazione intervenga nel contesto di una globale e consolidata crisi del rapporto (Cass. civ. 07.12.2007 n. 25618).

Pertanto, in capo a chi lamenta la violazione dei doveri coniugali e domanda la dichiarazione di addebito della separazione al coniuge, incombe un doppio onere di prova: un primo concernente l’esistenza della violazione e un secondo riferito alla efficacia causale della stessa a determinare la domanda di separazione. Quanto affermato non contrasta, tuttavia, con il particolare orientamento sviluppato dal giudice di legittimità, che la Corte d’Appello non ha tenuto in considerazione, e che ha ad oggetto la valutazione dell’onere probatorio in tema di violazione dei doveri coniugali mediante condotte violente perpetrate ai danni del coniuge. Dette condotte, a motivo della particolare gravità della violazione dei doveri di cui all’art. 143 c.c., sono idonee non solo a fondare la pronuncia di separazione, ma anche a fondare per sé sole, quand’anche concentratesi in un unico episodio di violenza, la dichiarazione di addebitabilità all’autore. Sono altresì insuscettibili di essere poste a fondamento del giudizio di comparazione con le condotte dell’altro coniuge e non rileva, neanche, la posteriorità delle stesse alla situazione di globale conflittualità fra coniugi. L’onere della prova, ai soli fini della pronuncia della separazione e della dichiarazione di addebito, si affievolisce, pur non esaurendosi, in favore di una presunzione relativa di idoneità (Cass. Civ. n. 7388 del 22 marzo 2017; Cass. civ. n. 27324 del 16 settembre 2022).

Neppure può condividersi il rilievo secondo cui “Ve pretese violenze…, anche se in ipotesi fossero state provate, sono state per parte agite molti anni prima della separazione, e quanto all’episodio più recente, databile al 2017, lo stesso è collocabile in epoca in cui per stessa ammissione della parte appellante, esisteva già tra i coniugi separazione di fatto”, incorrendo il giudice di merito in un duplice errore logico: da un lato, escludendo il nesso causale per il solo decorrere del tempo dalle violenze presunte (fattore che non può, di per sé, escludere ragionevolmente la rilevanza delle stesse ai fini della pronuncia di addebito) e dall’altro, ritenendo non provati fatti che erano oggetto dei capitoli di prova non ammessi e per questo rigettare la domanda della ricorrente. >>

Si v. poi sulla sufficienza di un unico episodio Cass. sez. I, ord. 10/12/2024 n.31.765, rel. Acierno:

<< Il primo motivo merita accoglimento. La Corte d’Appello incorre in un duplice errore, logico e giuridico, nell’iter motivazionale che conduce alla revoca dell’addebito. In primo luogo, dalle argomentazioni della Corte si desume un’insistenza della verifica circa la sussistenza o meno del nesso eziologico non tanto sul periodo intercorrente tra le condotte violative degli obblighi matrimoniali e l’intervenuta intollerabilità della convivenza quanto, erroneamente, sul tempo trascorso tra la cessazione di detta convivenza e il momento di proposizione della domanda giudiziale. Ne deriva un’illogica traslazione del giudizio di accertamento del nesso causale ad un momento successivo e giuridicamente irrilevante. La prova del nesso causale deve evidentemente essere riferita al periodo intercorrente tra le violazioni dei doveri matrimoniali e l’accertata insorgenza della crisi, non anche al periodo di tempo trascorso dalla maturazione dell’interesse ad agire alla sottoposizione al giudice della relativa istanza di tutela. Vi è da aggiungere che, oltre all’errore sopra evidenziato, la corte territoriale incorre nel concorrente errore di diritto consistente nel non considerare il nettamente inferiore rilievo giuridico del nesso causale nelle ipotesi di addebito fondate su violenze psicologiche o fisiche subite dal richiedente.

In tema di accertamento del nesso causale, infatti, questa Corte riafferma il consolidato orientamento per cui “Le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse –, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 7388 del 22/03/2017).

Inoltre, come già evidenziato, la Corte d’Appello erroneamente fa discendere una conseguenza negativa non prevista dalla legge (il maturarsi di un’implicita “acquiescenza”, da parte della titolare del diritto, in merito ad una situazione di fatto contra legem, consistente nella sistematica violazione degli obblighi matrimoniali e, soprattutto, nella reiterazione delle condotte violente ai danni della coniuge), al mero decorso del tempo tra le violazioni e la proposizione della domanda giudiziale, ricollegando a quest’ultimo elemento fattuale un indebito effetto estintivo del diritto, nonché la perdita della relativa tutela. L’irrilevanza del tempo trascorso per far valere in giudizio un diritto, in relazione al quale la legge non prevede alcun effetto estintivo legato al decorso del tempo è, come correttamente evidenziato dalla ricorrente, sancita dall’art. 160 c.c., a norma del quale i diritti e gli obblighi matrimoniali sono inderogabili dalle parti e, conseguentemente, indisponibili e irrinunciabili. Ne deriva l’imprescrittibilità dei diritti in parola ai sensi dell’art. 2934, comma secondo c.c., ed è pertanto infondato che l’istanza di tutela della Sig.ra Al.Ca. rimanga disattesa esclusivamente in ragione di una mera valutazione del dato cronologico relativo al tempo impiegato a far valere la stessa in giudizio. Tale percorso argomentativo non solo non trova conforto nel dato normativo, ma si rivela contrastante con la giurisprudenza di questa Corte che ha più volte ribadito il principio generale secondo il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (S.U. n. 32914/2022; Cass. n. 2960/2017; Cass. n.14886/2002; Cass. n.4558/2000; Cass. n.4011/1999).>>