L’obbligazione naturale tra conviventi more uxorio resta tale anche in presenza di dazioni successive alla fine della convivenza

Cass. sez. I, ord. 02/01/2025  n. 28, rel. Parise, con insegnamento importante e per nulla scontato:

Premessa generale:

<<3.2. Tanto precisato, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte che il Collegio intende qui ribadire, la sussistenza dell’obbligazione naturale ex art. 2034, comma 1, c.c., postula una duplice indagine, finalizzata ad accertare se ricorra un dovere morale o sociale, in rapporto alla valutazione corrente nella società, e se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso (tra le altre Cass. 19578/2016).

Inoltre questa Corte ha avuto modo di chiarire (cfr. da ultimo Cass. 16864/2023) che le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell’ambito di un legame matrimoniale e assumono rilievo ai sensi dell’art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell’altro, doveri che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale, sicché le attribuzioni finanziarie a favore del convivente more uxorio, effettuate nel corso del rapporto per far fronte alle esigenze della famiglia (nella specie, versamenti di denaro sul conto corrente del convivente con quindici bonifici per un importo complessivo di € 74.000), configurano l’adempimento di un’ obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza, per la cui valutazione occorre tener conto di tutte le circostanze fattuali, oltre che dell’entità del patrimonio e delle condizioni sociali del solvens>>.

Sul punto specifico :

<<3.3. La questione oggetto del contendere e oggetto della specifica censura di cui si sta trattando concerne la configurabilità dei doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell’altro in relazione ad attribuzioni economiche o patrimoniali effettuate non nel corso del rapporto di convivenza more uxorio, ma dopo la cessazione dello stesso, e su detto specifico profilo non constano pronunce di questa Corte.

Ritiene il Collegio che sia corretta la soluzione adottata dalla Corte territoriale, che ha ritenuto di poter ricondurre nell’alveo dei doveri sociali e morali, in rapporto alla valutazione corrente nella società, quello solidaristico nei confronti dell’ex-convivente more uxorio, ravvisato, cioè, sussistente e meritevole di tutela anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, avuto riguardo alla specificità del caso concreto.

Occorre osservare che le convivenze di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, anche se di origine relativamente recente, poiché dai dati statistici risulta la “moltiplicazione delle unioni libere”, che ormai sopravanzano, in numero, le famiglie fondate sul matrimonio, come affermato anche dalla Corte costituzionale, da ultimo con la pronuncia n. 148/2024, che ha ricostruito in dettaglio l’evoluzione del quadro normativo e tratteggiato le caratteristiche salienti dell’ampliamento progressivo del rilievo dato dal legislatore alle unioni di fatto.

L’affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, dapprima nella società e quindi nella giurisprudenza, grazie anche all’impulso dato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia), ha trovato un approdo legislativo nella legge n. 76 del 2016, che in un unico e lungo articolo, suddiviso in 69 commi, contempla due modelli distinti: il primo, quello dell’unione civile, cui sono dedicati i primi 35 commi, è riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso; il secondo, quello della convivenza di fatto, è aperto a tutte le coppie, eterosessuali e omosessuali. Quanto al secondo modello (la convivenza di fatto), la legge n. 76 del 2016 abbandona la rigida alternativa tra tutela, o no, parametrata a quella riservata alla famiglia fondata sul matrimonio e valorizza l’esigenza di speciale regolamentazione dei singoli rapporti, siano essi quelli che vedono coinvolti i conviventi tra di loro, ovvero quelli tra genitori e figli o che si sviluppano con i terzi (così la sentenza citata n.148/2024). La convivenza di fatto, trovando copertura di rango costituzionale nell’art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo nelle “formazioni sociali” ove si svolge la sua personalità, esige una tutela che si affianca a quella che l’art. 29, primo comma, Cost. riserva alla “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (sentenze n. 269 del 2022, n. 170 del 2014 e n. 138 del 2010 della Corte Cost.).

Dunque, la convivenza di fatto implica un “legame affettivo di coppia” e plurime disposizioni di legge, nel tempo, ne hanno sancito il rilievo sotto molteplici e disparati profili (per una puntuale elencazione cfr. la citata sentenza n.148/2024; tra le più recenti cfr. la legge 27 dicembre 2017, n. 205 in tema di caregiver familiare; il decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, che richiama la figura del convivente di fatto come possibile beneficiario dei permessi per assistere persone disabili; il decreto legislativo n. 105 del 2022, nella parte in cui prevede che al coniuge convivente sono equiparati, ai fini dei riposi e permessi per assistere i figli con handicap grave, sia la parte di un’unione civile, sia il convivente di fatto). Resta da aggiungere che, come rimarcato dal Giudice delle leggi, pure nell’ambito della cornice normativa dettata dalla legge n. 76 del 2016 e dai provvedimenti legislativi settoriali successivi, restano ancora affidati alla spontaneità dei comportamenti tutti quegli aspetti che caratterizzano la gestione delle esigenze della coppia, quali coabitazione, collaborazione, contribuzione ai bisogni comuni, assistenza morale e materiale, determinazione dell’indirizzo familiare e fedeltà, durata della relazione>>.

Trasferimento titoli di credito tra adempimento (valido) di obbligazione naturale, liberalità indiretta e donazione nulla per macanza di forma

Cass. sez. II, ord. 05/12/2024 n. 31.170, rel. Falaschi:

fatto:

<<con atto di citazione notificato il 25 maggio 2004 , De.Al. evocava, innanzi al Tribunale di Ravenna, Mu.Ma., chiedendo di accertare e dichiarare la nullità per vizio di forma di n. 124 atti di liberalità, sotto forma di trasferimento di titoli di credito, per una somma totale pari a Euro 144.607,93, elargiti durante la vita dall’anziano padre, De.Gi., in favore della convenuta, madre della loro figlia, riconosciuta solo dopo l’introduzione di un contenzioso, sostenendo che tali elargizioni configuravano donazioni nulle, poiché effettuate in assenza della forma prescritta ad substantiam, non al fine di contribuire al mantenimento della nipote, come sostenuto dalla Mu.Ma., ma in virtù della relazione affettiva che lo stesso De.Gi. aveva instaurato con Mu.Ma.;>>

Poi in diritto:

<< Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 769,782 e 2034 c.c., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la Corte d’Appello ritenuto che le dazioni di De.Gi. integrassero donazioni nulle ex art. 769 c.c. sulla sola base del quantum dell’attribuzione e delle modalità adottate per il loro trasferimento, piuttosto che un’obbligazione naturale per l’adempimento di doveri morali ex art. 2034 c.c., derivanti dalla solidarietà familiare e, come tali, impassibili di restituzione ai sensi dell’art. 2033 c.c. Secondo la ricorrente, il giudice avrebbe omesso di compiere indagini necessarie ai fini della verifica della proporzionalità ed adeguatezza del valore delle dazioni rispetto alla situazione di ampia e diffusa disponibilità patrimoniale di De.Gi.. Inoltre, il giudice di seconde cure avrebbe giudicato in contraddizione con le prescrizioni dell’art. 115 c.p.c, non ponendo a fondamento delle sue argomentazioni le risultanze istruttorie decisive, come la risultanza istruttoria decisiva del CTP nelle proprie osservazioni del 31 dicembre 2009, formulate in sede di CTU per la sola valutazione del quantum delle dazioni.

Il motivo è privo di pregio.

Occorre preliminarmente rilevare che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente ribadito che il trasferimento di dossier titoli da parte del beneficiante nei confronti di un beneficiario non configura una liberalità atipica, riconducibile alla disposizione di cui all’art. 809 c.c., per ragioni quali l’entità degli importi, le modalità di trasferimento e la stabilità dell’attribuzione patrimoniale, che presuppongono la stipulazione dell’atto pubblico di donazione, predisposto dall’ordinamento al fine di tutelare il donante e assicurarsi che abbia effettiva contezza del compimento di atti di disposizione del proprio patrimonio, onde evitare scelte affrettate e conseguenze potenzialmente pregiudizievoli, integrando una donazione diretta ad esecuzione indiretta, suscettibile come tale di impugnazione per mancanza del requisito formale dell’atto pubblico (Cass., Sez. Un., n. 18725 del 2017; Cass. n. 23127 del 2021; Cass. n. 527 del 1973).

Orbene, di questo principio ha fatto corretta applicazione la Corte di merito, qualificando l’atto in questione come una donazione diretta ma nulla, poiché sprovvista del requisito di forma scritta ad substantiam, ritenendo che la volontà del nonno fosse quella di attribuire alla nipote risorse adeguate alle sue esigenze di vita futura>>.

Purtroppo mancano dettagli sul tipo di titoli e di trasferimento (124 atti in tale senso!!!).

Le attribuzioni tra coniugi costituiscono adempimento di obbligazione naturale (art. 2034 cc)

Cass. sez. III, Ord. n.  23.471, rel. Rossi Raff.:

<<Per fermo convincimento del giudice di nomofilachia, le attribuzioni patrimoniali (o le prestazioni a carattere patrimoniale) da un coniuge a favore dell’altro effettuate nel corso del matrimonio configurano, al pari di quelle eseguite tra conviventi more uxorio, l’adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 cod. civ., dacché espressione della solidarietà che avvince due persone unite da legame stabile e duraturo, a condizione, tuttavia, che siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza, il cui contenuto va in concreto parametrato alle condizioni sociali ed economiche dei componenti della famiglia.

Detto altrimenti, la proporzionalità ed adeguatezza va vagliata alla luce di tutte le circostanze del caso specifico, dovendo la prestazione risultare adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio ed alle condizioni sociali del solvens: pertanto, la verifica sulla sussistenza di detti caratteri è compito tipicamente devoluto al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo nei circoscritti limiti dei vizi motivazionali rilevanti ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (diffusamente, Cass. n. 16864 del 2023, cit. ; oltre alle pronunce citate supra, si veda Cass. 25/01/2016, n. 1266)>>.

Erogazioni al convivente di fatto tra mutuo , liberalità indiretta e adempimento di obbligazione naturale

Dopo anni di convivenza e aver messo al mondo tre figli con lei, lui le chiede la restituzione di 170.000 euro ca. a titolo di rimborso di presunto mutuo.

Lei contesta che la ragione era invece stata l’indennizzo per una previa permanenza di lui nella casa di lei per anni e il suo dovere di mantimento dei figli.

Il Tribunale di Milano n° 4432/2023 del 29 maggio 2023, RG 16556/2021, g.u. Guantario, rigetta la domanda di lui perchè non provato il titolo azionato.

<<Come noto, “l’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo
è tenuto, ex art. 2697, comma 1, c.c., a provare gli elementi
costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna, ma anche
il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione; ed
infatti l’esistenza di un contratto di mutuo non può desumersi dalla
mera consegna di assegni bancari o somme di denaro (che, ben potendo
avvenire per svariate ragioni, non vale, di per sé, a fondare una
richiesta di restituzione allorquando l'”accipiens” – ammessa la
ricezione – non confermi, altresì, il titolo posto dalla controparte
a fondamento della propria pretesa, ma ne contesti, anzi, la
legittimità), essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il
fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del
convenuto (il quale, pur riconoscendo di aver ricevuto la somma, ne
deduca una diversa ragione) possa tramutarsi in eccezione in senso
sostanziale e, come tale, determinare l’inversione dell’onere della
prova (tra le altre Cass.24328/2017)
Ebbene, nel caso di specie la convenuta negava che le somme ricevute
dall’attore le fossero state versate a titolo di prestito, sostenendo
che invece le erano corrisposte dal sig. Ranzani in adempimento di
doveri morali e sociali nei suoi confronti, anche per avere vissuto
per 7 anni nella casa di sua proprietà esclusiva di San Donato Milanese, senza versare alcunché; affermava inoltre che l’attore
aveva così contribuito al mantenimento dei tra figli della coppia e
dunque alle loro esigenze abitative, alimentari e di cura.
A fronte di tale contestazione, pertanto, il sig. Ranzani avrebbe
dovuto provare di avere concordato con la signora Delledonne la
restituzione degli importi versati e che pertanto la stessa avesse
assunto un obbligo in tal senso. Come chiarito dalla sentenza citata,
non incombeva invece su parte convenuta, la prova del diverso titolo
allegato.
Ciò posto, nessun documento veniva prodotto da parte attrice neppure
a dimostrazione di avere richiesto, prima della diffida del febbraio
2021 (doc. 2 di parte attrice) la restituzione di importi versati per
la maggior parte nel 2011 e comunque non oltre il 2014, così da
rendere implausibile che tre le parti fosse stato stipulato un
prestito.
Nemmeno i capitoli articolati, erano idonei a dimostrare che le somme
per cui è causa fossero state concesse a tale titolo. Al contrario lo
stesso attore allegava che, nonostante le raccomandazioni del proprio
legale, decideva di non formalizzare alcun accordo con la signora
Delledonne per riottenere, anche in caso di cessazione delle
convivenza, quanto versatole.
A ciò si aggiunga che, fermo restando quanto sopra detto in punto di
onere della prova, la qualificazione dei versamenti effettuati
dall’attore in favore della convenuta in termini di adempimento di
obbligazioni naturali e di contribuzione al ménage familiare è del
tutto conforme al principio secondo il quale le unioni di fatto,
quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la
famiglia formatasi nell’ambito di un legame matrimoniale e assumono
rilievo ai sensi dell’art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di
natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti
dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura
patrimoniale>>.

Non risulta azionata una  domanda restitutoria basata su donazione nulla per carenza di forma.

Resta da precisare che i doveri verso i figli, pur non nati da matrimonio, sono obbligo non naturale ma giuridico (art. 337 ter c.c.).