Sulla vendita dei diamanti tramite banca (sui cui ci sono nuovi sviluppi, scrive la Reuters), interviene il Tribunale civile di Verona RG 5251/2018 del 20.05.2019 , accogliendo la domanda dei clienti/investitori.
Questi ultimi avevano citato sia la Intermarket Diamond Business s.p.a. (IDB) sia la Banca per ottenere ristoro del danno subito dal cattivo investimento loro proposto.
Qui interessa solamente il ruolo della Banca, la quale dall’istruttoria risulta aver promosso l’investimento in diamanti, che si sarebbe poi concretizzato in un contratto tra investitori e IDB.
Segnalo due passaggi della sentenza veronese.
Nel primo, il giudice scrive (p. 15): <<La fonte della responsabilità della banca va invece individuata, come proposto in via alternativa dal ricorrente, nel rapporto che, come si è visto, è indubbiamente intercorso tra la e l’istituto di credito in relazione all’acquisto dei diamanti e nell’ambito del quale la prima, per le ragioni dette al termine del precedente paragrafo, ha posto affidamento in un dovere di diligenza gravante in capo al secondo, in virtù delle sue specifiche competenze professionali.
Di tale competenza la ….. che era abituale investitore attraverso la banca, non avrebbe potuto ragionevolmente dubitare, dato che l’opportunità dell’acquisto dei diamanti le era stata presentata dal proprio referente investimenti contestualmente e in collegamento all’offerta di prodotti finanziari (quote di fondi comuni di investimento) e la valutazione di forme alternative di impiego del risparmio rientra nel servizio di consulenza finanziaria offerto dal personale dell’istituto di credito ai propri clienti.
E’ appena il caso di evidenziare che il comportamento tenuto in concreto dalla banca ha tradito quell’affidamento e molto probabilmente, per una sorta di eterogenesi dei fini, ha anche pregiudicato quel risultato di fidelizzazione della clientela che la resistente si prefiggeva di realizzare collaborando con IDB.
Il rapporto intercorso tra le parti ha anche generato a carico di Banco Bpm un obbligo di informazione e di protezione nei confronti del cliente a salvaguardia dell’affidamento in lui generato e il suo fondamento normativo può essere individuato, come suggerito dalla difesa attorea, nel disposto dell’art. 1173 c.c. (sul punto si veda Cass., sez. un., 26 giugno 2007 n. 14712 in tema di fondamento della responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo) e a tale conclusione non ostano le pronunce di merito prodotte dalla resistente, che non hanno esaminato tale questione poiché non era agitata in quei giudizi (la pronuncia del Tribunale di Milano dell’8 gennaio 2019 anzi ha evidenziato come la responsabilità della banca avrebbe potuto essere prospettata proprio sotto il profilo della violazione dell’obbligo di protezione).>>
In breve la Banca avrebbe violato un obbligo di informazione/protezione del cliente/investitore e dunque l’affidamento da questi riposto sulla professionalità e competenza della Banca stessa. Emerge dalla sentenza che l’investimento in diamanti era stato proposto dalla Banca al cliente/investitore in alternativa ad altri possibili e in sostituzione di un precedente investimento scaduto.
Sembra dunque che si sia trattato, secondo il giudice, di violazione di un obbligo e quindi di responsabilità contrattuale.
Bisogna però trovare la fonte di tale obbligo. Il giudice lo trova nell’art. 1173 cc.. L’affermazione lascia un pò perplessi, dato che la norma non pone obblighi ma si limita ad elencare le possibili fonti, quindi rinviando ad altre norme. Infatti così recita: <<art. 1173 (Fonti delle obbligazioni). Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformita’ dell’ordinamento giuridico>>.
Il giudice avrebbe quindi dovuto individuare uno specifico <<atto o fatto idoneo a produrre in conformita’ dell’ordinamento giuridico>> il dovere di informazione/protezione sub iudice.
Il che poteva avvenire, volendo restare come detto nella responsabilità contrattuale, tramite la teoria del dovere di protezione sorgente da un’obbligazione senza prestazione (meglio: rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione), fondato sull’affidamento, ogni volta che questo sia serio e cioè fondato sulla professionalità della controparte: principio generale, di cui la responsabilità precontrattuale sarebbe solo una manifestazione, e che non può essere limitato a questa. Questa è la tesi di C. Castronovo (seguito da A. Nicolussi, voce Obblighi di protezione, Enc. del dir., Annali, VIII, 664.) , esposta in più scritti, tra cui: C. Castronovo, Ritorno all’obbligazione senza prestazione, Eur. dir. priv., 2009, 679 ss, § 1 e § 4, pp. 680-681 e 694-699 ed ora C. Castronovo, Responsabilità civile, Giuffrè, 2018, 540-554. Castronovo trae dall’art. 1337 c.c. sulla c.d responsabilità precontrattuale un principio generale di tutela dell’affidamento, quando riposto in soggetti titolari di uno status professionale.
Oppure, non concordando su ciò (lo status professionale infatti non è alla base dell’art. 1337, come sarebbe invece necessario per ravvisare somiglianza a fini analogici: Lambo L. sia in Obblighi di protezione, CEDAM, 2007, 385 ss, spt. 390, che in La responsabilità del medico dipendente e il gioco dell’oca (obblighi di protezione c. alterum non laedere, Il Foro it., 2017, V, 242, § 5), si poteva prudentemente cercare l’estensione analogica di altre norme, come propone Zaccaria A. (ad es. in Contatto sociale e affidamento, attori protagonisti di una moderna commedia degli equivoci, in Principi, regole, interpretazione. contratti e obbligazioni, famiglie e successioni. Scritti in onore di Giovanni Furgiuele, a cura di G. Conte e S. Landini, Universitas Studiorum S.r.l. – Casa Editrice, 2017, 611 ss). Anche questo a. propone l’estensione dell’art. 1337 cc ma solo ai contatti negoziali e ai contatti simili a quelli negoziali (prestazioni per puro spirito di cortesia) (p. 615): per cui sul punto si avvicina molto alla tesi di Castronovo, la differenza dal quale allora sta nel fatto che secondo quest’ultimo dall’art. 1337 può trarsi un principio generale per cui l’affidamento va tutelato tramite l’obbligazione in tutti i casi “che mettono la sfera giuridica di ciascuna parte alla mercè di dell’altra” (Ritorno all’obbligazione senza prestazione, cit., 696-697).
Però il nostro caso riguarda bensì contatti in vista di una possibile stipula contrattuale, ma nei quali il soggetto, su cui è riposta la fides (banca), non è quello con cui il suo cliente eventualmente stipulerà (stipulerò infatti eventualmente l’IDB). Quindi si tratterebbe di estendere sotto il profilo soggettivo la regola del 1337 cc. Mi pare tuttavia che si possa procedere in tale senso: il venditore IDB non può pensare di sottrarvisi, delegando le trattative alla banca. Il cliente potrà infatti agire in risarcimento verso colui, che ha di fatto avuto di fronte durante le trattative stesse, se è stato costui a fornirgli informazioni inesatte e/o scorrette.
Non accettando ciò, si potrebbe restare nell’area del dovere violato, invocando la seconda parte della teoria di Zaccaria. Egli , infatti, per i contatti diversi sia da quelli negoziali che da quelli simili ai negoziali, propone la tutela dell’affidamento tramite l’obbligazione protettiva, solo quando si possa procedere con l’analogia da regole positivamente poste (Id., Contatto sociale e affidamento, cit., 617/8). E nel nostro caso la regola potrebbe essere ravvisata, se non l’art. 1337 cc., almeno nel dovere di informazione a carico del mediatore (art. 1759 cc). Quest’ultimo è da tempo oggetto di applicazione estensiva, dato che lo si estende non solo alle circostanze (già) note al mediatore, ma anche a quelle che avrebbe potuto conoscere attivandosi diligentemente alla loro ricerca e comunque sempre dopo averle verificate (Giacobbe E., Il contratto di mediazione, Tratt. di dir. priv. dir. da Bessone, Giappichelli, 2015, 145-147).
Il che coprirebbe pure la tesi della Banca, secondo cui essa si sarebbe limitata a segnalare ad IDB l’interesse dei propri clienti all’investimento in diamanti, svolgendo quindi sostanzialmente una attività mediatoria.
Il secondo passaggio da segnalare concerne la possibile invocazione alternativa di altra responsabilità della banca. Il Tribunale infatti aggiunge:
<<Degli obblighi gravati su Banco Bpm può peraltro ravvisarsi, sulla base dei fatti di causa, anche una base contrattuale, con conseguente applicabilità dell’art. 1218 c.c., atteso che l’attività di vendita di beni preziosi, alla quale Banco Bpm ha sicuramente contribuito, può ricondursi al novero delle attività connesse a quella bancaria che l’art.8, comma 3, del D.M. Tesoro 6 luglio 1994 definisce come “attività accessoria che comunque consente di sviluppare l’attivita’ esercitata” aggiungendo che: “A titolo indicativo, costituiscono attivita’ connesse la prestazione di servizi di: a) informazione commerciale; b) locazione di cassette di sicurezza”.
Sulla base di tali indicazioni, da non considerarsi esaustive, possono ricondursi alle attività connesse anche la intermediazione nella conclusione di polizze rc auto o di compravendita di biglietti per eventi culturali o a musei e attrazioni varie, alle quali gli istituti di credito sono dediti da tempo.
In tale prospettiva viene allora in rilievo il consolidato indirizzo della Suprema Corte secondo cui nello svolgimento del rapporto contrattuale la buona fede implica non soltanto il rispetto della legge e delle pattuizioni contrattuali, ma altresì obblighi di protezione dell’altro contraente: in particolare sono dovute quelle cautele e attività ulteriori che, senza sacrificio eccessivo per una parte, consentono all’altra di conservare o conseguire le utilità nascenti dal contratto (c.d. buona fede integrativa, richiamata da Cass. 26 ottobre 2017, n. 25512; Cass. 7 novembre 2011, n. 23033 che parla in proposito di dovere di solidarietà contrattuale). E’ noto poi come la violazione degli obblighi informativi nella fase precontrattuale si traduca in una responsabilità contrattuale se il contratto si conclude>>.
Si può osservare che il DM 6 luglio 1994 parrebbe essere stato sostituito dal DM Economia e Finanze 17 febbraio 2009 n. 29 (v. art. 24); ma questo non è così importante, dato che la norma corrispondente -in entrambi casi, l’art. 8 c.3- non presenta variazioni.
Si può inoltre osservare quanto segue.
Una cosa è capire se una certa attività costituisce o meno concessione di finanziamenti al pubblico e quindi se ricade o meno nella riserva soggettiva posta dall’art. 106 /1 TU credito, 385/1993. L’art. 8 esordisce infatti con <<1. Gli intermediari finanziari possono esercitare attività strumentali o connesse a quelle finanziarie svolte.>>. Altra cosa è se nel caso specifico vi sia stata o meno lo svolgimento di queste attività, con conseguenti eventuali obblighi protettivi generali dall’esecuzione secondo buona fede. Altra cosa ancora, infine, è capire la rilevanza dell’invocazione di tale norma: fermi i fatti storici, se la Banca non fosse stata autorizzata a tale attività , sarebbe venuta meno la possibilità di ravvisare nella fattispecie la violazione del dovere de quo?
Di quale dovere, poi? Il giudice scrive dei doveri di protezione dovuti da un contraente all’altro “nello svolgimento del rapporto contrattuale”. Qui però il contratto finale sarebbe stato stipulato con IDB, non con la Banca. Si torna quindi al ruolo della Banca da individuare al di fuori del rapporto contrattuale fonte di obblighi primari di prestazione: per cui resta da chiarire quale sia la diversa fonte di dovere contrattuale, prospettata in alternativa dal giudice.
In conclusione, circa questo secondo profilo, non è chiarissima nè la pertinenza della norma bancaria invocata dal Giudice nè la fonte del dovere di buona fede gravante sulla Banca, dato che il rapporto contrattuale si sarebbe instaurato solo con IDB