Cass. sez. I, ord. 25/06/2024 n. 17.415, rel. Campese, circa l’errore compiuto dalla banca mandataria eseguendo un bonifico ordinato dalla sua cliente (accredito a beneficiario errato).
I passi principali:
<<2.3. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che l’odierna controversia si inserisce in un filone consistente di procedimenti instaurati dal solvens o (come accaduto nella specie) dal creditore effettivo avverso un istituto di credito per esecuzione di un bonifico in favore di un soggetto diverso da quello voluto dal cliente. Come sottolineatosi in dottrina, al suo interno si possono distinguere scenari diversi: lo sbaglio può spiegarsi per un errore materiale nella digitazione di un IBAN che pure era noto correttamente al cliente (ad esempio, per distrazione), oppure può discendere da una condotta, magari anche truffaldina, che lo abbia indotto a ritenere che il conto del beneficiario corrispondesse ad un IBAN che, in realtà, si riferiva al conto del truffatore. Se l’attore è il debitore, viene generalmente convenuto l’istituto che ha effettuato l’accredito, che ben può essere un altro rispetto a quello cui era stato impartito l’ordine di bonifico, qualora debitore e beneficiario effettivo abbiano aperto conti presso banche differenti. Se l’attore è il creditore reale (come nell’odierna vicenda), al quale mai è giunto il pagamento, vengono generalmente convenuti l’intermediario del pagatore o quello del beneficiario o entrambi>>.
<<2.5.1. Può ritenersi, dunque, che la disciplina specifica sui servizi di pagamento, per quanto riguarda la responsabilità dell’intermediario ai sensi dell’art. 25 del D.Lgs. n. 11/2010, attribuisce all’IBAN la centrale funzione di filtro per determinare i casi in cui la responsabilità della mancata o inesatta esecuzione è attribuibile all’utente e quelli in cui si può procedere per accertare quale degli intermediari coinvolti nel procedimento abbia causato il malfunzionamento dell’operazione e, quindi, ne sia responsabile. Il legislatore comunitario (poi Eurounitario), come quello nazionale, ha adottato una soluzione tesa a migliorare l’efficienza e la rapidità dei pagamenti, eliminando così l’obbligo degli intermediari di controllare la congruenza dei dati bancari forniti dall’utente; tale scelta, coerente con i principi ispiratori della normativa, sebbene sembri sacrificare la tutela dell’utente rispetto a quella che gli garantirebbero i principi di diritto comune in tema di diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto, viene controbilanciata dall’obbligo degli intermediari di agire per cercare di recuperare la somma erroneamente trasferita>>.
<<2.6.5. Da quanto fin qui riportato si può ricavare, allora, che, ove l’intermediario, pur consapevole dell’incongruenza delle informazioni relative al pagamento, abbia dato seguito all’operazione di pagamento in favore di un beneficiario erroneo, potrà essere ritenuto responsabile nei confronti dell’utente del servizio; responsabilità che ha natura indubbiamente contrattuale se il conto corrente corrispondente all’IBAN errato è radicato presso lo stesso intermediario che detiene anche il conto del legittimo beneficiario. In questo caso, infatti, tra il prestatore del servizio ed il beneficiario che avrebbe dovuto ricevere il pagamento è in essere un rapporto contrattuale e, di conseguenza, sull’intermediario grava l’obbligo di conformare la propria condotta ai principi di buona fede e diligenza nell’esecuzione del contratto. Ciò significa che egli deve agire, nello svolgimento del mandato conferitogli, salvaguardando gli interessi dell’altra parte contrattuale, tra i quali rientra l’esecuzione corretta dell’operazione. Di conseguenza, nel caso in cui egli, consapevole dell’errore esistente nelle coordinate bancarie, abbia eseguito l’operazione secondo l’IBAN errato, può essere ritenuto responsabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 1856,1710 e 1172 cod. civ.
2.6.5.1. Diversamente, nel caso in cui (come nella concreta fattispecie oggi all’esame del Collegio) il conto corrente di accredito sia detenuto presso un prestatore di servizi con il quale il legittimo beneficiario del pagamento non ha alcun rapporto contrattuale, la responsabilità in cui l’intermediario incorre può essere considerata contrattuale giusta la teoria del cosiddetto “contatto sociale qualificato”, in ragione della quale sulla banca grava un obbligo professionale di protezione nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione. Alternativamente, il legittimo beneficiario che non ha ricevuto il pagamento può agire nei confronti dell’intermediario invocandone la sua responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., con tutto ciò che ne consegue in termini di onere della prova e risarcibilità del danno patito>>.
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.7. Tutto quanto finora riportato dimostra, in realtà, che l’aspetto decisivo della questione di cui si discute si rivela essere, non già (o, comunque, non solo) il perimetro applicativo del disposto dell’art. 24 del D.Lgs. n. 11 del 2010, bensì il rapporto tra la norma speciale e le regole di diritto comune.
2.7.1. L’interrogativo da porsi, cioè, è se sia possibile ritenere che l’esimente da responsabilità contenuta nella normativa di settore, soprattutto ove la si ritenga applicabile, come ha mostrato di fare la corte distrettuale, anche al rapporto tra prestatore del servizio di pagamento e beneficiario che non sia titolare presso di essa di alcun conto di accredito – diversamente da quanto, invece, opinato dal Tribunale, secondo cui essa si riferiva ai rapporti tra prestatore del servizio di pagamento (banca) e utilizzatore del servizio, identificato, secondo quanto indicato alle lett. h) e f) dell’art. 1 del D.Lgs. n. 10 del 2011 (contenente la descrizione delle definizioni utilizzate nel corpo del testo), con il soggetto che utilizza il servizio bancario di pagamento in veste di pagatore o quale destinatario dei fondi oggetto dell’operazione; la norma, cioè, sarebbe applicabile (e regola la responsabilità in caso di errori nell’operazione di pagamento) esclusivamente al rapporto tra il cliente e banca inteso come rapporto tra l’ordinante il pagamento ed il proprio istituto di credito che materialmente effettua il pagamento e/o tra il destinatario del pagamento (identificato dall’identificativo unico) e la banca di quest’ultimo che riceve l’ordine di bonifico e lo accredita sul conto corrente indicato -assorba gli obblighi previsti dalla normativa generale in tema di diligenza e buona fede, escludendone l’applicazione, o se, invece, si debba tener conto di entrambe le normative, conciliandole>>.
<<2.7.3. Ne deriva, altresì, che alla base dell’esecuzione di uno o più servizi di pagamento vi è un rapporto che può definirsi come di carattere contrattuale (fosse anche solo per effetto del mero “contatto sociale qualificato” di cui si è detto) tra l’utente e l’intermediario, sicché, quest’ultimo è soggetto non soltanto alla disciplina dei servizi di pagamento (ciò vale, innanzitutto, nei rapporti tra prestatore del servizio di pagamento (banca) e utilizzatore del servizio, identificato, secondo quanto indicato alle lett. h) e f) dell’art. 1 del D.Lgs. n. 10 del 2011, – contenente la descrizione delle definizioni utilizzate nel corpo del testo – con il soggetto che utilizza il servizio bancario di pagamento in veste di pagatore o quale destinatario dei fondi oggetto dell’operazione) ma anche (allorquando, cioè, come nel caso di specie, il beneficiario non sia titolare di alcun conto di accredito presso il prestatore del servizio di pagamento) alle regole di diritto comune che gli impongono di agire secondo i principi di diligenza professionale e di eseguire l’incarico salvaguardando, nei limiti del possibile, gli interessi dell’altra parte. Si è già detto, infatti, che il disposto dell’art. 24 del D.Lgs. n. 11 del 2010 non impone agli intermediari di eseguire l’ordine di pagamento secondo l’identificativo unico, ma si limita a contemplare questo caso tra quelli in cui si può escludere la sua responsabilità ai sensi dell’art. 25 D.Lgs. n. 11/2010.
2.7.4. Muovendo, allora, dalla premessa che sull’intermediario gravano, a seconda delle due ipotesi precedentemente individuate, tanto gli obblighi di condotta previsti dalla normativa speciale quanto quelli contenuti nella normativa generale, si può giungere – coerentemente con la dottrina cui si è fatto ripetutamente cenno in precedenza – alla duplice ragionevole conclusione per cui: i) non è possibile ipotizzare che, tra gli obblighi derivanti dai principi di correttezza e diligenza professionale, ricavabili dalla normativa generale, rientri anche quello di controllare sempre che le informazioni fornite dall’utente siano corrette. Tanto, invero, non solo inficerebbe di fatto il disposto dell’art. 24 del D.Lgs. n. 11 del 2010, ma costringerebbe gli intermediari ad adottare, oltre al sistema di pagamento introdotto con la SEPA, un ulteriore sistema in grado di rilevare l’errore nei dati bancari forniti dall’utente, imponendo loro, quindi, un onere troppo gravoso e contrario agli obiettivi di efficienza e velocità nei pagamenti, perseguiti dalla disciplina comunitaria (e poi Eurounitaria); ii) le norme in tema di esecuzione del contratto non impongono all’intermediario un determinato comportamento, e, quindi, non intervengono nella sua scelta di adottare un sistema interamente automatizzato eliminando il controllo di congruità, ma intervengono solo in un momento successivo ed eventuale, cioè nella valutazione della sua condotta qualora egli, in qualunque modo, sia divenuto consapevole di un’incoerenza dei dati fornitigli e, quindi, di un presumibile errore dell’utente. In altri termini, le norme in tema di diligenza professionale e buona fede gli impongono, non già di adottare preventivamente metodi per la rilevazione dell’errore, bensì di evitare che l’errore, una volta scoperto, infici la corretta esecuzione dell’operazione di pagamento: ciò sarebbe possibile interrompendo il procedimento ed informando l’utente dell’errore e della procedura da seguire per correggerlo, conformemente a quanto disposto dall’art. 16 D.Lgs. n. 11/2010. Se, al contrario, l’intermediario, pur consapevole dell’errore, porti a termine l’operazione, egli può essere ritenuto responsabile nei confronti dell’utente per essere venuto meno ai propri doveri di diligenza e buona fede e, di conseguenza, oltre a doversi adoperare per cercare di recuperare la somma trasferita ad un beneficiario diverso da quello legittimato, così come prescritto dall’art. 24, comma 2, del citato D.Lgs., resta esposto al rischio di dover risarcire l’utente per gli eventuali danni subiti a causa dell’esecuzione dell’operazione secondo un IBAN errato. La diligenza, quindi, diventa il criterio per valutare la condotta tenuta dall’intermediario che ha avuto conoscenza dell’incongruità delle informazioni di pagamento>>.
Principio di diritto:
“In tema di responsabilità di una banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, allorquando il beneficiario, nominativamente indicato, di un pagamento da eseguirsi tramite bonifico sia sprovvisto di conto di accredito presso la banca intermediaria, sicché nemmeno è utilizzabile la specifica disciplina ex art. 24 del D.Lgs. n. 11 del 2010, si applicano le regole di diritto comune, per cui grava sull’intermediaria stessa, responsabile, secondo la teoria del “contatto sociale qualificato”, nei confronti del beneficiario rimasto insoddisfatto a causa dell’indicazione, rivelatasi inesatta, del proprio IBAN, l’onere di dimostrare di aver compiuto l’operazione di pagamento, richiestagli dal solvens, adottando tutte le cautele necessarie al fine di scongiurare il rischio di un’erronea individuazione di detto beneficiario, o quanto meno, di essersi adoperata per consentirgli la individuazione del soggetto concretamente gratificato del pagamento destinato, invece, al primo, anche comunicandogli, ove necessario, i relativi dati anagrafici o societari”.
Di assai dubbia esattezza è invocare il contatto sociale qualificato: non pare possa far sorgere obbligazioni ex lege.