Responsabilità dei sindaci e transazione dell’obbligazione solidale in una recente sentenza del tribunale lagunare

Trib sez. imprese Venezia 18 sagosto 2023 n. 1476/2023, RG 550/2016, rel Campagner, esamina una lite sulla responsabilità di amminsitratori e sindaci promossa dalla curatela.

Riporto solo i passaggi sui due temi in oggetto:

Sindaci:

<<La violazione di tali obblighi è fonte di responsabilità risarcitoria, quando il danno (per la società, per i soci o per i creditori) non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito in conformità agli obblighi della loro carica.
Il che implica che l’accertamento della responsabilità dei Sindaci passa per un giudizio controfattuale, che impone di verificare se l’adozione del comportamento prescritto e l’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo avrebbero impedito la verificazione del danno, mentre essi non rispondono in modo automatico per ogni fatto dannoso che amministratori negligenti abbiano posto in essere.
Ne discende che per poter accertare la sussistenza della responsabilità dei sindaci in concorso omissivo con il fatto illecito degli amministratori, colui che propone l’azione ex art. 2407 c.c. ha l’onere di allegare specificamente quali doveri sono rimasti inadempiuti e quali poteri non sono stati esercitati dai sindaci e di provare il danno ed il nesso di causalità tra quelle omissioni ed il danno, nesso che può ritenersi sussistente “quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”
(art. 2407, comma 2 c.c.)>

Transazione dell’obbligo risarcirorio pro quota:

<<Le suddette transazioni si riferiscono senza distinzione alcuna all’azione già intentata dal Fallimento; come esplicitato nel testo, ciascuna transazione ha determinato lo scioglimento del vincolo di solidarietà passiva con ogni altro coobbligato concorrente e ha ad oggetto i soli crediti relativi alla quota astratta individuale di responsabilità di ciascun transigente.
Tenendo conto della distinzione tra transazione pro quota e transazione dell’intero debito (ipotesi alla quale è applicabile l’art. 1304 c.c.) come tratteggiata da C. Civ. S.U. n. 30174 del 2011, il contratto stipulato da ciascun transigente deve essere qualificato come transazione pro quota, tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce; essa non può coinvolgere gli altri condebitori, i quali dunque nessun titolo avrebbero per profittarne, salvo ovviamente che per gli effetti derivanti dalla riduzione del loro debito in conseguenza di quanto pagato dal debitore transigente .

Si deve, infatti, ulteriormente precisare che, qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, come nel caso di specie, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto>>

I contitolari del bene promesso in vendita devono tutti partecipare al successivo rogito del definitivo

Affermazione esatta ma quasi ovvia di Cass. 29 agosto 2023 n. 25396, rel. Poletti, su ricorso contro una giuridicamente incredibile corte di appello romana: la quale , nonstante avesse stimato come un unicum il bene oggetto del preliminare, ne aveva fatto discendere la solidarietà (anzichè la collettività stante la indivisibilità) circa il dovere dei contitolari di prestare il consenso al definitivo.

<<Reiterati precedenti di questa Corte hanno coordinato il
principio della indivisibilità del bene con quello della negozialità
dell’adempimento del contratto preliminare, sancendo che “La
promessa di vendita di un bene in comunione è, di norma,
considerata dalle parti attinente al bene medesimo come
un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote
che fano capo ai singoli comproprietari, di guisa che questi ultimi
– salvo che l’unico documento predisposto per il detto negozio
venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di
scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno
dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la
propria quota al promissario acquirente, con esclusione di forme
di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a
rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi
all’inadempimento di uno di essi – costituiscono un’unica parte
complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in
un’unica volontà negoziale. Ne consegue che, quando una di tali
dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si forma (o si forma
invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto
preliminare, escludendosi, pertanto, in toto la possibilità del
promissario acquirente di ottenere la sentenza costitutiva di cui
all’art. 2932 cod. civ. nei confronti dei soli comproprietari
promittenti, sull’assunto di una mera inefficacia del contratto
stesso rispetto a quelli rimasti estranei” (Cass. S.U. n.
7481/1993; Cass. S.U. n. 239/1999.

E ancora: “in tema di promessa di vendita di un bene immobile
indiviso, appartenente a più comproprietari, allorché nell’unico
documento predisposto per il negozio non risulti la volontà dei
comproprietari di stipulare più contratti preliminari relativi
esclusivamente alle singole quote di cui ciascuno di essi è
titolare, le dichiarazioni dei promittenti venditori, che
costituiscono un’unica parte complessa, danno luogo a un’unica
volontà negoziale, sicché sono parti necessarie del giudizio ex
art. 2932 cod. civ. tutti coloro che, concorrendo a formare la
volontà negoziale della parte promittente,si sono obbligati a
prestare il consenso necessario per il trasferimento del bene
considerato come un unicum inscindibile e nei cui confronti deve
spiegare effetto la sentenza costitutiva” (Cass. n. 6162/2006; e
cfr. Cass. n. 1866/2015 per l’affermazione che nel caso di
preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà
indivisa le singole manifestazioni di volontà provenienti da
ciascuno dei comproprietari sono prive di una specifica
autonomia e destinate a fondersi in un’unica manifestazione
negoziale)>>

Poi la SC aggiunge di suo:

<<Se è vero che l’obbligazione di trasferire la proprietà di un
immobile oggetto di comunione, considerato come unicum
inscindibile, con la pattuizione di un solo prezzo, dà luogo
all’indivisibilità dell’obbligazione, è altrettanto vero che da tale
affermazione non possono derivare le conseguenze che ne ha
tratto il giudice di seconde cure, ossia l’irrilevanza della
mancanza di partecipazione di un coerede all’atto, stante la
natura obbligatoria del preliminare e l’estensione al suo
adempimento, tramite l’esecuzione dell’obbligo a contrarre,
della disciplina delle obbligazioni solidali.

La prestazione di trasferire la proprietà di un bene in
comproprietà non è stata infatti considerata avente natura
solidale ma collettiva, “non potendo operare il principio stabilito
dall’articolo 1292 c.c., secondo cui ciascuno degli obbligati in solido
puo’ adempiere per l’intero e l’adempimento dell’uno libera gli altri,
atteso che i promittenti sono in grado di manifestare il consenso
relativo alla propria quota e non quello concernente le quote
spettanti agli altri” (Cass. n. 2613/2021).
Diversamente dai corollari desunti dal giudice di appello, la
domanda di adempimento deve essere rivolta nei confronti di tutti
i promittenti venditori (in aggiunta alle decisioni già citate cfr. Cass.
n. 1050/1999), determinando un litiscorsorzio necessario, che si
genera nei confronti di tutti gli eredi anche quando, promosso il
giudizio ex art. 2932 cod. civ. per l’esecuzione specifica
dell’obbligo a contrarre, sopravvenga il decesso di uno dei
promittenti venditori, trattandosi di cause inscindibili (Cass. n.
8225/2011).
Ad ulteriore comprova delle linea interpretativa che nel caso
de quo avrebbe dovuto adottare la Corte distrettuale si possono
ricordare le decisioni che hanno preso specificamente in
considerazione il caso – come quello in esame – di apertura della
successione dopo la stipulazione del preliminare: “Deceduto il
promittente-venditore e apertasi – secondo la disciplina degli artt
566 e 581 cod civ (nel testo anteriore alla legge 19 maggio 1975
n. 151) – la successione legittima nei confronti del medesimo in
favore dell’unica figlia e del coniuge, la domanda di esecuzione
specifica del preliminare, tendendo al conseguimento della piena
proprieta del bene oggetto del contratto, deve essere proposta,
affinche la relativa sentenza sia utiliter data, non solo nei
confronti della figlia del de cuius, di tale bene divenuta piena proprietaria per la meta e nuda proprietaria per l’altra, ma anche
nei confronti del coniuge superstite, divenutone usufruttuario
dell’altra metà” (Cass. n. 1320/1980; e v. Cass. n. 2969/1967).
I precedenti invocati nella sentenza impugnata, molto risalenti
nel tempo, non attengono allo specifico caso di specie o risultano
superati dagli indirizzi interpretativi di cui si è dato conto>>

(link dal Sole 24 Ore)

Corresponsabilità per illecito diffamatorio e sentenza ottenuta da uno solo dei corresponsabili

Cass. sez. III n° 19.611 del 11.07.2023, rel. Condello:

<<Questa Corte, con giurisprudenza consolidata, ha affermato il principio per cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 2055 c.c. in tema di solidarietà tra più responsabili del danno, è sufficiente l’esistenza di un unico fatto dannoso alla cui produzione abbiano concorso con efficacia causale più condotte. Si e’, in particolare, evidenziato che l’unicità del fatto dannoso prevista dalla diposizione in esame deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle azioni degli autori del danno e neppure delle norme giuridiche da essi violate. La norma, in sostanza, nell’affermare la responsabilità solidale degli autori del fatto illecito, pone come condizione l’unicità del fatto dannoso riguardando, a tal fine, la posizione di colui che subisce il danno, senza tenere conto se le condotte lesive siano o meno tra loro autonome, né se siano o meno identici i titoli delle singole responsabilità (Cass., sez. 3, n. 5944/1997; Cass., sez. 6-1, 16/09/2022, n. 27267).

Nel caso in esame, la pubblicazione della notizia diffamatoria dapprima nell’articolo del V. e, successivamente, in parte, nel libro ‹‹Il caso G.››, non esclude l’unicità del fatto dannoso, da intendere con riguardo al risultato finale in cui confluiscono le condotte dei diversi responsabili, stante l’identità del soggetto danneggiato ( C.G.) e dell’interesse leso (la reputazione del magistrato), a nulla valendo che non vi sia coincidenza delle modalità di tempo e di luogo con le quali la notizia è stata diffusa, per il fatto che l’articolo del V., oggetto del giudizio definito con la sentenza della Corte di cassazione penale n. 34016/21, è stato pubblicato sul blog ‹‹ V.C..it›› in data 26 dicembre 2008, mentre il libro ‹‹Il Caso G.››, oggetto del presente giudizio, è stato pubblicato a distanza di qualche mese, nell’ottobre 2009, né ancora che sia diverso il mezzo utilizzato per propalare la notizia che si assume diffamatoria.

Siffatte circostanze non escludono la sostanziale unicità dell’evento lesivo, se si considera che, sebbene l’articolo sul blog del V. sia stato pubblicato in anticipo, il libro del M., pur se pubblicato dopo qualche mese, ha pacificamente ripreso una parte di quell’articolo, senza alterarne il contenuto, contribuendo in tal modo, con efficacia causale, alla diffusione della medesima notizia ritenuta, dalla Corte d’appello con la sentenza qui impugnata, lesiva dell’onore e del prestigio del soggetto su differenti organi di informazione.

L’accertato concorso delle diverse condotte ascritte al V., al M. ed al G. alla determinazione, ex art. 2055 c.c., dell’evento dannoso determina l’applicabilità della disciplina codicistica in tema di solidarietà, tra cui l’art. 1306, comma 2, c.c., che consente, salvo che non sia fondata su ragioni personali al singolo condebitore, di opporre al creditore la sentenza favorevole pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido.

La regola di cui al citato comma 2 dell’art. 1306 c.c., diversamente da quanto sostenuto dal controricorrente C.G., trova applicazione proprio nel caso in cui la sentenza, di cui il debitore in solido intenda giovarsi, sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla (Cass., sez. 3, 30/09/2014, n. 20559; Cass., sez. 2, 29/01/2007, n. 1779).

Le condizioni richieste per l’operatività del richiamato art. 1306 c.c. ricorrono nella fattispecie in esame, dovendosi considerare che la sentenza n. 13046/21 costituisce sentenza ormai definitiva, l’eccezione di giudicato è stata tempestivamente sollevata nella prima difesa utile, costituita dalla memoria illustrativa, ed il giudicato invocato non si è formato su ragioni personali del V., avendo anzi investito il valore oggettivo delle affermazioni del giornalista in relazione a determinati fatti, poi ripresi nella pubblicazione oggetto del presente giudizio>>.

Negligente gestione di capitale conferito a società fiduciaria (L. 1966 del 1939) e corresponsabilità del MISE per omesso controllo sulla stessa, poi caduta in liquidazione coatta amministrativa (con applicazione della solidarietà ex art. 2055 c.c.)

Cass. sez. un. 27.04.2022 n. 13.143 , rel. Terrusi, affronta sostenzialmente due temi: il rapporto dell’investitore con la società fiduciaria e l’estensibilità al MISE (corresponsabile ex art. 2055 cc per il danno) dell’interruzione della prescrizione avvenuta domandando l’ammissione al passivo della fiduciaria vigilata.

I principi enunciati:

<<XIX …. (i) Ai fini della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 c.c., comma 1, che è norma sulla causalità materiale integrata nel senso dell’art. 41 c.p., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale), in quanto la norma considera essenzialmente l’unicità del fatto dannoso, e tale unicità riferisce unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità di norme giuridiche violate; la fattispecie di responsabilità implica che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte caso per caso, per modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l’evento dannoso e gli altri fatti ridotti al semplice rango di occasioni.

(ii) In caso di capitali conferiti a società fiduciarie di cui alla L. n. 1966 del 1939, lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento è quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei capitali medesimi, salva rimanendo la proprietà effettiva di questi in capo ai mandanti; conseguentemente la società fiduciaria che abbia mal gestito il capitale conferito, e che non sia quindi in grado di riversarlo ai mandanti perché divenuta insolvente, risponde sempre ed essenzialmente del danno correlato all’inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario, e la relativa obbligazione, quand’anche azionata mediante l’insinuazione concorsuale, e quand’anche parametrata all’ammontare del capitale conferito e perduto, è sempre un’obbligazione risarcitoria da inadempimento del mandato, la quale concorre, ai sensi dell’art. 2055 c.c., con quella eventuale dell’organo (il Mise) chiamato a esercitare l’attività di vigilanza.

(iii) Nel caso di società fiduciaria posta in l.c.a., l’ammissione allo stato passivo determina, sia per i creditori ammessi direttamente a seguito della comunicazione inviata dal commissario liquidatore ai sensi della L. Fall., art. 207, comma 1, sia per i creditori ammessi a domanda ai sensi dell’art. 208 stessa Legge, l’interruzione della prescrizione con effetto permanente per tutta la durata della procedura, a far data dal deposito dell’elenco dei creditori ammessi, ove si tratti di ammissione d’ufficio, o a far data dalla domanda rivolta al commissario liquidatore per l’inclusione del credito al passivo, nel caso previsto dalla L. Fall., art. 208; tale effetto, ai sensi dell’art. 1310, comma 1, c.c., si estende anche al Mise, ove coobbligato solidale per il risarcimento del danno da perdita dei capitali fiduciariamente conferiti nella società soggetta a vigilanza divenuta insolvente>>.

Il passo sulla fiducia:

<<XII ….  Va qui ricordato che le società fiduciarie sono dalla legge regolate secondo lo schema invalso sotto il nome di “fiducia germanistica”.

Allorché sia svolta in forma di impresa, l’attività sottostante presuppone, in base alla legge citata, che la società assuma l’amministrazione di beni per conto di terzi e la rappresentanza dei portatori di azioni o di obbligazioni (art. 1), sì da rimanere destinataria della sola legittimazione all’esercizio dei diritti relativi ai beni o ai capitali conferiti, senza trasferimento effettivo di proprietà.

Le società fiduciarie sono soggette a vigilanza del Mise (art. 2) in quanto strumento di costituzione di un patrimonio amministrato in forma anonima, senza trasferimento di proprietà.

Ciò comporta che le attività tipiche prese in considerazione dalla L. n. 1966 del 1939, sono, in pratica, tutte sussumibili nel concetto di amministrazione di elementi patrimoniali altrui, mediante contratti che legittimano le società a operare in nome proprio sui capitali affidati secondo lo schema del mandato senza rappresentanza.

Questa Corte ha da tempo riconosciuto la rilevanza di simile fenomeno, sempre sostanzialmente ripetendo che nella società fiduciaria i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro affidati alla fiduciaria e a questa strumentalmente intestati (v. Cass. Sez. 1 n. 736418). Cosa che, per esempio, ha condotto a precisare che il mandato dei fiducianti a investire danaro, anche quando rimetta alla discrezione professionale della società fiduciaria l’opzione tra le diverse ipotesi di investimento considerate nel mandato, volge a costituire patrimoni separati da quello della società stessa e intangibili dai creditori di quest’ultima; tanto che l’eventuale mala gestio dei beni dei fiducianti, da parte degli amministratori e dei sindaci della società, non comporta una lesione all’integrità del patrimonio sociale, di modo che, ancora per esempio, i commissari liquidatori sono normalmente ritenuti privi di legittimazione ad agire per far valere la responsabilità degli amministratori e dei sindaci, visto che questa si compone nei confronti non della generalità dei creditori (per avere compromesso la funzione di generica garanzia del patrimonio sociale, ledendone l’integrità), bensì dei fiducianti medesimi; ai quali in vero (come ai terzi danneggiati) spetta la legittimazione in ordine all’azione individuale di cui all’art. 2395 c.c. (v. Cass. Sez. 1 n. 4943-99, e v. pure per le diverse situazioni possibili Cass. Sez. 1 n. 22099-13, Cass. Sez. 1 n. 23560-08, Cass. n. 29410-20).

La conseguenza fondamentale è duplice: da un lato lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento e’, quanto alle società di cui alla citata L. n. 1966 del 1939, quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei beni conferiti, salva rimanendo la proprietà effettiva di questi in capo ai mandanti; dall’altro e conseguentemente la società fiduciaria che abbia gestito malamente il capitale conferito, e che non sia quindi in grado di riversarlo ai mandanti perché divenuta insolvente, risponde essa stessa del danno correlato all’inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario.

Così che la relativa obbligazione, quando azionata mediante l’insinuazione concorsuale, se anche parametrata all’ammontare del capitale conferito e perduto, è sempre un’obbligazione risarcitoria da inadempimento del mandato>>

Quello logicamenet successivo sul rapporto con l’illecito del MISE da omessa sorveglianza, in relazione all’art. 1310 cc: <<Non è giustificato distinguere, allora, da questo punto di vista, come in parte è fatto in alcune delle richiamate decisioni di questa Corte e come in generale è preteso dall’avvocatura ricorrente, a riguardo dell’essere azionato, nella sede dell’insinuazione concorsuale, un diritto restitutorio, anziché risarcitorio, quanto ai capitali conferiti in amministrazione fiduciaria alla società sottoposta a l.c.a., così da impedire nel terzo (il Mise) l’assunzione della veste del coobbligato solidale – con il consequenziale venir meno dell’effetto interruttivo della prescrizione derivante dall’ammissione al passivo.

La domanda di restituzione dei capitali andati in fumo è in ogni caso, per l’investitore, il presidio della reintegrazione patrimoniale, e quindi (sotto questo profilo) del danno da inadempimento del mandato fiduciariamente conferito.

Ne’ rileva, per la risposta all’interrogativo di fondo circa l’estensione dell’effetto interruttivo della prescrizione nei riguardi del terzo, quale sia (e se vi sia), in base a un giudizio volto in prognosi, la prospettiva di recupero del credito in base all’insinuazione concorsuale.

Questo problema non interessa per la configurabilità del fatto dannoso imputabile (anche) al terzo.

E’ in grado di incidere solo sull’assetto quantitativo della fattispecie, vale a dire sulla possibile determinazione dell’entità patrimoniale ancora esigibile nei confronti del terzo corresponsabile ove vi sia stato – aliunde – un recupero anche parziale; cosa che peraltro, nella specie, l’impugnata sentenza ha escluso.

XVIII. – Trattandosi, nel senso dianzi sottolineato, dell’unico fatto dannoso imputabile sia alla società inadempiente al mandato fiduciario, sia al Mise quale organo di vigilanza, in dipendenza dell’asserito omesso esercizio dei poteri di controllo, l’effetto interruttivo permanente derivato dall’ammissione dei creditori al passivo si estende secondo il disposto dell’art. 1310 c.c., comma 1.>>

I principi così espressi circa la solidarietà sono ora fatti propri da Cass. sez. 3 del 7 luglio 2023 n. 19.378. rel. Saija, per la quale i termini giuridici rimangono gli stessi anche nel caso ivi deciso di società emittente non fiduciaria e di Consob come ente di vigilanza

Responsabilità degli amministratori e transazione della lite

In Trib. Torino n°3399/2021 del 29.09.2020, Rg 23701/2016, sulla responsabilità di amministratori e sindaci di SRL (al solito, promossa da Fallimento), ci sono inter alia due passaggi interessanti: uno assai importante ma abbastanza pacifico, l’altro invece di portata -credo- innovativa.

Il primo concerne l’effetto della transazione di quota da parte di alcuni debitori sulla responsabilità dei restanti (i non transigenti): <<I principi qui rilevanti in materia sono quelli enunciati da Cass., 2016, n. 26113, richiamata anche da parte convenuta in memoria di replica: “Ove siaintervenuta una precedente transazione tra il creditore ed uno dei condebitori solidali avente ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal debitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiorealla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che in applicazione di cui all’art. 1298 cc faceva idealmente capo alcondebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto”>>, p. 13.

Il secondo  è subito dopo: <<Presupposto di fatto per l’applicazione di quanto sopra è la circostanza che gli atti transattivi siano stati resi noti alle altre parti e prodotti in giudizio, dovendosi in difetto ritenere che la transazione (che, come si è visto, può anche riguardare una quota superiore a quella ideale di debito) abbia riguardato l’intero. (T. Torino, sezione specializzata in materia di impresa, sentenza in causa RG 4072/2006 e sentenza in causa RG 2183/2017).>>. Ripreso poi a p. 18: <<I sindaci hanno definito bonariamente la loro posizione e non vi sono in atti elementi per conoscere la quota di responsabilità transatta (uguale, maggiore o minore alla loro quota di responsabilità interna). In questo contesto, come già delineato al precedente punto 7, i principi giuridici che governano la materia impongono di ritenere che la transazione operata dai sindaci sia stata satisfattiva dell’intera pretesa risarcitoria del Fallimento attore, con la conseguenza che, il danno cagionato dall’operato del Benzi è già stato per questa voce reintegrato>>, p. 18.

Si badi: il fatto che il documento transattivo (o basta la notizia generica?), specificante il fatto che si è trattato di transazione di quota, non sia stato comunicato alle altre parti e prodotto in giudizio (in realtà basterebbe questo secondo adempimento), permette al giudice di ritenere che la transazione abbia invece riguardato l’intero.
L’affermazione lascia perplessi.

Non è chiaro se si tratti di presunzione e, in caso positivo, dove stiano precisione , chiarezza e concordanza.

Inooltre, determinare l’ampiezza dell’oggetto del negozio transattivo in base al fatto che sia stato o meno documentato in causa, non pare avere alcun fondamento.   Si applichi invece il consueto regime dell’onere della prova