Decisione istruttiva sul profilo probatorio della rinomanza dei marchi (il caso della vodka “Chopin”)

La 5 comm. ricorso EUIPO 13.02.2025, R 304/2024-5, Giossina v. Podlaska, (qui la pag. web dell’ufficio) utile ai pratici per la preprazione dell’istruttoria sulla rinomanza del marchio.

59  L’esistenza di una notorietà dev’essere valutata tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie, vale a dire, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata del suo uso, nonché l’importo speso dall’impresa per promuoverlo (05/10/2022, T 711/20-, CMS Italy (fig.)/PUMA (fig.) et al., EU:T:2022:604, § 82; 02/10/2015, T-624/13, Darjeeling/DARJEELING et al., EU:T:2015:743, § 75; 27/09/2012, T-373/09, Emidio Tucci, EU:T:2012:500, § 58; 10/05/2007, T-47/06, Nasdaq, EU:T:2007:131, § 46; 06/02/2007, T-477/04, TDK, EU:T:2007:35, § 48; 14/09/1999, 375/97-, Chevy, EU:C:1999:408, § 26, 27).
60 Per quanto riguarda la qualità delle prove della notorietà, occorre che esso sia chiaro, preciso e convincente, nel senso che il titolare del marchio anteriore deve dimostrare tutti i fatti necessari per concludere con certezza che il suo marchio è conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato. La notorietà del marchio anteriore deve essere sufficientemente dimostrata e non semplicemente presunta. Risulta altresì dalla giurisprudenza che la prova della notorietà deve includere elementi oggettivi adeguatamente documentati o verificabili per consentire di valutare i fattori pertinenti
(05/10/2022, T 711/20-, CMS Italy (fig.)/PUMA (fig.) et al., EU:T:2022:604, § 84).
61 Nel caso di specie, la Divisione di Opposizione ha concluso che le prove presentate dall’opponente, considerate nel loro complesso, dimostrano che la registrazione del marchio dell’Unione europea anteriore godeva di notorietà, almeno sul mercato polacco, per vodka nella Classe 33.
62 L’opponente ha presentato due studi di mercato (Allegati 5 e 6) relativi alla conoscenza del marchio dei marchi Chopin dell’opponente in relazione alla vodka. Il primo studio di mercato è stato realizzato da Millward Brown (attualmente Kantar Millward Brown, una principale agenzia di ricerca globale) e il secondo da KPMG Sp. z o.o.
63 A seguito di questi studi, la conoscenza del marchio Chopin è riconosciuta dal 69 % del numero complessivo di intervistati, compreso il 80 % del pubblico principale (ossia i normali consumatori di vodka). Il 29 % degli intervistati ha sentito parlare di questo marchio di vodka per la prima volta più di 10 anni fa e il 45 % conosce il marchio da 3 a
10 anni. Il marchio Chopin è stato il marchio al premio polacco più indicato (conoscenza spontanea) della categoria delle bevande spiritose (32 % degli intervistati, prima di Belvedere, Wyborowa, Żubrówka e Sobieski vodkas).
64 Tali studi dimostrano che il marchio anteriore ha raggiunto un livello significativo di consapevolezza e conoscenza presso i consumatori in Polonia, in particolare quelli che consumano regolarmente bevande alcoliche come la vodka.
Si prega di notare che questa è una traduzione generata automaticamente fornita soltanto per scopi informativi. Non è possibile garantirne l’accuratezza o l’idoneità per specifici scopi.
65 Inoltre, l’opponente ha presentato nell’allegato n. 1 circa 180 fatture che dimostrano la vendita di migliaia di bottiglie di vodka in Polonia e in altri Stati membri, come nei Paesi Bassi, in Belgio, Germania, Lettonia, Lituania, Italia, Romania e Regno Unito. Tali fatture coprono un lungo periodo dal 2015 al 2022 che mostra un uso costante e molto frequente del marchio anteriore.
66 L’opponente è stato molto attivo nella promozione e nella pubblicità del marchio anteriore (Allegati 7 e 8). Ha presentato un’ampia selezione di immagini di prodotti promozionali in stand esclusivi presso negozi senza merci in aeroporti polacchi (datati 2015-2017, 2019-2020), eventi diversi (ad esempio la presentazione di McLaren presso lo Stadium nazionale polacco nel 2019 e la presentazione di Lamborghini a Varsavia nel 2021) e fiere (ad esempio Festival Wódki I Zakcontrollori ski 2017, 2018, 2019; JEDZ IJ Warszawo 2019). Nell’UE, l’opponente ha anche prodotto diverse immagini di eventi di sponsorizzazione e festival in cui sono stati promossi i prodotti “Chopin”, quali: Bar Convent Berlin (Germania) nel 2019, il Festival internazionale del Tribunale Cuisine
2018, Duty Free TFWA Cannes (Francia) 2018 e 2019.
67 Negli allegati 9 e 10, l’opponente ha incluso anche una grande varietà di articoli pubblicitari e di articoli di stampa datati 2015-2020, in riviste pubblicate in Polonia quali  gli Highneth 2015, Acqua Vitae 2016, Ereca 2017, Tendances & Emballages 2018, Born in Polonia catalogo 2018, 2019 e 2021 o online in un articolo Forbare dal titolo “How è troppo elevato per la vodka ultra luxury?” dal 24/07/2020; e l’articolo Parade titava “18 marchi Best vodka da laterare, sulle rocce o su un cocktail artigianale” del 03/01/2023.
La vodka Chopin è citata in relazione alla sua collaborazione con Vera Wang (designer).
68 Va sottolineato che la vodka Chopin è stata considerata il settimo marchio di lusso da KPMG il 23 marzo 2016 e anche il gennaio 2020 in un articolo online di “The spruce eats”, che è una pubblicazione online vincente a livello mondiale su una missione voltaad aiutare il pubblico a fare il loro meglio condividendo “i migliori” nelle ricette di cibo e bevande, la vodka Chopin è stata considerata il secondo marchio più popolare di vodka
premium.
69 L’opponente è anche molto attivo con il proprio marchio anteriore su social media e collabora anche a eventi cinematografici e musicali molto famosi, dove il marchio “Chopin” è stato ampiamente promosso (ad esempio, presso il Festival di Santa Barbara International Film Film, la fondazione Grammy, il premio Kirk Douglas Award, il premio internazionale Transatlantic Film e Music Award, con la partecipazione di storari cinematografici come Angelina Jolie, Sandra Bullock, Penéning, 12).
70 Infine, l’opponente ha presentato una sentenza del Tribunale di Varsavia del 22/10/2020, nel caso XXII GWzt 21/20, che riguardava un procedimento per contraffazione in cui, tra l’altro, era in discussione il marchio anteriore (allegato 15).
71 In tale sentenza il tribunale polacco ha stabilito che il marchio anteriore godeva di notorietà e ha tenuto conto anche degli studi di mercato (Allegati 5 e 6) presentati anch’essi in tale procedimento. Ha affermato che la presenza nel mercato della vodka Chopin nel corso degli anni e le spese elevate per il marketing e le attività promozionali dimostrano la notorietà e l’elevata qualità del marchio anteriore. La produzione della vodka viene effettuata in piccole partite e il produttore controlla l’intero processo, compreso l’acquisto di materie prime. La vodka presenta un gusto eccezionale, ottenuto grazie alla ricetta e all’eccellente qualità degli ingredienti.
Si prega di notare che questa è una traduzione generata automaticamente fornita soltanto per scopi informativi. Non è possibile garantirne l’accuratezza o l’idoneità per specifici scopi.
72 Alla luce di quanto precede, la Commissione conferma le conclusioni della decisione impugnata in merito alla notorietà del marchio anteriore, che è presente nel mercato della vodka dall’inizio degli anni’ 1990 ed è stata utilizzata da allora in modo costante e molto frequente, come dimostrato dalle fatture che costituiscono semplicemente una selezione di tutti i volumi di vendita dei prodotti derivati dalla vodka sotto il marchio anteriore”

In caso di violazione di marchio, il recupero dei profitti del violatore è limitato a questi e non può estendersi a quelli realizzati dalle società da lui controllate

Il recupero dei profitti può concernere solo quelli della convenuta capogruppo, non quello delle controllate, pur coautrici della violazione ma non chiamate in giudizio.

Del resto l’attore non aveva azionato il diritto di “pierce the corporate veil” cioè di superaee la distinzione soggettiva tra le società del gruppo.

Così la Corte Suprema USA 26.02.2025, n. 23-900, Deweberry Group inc. v. Deweberry Ebgineers inc (qui la pag. web in Justia e qui il link diretto alla sentenza) .

Vanno distinti peraltro la chiamata in causa e l’efficacia di giudicato opponibile, da un latom, dall’accertametnmo della responsabiità e quindi dall’individuazione dell’autore (v. ns. art. 125.3 cpi) , dall’altro.

Il superamento della distinzione soggettiva, del resto, se è possibile per i creditori volontari, deve esserlo anche per quelli involcontari.

DAl Syllabus:

The federal Lanham Act provides for a prevailing plaintiff to recover the
“defendant’s profits” deriving from improper use of a mark. 15 U. S. C.
§1117(a). Dewberry Engineers successfully sued Dewberry Group—a
competitor real-estate development company—for trademark infringe-
ment under the Lanham Act. Dewberry Group provides services
needed to generate rental income from properties owned by separately
incorporated affiliates. That income goes on the affiliates’ books; Dew-
berry Group receives only agreed-upon fees. And those fees are appar-
ently set at less than market rates—the Group has operated at a loss
for decades, surviving only through cash infusions by John Dewberry,
who owns both the Group and the affiliates. To reflect that “economic
reality,” the District Court treated Dewberry Group and its affiliates
“as a single corporate entity” for purposes of calculating a profits
award. The District Court thus totaled the affiliates’ real-estate prof-
its from the years Dewberry Group infringed, producing an award of
nearly $43 million. A divided Court of Appeals panel affirmed that
award.
Held: In awarding the “defendant’s profits” to the prevailing plaintiff in
a trademark infringement suit under the Lanham Act, §1117(a), a
court can award only profits ascribable to the “defendant” itself. And
the term “defendant” bears its usual legal meaning: the party against
whom relief or recovery is sought—here, Dewberry Group. The Engi-
neers chose not to add the Group’s affiliates as defendants. Accord-
ingly, the affiliates’ profits are not the (statutorily disgorgable) “de-
fendant’s profits” as ordinarily understood.

Nor do background principles of corporate law convert the one into
the other. This Court has often read federal statutes to incorporate
such principles. So if corporate law treated all affiliated companies as
“a single corporate entity,” there could be reason to construe the term
“defendant” in the same vein. See United States v. Bestfoods, 524 U. S.
51, 62. But the usual rule is the opposite. “[I]t is long settled as a
matter of American corporate law that separately incorporated organ-
izations are separate legal units with distinct legal rights and obliga-
tions.” Agency for Int’l Development v. Alliance for Open Society Int’l
Inc., 591 U. S. 430, 435. And that is so even if the entities are affili-
ated—as they are here by virtue of having a common owner. While a
court may in select circumstances “pierc[e] the corporate veil,” espe-
cially to prevent corporate formalities from shielding fraudulent con-
duct, Bestfoods, 524 U. S., at 62, Dewberry Engineers admits that it
never tried to make the showing needed for veil-piercing. So the de-
mand to respect corporate formalities remains. And that demand ac-
cords with the Lanham Act’s text: the “defendant’s profits” are the de-
fendant’s profits, not its plus its affiliates’.
Dewberry Engineers does not contest these points; it instead argues
that a court may take account of an affiliate’s profits under a later sen-
tence in the Lanham Act’s remedies section: “If the court shall find that
the amount of the recovery based on profits is either inadequate or ex-
cessive[,] the court may in its discretion enter judgment for such sum
as the court shall find to be just, according to the circumstances.”
§1117(a). In the Engineers’ view, this so-called “just-sum provision”
enables a court, after first assessing the “defendant’s profits,” to deter-
mine that a different figure better reflects the “defendant’s true finan-
cial gain.” Brief for Respondent 24. And at that “second step” of the
process, the court can consider “as relevant evidence” the profits of re-
lated entities. But the District Court did not rely on the just-sum pro-
vision. It simply treated Dewberry Group and its affiliates as a single
corporate entity in calculating the “defendant’s profits.” And the
Fourth Circuit approved that approach, thinking it justifiable in the
circumstances to ignore the corporate separateness of the affiliated
companies. The just-sum provision did not come into the analysis and
therefore does not support the $43 million award given

Tutelabilità col diritto d’autore dell’output da intelligenza artificiale secondo il US copyright office

dopo la parte 1, è uscita a fine gennaio la parte 2 sulla copyrightability dei lavori da IA da parte dll’Ufficio IUSA.

Qui la pagina e qui il link diretto al testo del Report (Copyright and Artificial IntelligencePart 2: Copyrightability-A REPORT Of The Register of CoPyRighTs January 2025).

Nessuna novità:

– i prompts sono insufficienti;

– la AI se usata come tool può dare protezione ma negli elementi riconoscibili come input umani (“As illustrated in this example, where a human inputs their own copyrightable work and that work is perceptible in the output, they will be the author of at least that portion of the output. Their own creative expression will be protected by copyright, with a scope analogous to that in a derivative work. Just as derivative work protection is limited to the material added by the later author,125 copyright in this type of AI-generated output would cover the perceptible human expression. It may also cover the selection, coordination, and arrangement of the human-authored and AI-generated material, even though it would not extend to the AI-generated elements standing alone”, p. 24).

La parte 3, di prossima uscita, riguarderà il problema specuilare e cioè la quialificaizone giuridica dell’uso da apret dellAI di opere protette per il suo training

Il marchio di posizione si conferma difficile da registrare per la sua scarsa distintività

Marcel Pemsel in IPKat ci notizia di Trib. UE 05.02.2025, T-195/24, VistaJet c. EUIPO (ingl./franc.). Il segno chiesto in registrazione era la linea rossa sul fianco dell’areo per servizi di trasporto aereo (v. disegno sotto).

L’istante è risultato soccombente sia presso l’Ufficio che davanti al Trib.

Il passaggio pertinente:

<< 21   In the present case, first, it must be noted that the services covered by the mark applied for are transportation and private aircraft flight planning services, intended primarily for very rich members of the general public, the ‘ultra-wealthy’, who are likely to display a high level of attention, since the factors of safety, punctuality and reliability are all important for the services in question.

22 Second, it must be noted, as the Board of Appeal did, that the mark applied for will not be perceived by the relevant public as having a distinctive character.

23 As the Board of Appeal correctly stated, the mark applied for consists of a red line along the side of a silver aeroplane fuselage, which curves slightly as it follows the line of the fuselage and tapers to a thin point at the front end of the aeroplane.

24 However, a line, which is defined as a continuous set of points or an unbroken elongated line the extent of which is virtually reduced to the single dimension of length, is a simple geometric form, which is not, in itself, capable of conveying a message which consumers will be able to remember. That line and its colour red will be perceived by the relevant public as nothing more than banal decorative devices, as will the choice of a silver fuselage.

25 It is clear from settled case-law that a sign which is excessively simple and is constituted of a basic geometrical figure, such as a circle, a line, a rectangle or a conventional pentagon, is not, in itself, capable of conveying a message which consumers will be able to remember, with the result that they will not regard it as a trade mark unless it has acquired distinctive character through use (see, to that effect, judgments of 15 September 2005, BioID v OHIM, C‑37/03 P, EU:C:2005:547, paragraphs 72 and 74, and of 29 September 2009, The Smiley Company v OHIM (Representation of half a smiley smile), T‑139/08, EU:T:2009:364, paragraph 26 and the case-law cited).

26 In any event, the fact that it could be argued that the mark applied for does not merely represent a basic geometrical figure does not suffice, as such, to support the view that it has the minimum distinctive character necessary for registration as an EU trade mark. There must also be certain characteristics of the sign which may be easily and instantly memorised by the relevant public and which would make it possible for the sign to be perceived immediately as an indication of the commercial origin of the goods and services in question (see, to that effect, judgment of 15 December 2016, Novartis v EUIPO (Representation of a grey curve and representation of a green curve), T‑678/15 and T‑679/15, not published, EU:T:2016:749, paragraphs 40 and 41 and the case-law cited).

27 It has also already been held that, whilst colours are capable of conveying certain associations of ideas and of arousing feelings, they possess little inherent capacity for communicating specific information. That is all the more the case since they are commonly and widely used, because of their appeal, in order to advertise and market goods and services without any specific message (see judgment of 6 September 2023, Groz-Beckert v EUIPO (Position of the colours white, red and dark green on cuboid packaging), T‑276/22, not published, EU:T:2023:497, paragraph 20 and the case-law cited; see also, by analogy, judgment of 24 June 2004, Heidelberger Bauchemie, C‑49/02, EU:C:2004:384, paragraph 38).

28 In the present case, in the absence of elements capable of distinguishing it in such a way that it does not appear as a simple geometrical figure, the red line cannot fulfil an identifying function with respect to the services in question. The colour red is, by its very nature, highly visible and striking and is used primarily for decorative purposes, or to attract attention. Accordingly, it is, in itself, devoid of distinctive character. As for the silver fuselage, the Court considers that that colour does not particularly stand out from the colour white, which is traditionally used in the aviation sector.

29 The Court concludes that, taken as a whole, the mark applied for is excessively simple>>.

Marcel ci notizia nel medesimo post di altra sentenza del Trib. UE (29.01.2025,T‑147/24, Doorinn GmbH v. EUIPO, Franc./ted.) che pure affossa un altro marchio di posizione qui riprodotto (etichetta rossa nell’angolo del materasso).

In entrambi i casi la decisione mi pare esatta (con maggior sicurezza nel secondo).

Comunione di brevetto e sfruttamento indipendente da parte del contitolare

Intervento della Cassazione sul (sempre un pò ostico) tema in oggetto.

Si tratta di Cass. sez. I, sent. 18/02/2025 n. 4.131, rel. Marulli.

Lo sfruttamento autonomo e diretto (non tramite licenza, parrebbe) da parte del contitolare non è ammesso, poichè deprezza il valore della privativa e ne altera la destinazione economica.

<<16. Ora, se di ciò si fa estensione al nostro campo non è difficile credere che lo sfruttamento incondizionato del brevetto, sia pure se solo nella forma del sfruttamento produttivo, che in regime di comunione si concedesse al singolo contitolare non finirebbe per pregiudicare il valore del brevetto in sé, atteso che, potendo disporre dei diritti brevettuali apparentemente senza limiti, il singolo contitolare sarebbe libero di determinare a propria discrezione modi e forme di sfruttamento del trovato. Se si guarda, cioè, la cosa dal punto di vista dell’art. 6, comma 1, cod. prop. ind. e, sulla scorta del rinvio che esso fa alle norme sulla comunione, dal punto di vista dell’art. 1102 cod. civ. e del principio secondo cui l’uso consentito al singolo comunista del bene comune non può alterarne la destinazione, lo sfruttamento uti singulus del brevetto ne altera indubbiamente la destinazione perché la tutela che esso poteva accordare quando lo sfruttamento era conferito collegialmente e collegialmente esercitato, laddove per intenderci il mercato accordava un certo valore al trovato, viene inesorabilmente meno quando allo sfruttamento di più si sostituisca lo sfruttamento da parte di uno solo. Sicché se anche a questo titolo si volesse continuare a parlare di lesione del diritto di esclusiva, essa non sarebbe ravvisabile nel fatto che il contitolare non possa fare uso del bene comune perché ciò andrebbe in urto all’uso degli altri contitolari, ma andrebbe ravvisata nel fatto che lo sfruttamento individuale del brevetto deprime il valore intrinseco di esso, ne altera la destinazione e pregiudica il diritto degli altri contitolari di ritrarre dal brevetto i benefici che l’esclusiva loro concessa era in grado di assicurare.

17. Su questo punto la pur commendevole sentenza di merito oggetto qui di impugnazione non tiene e va, come detto, debitamente cassata affinché si attenga al seguente principio di diritto: “In materia di brevetto di cui siano contitolari due o più soggetti, il rinvio contenuto nell’art. 6, comma 1, cod. propr. ind. alle norme sulla comunione dei diritti reali deve essere inteso nel senso, che in difetto di convenzione contraria, a mente dell’art. 1102, comma 1, cod. civ. è precluso al singolo comunista lo sfruttamento produttivo del trovato a cui voglia procedere uti singulus in quanto ciò, riflettendosi sulla tutela accordata con il brevetto, altera la destinazione della cosa e lede in tal modo il diritto di esclusiva dell’altro o degli altri contitolari” >>.

L’esattezza del giudizio però è dubbia.

Che l’uso non concertato da parte del singolo deprezzi il valore economico della privativa è assai probabile, quasi certo. Che questo costituisca “alterazione della destinazione economica”, vietata dall’art. 1102 cc, è invece assai dubbio, pur adattando il concetto dalle res alle privative.  Andava comnunque argomentato ben più a fondo.

Anzi la SC pare confondere i citt.  due aspetti, senza poi nemmeno distinguere tra i possibili tipi di sfruttamento: – in proprio, su quali mercati e/o per quali prodotti; – oppure  indirettamente tramite licenza a terzi e con quale tipo di licenza (esclusiva /non esclujsiva, su quali territori …).

Ringrazio Paolo Cuomo per la segnalazione della sentenza.

Tutela del format tramite diritto di autore nel Regno Unito

Jeremy Blum e Dhara Reddy (Bristows LLP)/February 19, 2025, in Kluwer Copyright Blog segnalano l’esame dell’oggetto da parte di THE HIGH COURT OF JUSTICE BUSINESS AND PROPERTY COURTS OF ENGLAND AND WALES
INTELLECTUAL PROPERTY ENTERPRISE COURT, 17.01.2025, Rinkoff v. BABY COW PRODUCTIONS LTD., richiamante Snowden J nella sentenza  Norowzian and Green del 2000.

Riporto il succo:

<<44 I do not need to decide on this interim application the precise conditions that must be satisfied before a television format can be protected as a dramatic work.
What I think is apparent from the authorities, however, is that copyright protection will not subsist unless, as a minimum: (i) there are a number of clearly identified features which, taken together, distinguish the show in question from others of a similar type; and (ii) that those distinguishing features are connected with each other in a coherent framework which can be repeatedly applied so as to enable the show to be reproduced in recognisable form>>.

Sentenza veneziana sulla limitazione brevettuale

App Venezia n 624/2023 del 21 marzo 2023, RG 1737/2019, GMI srl+1 v. Sei Elettronica +1, va ricordata soprattutto per due insegnamenti inerenti: i) al dies a quo degli effetti della limitazione brevettuale ; ii) alla inefficacia della limitazione brevettuale in corso di causa (art. 79 cpi) a seguito di un abuso del diritto .

Il secondo è importante perchè applica uno strumento generale (l’abuso del diritto) dai contorni sfuggenti ma dagli effetti dirompenti (diniego di efficacia).

In breve, l’istanza di limitazione , essendo stata strategicamente avanzata più volte nel corso del processo per ridurre gradualmente l’oggetto del brevetto, non può conseguire alcun effetto.

<<Pertanto, va verificato il confine della facoltà di una limitazione a “cascata”, vale a dire della possibilità per il titolare di limitare progressivamente la rivendicazione al fine di giungere, per approssimazioni successive, a conservare la validità della versione brevettuale più ridotta possibile rispetto a quel che in concreto consente lo stato della tecnica anteriore al giudizio; certamente incide negativamente sulla durata (e sui costi) del processo e richiede una fase di accertamento tecnico peritale per ciascuna riduzione.          E un tale confine è segnato dal divieto di abuso del diritto e dalla buona fede, ossia da principi espressi in forma di clausola generale che non consentono l’individuazione di criteri generali precisi ma che richiedono una analisi del caso concreto in funzione di quel bilanciamento dei contrapposti interessi prescritto dall’art. 52, comma 3, cpi, in modo da garantire “un’equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi”.

Pertanto, nel tracciare i limiti della facoltà concessa dall’attuale art. 79, comma 3, cpi, tenendo conto che tale facoltà non può e non deve essere utilizzata per ritardare sine die la fine del procedimento sino a quando il titolare del brevetto non si riterrà soddisfatto della (nuova) formulazione delle rivendicazioni, occorre individuare un ragionevole punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze, ossia tra l’interesse del titolare volto ad una declaratoria di validità, anche parziale, del brevetto, l’interesse dei terzi a conoscere con certezza l’ambito di validità della privativa per non incorrere nella contraffazione e il principio del giusto processo.
Ebbene, nel caso di specie, la limitazione della privativa è avvenuta attraverso plurime riformulazioni della rivendicazione 1, che hanno consentito l’individuazione diretta e non ambigua dell’oggetto della rivendicazione per successiva approssimazione. Tale risultato emerge dall’esame della ricognizione effettuata dal Ctu in questo grado, da cui si ricava che le varie riformulazioni erano destinate a focalizzare il contenuto della privativa:
– Prima riformulazione, riguardante l’oggetto della rivendicazione (v. pag. 28 Ctu);
– Seconda riformulazione, finalizzata ad introdurre alcune caratteristiche essenziali atte a spiegare l’interazione tra i vari apparati (v. pag. 31 Ctu);
– terza riformulazione, volta a fornire tutte le informazioni tecniche relative ai mezzi di movimentazione della testa di taglio laser lungo i mezzi di guida, prima oggettivamente mancanti (v. pag.31-33 Ctu);
– quarta riformulazione, resa necessaria dalla riscontrata incompatibilità tra due forme di realizzazione della macchina (seconda barra o albero cui era associata la testa di taglio laser: v. Ctu pag. 33);
– quinta riformulazione, presentata in data 29/01/2018 per superare obiezione di generalizzazione intermedia, contraria ai requisiti di cui all’art. 79 comma 3 cpi (v. Ctu pag. 35-36).
Da quanto riportato dal Ctu, pertanto, emerge come siano state necessarie le progressive e molteplici riformulazioni fino all’esatta individuazione dell’ambito della privativa, a discapito di una certezza delle situazioni giuridiche verso i terzi e della ragionevole durata del processo. È pur vero che le riformulazioni erano formalmente consentite, tuttavia, sono state elaborate per effetto dell’esito dell’istruttoria, con conseguente ricostruzione del brevetto attraverso il ripetuto inserimento di elementi che, pur derivanti dal testo brevettuale, hanno richiesto reiterati accertamenti peritali nel corso del giudizio con inevitabile uso distorto dello strumento processuale. Infatti, nel giudizio di accertamento, va vagliata la validità di un brevetto già rilasciato e già utilizzato, consentendo al titolare di ‘limitare’ la privativa, ma non di costruire nel processo o salvare la privativa, attraverso le infinite combinazioni possibili, con conseguente pregiudizio dell’affidamento dei terzi e della certezza dei rapporti giuridici.
In sostanza, lo jus poenitendi sostanziale di cui all’art. 79, comma 3, cpi, non può essere esercitato in modo abusivo e reiterato, dovendo rientrare nei canoni del giusto processo senza richiedere continui accertamenti peritali iterativi sulle riformulazioni via via avanzate, pena l’inammissibilità della domanda di accertamento della validità del brevetto.
Nel caso di specie, le riformulazioni sono, sì, derivate dall’esito delle indagini peritali, esito che, anche a prescindere dal rilievo per eccesso di mandato da parte del consulente nominato, ha consentito di fondare l’insindacabile ed irreversibile scelta del titolare della privativa di ridurre l’ambito di protezione di quest’ultima, tuttavia, tale scelta è comunque vincolata al rispetto di quel punto di equilibrio tra le esigenze del titolare e quelle dei terzi, oltre il quale appare contrario a buona fede quel comportamento che si avvale del processo per delineare il contenuto della privativa rivendicata.
Pertanto, essendo il diritto alla riformulazione del brevetto soggetto ad un doppio limite, uno attinente al contenuto della privativa dato che non può essere introdotta materia nuova e, l’altro, riguardante il processo che non può essere abusato, va ritenuta corretta la decisione impugnata laddove dà atto che GMI ha legittimamente esercitato lo jus poenitendi sostanziale ma che lo ha fatto avvalendosi del processo in modo abusivo e contrario a buona fede.
Ne consegue l’inammissibilità dell’accertamento di validità del brevetto per invenzione fatto oggetto della riformulazione del 29/1/2018, con conseguente impossibilità di esaminare il merito di essa>>.

Il tema è complesso, ma la soluzione lascia perplessi.

Perchè unaa motivazione, basata sul ritardo nel rendere giustizia, porta ad una sanzione non processuale (sulle spese di lite: art. 96 c. 3 cpc) ma sostanziale? Se si adducono ragioni di ordine non sostanziale ma solo processuale , è solo in ques’ultimo ambito che la sanzione deve operare.

Ancora sulla responsabilità delle piattaforme per violazione di copyright e sul safe harbour ex § 512 DMCA

Il 9 circuito 13.01.2025, 21-2949(L) Capitol Records v. Vimeo nega la resp. di Vimeo specificando la red flag data dalla competenza di un dipendente.

Ribadisce inoltre che serve la conoscenza della illiceità dei file contestati, non di una generica possibile/probabile illiceità all’interno di tutti i materiali ospitati.

<<However, we also acknowledged in Vimeo I that it is “entirely possible that an employee of the service provider who viewed a video did have expertise or knowledge with respect to the market for music and the laws of copyright.” Id. at 97 (emphasis added). Thus, as an alternative way to establish red flag knowledge, a plaintiff could produce evidence to demonstrate that an employee (1) was not an “ordinary person” unfamiliar with these fields, and (2) was aware of facts that would make infringement objectively obvious to a person possessing such specialized knowledge. See id.
We noted, though, that “[e]ven an employee who was a copyright expert cannot be expected to know when use of a copyrighted song has been licensed,” id., and, as discussed below, even a copyright expert may similarly struggle to identify instances of fair use.
Thus, in order to carry their burden of demonstrating that Vimeo had actual or red flag knowledge of the specific instances of infringement, Plaintiffs needed to show that Vimeo employees were aware of facts making it obvious to (a) a person who has no specialized knowledge or (b) a person that Plaintiffs have demonstrated does possess specialized knowledge that: (1) the videos contained copyrighted music; (2) the use of the music was not licensed; and (3) the use did not constitute fair use>>.

Poi

<<The fact that licensing music, as a general matter, can be challenging or confusing does not make it obvious that music accompanying a particular user-uploaded video was not licensed. Even if a person without specialized knowledge would have intuited a likelihood that many of the posted videos were not authorized, that would not make it obvious that a particular video lacked authorization to use the music.

This is all the more true in view of the uncontested fact that, since 2011, Vimeo had run a store from which users could purchase licenses to use music in videos. Accordingly, Vimeo employees were aware of the existence of simplified opportunities available to purchase licenses. Furthermore, because Plaintiffs have not proved that Vimeo employees had specialized knowledge of the music industry, those employees’ awareness that music found on their videos was under copyright did not show that they knew whether the music they heard on user videos came from EMI or another label. Plaintiffs’ evidence does not support it being apparent to Vimeo employees that the music they heard on any particular video came from a label that did not offer licenses through Vimeo’s store or otherwise.

Plaintiffs also rely on the contention that EMI’s cease-and-desist letter, sent to Vimeo in 2008, put Vimeo employees on notice that any EMI music used on the website was unauthorized. Plaintiffs cite EMI Christian Music Grp., Inc. v. MP3tunes, LLC, 844 F.3d 79, 93 (2d Cir. 2016), where we explained that the defendant’s subjective awareness that there had been no legal online distribution of Beatles songs could support red flag knowledge that any online electronic copies of Beatles songs on defendant’s servers were unlicensed. But the same logic does not necessarily apply here. As the district court pointed out, an awareness that EMI sent a letter in the past demanding removal of its music gave no assurance that EMI did not thereafter make contracts licensing the use of its music, especially in view of evidence that some users who posted the videos containing EMI music asserted that EMI had provided them with authorization to use the music. The DMCA does not require service providers to perform research on mere suspicion of a user’s infringement to determine the identity of the music in the user’s video, identify its source, and determine whether the user acquired a license. See Vimeo I, 826 F.3d at 98-99 (explaining, in the context of a contention of willful blindness, that requiring service providers “constantly to take stock of all information their employees may have acquired that might suggest the presence of infringements in user postings, and to undertake monitoring investigations whenever some level of suspicion was surpassed, . . . would largely undo the value of § 512(m)”).
Even if we concluded that Vimeo had red flag knowledge that EMI’s music in user videos was not authorized or licensed, that would be insufficient to satisfy Plaintiffs’ burden. Plaintiffs needed in addition to show that it would be apparent to a person without specialized knowledge of copyright law, or, alternatively, persons who have been demonstrated to possess specialized knowledge of copyright law, that the particular use of the music in the Videos-in-Suit was not fair use>>.

(segnalazione e link offerti dal blog di Eric Goldman)

Sul marchio parodistico: torna al giudice di primo grado la lite Jack Daniel’s v. Bad Spaniels

Jocelyn Bosse in IPKat ci notizia della sentenza Distr. Arizona 23 gennaio 2025 n. Case 2:14-cv-02057-SMM , VIP products llc v. Jack Daniel’s Properties Incorporated, cui la causa era stat rimandata dalla Corte Suprema USA con la sua nota sentenza del 2023 (su cui v. mio post)

I marchi a paragone:

Secondo il giudice distrettuale non c’è confondibilità perchè la parodia è palese, però c’è danno alla rinomanza (infangamento, tarnishment).

Sorge un problema teorico: se la parodia è ammessa, reprimerla con il tarnishmnent è contraddittorio. Qualunque parodia ad attività commerciale ne può ridurre la capacità di generare proditti. Cioè la parodia è ammessa come difesa contro la privativa di marchio, purchè non ne leda in alcun modo la redditivita.   Il che è illogico, perchè di fatto rende inutilizzabile la difesa medesima.

In generale la parodia riposa su valori (democraticità, free speeech…) più importanti di quelli economici; solo che qui è azionata da un concorrente, quindi da chi agisce secondo logica pure economica.

L’eserczio di diritti fondamentali non è previsto espressamente come limite alla privativa (art. 14 reg. UE 1001 del 2017); ma cetamente va ammesso quantomeno per analogia iuris (se di dirittto europeo oppure italiano, è da vedere)

Il marchio può essere “rinomato” anche se per prodotti non di lusso e pure se non risulta evidente sul singolo prodotto

Spunti interessanti (il secondo soprattutto) a livello teorico anche se purtroppo solo accennati in Cass. sez. I, ord. 17/01/2025  n. 1.153, rel. Campese, nella lite Pasta Zara / Zara abbigliamento:

<<3.1. Invero, ribadito che il marchio notorio è tale in quanto conosciuto dalla generalità del pubblico e non è necessariamente legato alla distribuzione di prodotti di lusso o dai connotati di esclusività e raffinatezza, l’assunto della ricorrente secondo cui, sostanzialmente, l’utilizzazione del marchio “ZARA” non darebbe luogo ad alcun pregiudizio alla società controricorrente, né attribuirebbe alcun vantaggio alla ricorrente perché si tratterebbe di un marchio privo di prestigio, non persuade, né convince l’ulteriore argomentazione per cui, sui capi di abbigliamento di ZARA, il marchio non è evidente (cfr. amplius, pag. 13-14 del ricorso). Si tratta, infatti, di circostanza che, come condivisibilmente sostenuto dal Pubblico Ministero nelle sue conclusioni scritte, “è facilmente spiegabile con la scelta della società spagnola di operare la distribuzione dei propri prodotti in negozi monomarca e non costituisce quindi un’implicita ammissione di assenza di prestigio” >>.