“Aceto Balsamico” in una lite nazionale

Tribunale di Venezia deciso 13.12.2023, RG 2889/2019, rel. Guzzo, emette ssntenza analiita ed interssante sull’uso del termine Aceto Balsamico.

Nè dà notizia Anna Maria Stein in IPKat, dandone pure il link al testo.

La domanda avanzata dal Consorzio è accolta solo in parte e cioè relativamente alla concorrenza sleale ex art. 2598 cc

Ecco il dispositivo:

Il Tribunale definitivamente pronunciando:

1) Rigetta le domande attoree formulate al punto I delle conclusioni attoree e le domande di inibitoria, penale e risarcimento danni fondate sugli illeciti invocati in detto punto 1)

2) Rigetta le domande attoree formulate al punto II con riferimento alla concorrenza sleale ex art 2598 n .1 e 2 cc nonché le domande di inibitoria, penale e risarcimento danni fondate sulle fattispecie di concorrenza sleale ex art 2598 n.1 e 2 cc.

3) Accertato che i condimenti oggetto di causa non possiedono le caratteristiche necessarie per essere denominati con la denominazione legale “aceto”, accerta che l’uso del termine “aceto” pagina 17 di 18 nell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei condimenti oggetto di causa integra concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc

4) in ragione di quanto accertato al punto 3 del presente dispositivo inibisce l’utilizzo della parola aceto per i condimenti in oggetto e ciò nella nell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei condimenti stessi

5) Accertato che l’uso delle parole “Balsamico di..” , “Ristretto di Balsamico.. “ nella etichettatura non è conforme alle prescrizioni del Regolamento (UE) 1169/11, accerta che l’uso di dette parole per le etichettature dei prodotti integra concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc.

6) In ragione di quanto accertato al punto 5) inibisce ai convenuti l’uso delle parole “Balsamico di..” , “Ristretto di Balsamico.. “ da sole o unite ad “aceto” per denominare i condimenti nella etichettatura dei recipienti e bottigliette contenenti detti prodotti ed altresì inibisce la presentazione e pubblicizzazione di foto in cui compaiano i recipienti o bottigliette di detti condimenti o cartellini identificativi etichettati con “Balsamico di..” o balsamico…” da soli o in aggiunta ad aceto. “ristretto di

7) Ordina di eliminare dal sito web www.teatrodelgusto.it la pubblicità presente in cui compaia il termine “aceto” riferito ai condimenti del tipo di cui trattasi ed altresì la pubblicità in cui compaiano foto di recipienti o bottigliette di detti condimenti o cartellini identificativi etichettati con “Balsamico di..” o “ristretto di balsamico” da soli o in aggiunta ad aceto dando termine all’uopo di giorni 30 dalla pubblicazione della presente sentenza

8) Pone una penale di € 80,00 per ogni giorno di ritardo nella rimozione di quanto indicato al punto 7) con decorrenza dal giorno successivo al termine di grazia di giorni trenta di cui al medesimo punto 7) , nonché pone una penale di € 30,00 per ogni futura violazione alle inibitorie di cui ai punti 4 e 6 del presente dispositivo

9) Condanna in via generica, in solido, le convenute al risarcimento dei danni per concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc come da parte motiva

10) Rigetta ogni altra domanda 11) Compensa le spese di lite e pone le spese di CTU per il 50% a carico dell’attore e per il restante 50% a carico delle convenute in solido

Trib Bologna su concorrenza parassitaria e sul rapporto tra tutela d’autore ex art. 2.4 l. aut., da una parte, e art. 2.10 l. aut., dall’altra.

In un caso di pretesa copiatura di decorazioni su mattonelle, Trib. Bologna n. 747/2023 del 03.04.2023, Rg 1234/2019, rel. Romagnoli, segnalato da giurisprudenzadelleimprese.it, affronta i due temi.

Sul primo:

<< estrema sintesi, la concorrenza parassitaria consiste nella imitazione sistematica e protratta nel tempo
dell’attività imprenditoriale del concorrente, laddove ciò che distingue tale fattispecie di modalità
scorretta di concorrenza (ex art. 2598 n. 3 c.c.) rispetto ai casi tipici di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c.
è il continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non
tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali in un contesto temporale prossimo,
così da rivelare l’intento di avvantaggiarsi sul mercato sfruttando il lavoro e gli sforzi altrui (cfr. ex
multis Cassazione civile, sez. I, 12/10/2018, n. 25607); in altre parole, la concorrenza parassitaria
consiste nel comportamento dell’imprenditore che in modo sistematico e continuo segue le orme di un
imprenditore concorrente, ne imita le iniziative con assiduità e costanza, non limitandosi a copiare un
unico oggetto (cfr. Cass. civ. sez. I, 29/10/2015, n. 22118) e dunque pur senza confusione di attività e
di prodotti (cfr. Trib. Napoli 18.2.2014) sicché, ove si sia correttamente escluso nell’elemento
dell’imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell’attività imitativa (requisito pertinente alla sola
fattispecie di concorrenza sleale prevista dal n. 1 dello stesso art. 2598 c.c.), debbono essere indicate le
attività del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l’adozione e lo sfruttamento, più
o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca (Cass. n. 25607 cit.).
In ultima analisi, nella concorrenza parassitaria l’attività commerciale dell’imitatore si traduce in un
cammino continuo e sistematico, anche se non integrale, essenziale e costante sulle orme altrui, giacché
l’imitazione di tutto o di quasi tutto quello che fa il concorrente, nonché l’adozione più o meno
immediata di ogni sua nuova iniziativa, seppure non realizzi una confusione di attività e di prodotti, è
contraria alle regole che presiedono all’ordinato svolgimento della concorrenza (Tribunale Milano, Sez. Proprieta’ Industriale e Intellettuale, 02/05/2013, n. 6095)”.

Sul secondo:

<<Innanzi tutto, va correttamente individuato l’ambito di tutela autorale tra le opere del disegno
industriale ex art. 2 n. 10 L.A. e le opere dell’arte figurativa di cui al n. 4 dell’art. 2 L.A., che si
pongono su un piano di reciproca esclusione (cfr. Cass. civ. sez. I, 23.3.2017 n. 7577 in motivazione)
essendo, in particolare, protette come disegno industriale le opere che trovano la loro collocazione
“nella fase progettuale di un oggetto destinato ad una produzione seriale, a condizione che siano
dotate di carattere creativo e valore artistico”, mentre ricadono nell’ambito di tutela dell’arte
figurativa le opere riprodotte “in un solo esemplare o in un numero limitato di esemplari […] e
destinato a un mercato differente, sicuramente più ristretto, rispetto a quello cui sono indirizzati i beni
oggetto della produzione industriale” (cfr. ex multis Cassazione civile, sez. I, 12.1.2018, n. 658).
Nella fattispecie, il motivo decorativo delle piastrelle non è opera figurativa, neppure nel caso, non
provato, della trasposizione/incorporazione di opera figurativa dell’artista sulla piastrella: non si dubita
del contributo artistico dello stilista, che si concretizza nel motivo decorativo della piastrella, ma la
destinazione alla produzone industriale è incompatibile con la tutela autorale ex art. 2 n. 4 L.A.
D’altronde, la destinazione all’industria e alla riproduzione seriale, non fa della decorazione della
piastrella un’opera del design industriale ex art. 2 n. 10 L.A., non solo perché il carattere creativo e la
novità sono elementi costitutivi anche dell’opera del design industriale, ma soprattutto perché l’opera
del design industriale è quella che presenta “di per sé carattere creativo e valore artistico”, laddove
tale quid pluris è ricavabile da indicatori oggettivi, quali il riconoscimento da parte degli ambienti
culturali ed istituzionali di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la
pubblicazione su riviste specializzate ecc. (cfr. Tribunale Torino, Sez. spec. Impresa, 31.1.2019, n.
482); prove che spettano alla parte che invoca la tutela e che fanno difetto nella fattispecie che occupa.
Nella fattispecie trattasi, in definitiva, di mera decorazione della piastrella, che non assurge né ad opera
dell’arte figurativa né a design industriale per il fatto di essere il risultato della collaborazione con
l’artista che ne ha disegnato il motivo ornamentale>>

Concorrenza sleale verso Amazon per recensioni fasulle e prezzolate

Provvedimento cautelare interessante, anche non del tutto condivisibile, quello emesso da Trib. Milano sez. impr., ord., 21 marzo 2024, giudice Dal Moro (menzionato in molti siti; testo preso da Foro Italiano-News), Amazon EU sarl+1 c. DP.

La cautela inibitoria si basa su slealtà concorrenziale (art. 2598 n. 3 cc), data dalla falsità delle recensioni fatte apparire sul marketplace di Amazon in attuazione di apposito business (l’anonimato del quale e del suo sito è facilmente superabile con qualche rapida ricerca in rete e probabilmente pure dalla pubblicazione ordinata dal giudice sui siti Altroconsumo e Codacons)

In breve il soggetto pagava chi andava poi a disporre (o aveva in precedenza disposto) recensioni false su questo o quel venditore.

L’illiceità è sicura. Altrettanto non è la qualificazione come concorrenza sleale, mancando il rapporto di concorrenza.

Il Trib. opina in senso opposto: <<In secondo luogo, pare altrettanto indubitabile che l’attività economica svolta nella specie (offerta del servizio di recensione) concorra con quella medesima svolta da Amazon sul medesimo mercato, posto che quest’ultimo, come affermato anche in sede di legittimità, è identificato dalla “comunanza di clientela” da intendersi come “insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti (beni o servizi n.d.r.) che sono in grado di soddisfare quel bisogno”, e che, quindi, l’attività in concreto svolta deve identificarsi anche alla luce dell'”esito di mercato fisiologico e prevedibile”, e comprenda, perciò, servizi “affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale”.
Il “mercato dell’offerta in vendita” su cui opera Amazon si articola anche in un segmento specifico identificato nel servizio accessorio e funzionale delle recensioni dei prodotti venduti, il quale viene svolto anche dal sig. P., con strumenti che lo rendono illecito non solo perché mira a falsare la genuinità del riscontro del consumatore/ acquirente, ma anche perché si avvale in maniera subdola dello strumento che Amazon stessa utilizza per rendere detto servizio, alterandone la veridicità e l’affidabilità con conseguente grave danno all’immagine e alla reputazione della ricorrente. >>

La concorenzialità invece manca: Amazon trae ricavi dalla percentuale sui ricavi conseguiti dal venditore, non dalle recensioni, che sono solo strumentali a creare affidabilità verso il marketplace.

Nemmeno il periculum in mora pare esistere.

Dice invece di si il Trib.: <<Il Tribunale ritiene che sussista, altresì, il periculum in mora presupposto dell’emissione del richiesto provvedimento cautelare. Infatti, in assenza di un provvedimento urgente, appare fondato il timore che nell’attesa di una decisione di merito la prosecuzione di siffatta condotta illecita possa concorrere a causare pregiudizi difficilmente riparabili se non irreparabili in termini di credibilità della piattaforma di vendita on line ricorrente, considerando anche che risulta che il business illecito del P. si rivolga in modo prevalente a detta piattaforma e che stia, altresì, intensificandosi con particolare riferimento proprio alla medesima (cfr. doc. 18 e doc. 19, contenenti “screenshot” del sito (omissis), rispettivamente, alla sezione “bestsellers” in cui vengono pubblicizzati cinque pacchetti di recensioni false tre dei quali riferibili allo store Amazon, e alla sezione “nuovi arrivi” in cui vengono pubblicizzati pacchetti di recensioni false esclusivamente riferibili allo store Amazon)>>.

Che per qualche mese in più di opertività vernga irreparabilmente lesa la credibilità di Amazon, non è molto credibile. Si tenga infatti conto da un lato che una larga parte delle recensioni in rete è  di assai dubbia veridicità  e, dall’altro, che si tratta di fatto notorio (basta una rapida googlata di articoli in proposito).

L’irreparabilità poi andrebbe comunque argomentata un pò meglio.

Concorrenza sleale per storno dei dipendenti

Sul sempre difficile (teoricmente e praticamente) tema in oggetto, v. Trib. Bologna  n° 1033/2023 del 16 maggio 2023, RG 12327/2018, rel,. Erede:

<<Al riguardo, si rileva in linea teorica che, affinché possano ravvisarsi gli estremi della fattispecie dello storno di dipendenti di un’azienda da parte di un imprenditore concorrente – comportamento vietato in quanto atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. – non è sufficiente il mero trasferimento di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né la contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore altrui.
In questi casi, ricorre un’attività di per sé legittima, in quanto espressione del principio della libera circolazione del lavoro, ove non attuata con lo specifico scopo di danneggiare l’altrui azienda, in quanto la mobilità dei dipendenti corrisponde sia al diritto del lavoratore di migliorare la propria posizione professionale, sia al diritto dell’imprenditore di organizzare al meglio la propria azienda, in modo efficiente e produttivo, attingendo alle migliori professionalità presenti sul mercato.
La giurisprudenza di legittimità ha in proposito affermato, in più occasioni, che lo storno deve essere caratterizzato dall’ “animus nocendi”, che va desunto dall’obiettivo che l’imprenditore concorrente si proponga – attraverso il trasferimento dei dipendenti – di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando nel mercato l’effetto confusorio, o discreditante, o parassitario capace di attribuire ingiustamente, a chi lo cagiona, il frutto dell’investimento (ossia, l’avviamento) di chi lo subisce. Il giudizio di difformità dello storno dai principi della correttezza professionale non va condotto sulla base di un’indagine di tipo soggettivo, ma secondo un criterio puramente oggettivo dovendosi valutare se lo spostamento dei dipendenti si sia realizzato con modalità tali, da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di arrecare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva dell’imprenditore concorrente, svuotandola delle sue specifiche possibilità operative (tra tante, Cass. civ. n. 3865 del 17.02.2020; Cass. civ. n. 31203 del 29.12.2017; Cass. civ. n. 20228 del 4.09.2013; Cass. civ. n. 13424 del 23.05.2008).
In base a questi principi, nella concreta esperienza giurisprudenziale, al fine di verificare la sussistenza del requisito dell’animus nocendi, si valuta non solo se lo storno sia stato realizzato in violazione delle regole della correttezza professionale (come nei casi di impiego di mezzi contrastanti con i principi della libera circolazione del lavoro, di denigrazione del datore di lavoro, o avvalendosi di dipendenti dell’impresa che subisce lo storno, o quando il trasferimento del collaboratore sia finalizzato all’acquisizione dei segreti del concorrente), ma principalmente se le caratteristiche e le modalità del trasferimento evidenzino la finalità di danneggiare l’altrui azienda, in misura eccedente il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di prestatori di lavoro trasferiti ad altra impresa, non essendo sufficiente che l’atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente (App. Milano 1.08.2019, n. 3393; Trib. Bologna 16.03.2016, n. 683).

Per potersi configurare un’attività di storno di dipendenti, alla luce del requisito dell’animus nocendi, assumono rilievo i seguenti elementi: a) la quantità e la qualità dei dipendenti stornati; b) il loro grado di fungibilità; c) la posizione che i dipendenti rivestivano all’interno dell’azienda concorrente; d) la tempistica dello sviamento; d) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente.
Si è anche affermato che “lo storno illecito normalmente afferisce allo spostamento di più soggetti da un imprenditore ad un altro, mentre la sottrazione di un solo dipendente è considerato elemento per lo più inidoneo a predicare la contrarietà alla legge” (Trib. Milano 19.09.2014, n. 11082).
Nel caso di specie, non si ravvisano nelle condotte dei convenuti modalità tali da indurre a riconoscere la volontà degli stessi di danneggiare l’organizzazione dell’impresa concorrente. In disparte la carenza di un rapporto diretto di concorrenzialità tra i convenuti dipendenti persone fisiche e COROB, si osserva che parte attrice non ha allegato e provato alcuna circostanza utile a far ritenere la sussistenza del rapporto di solidarietà dei convenuti ex dipendenti con ALFA in punto di responsabilità nei confronti di COROB, limitandosi a generiche allegazione rimaste sfornite di adeguata prova. Inoltre non può non rilevarsi come nella vicenda in esame alcuna concreta allegazione e prova parte attrice abbia fornito in ordine alla sussistenza di un intento di ALFA di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva della concorrente COROB, quale elemento soggettivo dell’illecito concorrenziale. Si richiama sul punto quel consolidato orientamento giurisprudenziale della S.C. che anche di recente ha affermato che “Per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori, è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito; a tal fine assumono rilievo innanzitutto le modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori dall’una all’altra impresa, che non può che essere diretto, ancorché eventualmente dissimulato, per potersi configurare un’attività di storno, la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione nell’ambito dell’organigramma dell’impresa concorrente, le difficoltà ricollegabili alla sua sostituzione e i metodi adottati per indurre i dipendenti e/o collaboratori a passare all’impresa concorrente.”( così Cass. n. 3865/2020; conf. più di recente Cass. n. 22625/2022).
In disparte il dato che la contestazione dell’illecito concorrenziale per “storno dei
dipendenti” mossa da COROB non possa riguardare singole persone fisiche, quali ABELLI LUNGHINI, SOLERA e VERONESI e MAZZALVERI -legati a COROB da rapporto di dipendenza e/o collaborazione- non sono essi stessi imprenditori concorrenti e quindi non possono essere soggetti attivi dell’illecito stesso, deve rilevarsi che, con riguardo al MAZZALVERI, lo stesso all’atto della cessazione del suo rapporto di lavoro subordinato con COROB, a seguito di accordo risolutorio (v. doc. 24 allegato alla citazione), ha sottoscritto contestuale contratto di collaborazione con la stessa società ( v. doc. 25 allegato alla citazione), con esclusione di qualsiasi risvolto negativo per COROB.

Peraltro, va pure evidenziato come l’esiguo numero dei dipendenti stornati, in rapporto al numero complessivo dei dipendenti di COROB (119 dipendenti al 31.12.2017, come da visura prodotta dall’attrice sub doc. 1) per quanto specializzati possano essere, certamente non può determinare quella disgregazione traumatica dell’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore COROB, cosi come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità richiamata per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori.
Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, alcuna tutela inibitoria e risarcitoria può accordarsi in questa sede a COROB, così come vanno disattese le pretese sanzionatorie della stessa attrice>>.

Nell’incertezza sul tema, certo è che l’animus nocendi non può provarsi che in temini oggettivi, giammai psicologico/soggettivi.

Inoltre ricorda la figura dell’abuso del diritto: che ricorre quando un vantaggio per il preteso violatore non c’è per nulla (da tutti ammesso) o c’è ma in misura minima (controverso; da vedere poi come rendere il relativo giudizio e cioè quale ne sarebbe il parametro: ha senso paragonare il vantaggio al danno provocato?).

Va segnalata pure  un’applicazone (con rigetto) della disciplina dei segreti commerciali, art.- 98 cpi

E’ concorrenza sleale (ex art. 2598 n. 3 c.c.) proporre ai clienti del concorrente un’offerta reticente ed omissiva

 Trib.  Milano n. 3038/2023 del 17.04.2023, RG 40547/2023, rel.  Fazzini, Iliad c.  Vodafone:

<<All’interno di questo ambito, si deve ritenere che, nel caso di specie, Vodafone Italia Spa ha utilizzato sms o altre comunicazioni, caratterizzate da un messaggio pubblicitario che utilizza il prezzo come strumento di concorrenza, senza che, però, fosse stato evidenziato in maniera adeguata il prezzo complessivo, ovvero tutte le voci di prezzo o costo del servizio, essendo state omesse alcune singole componenti, quali i costi della SIM, di attivazione, etc. È evidente che tale comportamento non sia conforme alle regole della lecita concorrenza, atteso che l’utente non era stato messo nelle condizioni di effettuare una valutazione corretta nel formare un primo convincimento prima della sottoscrizione del contratto, con conseguenze negative anche al fine della scelta di un gestore piuttosto che un altro. Così come strutturati i messaggi, il tribunale ritiene che non ci fossero elementi per poter ritenere che il potenziale utente potesse supporre che accedendo al servizio avrebbe dovuto affrontare ulteriori costi iniziali rispetto a quelli già indicati. Si osserva, infatti che, dato che l’offerta esplicitava un costo periodico mensile nel caso in cui l’utente fosse voluto tornare a Vodafone o passare a tale società, senza alcun ulteriore riferimento a informazioni o a costi aggiuntivi, anche attraverso un richiamo a un sito internet, allo stato, non sussistono elementi perché esso avrebbe potuto intendere che l’offerta presupponeva invece anche un addebito di un costo iniziale, essendo evidente che esso aveva percepito l’offerta, in sostanza, come una sorta di abbonamento senza costo di attivazione, proprio per invogliare il cliente a ritornare sulle proprie scelte, o in cui gli eventuali costi iniziali erano stati assorbiti nel pagamento del canone fisso.
Rilevante a tale riguardo è anche la circostanza pacifica che per tali condotte Vodafone Italia Spa sia stata sanzionata dall’AGCM con provvedimento del 6.12.2019. In ordine alla rilevanza probatoria di tale provvedimento, si osserva che, benché non sia condivisibile quanto asserito da parte attrice in ordine a un suo valore probatorio privilegiato, essendo circostanza pacifica che tale provvedimento è stato oggetto di impugnazione davanti al TAR, con la conseguenza che, allo stato, esso non ha alcun specifico valore di carattere decisorio definitivo, alla luce dei principi espressi dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 3640/2009; Cass. 5941/2011; Cass. 5942/2011), è evidente che comunque esso abbia un valore indiziario a favore della tesi di parte attrice ai fini della individuazione di un comportamento di concorrenza sleale>>.

Nessuna  liquidazione di danno, però:

<<In considerazione di ciò, il Collegio ritiene che sia evidente che, allo stato, non sussiste alcuna prova in ordine al fatto che i messaggi in questione siano stati diretti ai clienti Iliad e in quale misura e se essi abbiano determinato questi ultimi a scegliere di tornare al vecchio operatore Vodafone piuttosto che proseguire con il nuovo operatore, elemento necessario al fine di provare la sussistenza del danno eventualmente causato.     In un contesto del genere e in un mercato caratterizzato da una pluralità di operatori (e non solo dai due, parti nel presente giudizio), il tribunale ritiene che non sia possibile stabilire se e in quale misura gli utenti, se informati correttamente sui costi effettivamente applicati al momento del ricevimento del messaggio, sarebbero rimasti con il nuovo operatore Iliad. Si evidenzia, peraltro, che l’eventuale passaggio da un operatore all’altro non si realizza al momento della recezione del messaggio, ma solo a seguito della sottoscrizione di un contratto, in cui l’utente viene informato dei costi effettivamente applicati.
Alla luce di tale motivazione, non può essere accolta la richiesta di rimessione in termini proposta da Iliad per il deposito della documentazione reperita a seguito dell’accesso integrale degli atti del procedimento AGCM, essendo essa irrilevante ai fini del decidere, con conseguente stralcio dei documenti di cui è stato autorizzato il deposito in data 18.02.2022 e di quelli depositati da parte attrice all’udienza di precisazione delle conclusioni del 17.05.2022>>.

Rigettata pure la domanda di  concorrenza skleale per ritartdato trasferimento del numero in base alla discipliona della number portabilility.

Circa  la  pubblicazione della setenzna:

<<Si osserva, infatti, in particolare, alla luce dei principi espressi dalla Suprema Corte, che la pubblicazione in uno o più giornali della sentenza, che accerti atti di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2600 c.c., costituisce una misura discrezionale non collegata all’accertamento del danno, trattandosi di una sanzione autonoma, diretta a portare a conoscenza del pubblico la reintegrazione del diritto offeso (cfr. Cass. 11362/2022), potendo essere disposta anche dopo che il concorrente abbia cessato la propria attività (cfr. Corte d’Appello di Milano, 14.04.2011).

Alla luce di ciò, il tribunale ordina la pubblicazione della sentenza (intestazione + dispositivo) a spese di Vodafone Spa entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della presente sentenza, per una volta, a caratteri doppi del normale e con i nomi delle parti in grassetto, sul quotidiano il “Sole 24 ore”, con facoltà, per parte attrice di provvedervi direttamente in caso di inottemperanza della parte convenuta, recuperando successivamente le relative spese (cfr. Tribunale di Milano, sent. n. 5732/2016, 9.05.2016, est. Tavassi).
Il Collegio ritiene di non dovere accogliere la richiesta di pubblicazione della sentenza mediante inserzione sul sito ufficiale di Vodafone Italia S.p.A., su tutte le pagine ufficiali di Vodafone Italia S.p.A. presenti sui social network, su lettere da inviare a tutti i canali distributivi e a tutta la grande distribuzione e distribuzione organizzata, atteso che l’interesse di parte attrice risulta, allo stato, già soddisfatto in considerazione di quanto sopra disposto in ordine alla pubblicazione dell’intestazione e del dispositivo della sentenza sul quotidiano il “Sole 24 Ore”>>.

Tra diffamazione, danno reputazionale e concorrenza sleale denigratoria

L’appello del 9° circuito No. 21-16466 del 2 giugno 2023, Enigma c. Malwarebytes decide una lite di vecchia data tra due aziende di sicurezza informatica , una delle quali aveva diffamato l’altra (designating its products as “malicious,” “threats,” and “potentially unwanted programs”)

Dal syllabo iniziale:

<<The district court primarily based the dismissal on its conclusion that Malwarebytes’s designations of Enigma’s products were “non-actionable statements of opinion.”

The panel disagreed with that assessment.

In the context of this case, the panel concluded that when a company in the computer security business describes a competitor’s software as “malicious” and a “threat” to a customer’s computer, that is more a statement of objective fact than a non-actionable opinion. It is potentially actionable under the Lanham Act provided Enigma plausibly alleges the other elements of a false advertising claim.
The district court held that the tort claims under New York law failed because Malwarebytes was not properly subject to personal jurisdiction in New York. That meant Enigma’s claim for relief under New York General Business Law (NYGBL) § 349 failed because that statute did not apply to the alleged misconduct. The panel disagreed and concluded that Malwarebytes is subject to personal jurisdiction in New York. As this action was initially filed in New York, the law of that state properly applies.
The common law claims for tortious interference with contractual relations and tortious interference with business relations were also dismissed by the district court. Those torts are recognized as actionable under California law, as they are under New York law, but the district court concluded that Enigma failed to allege essential elements for those claims under California law. The contractual relations claim failed because Enigma did not identify a specific contractual obligation with which Malwarebytes interfered. The business relations claim was dismissed because that claim required an allegation of independently wrongful conduct, and that requirement was not satisfied following the dismissal of the Lanham Act and NYGBL § 349 claims.

Because the panel held that the Lanham Act and NYGBL § 349 claims should not have been dismissed, the panel concluded that the tortious interference with business relations claim should similarly not have been dismissed. The panel agreed with the district court regarding dismissal of the claim for tortious interference with contractual relations, however, and affirmed the dismissal of that claim>>.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Buona nota alla sentenza nella Harvard law review.

Concorrenza sleale per violazione di norme pubblistiche (art. 2598 n.3 c.c.)

Cass. sez. I dell’8 maggio 2023 n. 12.049, rel. Ioffrida :

<<In effetti, con riguardo alla violazione dell’art. 2598 c.c., n. 3, la sola violazione di norme pubblicistiche non implica necessariamente, attesa la moltitudine di norme che incidono sullo svolgimento dell’attività imprenditoriale, il compimento di un atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 c.c., n. 3, occorrendo distinguere tra norme che sono rivolte a porre dei limiti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, la cui violazione implica sempre un atto contrario ai principi di correttezza professionale e dunque di concorrenza sleale, e norme che impongono dei costi alle imprese operanti sul mercato (ad es. le disposizioni fiscali, le prescrizioni igienico-sanitarie ovvero anche le norme che subordinano l’esercizio di determinate attività imprenditoriali all’ottenimento di licenze o di autorizzazioni, implicanti comunque anche dei costi), la cui violazione può costituire l’antecedente di un atto di concorrenza, fonte di danno concorrenziale, ovvero servire per sostenere un ribasso dei prezzi o misure equivalenti, divenendo in tal caso la violazione della norma di diritto pubblico indirettamente la fonte di un illecito concorrenziale; deve essere data, in sostanza, dall’imprenditore che si duole della condotta del concorrente, dimostrazione non tanto della violazione di norme amministrative, quanto anche del compimento di atti di concorrenza potenzialmente lesivi dei propri diritti, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato (cfr. Cass. 8012/2004: in applicazione di tale principio la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza dell’illecito concorrenziale nel fatto di un gestore di una sala cinematografica che aveva solo ampliato la capienza del locale, portandolo da 308 a 1000 posti, senza alcuna autorizzazione amministrativa; cfr. anche, in motivazione, Cass. 9770/2018).

Ora, dalla sentenza impugnata emerge che l’illecito concorrenziale contestato ed accertato di Geoeco Italia consisteva nell’avere esercitato, dal 2002 al 2004, attività commerciali di ristorazione e market in aree nelle quali erano stati compiuti abusi edilizi (con mutazione della destinazione d’uso di alcuni ambienti) e che erano state peraltro trasferite al patrimonio comunale, oltre che in assenza di autorizzazione amministrativa, il tutto all’interno dello stesso complesso villaggio turistico ove la In. Tu.Ga. svolgeva regolarmente (essendo state respinte le domande riconvenzionali delle convenute Geoeco Italia e Gargano Progetti nei sui riguardi, sempre ex art. 2598 c.c.), sulla base di titoli abilitativi, per il periodo 2000/2005, attività ricettiva ed anche di somministrazione, alimenti e bevande. E rilevava il particolare settore e la tipologia di attività turistico – ricettiva svolta dalla concorrente danneggiata In. Tu.Ga., necessitante di un complesso di autorizzazioni amministrative per il legittimo esercizio.

Peraltro la vicenda dell’esecuzione ed ottemperanza del giudicato amministrativo traslativo della proprietà delle aree non è conferente rispetto al presente contenzioso che attiene all’illecito concorrenziale posto in essere dalla Geoeco Italia in danno alla In. Tu.Ga. in relazione all’esercizio di attività commerciale di vendita di prodotti alimentari e ristorazione, in assenza delle necessarie autorizzazione della pubblica amministrazione>>

Discorso un pò (come spesso) fumoso dato che il giudice deve dire se e in che modo la violazione abbia procurato vantaggi concorrenzialmente illeciti.

Concorrenza sleale di Fastweb verso Vodafone per illecita retention di clienti che avevano chiesto la migrazione

Chi  si interessa del mondo dei gestori telefonici troverà utile studiare Appello Milano n. 3048/2020 del 24.11.2020, RG 4005/2015, rel. Fontanella, vodafone Omnitel c. Fastweb.

Vodafone aveva fatto illecita attività c.d. di retention (=trattenimento) verso suoi clienti che avevano iniziato la migrazione verso Vodafone (F., cioè , avvertitane, li contattava per cercare di trattenerli).

La sentenza è centrata sul dato tecnico per accertare l’illecito e poi su quello contabile per accertare il danno .

La domanda è di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 cc

E’ accertato l’illecito, spot.  in base a decisione amministrativa AGCom e a perizia di causa.

Quanto alla quantificazione, è interssante l’iter logico del ctu e della Corte: bisogna stimare quanti clienti Vodafone ha perso (o meglio: non acquisito) stante la retention di F.  Poi bisogna stimare la redditività di ciascuno.

Essendo per lo più privati e micromprese,  la AMPU (Average Margin Per User: guadagno medio unitario) è stata stimata in euro 33,47 per Vodafon e € 8,42 per Fastweb

E’ poi interessante la stima del danno da pubblicità correttiva realizzata da Vodafone: non può essere correlata solo all’illecito di retention,  per cui in via quirtativa ha stimato euro 149,000. Precisamente: <Con riguardo, invece, alla quantificazione dei costi delle spese pubblicitarie inutilmente sopportate da Vodafone e riferibili ai clienti perduti per via delle condotte di retention poste in essere da Fastweb, il CTU ha valutato non corretto il prospetto di Vodafone per i seguenti motivi:
– Vodafone non ha differenziato, nel suddetto calcolo, i diversi segmenti di clientela. Secondo il CTU, “la presunzione che ogni segmento di clientela sia destinatario di un’identica quota di spese pubblicitarie e promozionali è certamente una possibilità concreta, ma totalmente priva di gravità, precisione e concordanza” (cfr. p. 16 CTU);
– Vodafone, come ogni altro operatore telefonico, dedica importanti risorse alla pubblicità istituzionale relativa al “brand” in sé, senza alcuna specifica connessione con particolari segmenti di clientela. Non sarebbe, dunque, possibile sostenere, con riguardo a tale quota delle spese pubblicitarie, una diminuita utilità delle stesse per via dell’attività di retention.
Tuttavia, ha rilevato ancora il CTU, non potrebbe negarsi che l’attività in questione abbia vanificato quantomeno una parte dei costi pubblicitari e promozionali sostenuti da Vodafone; per tale motivo, con criterio del tutto equitativo, l’Ing. Vestita ha stimato che le spese suddette, sostenute con riferimento ai clienti oggetto di retention, debbano  ragionevolmente essere comprese tra un massimo di Euro 374.138 e un minimo di Euro 261.298, con un valore intermedio di Euro 315.614.
La Corte ritiene di addivenire alla quantificazione in via equitativa di tale voce di danno considerando che Vodafone avrebbe dovuto comunque sostenere costi pubblicitari sia per mantenere la clientela già acquisita, sia per attrarne nuova, sia per sostenere il brand. Si tratta, quindi, di costi fissi rispetto ai quali appare verosimile ritenere che la perdita di un numero di clienti non superiore a 8.000 circa (come calcolati dal CTU Sanchini nella misura massima) possa avere inciso in misura modesta rispetto al totale della clientela alla quale la pubblicità è diretta.
Pertanto, si reputa equo riconoscere a tale titolo l’importo di Euro 149.655,00 (pari al 20% della spesa complessiva di Euro 748.276).>>

Infine è degno di nota il rigetto della domanda di danno all’immagine:

<<Infine, Vodafone assume di avere subito “un danno all’ immagine e alla reputazione commerciabile esprimibile in termini di perdita di chance”.
Precisa Vodafone che “[a] causa delle condotte di Fastweb, infatti, Vodafone agli occhi del mercato è risultata, suo malgrado, incapace di proporre offerte commerciali competitive rispetto a quelle del suo competitor” (cfr. pag. 42 atto d’ appello).
Rileva la Corte in proposito, come peraltro evidenziato dallo stesso CTU, che la chance di un’impresa si concretizza quando essa, per il solo fatto di operare in un certo mercato, ha l’opportunità di accedere a nuovi diversi segmenti di attività (nuove categorie di prodotti, nuovi segmenti di clientela, nuove aree geografiche, etc.) sino a quel momento non sfruttati.
Il danno all’immagine o alla reputazione commerciale, invece, ha riguardo alla perdita della fiducia e dell’apprezzamento da parte dei clienti e costituisce una fattispecie dannosa del tutto differente dalla perdita di chance, non impedendo al gestore di accedere a nuovi segmenti del mercato non precedentemente sfruttati.
Chiariti la diversa natura e il diverso ambito di incidenza dei due pregiudizi, e prescindendosi dall’incongruenza della prospettazione dell’appellante, ritiene la Corte che tale ulteriore voce di danno vada nella specie esclusa, stante il difetto di prove dirette o indizi gravi, precisi e concordanti (cfr. Corte di Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n. 19137) e considerato che il circoscritto ambito temporale e quantitativo del fenomeno di retention, come accertato, non appare idoneo a diffondere una generalizzata fama negativa circa le capacità tecniche e commerciali di Vodafone.>>

Sanzionato in via amministrativa l’ambush marketing di Zalando

Il Garante della concorrenza ritiene che la campagna di Zalando abbia indebitamente fruito della notorietà dei Giochi invernali Milano Cortina 2026, laddove ha creato  <<nella stessa piazza di Roma in cui era allestita dalla UEFA l’area Football Village ufficiale dell’evento calcistico internazionale “UEFA Euro 2020”, [di] una affissione di grandi dimensioni, di seguito riprodotta, in cui era presente l’espressione “Chi sarà il vincitore?”, era indicato il nominativo di Zalando ed erano raffigurate le 24 bandiere delle Nazioni partecipanti all’evento ed una maglia calcistica bianca in cui compariva il logo distintivo di Zalando >>.

Sono disposizioni specificamente introdotte per l’evento (art. 10 DL 11.03.2020 n. 16 divieto di attività parassitarie).

Si tratta del provvedimento 29.03.2020  proced. PV16 Zalando Cartello euro 2020.(ove riproduzione a colori).

La disposizione violata è quella del c. 1 e del c.2 lettera a) (v. sotto).

Naturalmente potrebbe costituire anche concorrenza sleale (art. 2598 n.3 cc) e/o pratica commerciale scorretta decettiva (illecito amministrativo di cui si dovrebbe studiare il rapporto con quello qui accertato dall’AGCM: concorso solo apparente?)

 1.   Sono   vietate   le   attivita'   di   ((pubblicizzazione    e
commercializzazione   parassitarie,   fraudolente,   ingannevoli    o
fuorvianti)) poste in essere ((in relazione  all'organizzazione))  di
eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o  internazionale
non autorizzate dai soggetti organizzatori e aventi la  finalita'  di
ricavare un vantaggio economico o concorrenziale. 
  2.    Costituiscono    attivita'    di     ((pubblicizzazione     e
commercializzazione parassitarie)) vietate ai sensi del comma 1: 
    a) la creazione di un collegamento  ((anche))  indiretto  fra  un
marchio o altro segno distintivo e uno degli eventi di cui al comma 1
((,)) idoneo a indurre in errore  il  pubblico  sull'identita'  degli
sponsor ufficiali; 
    b) la falsa ((rappresentazione o))  dichiarazione  nella  propria
pubblicita' di essere sponsor ufficiale di un evento di cui al  comma
1; 
    c) la promozione del proprio marchio  o  altro  segno  distintivo
tramite qualunque azione, non autorizzata dall'organizzatore, che sia
idonea ad attirare l'attenzione del  pubblico,  posta  in  essere  in
occasione di uno degli eventi di cui al comma 1, e idonea a  generare
nel pubblico l'erronea impressione che l'autore  della  condotta  sia
sponsor dell'evento sportivo o fieristico medesimo; 
    d) la vendita e la pubblicizzazione  di  prodotti  o  di  servizi
abusivamente contraddistinti, anche soltanto in parte, con il logo di
un evento sportivo o fieristico di cui al comma 1  ovvero  con  altri
segni distintivi idonei a indurre in errore ((il pubblico)) circa  il
logo medesimo e a ingenerare l'erronea percezione di un  qualsivoglia
collegamento con l'evento ovvero con il suo organizzatore ((o  con  i
soggetti da questo autorizzati)).

 

Concorrenza sleale dell’ex dipendente e violazione del patto di non concorrenza: un caso di uso improprio della pagina Facebook altrui

Il blog del prof. Eric Goldman dà notizia di una interessante decisione di diniego di motion to dismiss in un caso di conrrenza sleale dell’ex dipendnete che passa alla concorenza.

Si tratta di Distretto del Maryland 03.03.2022, Pan 4 America c. Tito & Tita Food Truck, LLC (“Tito & Tita”), Aizar Mazariegos, and AnaCecelia Ayala, No. DLB-21-401.

In breve il dipendente passa ad altro datore di lavoro continuuando ad usare l’account Facebook del precedente (era un produttore di pane e simili, marcato <La Baguette>!!!) solo cambiandogli  nome ma mantenendo molti contenuti

Interessanti sono i fatti, più che il giudizio della corte:

<<Later on April 12 and after signing the non[1]compete agreement, Mazariegos changed thename of the Facebook page to “Tito & TitaLangley” and replaced the address and phonenumber listed on the page. Id. ¶ 43. Due to thenature of Facebook, this change was retroactive,meaning past events and posts by La Baguettenow appeared to have been posted by “Tito & TitaLangley.” Id. ¶¶ 45-50. Despite the changes,Mazariegos pre5served some descriptions, pricesand photos of La Baguette’s products, as well asother content relating to plaintiffs’ business. Id. ¶45. Plaintiffs identify three specific content itemsstill remaining on the page that were originallyposted by La Baguette but now appear to havebeen posted by Tito & Tita: events from 2016 and2019 and a *3 post from 2018 advertising LaBaguette’s products. Id. ¶¶ 47, 49. Additionally,plaintiffs allege that “many consumer posts andresponses thereto” that predate April 12, 2020,remain under the new name, Id. ¶ 48, alongside“empty posts” where the content has been deletedbut the posting date remains, reinforcing “themisimpression that Tito & Tita . . . is merely acontinuation of or successor to the La Baguettebusiness, ” Id. ¶ 50.3

Plaintiffs fired Mazariegos on April 16 afterlearning Tito & Tita did sell baked goods incompetition with La Baguette. Id. ¶ 52. Plaintiffs2Pan 4 Am., LLC v. Tito & Tita Food Truck, LLC No. DLB-21-401 (D. Md. Mar. 3, 2022)twice requested that Mazariegos provide logininformation for the Facebook page as well as othersocial media accounts, but the informationprovided by Mazariegos did not work. Id. ¶ 53.Unable to access the Facebook page and unawareof the changes made to it by Mazariegos, plaintiffsshifted to an alternate Facebook page created byanother employee. Id. ¶ 54. This alternate page isnow the primary online platform for La Baguette,but it does not have a large following (~261followers). Id. ¶¶ 55-56.

Mazariegos registered Tito & Tita as a MarylandLLC on May 5, 2020. Id. ¶ 57. Plaintiffs allegeTito & Tita “had been operational at least as earlyas March of 2020, ” but that Ayala andMazariegos focused their full attention on thecompeting business only after their terminationfrom La Baguette. Id. Defendants retainedadministrative access to the original Facebookpage after their termination, and plaintiffs allegethey used the page to falsely advertise and pass offTito & Tita’s business and products as LaBaguette’s. Id. ¶ 59. The page allowed defendantsto intercept and divert orders while creatingconfusion among La Baguette’s customers. Id. Thepage has since advertised products that are similarto those offered by La Baguette, including apopular “Unicorn Cake” with a distinctive style.Id. ¶ 51.

Following defendants’ “hijacking” of theFacebook page, plaintiffs saw a “precipitous drop”in call-in orders. Id. ¶ 60. This coincided with theearly months of the pandemic, which *4 limitedin-store operations. Id. Plaintiffs began to suspectthe decline in their business was somehow theresult of Tito & Tita and the original Facebookpage after they received complaints fromcustomers about poor quality products that had infact been ordered from and prepared by Tito &Tita. Id. ¶ 62. Plaintiffs allege that defendants’misconduct has caused “confusion and uncertaintyin the marketplace” over the relationship between La Baguette and Tito & Tita, Id. ¶ 65, resulting in“irreparable harm to their business, theiradvantageous relationships and goodwill withtheir consumers, and their reputation in themarketplace, ” Id. ¶ 64>>

In particolare la slealtà:

<<Defendants argue that plaintiffs have not identified “any actual or affirmative” misleading statement or “any representation that was literally false or otherwise implied that ‘Tito & Tita’ was a successor or continuation of [La Baguette].” ECF 13, at 6. The Court disagrees. Plaintiffs allege that Tito & Tita used several false or misleading representations of fact.

They allege that

(i) two historic events held by La Baguette now appear to have been held by Tito & Tita, ECF 2, ¶¶ 43, 46- 47;

(ii) old posts and communications on the page and interactions with La Baguette’s followers now appear to have originated from Tito & Tita, id. ¶¶ 48-50; and

(iii) Tito & Tita has passed off its products as La Baguette’s, including by leaving “descriptions, prices, and photos of Plaintiffs’ baked good offerings . . . on the page, ” id. ¶ 45, and mimicking distinctive product offerings, id. ¶ 51.

Additionally, due to the nature of Facebook, Facebook users who followed La *7 Baguette before the name change would now appear to have followed Tito & Tita instead.

Taking these allegations as true, it follows that Tito & Tita represented it was associated with all the historic La Baguette content it failed to delete, associated with or endorsed by La Baguette as a successor, and endorsed by all La Baguette’s existing Facebook followers.

The analogous non-digital conduct would be to take a photograph of a crowd inside La Baguette with the caption “La Baguette, Christmas party 2016, ” erase “La Baguette, ” write-in “Tito & Tita, ” and keep the photograph on the wall where customers can see it. Tito & 2 3 7 4 Pan 4 Am., LLC v. Tito & Tita Food Truck, LLC No. DLB-21-401 (D. Md. Mar. 3, 2022) George & Co. LLC v. Imagination Ent. Ltd., 575 F.3d 383, 393 (4th Cir. 2009); see also Putt-Putt, LLC v. 416 Constant Friendship, LLC, 936 F.Supp.2d 648, 659 (D. Md. 2013) (stating the likelihood of confusion for purposes of a § 43(a) unfair competition claim is “similar to that for trademark infringement” and referring to the Court’s preceding analysis of the relevant factors). These factors are not equally important, “nor are they always relevant in any given case.” George & Co. LLC, 575 F.3d at 393 (quoting Anheuser[1]Busch, Inc. v. L. & L. Wings, Inc., 962 F.2d 316, *8 320 (4th Cir. 1992)). Evidence of actual confusion is “often paramount.” Id. (quoting Lyons P’ship, L.P. v. Morris Costumes, Inc., 243 F.3d 789, 804 (4th Cir. 2001)). Tita allegedly modified content, rendering it false or misleading, then used that content to kick start its competing business>>