L’embedding sul proprio sito di fotografia altrui, legittimamente presente su altro sito, non è comunicazione al pubblico

l’appello del 9° Circuito afferma quanto sopra (No. 22-15293 del 17 luglio 2023, Hunley e Brauer c. Instagram ; notizia e link da Tyler Ochoa in Eric Goldman blog).

Due fotografi avevano postato loro foto su Instagram e se le vedono poi riprrodotte tramite incorporazione (embedding) da Time e da Buzzfeed.

Agiscono solo verso Instagram per secondary liability (contributory e/o vicarious), non verso le due testate giornalsitiche.

Risposta in 1 e 2 grado: nessuna responsabilità perchè manca la violazione primaria. Infatti l’embedding non è violazione , la quale richiede una riproduzione nella forma di fissazione sul server (c.d. server test).

Precisazioni tecniche:

<<embedding is different from merely providing a hyperlink. Hyperlinking gives the URL address where external content is located directly to a user. To access that content, the user must click on the URL to open the linked website in its entirety. By contrast, embedding provides instructions to the browser, and the browser automatically retrieves and shows the content from the host website in the format specified by the embedding website. Embedding therefore allows users to see the content itself—not merely the address—on the embedding website without navigating away from the site. Courts have generally held that hyperlinking does not constitute direct infringement. See, e.g., Online Pol’y Grp. v. Diebold, Inc., 337 F. Supp. 2d 1195, 1202 n.12 (N.D. Cal. 2004) (“[H]yperlinking per se does not constitute direct infringement because there is no copying, [but] in some instances there may be a tenable claim of contributory infringement or vicarious liability.”); MyPlayCity, Inc. v. Conduit Ltd., 2012 WL 1107648, at *12 (S.D.N.Y. Mar. 20, 2012) (collecting cases), adhered to on reconsideration, 2012 WL 2929392 (S.D.N.Y. July 18, 2012).
From the user’s perspective, embedding is entirely passive: the embedding website directs the user’s own browser to the Instagram account and the Instagram content appears as part of the embedding website’s content. The embedding website appears to the user to have included the copyrighted material in its content. In reality, the embedding website has directed the reader’s browser to retrieve the public Instagram account and juxtapose it on the embedding website. Showing the Instagram content is almost instantaneous>>.

Server test, p. 18:

<<We interpreted the Copyright Act’s fixation requirement and found that an image is “fixed in a tangible medium of expression” when it is “embodied (i.e., stored) in a computer’s server, (or hard disk, or other storage device).” Id. at 1160 (citing MAI Sys. Corp. v. Peak Computer, Inc., 991 F.2d 511, 517–18 (9th Cir. 1993)). Applying that interpretation, we concluded that a “computer owner shows a copy ‘by means of a . . . device or process’ when the owner uses the computer to fill the computer screen with the photographic image stored on that computer.” Id. (quoting 17 U.S.C. § 101. And “a person displays a photographic image by using a computer to fill a computer screen with a copy of the photographic image fixed in the computer’s memory.” Id. This requirement that a copy be “fixed in the computer’s memory” has come to be known as the “Server Test.” See id. at 1159 (“The district court referred to this test as the ‘server test.’”) (quoting Perfect 10 v. Google, Inc., 416 F. Supp. 2d 828, 838–39 (C.D. Cal. 2006)); Free Speech Sys., LLC v. Menzel, 390 F. Supp. 3d 1162, 1171 (N.D. Cal. 2019).>>ù

Sua applicazione al caso, p. 34:

<<Having rejected Hunley’s legal and policy challenges to Perfect 10, we now apply the Server Test to the facts of this case.
By posting photographs to her public Instagram profile, Hunley stored a copy of those images on Instagram’s servers. By displaying Hunley’s images, Instagram did not directly infringe Hunley’s exclusive display right because Instagram had a nonexclusive sublicense to display these photos.
To assert secondary liability claims against Instagram, Hunley must make the threshold showing “that there has been direct infringement by third parties.” Oracle Am., Inc., 971 F.3d at 1050. Time and BuzzFeed wrote the HTML instructions that caused browsers to show Hunley and Brauer’s photographs on Time and BuzzFeed websites. However, under Perfect 10 these instructions did not constitute “display [of] a copy.” See Perfect 10, 508 F.3d at 1160–61. Rather, Instagram displayed a copy of the copyrighted works Hunley posted on its platform, and the web browser formatted and displayed the images alongside additional content from Time and BuzzFeed. Because BuzzFeed and Time embedded—but did not store—the underlying copyrighted photographs, they are not guilty of direct infringement. See Perfect 10, 508 F.3d at 1160–61. Without direct infringement, Hunley cannot prevail on any theory of secondary liability. See Giganews, 847 F.3d at 671. As a result, Instagram is not secondarily liable (under any theory) for the resulting display. The district court did not err in dismissing this case on the basis of the Server Test>>.

Nemmeno il profilo della percezione dell’utente fa cambiare opinione ai giudici di appello, pp. 30-31.

IN UE è importante a questo proposito il caso VG Bild-Kunst / Stiftung Preußischer Kulturbesitz, causa C-392/19 con sentenza C.G. 9 marzo 2021 e spt. conclusioni AG Szpunar 10.09.2020 (nella cui Introduzione v. spiegazioni tecniche in linguaggio meritoriamente accessibile), giunto a conclusioni opposte.

Resta che il contenuto esterno, pur entrando nel sito web incorporante automaticamente, viene ivi pur sempre “riprodotto”: quindi la violazione di quest’ultimo diritto dovrebbe esserci

Trib. Roma sul ruolo di SIAE e sulla “bollinatura” dei supporti digitali

Trib. Roma n° 9315/2023 del 12.06.2023, RG 57860/2018, rel. Garrisi:

<<La funzione del contrassegno è quello di autenticazione del prodotto ai fini della sua commercializzazione, in modo da garantire il consumatore, attraverso
uno strumento di immediata verificabilità, che il prodotto acquistato è legittimo e non un c.d. “prodotto pirata”. Si tratta di una funzione eminentemente pubblica a vantaggio della collettività e  non del richiedente che ne sopporta il costo: il che spiega l’obbligatorietà ex lege del contrassegno
e la sanzione penale per l’ipotesi della mancata apposizione del medesimo sul prodotto (L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), come modificata dal D.Lgs. n. 68 del 2003, art. 26). (…)

A norma dell’art. 180 della legge sul diritto d’autore, l’oggetto principale dell’attività della SIAE, quale Organismo di Gestione Collettiva, è l’intermediazione per l’esercizio dei diritti di rappresentazione, esecuzione, recitazione, radiodiffusione e riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate dalla legge d’autore, connotata dai seguenti tre contenuti:
– la stipulazione, per conto e nell’interesse degli aventi diritto, dei necessari negozi privatistici, che la legge definisce licenze ed autorizzazioni, con i grandi e piccoli utilizzatori delle opere ad essa affidate per la gestione dei vari diritti;
– l’incasso delle royalties versate per l’utilizzazione delle opere;

– la ripartizione dei proventi di cui sopra tra gli aventi diritto.
L’attività della SIAE non pregiudica tuttavia la facoltà dell’autore dell’opera di esercitare direttamente i propri diritti. (…)

Con l’introduzione dell’obbligo di apporre il contrassegno si è, infatti, voluto consentire di effettuare una rapida verifica sulla produzione e sulla commercializzazione dei supporti nel rispetto dei diritti dell’autore dell’opera riprodotta. Il contrassegno consente, inoltre, ai consumatori di accertare la provenienza lecita del prodotto acquistato, tutelando in tal modo anche il consumatore in ordine alla liceità della produzione e della vendita del prodotto
acquistato.(…)

Nel caso di specie, premesso in fatto e diritto quanto sopra, non è configurabile alcun rapporto negoziale tra le parti, atteso che l’attività accertativa da parte della convenuta consistente nella apposizione del contrassegno su ogni supporto su cui viene impressa un’opera tutelata dalla legge sul diritto d’autore discende direttamente dalla legge, segnatamente dal citato articolo 181-bis L.A., senza che possa considerarsi instaurato tra l’attrice e la convenuta alcun contratto da cui far discendere l’obbligo in capo a quest’ultima di apporre i contrassegni su cui si
controverte.
La natura tributaria del contrassegno predicata dalla giurisprudenza prevalente esclude la sinallagmaticità del rapporto inter partes, non essendo quindi configurabile alcun obbligo contrattuale a carico della convenuta.
Quanto alla pretesa risarcitoria, non è ravvisabile la condotta illecita da parte della SIAE.
L’attrice deduce di aver inviato, in data 23/8/2016, le richieste di rilascio dei contrassegni (cfr. doc. 1 allegato all’atto di citazione).
Tuttavia la convenuta ha dato ampia prova documentale del fatto che le richieste inviate erano irregolari in relazione alla compilazione di modelli appositi, con la conseguenza che ciò ha reso necessaria una interlocuzione tra le parti ed il compimento di una ulteriore attività accertativa da parte della convenuta.
L’ampia corrispondenza intercorsa tra le parti dimostra che la convenuta, riscontrata l’irregolarità nella compilazione dei moduli di richiesta di rilascio dei contrassegni – con particolare riferimento alla sottoscrizione mediante scansione anziché in via telematica, all’incompletezza dei moduli e delle varie sezioni – ha sempre e tempestivamente richiesto le necessarie modificazioni o integrazioni (cfr. doc. da 5 a 7 e da 17 a 30 allegati alla comparsa di costituzione)>>.

Da vedere se la non contrattualità vale anche dopo la dir. 26 del 2014 il cui art. 5.2 recita: <<I titolari dei diritti hanno il diritto di autorizzare un organismo di gestione collettiva di loro scelta a gestire i diritti, le categorie di diritti o i tipi di opere e altri materiali protetti di loro scelta, per i territori di loro scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’organismo di gestione collettiva o del titolare dei diritti. A meno che non abbia ragioni oggettivamente giustificate per rifiutare la gestione, l’organismo di gestione collettiva è obbligato a gestire tali diritti, categorie di diritti o tipi di opere e altri materiali protetti, purché la gestione degli stessi rientri nel suo ambito di attività>>.

Equo compenso anche per le riproduzioni private di trasmissioni televisive, dice l’Avvocato Generale

Secondo le Conclusioni 13.07.2023 dell”AG Collins, C-260/22, Seven.One Enterteinment group c. Coriont Media GmBH, è incompatibile col diritto UE la legge tedesca, laddove  non attriobuisce l’equo compenso agli organismi di radio diffusione sulla riproduzione privatedi loro trasmissioni.

<<§ 41 L’articolo 2, lettera e), e l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, devono essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro preveda un’eccezione per copia privata al diritto esclusivo di riproduzione degli organismi di diffusione radiotelevisiva nelle fissazioni delle loro trasmissioni, escludendo al contempo il diritto a un equo compenso per tale copia qualora essa arrechi loro un pregiudizio più che minimo.

Il fatto che gli organismi di diffusione radiotelevisiva possono avere diritto a un equo compenso ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 in qualità di produttori cinematografici è irrilevante [giusto ma ovvio]>>.

Circa la possibilità di disapplicare, sempre utile il ripasso:

<<38. La questione che si pone nel caso di specie è se la ricorrente possa invocare l’articolo 2, lettera e), e l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 in un procedimento contro la convenuta al fine di ottenere la disapplicazione di una normativa nazionale contrastante con tali disposizioni. L’articolo 288, terzo comma, TFUE stabilisce che le direttive non possono di per sé creare obblighi a carico di soggetti di diritto e quindi non possono essere fatte valere in quanto tale nei confronti di soggetti di diritto dinanzi a un giudice nazionale. Anche se chiare, precise e incondizionate, le disposizioni di una direttiva, come quelle di cui all’articolo 2, lettera e), e all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 non consentono al giudice nazionale di disapplicare una disposizione del suo diritto interno ad esse contraria se, in tal modo, venisse imposto un obbligo aggiuntivo a un soggetto di diritto (51).

39. Una direttiva può comunque essere invocata nei confronti di uno Stato membro, a prescindere dalla veste in cui quest’ultimo agisce. Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la disposizione nazionale contraria a una direttiva laddove quest’ultima sia invocata nei confronti di uno Stato membro, degli organi della sua amministrazione, ivi comprese autorità decentralizzate, o degli organismi o entità sottoposti all’autorità o al controllo dello Stato o a cui uno Stato membro abbia demandato l’assolvimento di un compito di interesse pubblico e che dispongono a tal fine di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli (52).

40. All’udienza, sia la convenuta che il governo tedesco hanno confermato che la convenuta è una società di gestione collettiva a cui la legge ha conferito poteri speciali e che deve agire nell’interesse pubblico. Ne consegue che, qualora il giudice del rinvio si trovi nell’impossibilità di interpretare l’articolo 87, paragrafo 4, dell’UrhG in modo conforme agli articoli 2, lettera e), e 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, la ricorrente può avvalersi di queste ultime disposizioni nella sua controversia con la convenuta per cercare di persuadere tale giudice a disapplicare l’articolo 87, paragrafo 4, dell’UrhG>>.

Quindi verso la collecting,  organo di diritto pubblico, vale l’efficacia verticale delle direttive inattuate.

Il problema della legittimità dell’uso dei training data per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale

Il Trib. del Northern District della California 11 maggio 2023, Case 4:22-cv-06823-JST, Doe1 ed alktri c. Github e altri, decide (per ora) la lite promosa da titolari di software caricato sulla piattafoma Github (di MIcrosoft) contro la stessa e contro OpenAI per uso illegittimo dei loro software (in violazione di leggi e di clausole contrattuali).

La fattispecie -non è difficile pronostico-  diverrà sempre più frequente.-

I fatti:

<<In June 2021, GitHub and OpenAI released Copilot, an AI-based program that can “assist software coders by providing or filling in blocks of code using AI.” Id. ¶ 8. In August 2021, OpenAI released Codex, an AI-based program “which converts natural language into code and is integrated into Copilot.” Id. ¶ 9. Codex is integrated into Copilot: “GitHub Copilot uses the OpenAI Codex to suggest code and entire functions in real-time, right from your editor.” Id. ¶ 47 (quoting GitHub website). GitHub users pay $10 per month or $100 per year for access to Copilot. Id. ¶ 8.
Codex and Copilot employ machine learning, “a subset of AI in which the behavior of the program is derived from studying a corpus of material called training data.” Id. ¶ 2. Using this data, “through a complex probabilistic process, [these programs] predict what the most likely solution to a given prompt a user would input is.” Id. ¶ 79. Codex and Copilot were trained on “billions of lines” of publicly available code, including code from public GitHub repositories. Id. ¶¶ 82-83.
Despite the fact that much of the code in public GitHub repositories is subject to open-source licenses which restrict its use, id. ¶ 20, Codex and Copilot “were not programmed to treat attribution, copyright notices, and license terms as legally essential,” id. ¶ 80. Copilot reproduces licensed code used in training data as output with missing or incorrect attribution, copyright notices, and license terms. Id. ¶¶ 56, 71, 74, 87-89. This violates the open-source licenses of “tens of thousands—possibly millions—of software developers.” Id. ¶ 140. Plaintiffs additionally allege that Defendants improperly used Plaintiffs’ “sensitive personal data” by incorporating the data into Copilot and therefore selling and exposing it to third parties. Id. ¶¶ 225-39>>.

MOlte sono le vioalazioni dedotte e per cio il caso è interessante. Alcune domande sono però al momento rigettate per insufficiente precisazione dell’allegaizone , ma con diritto di modifica.

La causa prosegue: vedremo

(notizia e link alla sentenza da Kieran McCarthy nel blog di Eric Goldman)

Bananas duct-taped to a wall: non c’è violazione di copyright nel caso Morford/Cattelan

Il Trib. del Distretto Sud della Florida, giudice Scola, 12 giugno 2023, Case 1:21-cv-20039-RNS, Mordford v. Cattelan, decide con itneressante sentenza la lite tra i due artisti Morford e Cattelan.

Si vedano nella sentenza le due opere a paragone: a prima vista paiono assai simili.

la corte però sfronda applicando -dopo aver affermato che non è data prova dell’access di Cattelan all’0opera azionata- il noto e importante “abstraction-filtration-comparison” test, p. 9.

Esito della filtration:

<<Where does this leave the Court’s filtration analysis? Effectively, it
removes from consideration the largest and most obvious abstracted element of
Banana and Orange: the “banana [that] appears to be fixed to the panel with a
piece of silver duct tape running vertically at a slight angle, left to right.” (Order
Denying Mot. Dismiss at 10.) This expression is not protectible under the
merger doctrine. But that is not to say that Morford’s work is wholly
unprotectible under the doctrine, and this is where the Court diverges from
Cattelan’s position. There are still protectible elements of Morford’s work: (1)
the green rectangular panel on which the fruit is placed; (2) the use of masking
tape to border the panels; (3) the orange on the top panel and banana on the
bottom panel, both of which are centered; (4) the banana’s placement “at a
slight angle, with the banana stalk on the left side pointing up.” (Id.)>>

Ma allora la ripresa da aprte di CAttelan si riduce a poco.

Si v. a p. 14 il paragone sinottico, assai chiaro, che i nostri giudici dovrebbero pure praticare.

In breve resta solo questo:

Reviewing these elements as a whole, it is clear that Banana and Orange
and Comedian share only one common feature that the Court has not already
set aside as unprotectible: both bananas are situated with the banana’s stalk
on the left-hand side of sculpture. This solitary common feature is, on its own,
insignificant and insufficient to support a finding of legal copying. See Altai,
982 F.2d at 710. And the placement of the banana’s stalk (on the right-hand
side of the sculpture versus the left, or vice-versa) would be another element
subject to the merger doctrine anyway: there are only two ways the stalk may
be placed, to the right or to the left. BUC Int’l, 489 F.3d at 1143.

 

(noitizia e link alla sentenza da Eleonora Rosati, IPKat)

A chi offre al pubblico pacchetti TV via satellite basta l’autorizzazione dell’autore nel paese di immissione (non serve quella del paese di destinazione)

Questione tutto sommato facile quella decisa da Corte Giust. 25.05.2023, C-290/21, AKM c. Canal+, alla luce del tenore letterale dell’art. 1.2.b) : “La comunicazione al pubblico via satellite si configura unicamente nello Stato membro in cui, sotto il controllo e la responsabilità dell’organismo di radiodiffusione, i segnali portatori di programmi sono inseriti in una sequenza ininterrotta di comunicazione diretta al satellite e poi a terra” (da noi: art. 16 bis.1.b) l. aut.).

La collecting austriaca invece riteneva che dovesse pagare pure in Austria nonoistante l’imissione provenisse da altri Stati.

questione pregiudiziale posta:

<<Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 debba essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite>>, § 20.

Risposta:

<<l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 deve essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite.>>

Andy Wharol e la sua elaborazione della fotografia di Prince scattata da Lynn Goldsmith: per la decisione della Corte Suprema non c’è fair use

Supreme Court US n. 21-869 del 18 maggio 2023, ANDY WARHOL FOUNDATION FOR THE VISUAL ARTS, INC. v. GOLDSMITH ET AL.  decide l’oggetto.

Decide uno dei temi più importanti del diritto di autore, che assai spesso riguarda opere elaboranti opere precedenti.

Qui riporto il sillabo e per esteso: in sostanza l’esame della SC si appunta solo sul primo elemento dei quattro da conteggiare per decidere sul fair use (In determining whether the use made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered shall include : (1) the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit educational purposes; ), 17 US code § 107.

<< The “purpose and character” of AWF’s use of Goldsmith’s photograph in commercially licensing Orange Prince to Condé Nast does not favor AWF’s fair use defense to copyright infringement. Pp. 12–38.
(a)
AWF contends that the Prince Series works are “transformative,”and that the first fair use factor thus weighs in AWF’s favor, because the works convey a different meaning or message than the photograph. But the first fair use factor instead focuses on whether an allegedlyinfringing use has a further purpose or different character, which is amatter of degree, and the degree of difference must be weighed againstother considerations, like commercialism. Although new expression, meaning, or message may be relevant to whether a copying use has asufficiently distinct purpose or character, it is not, without more, dis-positive of the first factor. Here, the specific use of Goldsmith’s photograph alleged to infringe her copyright is AWF’s licensing of OrangePrince to Condé Nast. As portraits of Prince used to depict Prince inmagazine stories about Prince, the original photograph and AWF’s copying use of it share substantially the same purpose. Moreover, AWF’s use is of a commercial nature. Even though Orange Prince adds new expression to Goldsmith’s photograph, in the context of the challenged use, the first fair use factor still favors Goldsmith. Pp. 12–27.
(1)
The Copyright Act encourages creativity by granting to the creator of an original work a bundle of rights that includes the rights toreproduce the copyrighted work and to prepare derivative works. 17
U.
S. C. §106. Copyright, however, balances the benefits of incentives to create against the costs of restrictions on copying. This balancingact is reflected in the common-law doctrine of fair use, codified in §107,which provides: “[T]he fair use of a copyrighted work, . . . for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching . . . , scholarship, or research, is not an infringement of copyright.” To determine whether a particular use is “fair,” the statute enumerates four factors to be considered. The factors “set forth general principles, the application of which requires judicial balancing, depending upon relevant circumstances.” Google LLC v. Oracle America, Inc., 593 U. S. ___, ___.
The first fair use factor, “the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit
educational purposes,” §107(1), considers the reasons for, and nature of, the copier’s use of an original work. The central question it asks is whether the use “merely supersedes the objects of the original creation . . . (supplanting the original), or instead adds something new, with afurther purpose or different character.” Campbell v. Acuff-Rose Music, Inc., 510 U. S. 569, 579 (internal quotation marks and citations omitted). As most copying has some further purpose and many secondary works add something new, the first factor asks “whether and to what extent” the use at issue has a purpose or character different from the original. Ibid. (emphasis added). The larger the difference, the morelikely the first factor weighs in favor of fair use. A use that has a further purpose or different character is said to be “transformative,” but that too is a matter of degree. Ibid. To preserve the copyright owner’s right to prepare derivative works, defined in §101 of the Copyright Act to include “any other form in which a work may be recast, transformed,or adapted,” the degree of transformation required to make “transformative” use of an original work must go beyond that required to qualify as a derivative.
The Court’s decision in Campbell is instructive. In holding that parody may be fair use, the Court explained that “parody has an obvious claim to transformative value” because “it can provide social benefit, by shedding light on an earlier work, and, in the process, creating a new one.” 510 U. S., at 579. The use at issue was 2 Live Crew’s copying of Roy Orbison’s song, “Oh, Pretty Woman,” to create a rap derivative, “Pretty Woman.” 2 Live Crew transformed Orbison’s song by adding new lyrics and musical elements, such that “Pretty Woman” had adifferent message and aesthetic than “Oh, Pretty Woman.” But that did not end the Court’s analysis of the first fair use factor. The Court found it necessary to determine whether 2 Live Crew’s transformationrose to the level of parody, a distinct purpose of commenting on theoriginal or criticizing it. Further distinguishing between parody and satire, the Court explained that “[p]arody needs to mimic an originalto make its point, and so has some claim to use the creation of its victim’s (or collective victims’) imagination, whereas satire can stand on its own two feet and so requires justification for the very act of borrowing.” Id., at 580–581. More generally, when “commentary has no critical bearing on the substance or style of the original composition, . . . the claim to fairness in borrowing from another’s work diminishes accordingly (if it does not vanish), and other factors, like the extent of its commerciality, loom larger.” Id., at 580.
Campbell illustrates two important points. First, the fact that a use is commercial as opposed to nonprofit is an additional element of the first fair use factor. The commercial nature of a use is relevant, but not dispositive. It is to be weighed against the degree to which the use has a further purpose or different character. Second, the first factor relates to the justification for the use. In a broad sense, a use that has a distinct purpose is justified because it furthers the goal of copyright,namely, to promote the progress of science and the arts, without diminishing the incentive to create. In a narrower sense, a use may be justified because copying is reasonably necessary to achieve the user’s new purpose. Parody, for example, “needs to mimic an original to make its point.” Id., at 580–581. Similarly, other commentary or criticism that targets an original work may have compelling reason to “conjure up” the original by borrowing from it. Id., at 588. An independent justification like this is particularly relevant to assessing fairuse where an original work and copying use share the same or highly similar purposes, or where wide dissemination of a secondary work would otherwise run the risk of substitution for the original or licensedderivatives of it. See, e.g., Google, 593 U. S., at ___ (slip op., at 26).
In sum, if an original work and secondary use share the same orhighly similar purposes, and the secondary use is commercial, the first fair use factor is likely to weigh against fair use, absent some other justification for copying. Pp. 13–20.
(2)
The fair use provision, and the first factor in particular, requires an analysis of the specific “use” of a copyrighted work that is alleged to be “an infringement.” §107. The same copying may be fairwhen used for one purpose but not another. See Campbell, 510 U. S., at 585. Here, Goldsmith’s copyrighted photograph has been used in multiple ways. The Court limits its analysis to the specific use allegedto be infringing in this case—AWF’s commercial licensing of Orange Prince to Condé Nast—and expresses no opinion as to the creation, display, or sale of the original Prince Series works. In the context of Condé Nast’s special edition magazine commemorating Prince, the purpose of the Orange Prince image is substantially the same as thatof Goldsmith’s original photograph. Both are portraits of Prince used in magazines to illustrate stories about Prince. The use also is of a commercial nature. Taken together, these two elements counsel against fair use here. Although a use’s transformativeness may outweigh its commercial character, in this case both point in the same direction. That does not mean that all of Warhol’s derivative works, nor all uses of them, give rise to the same fair use analysis. Pp. 20–27.
(b)
AWF contends that the purpose and character of its use of Goldsmith’s photograph weighs in favor of fair use because Warhol’s silkscreen image of the photograph has a different meaning or message. By adding new expression to the photograph, AWF says, Warhol madetransformative use of it. Campbell did describe a transformative use as one that “alter[s] the first [work] with new expression, meaning, or message.” 510 U. S., at 579. But Campbell cannot be read to mean that §107(1) weighs in favor of any use that adds new expression, meaning, or message. Otherwise, “transformative use” would swallow the copyright owner’s exclusive right to prepare derivative works, asmany derivative works that “recast, transfor[m] or adap[t]” the original, §101, add new expression of some kind. The meaning of a secondary work, as reasonably can be perceived, should be considered to the extent necessary to determine whether the purpose of the use is distinct from the original. For example, the Court in Campbell considered the messages of 2 Live Crew’s song to determine whether the song hada parodic purpose. But fair use is an objective inquiry into what a user does with an original work, not an inquiry into the subjective intent of the user, or into the meaning or impression that an art critic or judge draws from a work.
Even granting the District Court’s conclusion that Orange Prince reasonably can be perceived to portray Prince as iconic, whereas Goldsmith’s portrayal is photorealistic, that difference must be evaluatedin the context of the specific use at issue. The purpose of AWF’s recent commercial licensing of Orange Prince was to illustrate a magazine about Prince with a portrait of Prince. Although the purpose could bemore specifically described as illustrating a magazine about Prince with a portrait of Prince, one that portrays Prince somewhat differently from Goldsmith’s photograph (yet has no critical bearing on her photograph), that degree of difference is not enough for the first factor to favor AWF, given the specific context and commercial nature of the use. To hold otherwise might authorize a range of commercial copying of photographs to be used for purposes that are substantially the sameas those of the originals.
AWF asserts another related purpose of Orange Prince, which is tocomment on the “dehumanizing nature” and “effects” of celebrity. No doubt, many of Warhol’s works, and particularly his uses of repeated images, can be perceived as depicting celebrities as commodities. But even if such commentary is perceptible on the cover of Condé Nast’s tribute to “Prince Rogers Nelson, 1958–2016,” on the occasion of the man’s death, the asserted commentary is at Campbell’s lowest ebb: It “has no critical bearing on” Goldsmith’s photograph, thus the commentary’s “claim to fairness in borrowing from” her work “diminishes accordingly (if it does not vanish).” Campbell, 510 U. S., at 580. The commercial nature of the use, on the other hand, “loom[s] larger.” Ibid. Like satire that does not target an original work, AWF’s asserted commentary “can stand on its own two feet and so requires justification forthe very act of borrowing.” Id., at 581. Moreover, because AWF’s copying of Goldsmith’s photograph was for a commercial use so similar to the photograph’s typical use, a particularly compelling justification is needed. Copying the photograph because doing so was merely helpfulto convey a new meaning or message is not justification enough. Pp.28–37.
(c) Goldsmith’s original works, like those of other photographers, areentitled to copyright protection, even against famous artists. Such protection includes the right to prepare derivative works that transform the original. The use of a copyrighted work may nevertheless be fair if, among other things, the use has a purpose and character that is sufficiently distinct from the original. In this case, however, Goldsmith’s photograph of Prince, and AWF’s copying use of the photograph in an image licensed to a special edition magazine devoted to Prince, share substantially the same commercial purpose. AWF has offered no other persuasive justification for its unauthorized use of thephotograph. While the Court has cautioned that the four statutory fairuse factors may not “be treated in isolation, one from another,” but instead all must be “weighed together, in light of the purposes of copyright,” Campbell, 510 U. S., at 578, here AWF challenges only the Court of Appeals’ determinations on the first fair use factor, and theCourt agrees the first factor favors Goldsmith. P. 38 >>

Per quanto elevata la creatività di Wharol, non si può negare che egli si sia appoggiato a quella della fotografa.

Da noi lo sfruttamento dell’opera elaborata, pe quanto creativa questa sia,  sempre richiede il consenso del titolare dell’opera base (a meno che il legame tra le due sia evanescente …).

Decisione a maggioranza, con opinione dissenziente di Kagan cui si è unito Roberts. Dissenso assai articolato, basato soprattutto sul ravvisare uso tranformative e sul ridurre l’importanza dello sfruttamento economico da parte di Wharol. Riporto solo questo :

<<Now recall all the ways Warhol, in making a Prince portrait from the Goldsmith photo, “add[ed] something new, with a further purpose or different character”—all the wayshe “alter[ed] the [original work’s] expression, meaning, [and] message.” Ibid. The differences in form and appearance, relating to “composition, presentation, color palette, and media.” 1 App. 227; see supra, at 7–10. The differences in meaning that arose from replacing a realistic—and indeed humanistic—depiction of the performer with an unnatural, disembodied, masklike one. See ibid. The conveyance of new messages about celebrity culture and itspersonal and societal impacts. See ibid. The presence of, in a word, “transformation”—the kind of creative building that copyright exists to encourage. Warhol’s use, to be sure, had a commercial aspect. Like most artists, Warhol did not want to hide his works in a garret; he wanted to sell them.But as Campbell and Google both demonstrate (and as further discussed below), that fact is nothing near the showstopper the majority claims. Remember, the more trans-formative the work, the less commercialism matters. See Campbell, 510 U. S., at 579; supra, at 14; ante, at 18 (acknowledging the point, even while refusing to give it any meaning). The dazzling creativity evident in the Prince portrait might not get Warhol all the way home in the fair-use inquiry; there remain other factors to be considered and possibly weighed against the first one. See supra, at 2, 10,
14. But the “purpose and character of [Warhol’s] use” of the copyrighted work—what he did to the Goldsmith photo, in service of what objects—counts powerfully in his favor. He started with an old photo, but he created a new new thing>>.

L’embedding non costituisce comunicazione al pubblico però non permette la difesa del safe harbour ex § 512DMCA

Il giudice Barlow della Utah District Court, 2 maggio 2023, caso 2:21-cv-00567-DBB-JCB, decide un’interessante lite sull’embedding.

Attore è il gestore dei diritti su alcune foto eseguite da Annie Leibovitz. Convenuti sono i gestori di un sito che le aveva “riprodotte” con la tecnica dell’embedding (cioè non con riproduzine stabile sul proprio server).

Il giudice applica il c.d server test del noto caso Perfect 10 Inc. v. Google  del 2006 così sintetizzato: <<Perfect 10, the Ninth Circuit addressed whether Google’s unauthorized display of thumbnail and full-sized images violated the copyright holder’s rights. The court first defined an image as a work “that is fixed in a tangible medium of expression . . . when embodied (i.e., stored) in a computer’s server (or hard disk, or other storage device).” The court defined “display” as an individual’s action “to show a copy . . ., either directly or by means of a film, slide, television image, or any other device or process ….”>>.

Quindi rigetta la domanda nel caso dell’embedding sottopostogli :

<<The court finds Trunk Archive’s policy arguments insufficient to put aside the “server” test. Contrary to Trunk Archive’s claims, “practically every court outside the Ninth Circuit” has not “expressed doubt that the use of embedding is a defense to infringement.” Perfect 10 supplies a broad test. The court did not limit its holding to search engines or the specific way that Google utilized inline links. Indeed, Trunk Archive does not elucidate an appreciable difference between embedding technology and inline linking. “While appearances can slightly vary, the technology is still an HTML code directing content outside of a webpage to appear seamlessly on the webpage itself.” The court in Perfect 10 did not find infringement even though Google had integrated full-size images on its search results. Here, CBM Defendants also integrated (embedded) the images onto their website.(…) Besides, embedding redirects a user to the source of the content-in this case, an image hosted by a third-party server. The copyright holder could still seek relief from that server. In no way has the holder “surrender[ed] control over how, when, and by whom their work is subsequently shown.” To guard against infringement, the holder could take down the image or employ restrictions such as paywalls. Similarly, the holder could utilize “metadata tagging or visible digital watermarks to provide better protection.” (…)( In sum, Trunk Archive has not persuaded the court to ignore the “server” test. Without more, the court cannot find that CBM Defendants are barred from asserting the “embedding” defense. The court denies in part Trunk Archive’s motion for partial judgment on the pleadings.>>

Inoltre, viene negato il safe harbour in oggetto, perchè non ricorre il caso del mero storage su server proprio di materiali altrui, previsto ex lege. Infatti l’embedding era stato creato dai convenuti , prendendo i materiali da server altrui: quindi non ricorreva la passività ma l’attività , detto in breve

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Fair use nel software: la sentenza di appello in Apple v. Corellium

L’appello dell’11 circuito 8 maggio 2023, Apple v. Corellium, Case: 21-12835, decide un interessante caso di fair use nel software.

Si tratta del sftw CORSEC per simulare il sistema operativo iOS di Apple anche su macchine android.

La corte di appello conferma il fair use, dati i benefici per la collettività di tale sftw.

<< Like Google Books, CORSEC adds new features to copyrighted works. CORSEC allows re-searchers to visualize in real time iOS’s processes, freeze those pro-cesses and study them for as long as they need to, step backward and forward in time at will to closely monitor system activity, and run multiple experiments from the same starting point. CORSEC also adds file and app browsers. There’s no dispute that these fea-tures assist researchers and enable them to do their work in new ways. Corellium has thus “augment[ed] public knowledge by mak-ing available information about [iOS].” Id. at 207; see also A.V. ex rel. Vanderhye v. iParadigms, LLC, 562 F.3d 630, 639 (4th Cir. 2009) (finding that copying student assignments into a database to detect plagiarism was “transformative” because the database’s “use of [the students’] works had an entirely different function and pur-pose than the original works”); Perfect 10, Inc. v. Amazon.com, Inc., 508 F.3d 1146, 1165 (9th Cir. 2007) (finding that Google image search’s “use of thumbnails [was] highly transformative” because the “use of the images served a different function” than the original pictures by “improving access to information on the internet ver-sus artistic expression” (cleaned up)); Sony Comput. Ent., Inc. v. Connectix Corp., 203 F.3d 596, 606 (9th Cir. 2000) (finding that a PlayStation emulator was “modestly transformative” because the emulator “create[d] a new platform, the personal computer, on which consumers can play games designed for the Sony PlayStation”) >>.

Apple solleva tre obieizoni, rigettate dalla Corte.

<<Against all this, Apple advances three arguments—all unpersuasive.

First, Apple argues that “making verbatim copies of a cop-yrighted work and converting [those works] into a different format is not transformative.” Apple is right. In Patton, for example, we found no transformative use where “verbatim copies of portions of . . . original books . . . ha[d] merely been converted into a digital format.” 769 F.3d at 1262. Similarly, the Ninth Circuit held that it was not transformative to convert copyrighted songs from CDs to MP3 files for download because the “original work[s] [were] merely retransmitted in a different medium.” See A&M Recs., Inc. v. Napster, Inc., 239 F.3d 1004, 1015 (9th Cir. 2001).
But this isn’t a case in which the original is simply repack-aged in a different format. Corellium adds several features that are not normally available on iOS. These include (1) the ability to see and halt running processes; (2) the ability to modify the kernel; (3) CoreTrace, a tool to view system calls; (4) an app browser; (5) a file browser; and (6) the ability to take live snapshots. They also include, for example, the ability to modify the trust cache so that researchers can install new programs on the device that allow the user to perform fuzzing (a way to find bugs in a product’s code) or other types of security research. The record, in other words, shows that there wasn’t verbatim copying here. And even if there were, Patton itself recognized that “verbatim copying may be transform-ative so long as the copy serves a different function than the origi-nal work.” 769 F.3d at 1262. Here, Corellium used iOS to serve a research function, and not as a consumer electronic device.
Second, Apple contends that “[s]ecurity research is not a transformative purpose because it is one of the purposes already served by Apple’s works.” Apple says that “security researchers have long used Apple-licensed versions of iOS to do their work.” Corellium (in our view) rightly points out the flaw in this argu-ment: it’s “like saying Google Books was not transformative be-cause scholars could manually search books for keywords by going to the library.” In other words, there’s no dispute that CORSEC “adds features that are not available on retail iOS that are useful for security research.” These features make security research far more efficient. See Fox News Network, LLC v. TVEyes, Inc., 883 F.3d 169, 177 (2d Cir. 2018) (noting “the transformative purpose of en-hancing efficiency”). They also make possible deeper insights into the software. The fact that iOS itself allowed for some security re-search before, then, can’t negate Corellium’s innovation (just like sifting through books at the library didn’t negate Google Books’s transformativeness).
Third, Apple asserts that “the district court was wrong to find—on summary judgment—that the purpose of [CORSEC] is security research.” For this, Apple mostly points to evidence show-ing that customers can use CORSEC for multiple purposes. For example, Corellium’s expert testified that security research wasn’t CORSEC’s “exclusive use.” But transformativeness does not re-quire unanimity of purpose—or that the new work be entirely dis-tinct—because works rarely have one purpose. In assessing whether a work is transformative, the question has always been “whether a [transformative use] may reasonably be perceived.” Campbell, 510 U.S. at 582 (emphasis added) (finding that a parody was transformative even though both a song and its parody serve the same function of entertainment). We don’t ask whether the new product’s only purpose is transformative.
The Supreme Court made this point in Google. In that case, Google used Java’s code “for the same reason that [Oracle] created those portions, namely, to enable programmers [to use shortcuts] that would accomplish particular tasks.” Google, 141 S. Ct. at 1203. But, at a higher level, the purpose was to create a “new product [that] offer[ed] programmers a highly creative and innovative tool for a smartphone environment.” Id. This higher-order purpose was what made Google’s product transformative. Id. As in Google, the mere fact that some purposes overlap does not pre-clude a finding of transformative use >>

Comunuicazione al pubblico di musiche su aerei e treni: pronuncia (scontata) della Corte di Giustizia

Le questioni pregiudiziali decise da C.G. 20.04.2023, cause riunite C-775/21 e C-826/21, Blue Air Aviation SA c. UCMR-ADA etc.  :

nella prima causa (su aerei):

«1)      Se le disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE (…) debbano essere interpretate nel senso che la diffusione, all’interno di un aereo commerciale occupato da passeggeri, di un’opera musicale o di un frammento di opera musicale all’atto del decollo, dell’atterraggio o in un qualsiasi momento del volo, mediante il sistema generale di sonorizzazione dell’aereo, costituisce una comunicazione al pubblico ai sensi di detto articolo, in particolare (seppur non esclusivamente) sotto il profilo del criterio dello scopo di lucro della comunicazione.

In caso di risposta affermativa alla prima questione:

2)      Se l’esistenza a bordo dell’aereo di un sistema di sonorizzazione imposto dalla normativa in materia di sicurezza del traffico aereo costituisca una base sufficiente per trarre una presunzione relativa di comunicazione al pubblico di opere musicali a bordo di tale aereo.

In caso di risposta negativa a tale questione:

3)      Se l’esistenza a bordo dell’aereo di un sistema di sonorizzazione imposto dalla normativa in materia di sicurezza del traffico aereo e di un software che consente la comunicazione di fonogrammi (contenenti opere musicali protette) mediante detto impianto costituisca una base sufficiente per trarre una presunzione relativa di comunicazione al pubblico di opere musicali a bordo di tale aereo».

Nella seconda causa (su treni):

«1)      Se un vettore ferroviario che utilizza vagoni ferroviari in cui sono installati sistemi di sonorizzazione destinati alla comunicazione di informazioni ai passeggeri realizzi in tal modo una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2001/29/CE (…).

2)      Se l’articolo 3 della direttiva 2001/29/CE (…) osti a una normativa nazionale che stabilisce una presunzione semplice di comunicazione al pubblico basata sull’esistenza di sistemi di sonorizzazione, qualora questi ultimi siano imposti da altre disposizioni di legge che disciplinano l’attività del vettore».

La risposta non è difficile:

<< 1)   L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve essere interpretato nel senso che costituisce una comunicazione al pubblico, ai sensi di tale disposizione, la diffusione in un mezzo di trasporto passeggeri di un’opera musicale come sottofondo.

2)      L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 e l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2006/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale, devono essere interpretati nel senso che non costituisce una comunicazione al pubblico, ai sensi di tali disposizioni, l’installazione, a bordo di un mezzo di trasporto, di un impianto di sonorizzazione e, se del caso, di un software che consente la diffusione di musica di sottofondo.

3)      L’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2006/115 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come interpretata dai giudici nazionali, che stabilisce una presunzione semplice di comunicazione al pubblico di opere musicali fondata sulla presenza di sistemi di sonorizzazione nei mezzi di trasporto>>.

L’unica questione un pò interessante è quella decisa sub 3, relativa alla presunzione di comnicazione al pubblico: la risposta della CG è esatta.