Pronuncia inglese sulla tutela d’autore del “personaggio”

Eleonora Rosati nel blog IPKat dà notizia della sentenza inglese della Intell. Prop. enterprise court del 8 giugno 2022 [2022] EWHC 1379 (IPEC) , Shazam v. Only Fools ltd e altri, che esamina la tutela d’autore del personaggio letterario creato dall’a. per una serie televisiva di successo.

I punti più interessanti per noi sono:

. proteggibilità dello script (equivale a “copione”, suppergiù) come dramatic work secondo il loro copyright act, § 66;

– proteggibilità del personaggio, §§ 76-113 (secondo il doppio test europeo proposto dalla corte di giustizia in Cofemel), protetto anche in  disciplina basata su tipicità come quella UK qual literary work, § 121/2.

La violazione che discende è evidente, § 127.

E’ rigettata sia l’eccezione di parodia , § 194 ss (v. l’esame preliminare sull’istituto, § 160 ss) che quella di pastiche , § 195 ss

Impressiona l’analiticità e la chiarezza di analisi fattuale per accertare la contraffazione: v. lo schedule of infringement  e l’elenco dei punti copiati fornito dal giudice, § 132. Si v. anche la tabella finale delle conclusioni del giudice, p. 67/8.

Il senso pratico e il fine di immediata utilizzabilità di ogni ragionamento, proprio della cultura inglese, ha ancora molto da insegnarci.

Da noi la tutela del personaggio letteraio è comunemente ammessa. Lo stesso per il copione/script, quantomeno in liena astratta (salva la compiutezza espressiva nel caso specifico).

Sulla tutela dello script è noto il precedente cautelare torinese del 2015 (Trib. TO RG 32855/2014, 31.05.2015, Pagani v. Leo Burnett Company, reperibile in rete, ad es. qui) , il cui passaggio rilevante -in astratto: v. poi la seguente applicazione cocncreta- è :

<< –   Per questa ragione un momento di fondamentale importanza nel processo creativo dello  spot  è  la  sua  progettazione.  E’  in  questa  fase  che  avviene  la  individuazione  degli obbiettivi della pubblicità e del modo in cui conseguirli: la comunicazione che si intende dare, i destinatari,   il   modo   in   cui   raggiungerli.   In   altri   termini:   ciò   che   caratterizza   in modo “decisivo” uno spot è il modo in cui esso sceglie di caratterizzare un certo prodotto, e il  modo  in  cui  intende  comunicare  un  certo  messaggio  (p.es.  creando  sorpresa,  divertimento, simpatia,   complicità,   …).   L’idea   dello   spot,   da   intendersi   come   sua progettazione,  costituisce   quindi   la   sintesi,   destinata   a   essere   sviluppata   nella   fase   di   realizzazione del filmato. Anche quest’ultima fase è connotata (o almeno può esserlo) da attività creativa,
focalizzata  sugli  strumenti  di  realizzazione  della  reclame,  sul  sapiente  utilizzo delle   tecnologie  al  servizio  del  progetto  racchiuso  nell’ideainiziale.
–   Le   parti   hanno   a   lungo   discusso   sul   se   lo   script   di   uno   spot   pubblicitario   costituisca una concreta   espressione   creativa,   tale   da   far   riconoscere   il   suo   autore   come     autore dello stesso  spot.  L.B.C.  ha  sottolineato  la  differenza  fra  lo  script  e  il  bozzetto  pubblicitario (noto  in  gergo  come  storyboard),  ed  ha  richiamato  giurisprudenza  che  accorda  la  tutela  autoriale al   bozzetto   (sottintendendo   che   sia   necessario   “almeno   un   bozzetto”   per   ravvisare un contributo   materiale   all’opera).   Va   peraltro   chiarito   che   la   giurisprudenza   citata dal   convenuto  (Cass.  3390/2003)  ha  riconosciuto  al  bozzetto  il  valore  di  opera  protetta  ai sensi dell’art. 1 l. 633/1941; ma ciò di cui qui si discute non è se lo script realizzato dal P. sia  autonomamente  tutelabile  come  opera;  si  discute  invece  se  il  contributo  dato  dal  P.  con lo  script  gli  dia  titolo  per  qualificarsi  autore  morale  dello spot.
–  Il problema non va posto in termini astratti, ma concreti: non si tratta di affermare in  termini  generali  se  la  realizzazione  di  uno  script  sia  un  contributo  decisivo  alla  creazione di  un   filmato   pubblicitario;   ma   di   verificare   se,   nel   caso   di   specie,   lo   script  
realizzato dal ricorrente, per i suoi contenuti, per la sua relazione con lo spot finale, per il modo in cui è Stato  divulgato  e  recepito  nell’azienda  (Leo  Burnett)  e  al  di  fuori  di  essa,  valga  a individuare  il  suo  autore  come  autore  dell’opera  finale  (e  protetta),  cioè  lo spot.>>

E’ proteggibile come copyright il claim pubblicitario che elabora un marchio altrui?

La risposta è negativa qualora la componente creativa non sia separabile/distinguibile dal marchio denominativo alla base.

Si tratta del noto claim  << 500%Fiat >>,  che si appoggia sul marchio/denominazione sociale della nota casa automobilistica.

La Cassazione , sez. 1, con sentenza 8276 del 14.03.2022, rel. Fraulini ha in tale senso osservato: <<Del resto, riguardato in via generale, Nell’ipotesi in cui il messaggio pubblicitario faccia riferimento a marchi particolarmente noti e comunque esposti all’ammirazione del pubblico, è evidente che ciò che si cerca di ottenere è l’effetto di trascinamento che, nel costume sociale, è riconnesso alla commercializzazione dei prodotti che recano il detto marchio. Una tecnica di marketing ormai estremamente diffusa, che riguarda non solo le persone fisiche che sovente prestano la loro notorietà a beneficio del prodotto sponsorizzato, ma anche gli slogan che, in tutto o in parte, contengono al loro interno il riferimento essenziale alla notorietà del marchio cui alludono. E tanto accade perché il messaggio pubblicitario viene veicolato facendo leva proprio sulla notorietà, sulla diffusione, sul successo o sulla fama del claim in esso rappresentato.    Di talché è ben vero che, nell’accoppiamento dell’elemento notorio con il quid pluris del messaggio, tale elemento innovativo potrebbe astrattamente essere qualificato come innovativo, siccome certamente non comunemente associato all’elemento noto. Ma certamente, in astratto, la necessità che il claim debba essere valutata nella sua complessità può certamente condurre il giudice del merito, cui in concreto spetta l’accertamento caso per caso, a concludere nel senso dell’inscindibilità del claim, siccome derivante da un motivato accertamento che, senza l’effetto di trascinamento dell’elemento notorio, il messaggio pubblicitario non avrebbe alcuna capacità evocativa nel consumatore del settore.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha congruamente motivato nel senso che nel claim in esame l’elemento notorio (marchio notorio Fiat) era inscindibilmente collegato all’altra parte del claim (la percentuale allusiva), siccome peraltro riferita a un modello di vettura di grandissima fama nell’ambito della gamma di prodotto della società. Di talché solo combinando i due fattori, il claim poteva elficamente divenire veicolo di comunicazione nei settori specializzati, come presso il grande pubblico, che non recepirebbe il messaggio pubblicitario convogliato tramite una sola parte (non allusiva al marchio notorio) del claim in esame.

Può quindi pronunciarsi il principio di diritto secondo cui: “In tema di diritto di autore, la rivendicazione, ai sensi della L. n. 633 del 1941, art. 2, n. 4, (legge sul diritto d’autore), del diritto di privativa per intervenuta registrazione di un messaggio pubblicitario (cd. slogan) postula che sia dimostrata l’originalità del creato, da escludersi in ipotesi di utilizzazione, nel medesimo messaggio, del riferimento a marchi già registrati e dotati di determinante capacità evocativa, sì che quel collegamento, per la sua forza evocativa autonoma, faccia venir meno la parte creativa del claim ed escluda l’elemento innovativo.>>

A nulla , concluide la SC, che la riforma del 2001 (d. lgs. 95 del 2001, art. 22) abbia tolto il requisito della scindibilità dala testo dell’artg. 2 n. 4 l. aut.

Contraffazione di opera del disegno

Trib. Bologna n. 310/2021 del 11.01.2021, Rg 10415/2016, Benatti c. Tecnotelai srl+1, decide un caso relativo all’oggetto.

Caso frequente: l’estinzione di un iniziale rapporto con l’artista non trattiene l’impresa dal continuare ad usare le sue opere.

I  passaggi su creatività e  contraffazione:

1) Sulla creatività: <<Le ampie produzioni documentali, e la relazione del Ctu arch.Castagnetti confermano quanto è già stato
apprezzato in sede cautelare, ovvero in primo luogo le qualità artistiche della attrice, che, seppure
sensibile ai movimenti artistici ed in particolare influenzata dalle correnti dell’arte astratta
contemporanea, utilizza un linguaggio espressivo ben delineato, frutto dell’opera svolta e affinata nel
corso degli anni.
Il carattere originale, e personale si esprime tra l’altro con l’utilizzo di tecniche miste ereditate da varie
discipline, e la scelta preferenziale del vetro, come supporto; si manifesta nella complessità
compositiva e nella estemporaneità gestuale, caratteristiche riscontrabili nell’opera della artista e quindi
stilemi propri di Vanda Benatti.
Di queste qualità artistiche vi sono riconoscimenti esterni, come risulta dai doc.ti da 1 a 6 di parte
attrice, atteso che Vanda Benatti oltre ad avere venduto le proprie opere a clienti privati ed istituzioni,
ha esposto in diverse mostre, a Bologna, in altri luoghi di Italia e all’estero: documentazione
fotografica delle sue vetrate si trova, in particolare, presso il Centre International du Vitrail a Romont
(Svizzera); è anche documentato l’evento denominato “Oro”, tenutosi a Bologna nell’ottobre 2000
presso la Galleria “Ennevu”, mostra personale ed esclusiva dell’artista, pubblicizzata all’epoca sul
quotidiano La Repubblica (cfr. la locandina “Oro” Anno 2000 – doc. 5, e l’estratto archivio on line del
quotidiano “La Repubblica” – doc. 6); nel sito della attrice si rinvengono poi recensioni e segni di
apprezzamento provenienti da plurime personalità del mondo artistico e culturale, e il riconoscimento
delle sue qualità espressive, e della sua unicità sta alla base del rapporto di collaborazione (termine che
si usa qui in senso lato, e senza dedurne dirette conseguenze, quanto alla controversa cessione dei diritti
d’autore) protrattosi tra Silvia Mazzolini, e la Tecnotelai srl, (che alla famiglia Mazzolini fa capo), da
una parte, e l’artista dall’altra.
Dunque sussistono nelle opera in tesi contraffatte e plagiate i caratteri della originalità creativa
riconoscibile, cui fa riferimento l’art. 1 L. 633 del 1941, creatività intesa come personale e individuale
espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1
legge citata, secondo i canoni interpretativi giurisprudenziali (vedi Cass, n.25173 del 2011; n. 5089 del
2004>>.

2) Sulla mancanza di scarto semantico tra le riproduzioni censburate e le opere azionate:

<<Per indagare con maggiori strumenti il delicato tema della contraffazione o plagio, è stata svolta una
Ctu, e il consulente dell’uffico ha in primo luogo – sotto il profilo operativo- ottenuto dalla attrice, nel
costante confronto diretto con le parti, un riepilogo delle potenziali violazioni, da utilizzare come
traccia univoca e base di lavoro, accettata da tutti, per eseguire i vari raffronti tra le opere di parte
attrice ed i prodotti di parte convenuta, giungendo così all’apprezzabile risultato di limitare,
concordemente, le operazioni di analisi a circa 50 casi in contestazione (pag.3 della relazione). Così opportunamente chiarito l’ampiezza del campo di indagine, il Ctu svolge alcune considerazioni di
carattere generale, e metodologico, rilevando che il confronto richiesto corre tra opere d’arte (di Vanda
Benatti) e prodotti di design, (di Tecnotelai) e sostenendo che tale diversa natura non comporta
concrete conseguenze, in ordine al criterio di accertamento della contraffazione. Aggiunge che pure il
fatto che la comparazione spesso corra tra elementi di natura diversa, realizzati con tecniche e materiali
diversi, talora bidimensionali, talora tridimensionali, e talora mere elaborazioni digitali, non esclude la
possibilità di confronto, posto che in ogni caso lo sforzo di comprensione passa dalla individuazione
della creatività ed originalità dell’opera.
Si tratta di affermazioni non oggetto di contestazione in causa, cosicchè possono ritenersi un dato
pacifico; si tratta inoltre di giudizi pienamente condivisibili, anche per quanto dianzi detto, circa il
valore essenziale della forma espressiva, come oggetto di indagine: il punto di contatto tra tutti i mezzi
semantici utilizzati è infatti indubbiamente, (come afferma anche l’artista, nelle sue osservazioni alla
Ctu), il disegno esecutivo, che costituisce il primo passaggio creativo che traduce l’idea in espressione
esterna, per poi giungere, con la scelta dei diversi supporti, tecniche ed i materiali, alla forma finale
impressa dall’artista.
Quindi il Ctu, nella relazione depositata, rende possibile in concreto il raffronto tra le opere della
artista, di cui è dedotta la contraffazione, (realizzate o in forma progettuale) con i correlati elementi di
arredo di Tecnotelai, formando delle schede di comparazione, che il Collegio può esaminare, per
compiere direttamente, quale peritus peritorum l’analisi delle opere, ricercando l’idea alla base
dell’opera e valutando la sua originalità, poi individuando la forma, analizzando la struttura della
composizione, i dettagli caratterizzanti delle opere, e le eventuali operazioni di manipolazione delle
immagini digitali svolte, per esprimere infine il giudizio conclusivo, che pur in presenza di una ripresa
di elementi secondo i passaggi esposti, può escludere la contraffazione, laddove verifichi l’esistenza di
un apporto creativo capace di trasformare gli elementi in una opera originale.
Ciò premesso, e in esito alla analisi così descritta, condotta su un numero di opere individuate
concordemente, che ricomprendono quelle oggetto del provvedimento cautelare, pare molto evidente
che oltre ad avere tratto complessivamente una larga ispirazione dall’opera artistica di Vanda Benatti,
la Tecnotelai ne ha contraffatto in più occasioni le forme>>

Anche la regia di opera lirica costituisce opera protetta dalla legge di autore

Cass. 17.565 del 18.06.2021, rel. Nazzicone, RCS Mediagroup c. De Bosio, afferma la proteggibilità  d’autore della regia teatrale o meglio di opera lirica.

RCs aveva pubblicato su Sette del Corsera una fotografia dell’Arena di Verona dall’alto e conseguente riproduzione della scenografia dell’Aida ivi presente, affemando  trattarsi di quelle predisposte dal regista Zeffirelli .

Si trattava invece di quelle prèedisposte dal regista De Bosio Gianfranco, il quale agì dunque per danni patrimoniali e non.

La SC conferma la corte di appello che aveva accertato la proteggibilità e condannato RCS a risarcire un danno di euro 5.200,00.

la SC premette qualche considerazione sull’interpretazione letterale e sistematica, ricordando la inaccettabilità del canone per cui in claris non fit interpretaio (considerazioni forse necessarie).

Poi entra in medias res.

<<2.5. orbene, l’opera dell’ingegno consistente nella regia teatrale di opera lirica a contenuto creativo è ricompresa nella nozione generale dell’art. 1, l.a.: il quale, al pari del sopraggiunto art. 2575 c.c., e con proclama di principio, dispone che sono protette le opere dell’ingegno di carattere creativo, enumerando i campi della letteratura, della musica, delle arti figurative, dell’architettura, del teatro e della cinematografia, in qualunque forma di espressione.

La lettera della norma, laddove con ampia previsione contempla il prodotto della creatività umana, in una con la ratio della disciplina, volta a tutelare il diritto morale e patrimoniale di autore – diritto soggettivo assai peculiare, connesso a quanto di più tipico ed imponderabilmente prezioso scaturisca dall’intelletto umano, autentico valore per l’umanità presente e futura – inducono a ricondurre all’enunciato anche l’opera di regia

La regia, invero, quale “reggenza” o “direzione”, per definizione “tiene insieme” l’intero spettacolo: sia esso cinematografico, teatrale o lirico, si tratta della decisione ultima su tutte le componenti che contribuiscono al risultato definitivo, dall’a scenografia ai costumi, dal ritmo ai movimenti sul palco, dai toni alle pause, dai colori alle luci. Come tale, essa è suscettibile del più alto contenuto creativo, secondo la fattispecie normativa ricordata..

La mancata esplicita menzione nelle norme dalla ricorrente richiamate, dunque, non è significativa del principio opposto.>>

Seguono precisazione di storia dell’arte: <<Sotto il profilo storico, si può osservare altresì come, all’epoca della approvazione del R.D. n. 633 del 1941, la notorietà raggiunta specialmente dal cinema americano (le Major) ed Europeo aveva reso ormai palese la rilevanza della regia cinematografica, sorte non ancora occorsa a quella teatrale, all’epoca forse ancora non ben percepita come autonomo ed originale contributo, atteso il predominante rilievo degli attori protagonisti, con la loro personalità ed anche con i loro capricci, sulle scelte artistiche.

Nondimeno, l’ampia previsione letterale e la ratio ricordate sono certamente idonee ad estendere la protezione alla regia teatrale, sia essa di sole parole o di quella particolare forma espressiva che coniuga musica e teatro, qual è l’opera lirica.

Se, nel corso dell’Ottocento, quando fu per la prima volta siglata la Convenzione di Berna del 1887, e poi nella prima metà del Novecento, allorchè furono emanati il regio decreto sul diritto d’autore ed il codice civile, l’opera lirica era affidata spesso allo stesso autore delle musiche, donde la preponderanza assoluta del musicista e del librettista, nonchè degli interpreti, in seguito, allontanandosi nel tempo la prima rappresentazione, è stato via via più chiaro l’apporto determinante, soggettivo ed ampiamente personale e creativo delle diverse “letture” di un testo o di un’opera da parte di una figura a sè stante, il regista.

Onde, da una sorta di presunzione di mera diligente o puramente “descrittiva” messa in scena da parte del regista – figura, per vero, spesso rimasta sconosciuta nelle rappresentazioni di quelle epoche è stato gradualmente più chiaro come soprattutto dai caratteri della “lettura registica” dipenda il risultato ultimo di questi spettacoli: la capacità di suscitare emozione.

Ecco, dunque, che un testo, pur toccante, può alla prova dei fatti lasciare indifferenti, mentre un altro, all’apparenza neutrale, può invece indurre a commozione: ciò che fa la differenza è l’interpretazione artistica di chi abbia il compito di mettere in scena il testo, di trovare il “tono” mediante le scelte di orientamento e di governo di tutti i complessi fattori sopra ricordati.

Pertanto, qualora tale apporto creativo sussista, l’attività di regia è tutelata dalla disciplina sul diritto d’autore.>>

principio di diritto: <<“L’opera dell’ingegno, consistente nella regia teatrale di opera lirica, è ricompresa nella nozione generale del R.D. n. 633 del 1941, art. 1, in forza dell’ampia lettera della disposizione, la quale, al pari di quella del sopraggiunto art. 2575 c.c., ed in piena coerenza con la ratio della disciplina, contempla il prodotto della creatività umana quale oggetto di tutela, non potendo valorizzarsi, in contrario, la mancanza di esplicita menzione della regia predetta nella legge sul diritto d’autore o nella Convenzione di Berna, entrata in vigore il 5 dicembre 1887, e ciò tutte le volte che si debba riconoscere un apporto personale e creativo della “lettura” dell’opera da parte del regista, come è compito del giudice del merito accertare”.>>

Protezione del personaggio di fantasia col diritto d’autore

Trib. Roma 16.04.2021 n. 6504/2021, RG 27160/2017, UNIDIS JOLLY FILM SRL c. PARAMOUNT PICTURES CORPORATION ed altri, decide (con motivazione poco lineare) la questione della riproducibilità (meglio: evocabilità) di un personaggio cinematografico da parte di successivo film (“Rango”, diretto soprattutto a bambini, parrebbe).

Il personaggio è il cow boy cinico e astuto rappresentato da Clint Eastwood (CE) nel film di Sergio Leone <Per un pugno di dollari> del 1964, che in Rango  viene evocato per poco più di un minuto.

La tutelabilità del personaggio di fantasia, come autonoma opera dell’ingegno, è questione annosa e risolta per lo più positivamente.

La difesa dei convenuti eccepisce:

<<Paramount co la cui difesa appare riproposta anche dalle altre società eccepiva in ordine logico:
a) l’inesistenza di caratteristiche autoriali in capo al personaggio “l’uomo senza nome”,
b) La non titolarità in capo alla società attrice del diritto d’autore sul personaggio,
c) La diversità fra “l’uomo senza nome” e “Lo spirito del West” visibile nel film Rango,
d) il legittimo esercizio del diritto di parodia>>.

Il Tribunale (T.) ritiene che l’evocazione, pur indiscussa, sia all’attore Eastwood e non al personaggio del film di Leone, p. 11-13: <<Questo collegio ritiene che la citazione contenuta nei minuti dal 1.21:08 al minuto 1.22.45 sia chiaramente indirizzata all’attore, alla luce non solo della evidente sembianza fisica, vocale e di atteggiamento fra lo Spirito Del West e l’attore Clint Eastwood, ma anche del fatto che l’attore viene raffigurato anziano e con i capelli bianchi, ovverosia come appare oggi al pubblico e non come appariva all’epoca della realizzazione del film “per un pugno di dollari”.
Anche il contesto cinematografico appare suggerire un immediato riferimento all’attore: l’abbigliamento western è quello che ha utilizzato Clint Eastwood non solo nel film prodotto e realizzato dall’attrice, ma nell’intera trilogia diretta da Sergio Leone e tutti i dettagli dal sigaro, all’inquadratura in primo piano contribuiscono ad una precisa ed immediata identificazione e riconoscimento non tanto del personaggio “uomo senza nome” del quale, come si dirà, si dubita dell’esistenza, ma dello stesso attore Eastwood del quale, non a caso, vengono emblematicamente mostrati tutti gli Oscar conseguiti nella lunga e brillante carriera artistica.>>.

L”affermazione è discutibile, dato che l’attore è così evocato nella modalità scenica ideata da Leone (ad ogni modo: accertamento in fatto, a fini ad es. di eventuale ricorso in Cassazione).

Poi: <<Difettano quindi ab origine i presupposti del plagio allegato da parte attrice, anche alla luce del fatto che “lo Spirito del West” è personaggio relegato nella realizzazione dell’opera di VERBINSKY ad un ruolo temporalmente limitato alla durata di neanche due minuti; il regista ritaglia quindi per Clint Eastwood (CE) un breve “cameo” all’interno della trama del film, evidentemente al solo fine di soddisfare la smania di “citazionismo” evidente nell’opera cinematografica in questione (ed evidenziata da tutti i consulenti le cui analisi sono state prodotte in atti), per rendere un chiaro omaggio all’attore protagonista della saga degli spaghetti western ed al suo regista Sergio Leone, consona con lo scenario dell’opera “Rango”.>>, p. 13.

Mortivazione ultronea e confondente, se il richiamo non è all’opera dell’ingegno leoniana.

Soprattutto confondente ,laddove evoca il fair use statunitense (p. 14 e p. 19), senza minimamente curarsi do collocarlo nelle categorie giuridico-dogmatiche nazionali (e/o europee, vista l’armonizazione in materia). Operazione di trapianto giuridico da respingere, dunque. La rigidità delle eccezioni al diritto di autore, pur criticabile de jure condendo, va però superata dopo apposito esame delle eccezioni vigenti e della possibilità di una loro estensione tramite analogia (legis o iuris), tenendo conto della disciplina eurounitaria.

In aggiunta per il Trib. il personaggio rapresentato da CE non è sufficientemente originale: <<Ciò che però appare difettare a “l’uomo senza nome” nella ricostruzione fornita da parte attrice, è proprio il possesso di caratteristiche creative che lo possano identificare quale “personaggio” autoriale in senso stretto e quindi quale potenziale predicato di diritti autoriali.
Un personaggio potenzialmente oggetto di diritti autoriali è difatti un soggetto frutto di un’autonoma e personale creazione artistica da parte del suo ideatore il quale racchiuda delle caratteristiche tali da renderlo immediatamente riconoscibile in quanto tale, quale estrinsecazione della personalità artistica del creatore, anche al di fuori del contesto in cui originariamente è stato collocato ed inventato. (…) Ciò che però appare difettare a “l’uomo senza nome” nella ricostruzione fornita da parte attrice, è proprio il possesso di caratteristiche creative che lo possano identificare quale “personaggio” autoriale in senso stretto e quindi quale potenziale predicato di diritti autoriali.
Un personaggio potenzialmente oggetto di diritti autoriali è difatti un soggetto frutto di un’autonoma e personale creazione artistica da parte del suo ideatore il quale racchiuda delle caratteristiche tali da renderlo immediatamente riconoscibile in quanto tale, quale estrinsecazione della personalità artistica del creatore, anche al di fuori del contesto in cui originariamente è stato collocato ed inventato. Nel caso di specie “l’uomo senza nome”, che ha costituito sicuramente il protagonista della trilogia di Sergio Leone, non è successivamente più comparso in alcuna altra opera cinematografica al di fuori della nota trilogia (in cui naturalmente è riapparso come tale in quanto le due successive opere rappresentano la prosecuzione di un percorso narrativo iniziato con la prima), non appare frutto di un’idea creativa ed originaria, quanto la rielaborazione personale e non evolutiva (bensì contestualizzata nel mondo western) da parte di Sergio Leone di prototipi noti alla narrazione letteraria e cinematografica (quali quelli ben evidenziati dalle convenute) e non ha acquisito ad avviso del collegio una penetrazione ovvero una permanenza nel pubblico, nella critica cinematografica o nelle successive opere tale da renderlo qualificabile come opera creativa ed identificabile come tale>>, p. 14-15

Sulla distinzione necessaria tra personaggio e attore: <<Un personaggio autoriale, quando addiviene ad una caratterizzazione tale da farlo diventare immediatamente percepibile come tale dal pubblico o dalla critica, e quindi potenzialmente latore di diritti autoriali, deve necessariamente diversificarsi dall’attore che lo impersona; si pensi per esempio al personaggio di “James Bond” o al personaggio narrativo di Sherlock Holmes, i quali, caratterizzati da una nota ed inequivocabile iconografia, senz’altro sono soggetti a titolarità autoriale in quanto assolutamente determinati nel contesto narrativo e potenzialmente interpretabili da una pluralità di attori ed in contesti storici e geografici totalmente differenti>>, p. 16.

Il collegio non ritiene pertanto <<di percepire nel “l’uomo senza nome” quello scarto semantico rispetto ai precedenti archetipi necessario a configurarlo quale momento creativo del regista Sergio Leone. Se si sottopone invero ad un attento vaglio autoriale rispetto alla letteratura ed iconografia precedente “l’uomo senza nome”, emergono molteplici e ricorrenti caratteristiche già note nella letteratura (lo stereotipo dell’eroe negativo, ambiguo, doppiogiochista, straniero, fuorilegge risale ai primordi della letteratura occidentale con l’Odissea) e nello specifico settore cinematografico.>>, p. 17.

Anche qui, osservazioni estranee alla ratio decidendi, se è vero che poco sopra aveva accertato che il film censurato non si riferiva al personaggio ma all’attore.

Sulla parodia (anche qui in modo ultroneo, alla luce dell’accoglimento della prima difesa ed anzi ancor prima della citata non evocazione del personaggio ma solo di CE): il Trib. la nega nel secondo film , dicendo <<nel caso di specie non ritiene questo collegio che quanto visibile nel film “Rango” appartenga alla sfera interpretativa della parodia, in quanto tutti i contenuti riferibili alle opere cinematografiche menzionate nel film Rango, pur essendo immediatamente riconoscibili, non assumono una funzione dissacratoria o comunque rielaborativa con finalità difformi da quelli dell’opera originale>>, p. 18-19.

Purtuttavia , a parere del Tribunale, il fair use permetterebbe un diffuso “citazionismo” e cioè la plurima evocaozione di opere anteriori e/o dei loro personaggi: <<purtuttavia anche in questo caso, che come si è detto precedentemente è inquadrabile nell’alveo del cosiddetto “citazionismo”, questo collegio deve osservare come lo stesso, analogamente al diritto di parodia e con i medesimi criteri di immediata percepibilità ed innocuità, appaia lecito e non foriero di responsabilità per violazione del diritto d’autore nel momento in cui la citazione avviene in forma manifesta e limitata a dei singoli spezzoni che non assumono significato nell’economia dell’opera artistico letteraria secondo la precedentemente menzionata dottrina del “fair use”.
In sostanza anche un chiaro richiamo ad un’opera precedente, lungi dal costituire violazione del diritto d’autore, è ammissibile nel momento in cui evoca sobriamente l’opera antecedente come breve omaggio, tributo all’attore o al regista, in quanto è lo stesso autore/regista che “confessa” la propria estraneità all’opera autoriale precedente e la incorpora come tale nella propria al solo fine di denunciare i propri riferimenti narrativi o bibliografici.>>, p. 19

Contraffazione musicale: l’attore deve prima preoccuparsi che la propria opera sia proteggibile

la District Court, C.D. California, il 16 marzo 2020, decide la lite tra PKA Flame e Kate Perry (d ). Il primo, titolare dei diritti sulla canzone <Joyful noise>, asseriva che la seconda l’aveva contraffatta tramite la canzione <Dark Horse>: in particolare, avrebbe riprodotto solo il c.d. “ostinato” e cioè una breve sequenza ritmica (riff) ripetuta nel corso della canzone.

La giuria accolse la domanda , concedendo danni per 2,8 milioni di dollari.

La Corte però va di contrario avviso, poichè l’opera attorea non è originale: solo se lo è, naturalmente, il titolare può far valere il relativo diritto.

Secondo il diritto USA, l’attore deve provare << (1) “ownership of a valid copyright,” and (2) “copying of constituent elements of the work that are original.”>> (v. sub III).

Il copiaggio a sua volta va provato o <<(a) with direct evidence that the defendant actually copied the work, or (b) by showing that the defendant (i) had access to the work and (ii) that the works are “substantially similar.”>> , p. 5.

Nel caso de quo, gli attori allegarono la modalità sub b (accesso+substantial similarity).

A sua volta la substantial similarity richiede di superare il two-part test: extrinsic similarity (elementi oggettivamente somiglianti: <there are two steps to the analysis: the Court (1) identifies the protected elements of the plaintiff’s work, and then (2) determines whether the protected elements are objectively similar to the corresponding elements of the allegedly infringing work>) e intrinsic similarity (somiglianza per l’utente medio: anzi, esattamente, per la reasonable person): p. 5-7.

Provata la substantial similarity, l’attore deve provare l’accesso: << “Proof of access requires an opportunity to view or to copy plaintiff’s work…. “To prove access, a plaintiff must show areasonable possibility, not merely a bare possibility, that an alleged infringer had the chance to view the  protected work.” >>, p. 7

Gli attori non hanno fortuna in Corte: questa nega il superamento dell’extrinsic test.

In generale nella musica pop più che in altre arti il “prestito” tra autori è diffuso e gli elementi originalui e dunque proteggibili sono rari  (passaggio interessante per ragionare sulla tutelabilità di questo tipo di musica), p. 9-10.

Il perito di parte Decker spiegò i cinque o sei elemenri copiati: < “The length of the ostinato is similar, eight notes. The rhythm of the ostinato is similar. The melodic content, the scale degrees present. The melodic shape so the—the way the melody moves through musical space. Similar, the timbre or the quality and color of the sound is similar, and the use of the the placement of this material, this ostinato, in the musical space of the recording in the mix, that is also similar. So that’s five or six points of similarity between the two ostinatos.”> p’. 10

Anzi , se meglio individuati, gli elementi copiati sarebbero addirittura nove: < “(1) a melody built in the minor mode; (2) a phrase length of eight notes; (3) a pitch sequence beginning with ‘3, 3, 3, 3, 2, 2’; (4) a similar resolution to both phrases; (5) a rhythm of eighth notes; (6) a square and even rhythm; (7) the structural use of the phrase as an ostinato; (8) the timbre of the instrumentation; and (9) the notably empty and sparse texture of the compositions.”>, p.10.

Tuttavia per la Corte nessuno di questi è proteggibile, singolarmente preso, p. 11 ss (ed anzi pure il perito di parte Decker dice in pratica che molti di essi non sarebbero originali, p. 12: affermazione alquanto strana per un perito di parte…): < In fact, the nine individual elements that plaintiffs identify in their opposition (see JMOL Opp. at 8) are precisely the kinds of commonplace elements that courts have routinely denied copyright protection, at least standing alone, as a matter of law>, p. 13. (segue analisi di ciascuno).

Inevitabilmente dunque <for the foregoing reasons, the Court cannot conclude, pursuant to the extrinsic test, that any of the allegedly original individual elements of the “Joyful Noise” ostinato are independently [*23] protectable as a matter of law>, p .15.

Anche se individualmente non sono proteggibili, i vari elementi potrebbero esserlo se considerati assieme (Protection For Combination Of Unprotected Elements, sub ii., p. 15 ss), ma l’esito è ancora una volta negativo: < in view of these decisions, the Court now turns to whether the musical elements that comprise the 8-note ostinato in “Joyful Noise” are “numerous enough” and “arranged” in a sufficiently original [*32] manner to warrant copyright protection. .. The Court concludes that they do not>, p. 19

Pertanto, <because the sole musical [*36] phrase that plaintiffs claim infringement upon is not protectable expression, the extrinsic test is not satisfied, and plaintiffs infringement claim—even with the evidence construed in plaintiffs’ favor fails as a matter of law> p. 22.

Ma anche se la combinazione di elementi (singolarmente non originali) fosse originale , non ci sarebbe substantial similarity (sub  iii, p,. 22 ss): <The evidence in this case does not support a conclusion that the relevant ostinatos in “Dark Horse” and “Joyful Noise” are virtually identical>, p. 23

Quanto all’intrinsic test, la Corte si attiene ai precedenti , secondo cui la decisione è lasciata alla giuria, p. 24.

SULL’ACCESSO: sotto tale aspetto <The question presented by this posttrial motion is therefore “not whether Plaintiff has proven access by a preponderance of evidence, but whether reasonable minds could find that Defendants had a reasonable opportunity to have heard Plaintiffs song before they created their own song.>, p. 25.

E la Corte ritiente che le prove effettivamenTe permettano di ritenere provato l’accesso, dato che gli attori ha dato prova <at trial that “Joyful Noise” was played more than 6 million times on YouTube and MySpace,  hat “Joyful Noise” was nominated for a Grammy, that “Joyful Noise” was performed at hundreds of concerts across the country, and that “Joyful Noise” ranked highly on the Billboard charts for popular music.> p. 25.

SUI DANNI E SULL’APPORTIONMENT:

la giuria decide che il 22.5% del profitto netto di ciascun convenuto, tratto dalla canzone censurata, derivasse dall’uso dell’ostinato della canzone attorea , sulla base del fatto che l’ostinato ricorre per il 45 % della canzone contraffattrice, p. 29 : la giuria evidentemente  <decided to divide plaintiffs’ requested amount in half—either as a result of defendants’ evidence, or some other reason—and award damages in the amount of 22.5% of total profits>, p. 29/30.

Qui va ricordata la disciplina sull’onere probatorio, specifica del diritto di autore USA: <The copyright owner is entitled to recover the actual damages suffered by him or her as a result of the infringement, and any profits of the infringer that are attributable to the infringement and are not taken into account in computing the actual damages. In establishing the infringer’s profits, the copyright owner is required to present proof only of the infringer’s gross revenue, and the infringer is required to prove his or her deductible expenses and the elements of profit attributable to factors other than the copyrighted work> US code, tit. 17, § 504 (b). Sarebbe opportuno valutarne l’introduzione anche nella proprietà intellettuale italiana (ed europea, laddove armonizzata).

La Corte ritiene però esatta la quantificazione della giuria, p. 29-30.

Quanto alla deduzione delle spese generali, questione spesso aperta e importante nella pratica, i conveuti censurarono la decisione della giuria. La Corte però rigetta la censura e ricorda la prassi del 9° circuito: < To determine the defendants’ net profits, the Court instructed the jury to “deduc[t] all appropriate expenses incurred by that defendant from that defendant’s gross revenue.” …. In the Ninth Circuit, appropriate expenses are only those which “contributed to the production, distribution or sales of the infringing goods,” including “fixed  overhead” costs, provided that the overhead “contributed” to the infringing good >.

La Corte ricorda più volte il precedente (di pochi giorni prima) Skidmore c. Led Zeppelin, ricordato in precedente post.

Tutela d’autore (e da disegno e modello) quando l’opera è stata creata in ossequio solo a esigenze funzionali? La Corte di Giustizia ha risposto

Nel post del 10 febbraio avevo riferito delle conclusioni dell’AG nel caso Brompton c. Chedech/Get2get , in cui un produttore di bicicletta pieghevole ha tentato di proteggere la sua creazione tramite diritto di autore.

Naturalmente il convenuto aveva eccepito la non tutelabilità per il fatto che la forma scelta era stata dettata da esigenze tecnico-funzionali.

Ora è intervenuta la Corte di Giuszia con la sentenza 11.06.2020, C-833/18.

La sua conclusione è in linea con quelle dell’AG.

Del resto non ci sono dubbi che, se la forma espressiva è dettata da esigenze funzionali, viene meno la creatività dell’autore e cioè il suo apporto personale (art .6 l. aut.). La necessità di questo elemento, che costituisce il proprium della creazione proteggibile, non è emerge in modo esplicito da alcuna disposizione europea o internazionale, ma è comunemente affermata. Si v. nel caso Cofemel – Sociedade de Vestuário SA c. G-Star Raw CV, C-683/17, sia le conclusioni 02.05.2019 dell’AG Szpunar (§§ 23-26) che la successiva sentenza 12.09.2019 della CG (§§ 29-31).

la CG aggiunge che gli altri fattori ricordati nellla seconda questione pregiudiziale (altre possibili forme per il medesimo risultato; l’efficacia della forma per ottebere il risultato; la volontà delle parti; l’esistenza di un brefevtto anteriore) non sono affatto decisivi: contano solo i requisiti propri del diritto di autore (creatività/ originalità).

Come sempre, la CG  delega al giudica nazionale l’applicazione di questi generali criteri al caso specifico

Il punto difficile però è rimasto insoluto: quanto di condizionameno impedisce la tutela di autore? solo il condizionament totale o anche quello parziale? Nel secondo caso , in che misura? La disciplina dei marchi ad es. pone un avverbio significativo: non possono essere registrati “i segni costituiti ESCLUSIVAMENTE da una forma che …” (anche se poi nella prassi giudiziale viene parecchio annacquato) .   La Corte aggiunge, per vero, l’avverbio UNICAMENTE (§§ 27 e 33, v. sotto), ma non si sa quanto consapevolmente.

Infine ecco i passaggi argomentativi più interessanti:

<<da una costante giurisprudenza della Corte risulta che, perché un oggetto possa essere considerato originale, è necessario e sufficiente che rifletta la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere e creative di quest’ultimo (sentenza del 12 settembre 2019, Cofemel, C‑683/17, EU:C:2019:721, punto 30 e giurisprudenza ivi citata)>>, § 23.

Ne segue che <<un oggetto che soddisfa il requisito di originalità può beneficiare della protezione ai sensi del diritto d’autore anche qualora la realizzazione di tale oggetto sia stata determinata da considerazioni tecniche, purché una simile determinazione non abbia impedito all’autore di riflettere la sua personalità in tale oggetto, manifestando scelte libere e creative>>, § 26. Infatti il cirterio delloriginalità <<non può essere soddisfatto dalle componenti di un oggetto che siano caratterizzate unicamente dalla loro funzione tecnica, poiché risulta in particolare dall’articolo 2 del Trattato OMPI sul diritto d’autore che la protezione ai sensi del diritto d’autore non si estende alle idee. Proteggere queste ultime mediante il diritto d’autore equivarrebbe infatti a offrire la possibilità di monopolizzare le idee, a discapito, in particolare, del progresso tecnico e dello sviluppo industriale (v., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2012, SAS Institute, C‑406/10, EU:C:2012:259, punti 33 e 40). Orbene, quando l’espressione di dette componenti è dettata dalla loro funzione tecnica, i diversi modi di attuare un’idea sono così limitati che l’idea e l’espressione si confondono (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, Bezpečnostní softwarová asociace, C‑393/09, EU:C:2010:816, punti 48 e 49).>>, § 27.

Si tratta del passaggio più originale: la necessità che siano protette non le idee astratte ma solo quelle concretizzatisi in una specifica forma, è usata per dirimere la questione giuridica astratta.

<<A tale riguardo, come ricordato ai punti 24, 26 e 27 della presente sentenza, ciò non può verificarsi qualora la realizzazione di un oggetto sia stata determinata da considerazioni tecniche, da regole o da altri vincoli che non hanno lasciato spazio all’esercizio di una libertà creativa o le hanno lasciato uno spazio talmente limitato che l’idea e la sua espressione si confondono.>>, § 31.

E del resto <<32  (…) anche se vi è una possibilità di scelta quanto alla forma di un oggetto, non si può concludere che esso rientri necessariamente nella nozione di «opera», ai sensi della direttiva 2001/29. Per stabilire se ciò effettivamente avvenga, spetta al giudice del rinvio verificare che le condizioni ricordate ai punti da 22 a 27 della presente sentenza sono soddisfatte. 33.      Nel caso in cui la forma del prodotto sia dettata unicamente dalla sua funzione tecnica, tale prodotto non potrebbe rientrare nella sfera di protezione ai sensi del diritto d’autore.  34      Pertanto, al fine di stabilire se il prodotto di cui trattasi rientri nella sfera di protezione ai sensi del diritto d’autore, spetta al giudice del rinvio stabilire se, attraverso tale scelta della forma del prodotto, il suo autore abbia espresso la propria capacità creativa in maniera originale effettuando scelte libere e creative e abbia modellato il prodotto in modo da riflettere la propria personalità.>>

Quanto ai quattro fattori ipotizzati nella seconda domanda pregiudiziale:

<<35      In tale contesto, e dato che deve essere valutata solo l’originalità del prodotto in esame, l’esistenza di altre forme possibili che consentono di giungere allo stesso risultato tecnico, benché permetta di constatare l’esistenza di una possibilità di scelta, non è determinante al fine di valutare i fattori che hanno guidato la scelta effettuata dal creatore. Analogamente, la volontà del presunto contraffattore è irrilevante nell’ambito di una simile valutazione. 36      Quanto all’esistenza di un brevetto anteriore, oggi scaduto nel procedimento principale, nonché all’efficacia della forma per pervenire al medesimo risultato tecnico, se ne dovrebbe tener conto solo nei limiti in cui tali elementi consentano di rivelare le considerazioni effettuate nella scelta della forma del prodotto di cui trattasi>>.

Curiosa la precisazione finale: <<In ogni caso, occorre sottolineare che, al fine di valutare se la bicicletta pieghevole di cui al procedimento principale sia una creazione originale e sia quindi protetta ai sensi del diritto d’autore, spetta al giudice del rinvio tener conto di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie, quali esistevano al momento dell’ideazione di tale oggetto, indipendentemente dai fattori esterni e successivi alla creazione del prodotto.>>,  § 37.

Riproduzione non autorizzata di opera fotografica in una collezione di vestiti (Antonio Marras c. Daniel J. Cox)

Il tribunale di Milano decide sulla lite promossa dal fotografo naturalista Daniel J Cox nei confronti un’impresa da abbigliamento e del suo distributore per riproduzione non autorizzata di una suo scatto nella collezione autunno-inverno 2014-2015 e commercializzazione su piattaforma on-line di abbigliamento di lusso.

Si tratta della sentenza 2539/2020 del 23.04.2020, RG 14054/2018, pres. rel. Marangoni, scaricabile da questo link offerto da ipkat.com / darts-IP.

La fotografia è la seguente:

© Daniel J. Cox-NaturalExposures.com

(tratta da qui).

L’abito è il seguente:

(qui la foto del lupo è meno nitida).

Ma l’immagine dell’abito più significativa (perchè a sfondo blu, come nella fotografia dell’animale)  è quella presente in ipkat.com :

Nella sentenza il nome dell’attore è oscurato ma in molti siti internet il nome viene invece diffuso: v. ad es. qui e qui.  In ogni caso la diffusione integrale è ammessa dalla legge, non ricorrendo le eccezionali ipotesi contrarie previste dall’art. 52 cod. priv.

L’attore aveva chiesto la condanna in solido delle due convenute.

IDENTITà O DIVERSITà DI FOTOGRADIA?  La prima difesa di Antonio Marras è quella per cui non si tratterebbe della stessa fotografia.

L’impresa aveva peraltro  ammesso <<di avere effettivamente, nel corso dell’attività di studio e progettazione della collezione donna 2014/2015, reperito sul web la fotografia scattata dall’attore (peraltro priva di indicazioni circa il titolare dello scatto e resistenza di privativa autorale), ma di non averla poi direttamente utilizzata, limitandosi a inserirla nel moodboard della collezione, quale fonte di ispirazione per la successiva creazione dei capi da parte dello stilista.>>, p. 7

Ammissione che ricorda la condotta di Jimmy Page nella lite Skidmore v. Led Zeppelin circa le canzoni Taurus (degli Spirit) e Stairway to heaven. Pure il chitarrista inglese aveva infatti ammesso di possedere nella propria collezione privata una copia del disco degli Spirit contenente Taurus,  in un ordinamento come quello americano in cui è decisiva la prova dell’accesso all’opera.

V. il mio post sulla sentenza statunitense 9 marzo 2020.

Il giudice milanese però rigetta questa difesa e afferma che l’immagine è la stessa. Qui è interessante a livello probatorio il ragionamento condotto per giungere alla conclusione:

<<tale convincimento è suffragato innanzitutto dall’oggettiva sovrapponibilità tra l’immagine riprodotta sul lato sinistro dell’abito femminile realizzato dalla convenuta e lo scatto rivendicato dal fotografo, come fedelmente rappresentato nel doc. 26 di parte attrice, reperto non contestato dalle convenute. Segnatamente, dall’attento esame della predetta immagine si percepisce chiaramente la perfetta coincidenza tra le due figure, e, in particolare, di alcuni loro elementi caratterizzanti, quali: la posizione del cranio del lupo, avente la medesima rotazione e inclinazione rispetto all’asse del corpo; le fauci del canide, che mostrano la medesima apertura e dalle quali spunta un canino avente uguale posizione e dimensione in entrambe le immagini; la perfetta sovrapponibilità dell’occhio del lupo; le identiche cromature, macchie e pieghe del pelo presente sul collo dell’animale.

Tali riscontri obiettivi assumono particolare significato anche alla luce della fotografia sub doc. 25 prodotta da parte attrice – anch’essa non contestata dalle convenute – nella quale è ritratto lo stilista Antonio Marras intento a studiare il mainboard della collezione, dove risulta ben visibile, tra le altre immagini, anche lo scatto in questione>>, p. 8.

Non è chiaro come l’attore sia riuscito a procurarsi una fotografia dello stilista mentre esamina la propria collezione

Non inficia il ragionamento , dice il Tribunale, il fatto che la Antonio Marras abbia maldestramente tentato di sviare la percezione del giudice, riproducendo negli atti di causa solo un lato dell’abito, in modo che l’immagine del lupo fosse diversamente orientata (pagina 8/9). Il tribunale poi ritiene che questo tentativo, di dare una diversa rappresentazione della realtà, sia contrario ai doveri di lealtà processuale e irroga la sanzione ex articolo 96/1 CPC, pagina 9

PATERNITA’ –  la paternità dell’Opera non viene contestata e comunque dal tribunale viene affermata anche sulla base del certificato di protezione, concesso dall’ufficio statunitense e dalla pubblicazione in una monografia nella quale la paternità viene appunto attribuita a Daniel Cox. Quest’ultimo andrà inteso come fatto indiziario, anche se ultroneo, visto che nel caso specifico -come detto-  non ce ne era bisogno, stante la non contestazione.

TIPO DI TUTELA – Circa l’oggetto della tutela il dubbio è tra la tutela piena come opera dell’ingegno (art. 2 n. 7 l. aut.) e la tutela “dimezzata” come diritto connesso ex articolo 87 seguenti l. aut. (v. paragrafo 3).

Secondo i giudici milanesi, è esatta la prima alternativa (§ 3.1) e spiega perchè.

Premesse alcune considerazioni consuete circa i criteri  astratti per avvisare opera fotografica, il tribunale procede ad applicarli al caso specifico: anche qui, si tratta della parte più interessante  dell’iter motivatorio, perché si capisce cosa sta in mente iudicis per arrivare a formulare il giudizio:

<<orbene, nel caso di specie, l’attore ha innanzitutto dedotto in giudizio come la [1] scelta del soggetto da rappresentare (nello specifico, un lupo nel suo ambiente naturale), sia stata frutto di studio e d’attenta analisi del campo fotografico. professionista ha altresì colto l’animale [2] mentre lo stesso era intento a ululare – indice sintomatico di una precisa volontà creativa – scegliendo di rappresentarlo in primo piano, attraverso una [3] sapiente sfocatura dell’ambiente circostante, esaltando così l’espressione del soggetto rappresentato, pur facendo emergere i fiocchi di neve che, copiosamente, cadevano nell’ambiente circostante ed evocando, in questo modo, peculiari suggestioni nell’osservatore tali da travalicare la mera rappresentazione grafica deH’animale. E altresì evidente [4] un sapiente uso del chiaroscuro e l’utilizzo, con finalità creative, dei giochi di luce e ombre distinguibili sullo sfondo blu dell’immagine e, soprattutto, [5] dal contrasto generato tra i fiocchi di neve rispetto alla cromatura del pelo del lupo.

Avvalorano inoltre la natura artistica della fotografia sia [6] lo specifico riconoscimento autorale in territorio statunitense (doc. 6 attore), sia [7] la sua collocazione all’intemo di un’opera monografica alla quale è stata data dignità di pubblicazione e stampa (docc. 2, 2a attore), nonché [8] la sostanziale identità, sul piano della qualità creativa, della predetta immagine rispetto ad altre rappresentazioni naturalistiche scattate dallo stesso apparse su prestigiose riviste di settore, quali «National Geographic» e «Nikon Leam&Explore» (docc. 3, 3a, 3b, 3c e 3d attore).

Infine, è significativo, in punto di qualificazione dei diritti connessi all’immagine, che essa sia stata [9] particolarmente apprezzata dagli operatori commerciali, a riprova dell’oggettiva e intrinseca capacità di evocare particolari suggestioni nei consumatori (docc. 33 e 34 attore). [10] Anche il noto motore di ricerca Google pone la fotografia oggetto di causa tra le prime immagini associate alla stringa «holwing wolj» o «lupo ululante» (cfr. docc. 22 – 24 attore).>> pp.10-11

Ho scomposto il ragionamento in unità logiche mimime, che tutte assieme portano a ravvisare la creatitivà nella fotografia de qua.  Si notino quelle sub 6 (riconoscimento autorale in USA) e sub 7-9-10 (riconoscimento sul mercato)

LA LICEITA’ PER ESSERE REPERIBILE SU GOOGLE IMAGES – Il tribunale affronta poi di eccezione di Marras secondo cui lo scatto era lì era legittimamente utilizzabili essendo reperibile sul motore di ricerca Google. Il tribunale ha buon gioco nel rispondere che, secondo lo stesso Google Images, l’immagine può essere oggetto di copyright.

Aggiunge poi la mera <<disponibilità sul web di una foto non costituisce presunzione di assenze di privative, gravando semmai sull’intemauta l’onere di accertare l’esistenza, o meno, di diritti in capo a soggetti terzi>>, p. 11. Infatti <<appartiene al bagaglio nozionistico del medio professionista, in particolar modo se operatore del c d. fashion business, il noto principio secondo il quale l’utilizzo di una fotografia senza richiedere la liberatoria dell’autore o senza comunque sincerarsi che l’immagine sia di libera riproduzione costituisce, pacificamente, ipotesi di contraffazione (Trib. Milano, 1.03.2004).>>p. 12.

In effetti anche se non ci fosse la dichiarazione cautelativa di Google Images, sarebbe comunque condotta colposo il non tentare di verificare la libera riproducibilità dell’immagine, potendo essere stata illecitamente messa on line da terzi.

RISARCIMENTO DEL DANNO – Circa il  risarcimento, il tribunale accetta il criterio del prezzo del consenso suggerito dall’attore, ma ne rigetta il quantum proposto.

 il tribunale si limita infatti a prendere per buono l’importo che lo stesso attore sembrava disposto a concedere in un tentativo stragiudiziale conciliativo, secondo un documento prodotto in causa dalla Antonio Marras: € 16.000,00.

Ll’attore aveva invece chiesto un prezzo molto più elevato, pari a € 188.000,00, sulla base di  precedenti atti dispositivi: questi però sono giudicati da un lato  mal documentati e dall’altro relativi ad utilizzi molto più ampi di quello per cui era causa.

Il tribunale concede anche il danno non patrimoniale che liquida in euro 9’000,00. Qui non è chiaro il cenno secondo cui in tal modo aderisce agli ordinari canoni di responsabilità civile <<informati a un criterio compensativo>>: in materia di danno non patrimoniale, parlare di <compensazione> richiederebbe qualche spiegazione. Ma l’affermazione non è ratio decidendi, essendo la lqiudaizione certgamente equitativa.

Sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, sarebbe stato utile qualche passaggio argomentativo, data la sua tipicità e dato che l’art. 168 l. aut. si limita a rinviare ai diritti patromoniali col limite della compabilità, senza prevedere espressamente il risarci,mento. A parte ciò, la disciplina generale del risarcimento del danno non patrimonale (nelle sue due componenti del pretium doloris, danno morale, e della compromissione delle abitudini di vita: distinzione non menzionata dal giudice) prevede che vada allegato e provato, potendo l’equità solo servire alla traduzione monetaria.

LA POSIZIONE DELL’IMPRESA  DISTRIBUTRICE – Interessante poi è il giudizio sulla posizione del distributore Drexcode srl . Questa si era difesa dicendo di non aver potuto esercitare alcuna attività di controllo sul produttore.

Ma per il tribunale ciò non rileva, visto che <<non ha dato alcuna dimostrazione di avere ottenuto, da parte dell’ANTONIO MARRAS S.R.L., specifica attestazione circa la piena titolarità dei diritti di sfruttamento commerciale dei capi d’abbigliamento e delle immagini sugli stessi riprodotte, sussistendo pertanto evidenti profili di colpevolezza in capo al distributore, quantomeno sub specie di culpa in vigilando, rispetto all’attività posta in essere dalla casa di moda. Ritiene pertanto il Collegio di doversi conformare, nel caso di specie, al consolidato orientamento pretorio secondo il quale il distributore di merce contraffatta è chiamato a rispondere, in solido con il produttore secondo lo schema di cui all’art. 2055 c.c., dell’attività da quest’ultimo posta in essere, concorrendo sul piano causale alla commissione dell’illecito e all’aggravamento dello stesso (Trib. Milano, 1 luglio 2004), fatta salva la possibilità di agire in manleva per avere confidato nella liceità del comportamento altrui (Trib. Milano, 30 giugno 2004).>>, p. 14-15.

Per vero l’elemento soggettivo richiesto ai compartecipanti legati in solidarietà ex art. 2055 non è chiaramente desumibile dall’ordinamento e ci sono opinioni discordanti.

E’ poi importante l’affermazione per cui il distributore ha ogni volta l’onere di farsi consegnare dal cliente documentazione probatoria della legittimità di uso di tutti i segni presenti sul prodotto: pare che simili liberatorie, anche se diventassero dichairazioni di stile, varrebbero ad esentare dalla responabilità esterna ex art. 2055 cc.

Questo, appunto, nei rapporti esterni cioè verso i terzi (=le vittime dell’illecito).

Nei rapporti interni invece il tribunale accoglie la domanda di manleva, proposta dal distributore Drexcode nei confronti di Antonio Marras: condanna infatti quest’ultimo a rifondere al primo ogni somma che fosse costretto a pagare verso l’attore (vedi punto 5 del dispositivo)

SPESE – infine  il tribunale, come anticipato, condanna Antonio Marras ex articolo 96 comma 1 CPC a pagare all’attore una somma di euro 6000 sia per la accennata sleale condotta processuale sia perché ante causam aveva dimostrato un chiaro intento conciliativo e un’inclinazione a transigere ad una somma inferiore a quella riconosciuta dal tribunale in sentenza (p. 16).

Non è chiaro però quale sia la pertinenza di quest’ultimo ragionamento. La disponibilità a transigere non significa disponibilità riconoscere la propria violazione , dato che anzi il proprium della transazione è quello di prescindre da ogni accertamento sul diritto e sul torto intorno ai fatti di causa. E’ cioè solo prospettica, non retrospettiva. Per lo stesso motivo la somma a suo tempo ipotizzata ante causam e quella liquidata dal giudice non hanno alcuna relazione logico-cocnettuale: quindi non è traibile alcun elemenot di slealtà processuale, inmancanza di norma ad hoc (come avviene ad es. per la mediazione: art. 13 d. lgs. 28/2010).

Contraffazione di opera musicale: la Corte d’Appello USA del nono circuito sul caso Skidmore v. Led Zeppelin

Da molto tempo pende la lite tra Skidmore e i Led Zeppelin.

Secondo l’allegazione del primo,  rappresentante del Trust Randy Craig Wolfe (creato alla sua morte dalla madre di Randy Wolf, già chitarrista di quel grandissimo gruppo che sono stati gli Spirit: v. voce in Wikipedia), i Led Zeppelin con la canzone Stairway to Heaven avrebbero copiato la canzone Taurus, scritta dal citato Randy Wolfe. Precisamente Skidmore non allega la copia dell’intera composizione Taurus, ma afferma solo <<that the opening notes of Stairway to Heaven are substantially similar to the eight-measure passage at the beginning of the Taurus deposit copy>>  (p.10, ove anche precisazioni musicali).:

Decide la lite la United States Court of Appeals del 9° circuito con sentenza (ormai divenuta molto nota) del 9 marzo 2020, processo (docket number) 16-56057.

La prima parte della sentenza riguarda l’individuazione della legge applicabile. Dopo ampia analisi storica, 15 ss, si afferma che questa è il Copyright Act del 1909 e non quello del 1976 e ciò nonostante il primo non proteggesse il sound recording. L’opera sub-judice era stata registrata nel 1967. Per i lavori non pubblicati il copyright è limitato alla deposit copy, che nel caso specifico consisteva di una sola pagina (p.7 e 18; fatti descritti a p. 8/9 ove anche il cenno ai contatti reciproci avuti dalle due band, al fine di provare l’access, su cui v. sotto). A p. 19 ss è esaminata la deposit copy.

La seconda parte della sentenza tratta dei requisiti secondo il diritto statunitense per aversi contraffazione. Sono due (p. 22):

1° l’attore deve aver un valido diritto sull’opera (Taurus, qui);

2° i Led Zeppelin devono aver copiato aspetti protetti dell’opera

Il requisito 2° a sua volta consiste di due componenti autonome:

A) coping

B) unlawful appropriation

Circa A) Poichè la independent creation è un’eccezione totale (complete defense, cioè eccezione che può far rigettare per intero la domanda) , l’attore , se non sa dare prova diretta, può provare il coping in via indiretto/presuntiva, dimostrando i) l’accesso e ii) significative somiglianze : profili che costituiscono il profilo nevralgico della decisione, p. 11-15.

Circa B) , le opere devono avere substantial similarities, p. 23 . Affinchè ciò avvenga, devono essere soddisfatti sia il test estrinseco che il test instrinseco : il primo compara le somiglianze ogggettive di specifici elementi espressivi, il secondo invece valuta <<from the standpoint of the ordinary reasonable observer”, with no expert assistance>>, p.23

Il requisito A (copying e, direi, nella forma del’access) è esaminato a p. 24 ss. Skidmore voleva provare il copying facendo suonare l’opera mentre testimoniava Page: affermava che osservarlo mentre ascolta, avrebbe reso possibile per la giuria capire le sue reazioni e quindi il suo atteggiamento circa la questione dell’accesso. La Corte ritiene non pertinente la prova richiesta, p. 24 (la richiesta era stravagante assai, sia in generale sia in presenza di un consumato uomo di mondo come Page). Il problema dell’accesso però è stato superato radicalmente, poichè Jimmy Page ammise di avere avuto una copia contenente Taurus anche se … negò di conoscere la canzone, p. 25  (cosa per vero sorprendente e in ogni caso interessante giuridicamente: se veramente non l’avesse mai sentita, è dubbio si sarebbe realizzato l’access all’opera, a meno di applicare una presuzione di conoscenza del tipo di quella prevuista per le dichiarazioni  recettizie dal nostro art. 1335 c.c.)

Nella parte 4 sono esaminate le istruzioni a suo tempo date alla giuria, che Skidmore contesta.

La più interessante è la prima, circa l’onere probatorio, p. 26 ss

I casi di copyright infringements spesso si riducono alla cruciale questione delle substantial similarities. In passato era opinione diffusa che questo profilo fosse legato a quello dell’accesso, per cui <<“a lower standard of proof of substantial similarity when a high degree of access is shown.” … . That is, “the stronger the evidence of access, the less compelling the similarities between the two works need be in order to give rise to an inference of copying.”>>, p.26

Regola invero poco comprensibile: ed infatti la Corte dichiara espressamente di abrogarla con un overruling , p. 26

Del resto il concetto di accesso non ha più molto senso nel mondo digitale, dice la Corte, visto che < increasingly diluted in our digitali interconnected World>> , p.  31

In ogni caso, nei limiti in cui il concetto di access ha ancora significato , <<the inverse ratio rule unfairly advantages those whose work is most accessible by lowering the standard of proof for similarity. Thus the rule benefits those with highly popular works, like The Office, which are also highly accessible. But nothing in copyright law suggests that a work deserves stronger legal protection simply because it is more popular or owned by better-funded rights holders>>. Infine, la inverse ratio rule <<improperly dictates how the jury should reach its decision. The burden of proof in a civil case is preponderance of the evidence. Yet this judge-made rule could fittingly be called the “inverse burden rule>>, p. 32 (v. anche il prosieguo importante nella seconda parte di p. 32).

Circa la seconda istruzione alla giuria (sull’originalità), la Corte ricorda la giurisprudenza sulla soglia minima di originalità richiesta: in particolare ricorda la notissima sentenza Feist ed altre successive: <<Even in the face of this low threshold, copyright does require at least a modicum of creativity and does not protect every aspect of a work; ideas, concepts, and common elements are excluded….Authors borrow from predecessors’ works to create new ones, so giving exclusive rights to the first author who incorporated an idea, concept, or common element would frustrate the purpose of the copyright law and curtail the creation of new works.>>, p. 33 (e p.38: <<originality requires at least “minimal” or “slight” creativity—a “modicum” of “creative spark”—in addition to independent creation>>).

Poi entra nel merito di teoria musicale, introducendo concetti come chords, arpeggio  o broken chord etc.. Infatti l’istruzione contestata diceva: <<that copyright “does not protect ideas, themes or common musical elements, such as descending chromatic scales, arpeggios or short sequences of three notes.>>, p. 35

La terza istruzione riguarda l’omissione di avere dato specifica istruzione alla giuria circa la <selection and arrangement theory>, p. 39 ss e spt. 43 ss: cioè un’istruzione circa la teoria per cui è proteggibile anche un’originale combinazione di elementi di per sè non originali. L’istanza è però respinta per motivi processuali cioè per non averla presentata in modo esplicito e autonomo (dunque con negligenza professionale dei difensori, direi).

E’ vero che Skidmore aveva evidenziato e invocato cinque elementi combinati, ma non li aveva invocati come originalità della combinazione: <<Skidmore and his expert underscored that the presence of these five musical components makes Taurus unique and memorable: Taurus is original, and the presence of these same elements in Stairway to Heaven makes it infringing. This framing is not a selection and arrangement argument. Skidmore never argued how these musical components related to each other to create the overall design, pattern, or synthesis. Skidmore simply presented a garden variety substantial similarity argument.>>, p. 44.        In altre parole Skidmore e i suoi esperti <<never argued to the jury that the claimed musical elements cohere to form a holistic musical design. Both Skidmore’s counsel and his expert confirmed the separateness of the five elements by calling them “five categories of similarities.” These disparate categories of unprotectable elements are just “random similarities scattered throughout [the relevant portions of] the works.”>>, p. 45.

Tale istanza dunque va rigettata <<because a copyright plaintiff “d[oes] not make an argument based on the overall selection and sequencing of. . similarities,” if the theory is based on “random similarities scattered throughout the works.”>>, 45/6. Infatti <<presenting a “combination of unprotectable elements” without explaining how these elements are particularly selected and arranged amounts to nothing more than trying to copyright commonplace elements.>>, p. 46. Solo una <<“new combination,” that is the “novel arrangement,” … and not “any combination of unprotectable elements . . . qualifies for copyright protection,”>>, p. 46

La mancanza di elementi originali e proteggibili in Taurus era la tesi centrale della difesa Led Zeppelin (dissenting opinion Ikuta, p. 60)

In sintesi, l’insegnamento sta qui: <<a selection and arrangement copyright is infringed only where the works share, in substantial amounts, the “particular,” i.e., the “same,” combination of unprotectable elements. …..A plaintiff thus cannot establish substantial similarity by reconstituting the copyrighted work as a combination of unprotectable elements and then claiming that those same elements also appear in the defendant’s work, in a different aesthetic context. Because many works of art can be recast  as compilations of individually unprotected constituent parts, Skidmore’s theory of combination copyright would deem substantially similar two vastly dissimilar musical compositions, novels, and paintings for sharing some of the same notes, words, or colors. We have already rejected such a test as being at variance with maintaining a vigorous public domain>>, pp. 46/7

A conclusione, la Corte così sintetizza così la propria posizione: <<This copyright case was carefully considered by the district court and the jury. Because the 1909 Copyright Act did not offer protection for sound recordings, Skidmore’s one-page deposit copy defined the scope of the copyright at issue. In line with this holding, the district court did not err in limiting the substantial similarity analysis to the deposit copy or the scope of the testimony on access to Taurus. As it turns out, Skidmore’s complaint on access is moot because the jury found that Led Zeppelin had access to the song. We affirm the district court’s challenged jury instructions. We take the opportunity to reject the inverse ratio rule, under which we have permitted a lower standard of proof of substantial similarity where there is a high degree of access. This formulation is at odds with the copyright statute and we overrule our cases to the contrary. Thus the district court did not err in declining to give an inverse ratio instruction. Nor did the district court err in its formulation of the originality instructions, or in excluding a selection and arrangement instruction. Viewing the jury instructions as a whole, there was no error with respect to the instructions. Finally, we affirm the district court with respect to the remaining trial issues and its denial of attorneys’ fees and costs to Warner/Chappell>> , p. 53 (in italiano, traduzione Google: <<Questo caso sul copyright è stato attentamente valutato dal tribunale distrettuale e dalla giuria. Poiché il Copyright Act del 1909 non offriva protezione per le registrazioni audio, la copia di deposito di una pagina di Skidmore ha definito l’ambito del copyright in questione. In linea con questa azienda, il tribunale distrettuale non ha commesso errori nel limitare la sostanziale analisi di somiglianza con la copia del deposito o la portata della testimonianza sull’accesso al Toro. A quanto pare, la denuncia di Skidmore sull’accesso è discutibile perché la giuria ha scoperto che i Led Zeppelin avevano accesso alla canzone. Affermiamo le contestate istruzioni della giuria del tribunale distrettuale. Cogliamo l’occasione per respingere la regola del rapporto inverso, in base alla quale abbiamo consentito uno standard inferiore di prova di sostanziale somiglianza in presenza di un elevato grado di accesso. Questa formulazione è in contrasto con lo statuto del copyright e noi annulliamo i nostri casi al contrario. Pertanto, il tribunale distrettuale non ha commesso errori nel rifiutare di impartire un’istruzione di rapporto inverso. Né il tribunale distrettuale ha commesso un errore nella sua formulazione delle istruzioni di originalità o nell’escludere un’istruzione di selezione e disposizione. Osservando le istruzioni della giuria nel loro insieme, non si sono verificati errori rispetto alle istruzioni. Infine, affermiamo il tribunale distrettuale per quanto riguarda le rimanenti questioni processuali e la sua negazione delle spese legali e dei costi per Warner / Chappell>>)

Come anticipato, cè una opinione (parzialmente) dissenziente del giudice Ikuta: il dissenso verte soprattutto sulla mancata istruzione data dalla Corte distrettuale circa l’originalità della combinazione di elementi di per sè non originali, scelta confermata dalla maggioranza e contestata da Ikuta, p. 63 ss (per altri profili di dissenso v. 69 ss.)

ora v. la nota anonima alla sentenza in Harvard law review https://harvardlawreview.org/2021/02/skidmore-v-led-zeppelin/

Esiste il copyright sui tatuaggi? Un’interessante sentenza della Corte Distrettuale di New York

I fatti sono i seguenti. La ditta Solid Oak Sketches LLC (di seguito: l’attore) agisce in giudizio contro 2k Games Incorporated e contro Take-two Interactive Software Incorporated, del medesimo gruppo, (di seguito: i convenuti), affermando che costoro nei loro videogiochi riproducono illecitamente i tatuaggi impressi sul corpo dei giocatori, tatuaggi su cui l’attore vanterebbe un copyright-

La vertenza è stata decisa dalla Southern District Court di New York il 26 marzo 2020, giudice Laura Taylor Wayne.

I convenuti sviluppano e vendono videogiochi e annualmente rilasciano un videogioco, che raffigura le squadre della NBA, tra cui anche i singoli giocatori con i  loro tatuaggi, pagina 3

Secondo l’attore, i convenuti hanno violato i suoi diritti, diffondendo opere per i quali era l’attore a detenere il copyright : in particolare sui cinque tatuaggi dipinti sui giocatori (dell’NBA) Eric Bledsoe, LeBron James, and Kenyon Martin, p.3.

L’attore ha licenza esclusiva su ciascuno di questi tatuaggi. Tuttavia è accertato che non è autorizzato ad applicarli alla pelle delle persone nè gode di publicity Right o diritti di marchio sull’aspetto/immagine (likeness; di seguito: immagine) dei giocatori, pagina 3.

I giocatori , poi, avevano dato licenza sull’immagine ad NBA, con facoltà di cederlo a terzi : e NBA così ha fatto, cedendoli proprio a Take Two.

i giocatori avevano ceduto pure a Take-two direttamente il diritto di usare il loro immagine pagine 3/4 (era il medesimo diritto, quindi acquistato da Take-Two due volte?).

La sentenza è ben fatta, perché dettaglia le circostanze fattuali sub iudice: ad esempio a pagina 6 ss. descrive il videogioco e come vengono visualizzati in esso i tatuaggi.

A pagina 8/9 viene specificato che l’attore non è entrato nel mercato delle licenze dei tatuaggi nè ha mai creato un videogioco che li rappresenti nè ha dato licenze in tal senso: probabilmente per dire che non era in concorrenza con le convenute, a fini del fair use e in particolare del 4° fattore  (v. sotto).

La domanda attorea viene rigettata sostanzialmente per tre motivi: 1) uso de minimis; 2) licenze implicita, 3) fair use.

1) De minimis , p. 11

La Corte ricorda i requisiti per poter accogliere la difesa de minimis, menzionando precedente giurisprudenza:

<<“To establish that the infringement of a copyright is de minimis, and therefore not actionable, the alleged infringer must demonstrate that the copying of the protected material is so trivial ‘as to fall below the quantitative threshold of substantial similarity, which is always a required element of actionable copying.’” Sandoval v. New Line Cinema Corp., 147 F.3d 215, 217 (2d Cir. 1998) (quoting Ringgold, 126 F.3d at 74).

The quantitative component of a de minimis analysis concerns (i) “the amount of the copyrighted work that is copied,” (ii) “the observability of the copied work – the length of time the copied work is observable in the allegedly infringing work,” and (iii) factors such as “focus, lighting, camera angles, and prominence.” Ringgold, 126 F.3d at 75 (citing 4 Melville B. Nimmer & David Nimmer, Nimmer on Copyright §§ 13.03[A][2] (1997)). “[O]bservability of the copyrighted work in the allegedly infringing work” is fundamental to a determination of whether the “quantitative threshold” of substantial similarity has been crossed. Sandoval, 147 F.3d at 217>>

Viene precisato che la somiglianza sostfanziale (Substantial similarity) va determinata <<through application of the “ordinary observer test,” which considers “whether an average lay observer would recognize the alleged copy as having been appropriated from the copyrighted work.” Rogers v. Koons, 960 F.2d 301, 307 (2d Cir. 1992) (internal quotation marks omitted). In other words, the Court considers “whether the ordinary observer, unless he set out to detect the disparities, would be disposed to overlook them, and regard their aesthetic appeal as the same.” Id. at 307-08 (internal quotation marks omitted). Summary judgment may be granted on a de minimis use claim when “no reasonable trier of fact could find the works substantially similar” >>, p. 11-12.

A pagina 13 vengono poi indicati i fatti che portano a ravvisare il non superamento della soglia de minimis:

  • The Tattoos only appear on the players upon whom they are inked, which is just three out of over 400 available players. The undisputed factual record shows that average game play is unlikely to include the players with the Tattoos;
  • even when such players are included, the display of the Tattoos is small and indistinct, appearing as rapidly moving visual features of rapidly moving figures in groups of player figures;
  • furthermore, the Tattoos are not featured on any of the game’s marketing materials.
  • when the Tattoos do appear during gameplay (because one of the Players has been selected), the Tattoos cannot be identified or observed.
  • the Tattoos are significantly reduced in size: they are a mere 4.4% to 10.96% of the size that they appear in real life. The video clips proffered by Defendants show that the Tattoos “are not displayed [in NBA 2K] with sufficient detail for the average lay observer to identify even the subject matter of the [Tattoos], much less the style used in creating them.”

Per cui la conclusione è: <<while Plaintiff previously asserted that NBA 2K “employs the broad range of the video game’s features to focus, angle the camera on, or make the subject tattoos more prominent” (March Ord. at 7-8), Plaintiff has not proffered any evidence to support that proposition. The undisputed evidence of record shows that Defendants’ use of the Tattoos in NBA 2K falls below the quantitative threshold of substantial similarity.>> , p. 14.

2) Licenza implicita, p.  14 seguenti

I convenuti affermano di aver avuto una licenza implicita di raffigurare i tatuaggi come parte della licenza sull’immagine.

Anche questa difesa viene accolta: <<Here, the undisputed factual record clearly supports the reasonable inference that the tattooists necessarily granted the Players nonexclusive licenses to use the Tattoos as part of their likenesses, and did so prior to any grant of rights in the Tattoos to Plaintiff. According to the declarations of Messrs. Thomas, Cornett, and Morris,

(i) the Players each requested the creation of the Tattoos,

(ii) the tattooists created the Tattoos and delivered them to the Players by inking the designs onto their skin, and

(iii) the tattooists intended the Players to copy and distribute the Tattoos as elements of their likenesses, each knowing that the Players were likely to appear “in public, on television, in commercials, or in other forms of media.” (Declaration of Justin Wright (“Wright Decl.”), Docket Entry No. 133, ¶ 10.)

Thus, the Players, who were neither requested nor agreed to limit the display or depiction of the images tattooed onto their bodies, had implied licenses to use the Tattoos as elements of their likenesses. Defendants’ right to use the Tattoos in depicting the Players derives from these implied licenses, which predate the licenses that Plaintiff obtained from the tattooists.>>, p. 15

Si notino le tre circostanze sub i-ii-iii.

La Corte su questa eccezione conclude dunque: <<Therefore, Defendants had permission to include the Tattoos on the Players’ bodies in NBA 2K because the Players had an implied license to use the Tattoos as part of their likeness, and the Players either directly or indirectly granted Defendants a license to use their likenesses.>>, p. 16

3) Fair use counterclaim (corrisponde al nostro domanda/eccezione riconvenzionale)

La disposizione sul fair use è contenuta nel paragrafo 107 il capitolo 17 del US code che così recita:

<<Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work, including such use by reproduction in copies or phonorecords or by any other means specified by that section, for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching (including multiple copies for classroom use), scholarship, or research, is not an infringement of copyright. In determining whether the use made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered shall include—

(1) the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit educational purposes;

(2) the nature of the copyrighted work;

(3) the amount and substantiality of the portion used in relation to the copyrighted work as a whole; and

(4) the effect of the use upon the potential market for or value of the copyrighted work>>.

Si notano i quattro requisiti che il giudice deve considerare, per decidere se ricorra o meno il fair use e che pure la Corte ha esaminato, uno per uno.

Circa 1),  pp- 17-19, la Corte ravvisa la natura transformative cioè elaborativa del uso dei tatuaggi. Si osservi il dettaglio fattuale con cui il giudice arriva a questa conclusione : dicendo d’esempio che i tatuaggi appaiono in una dimensione dal 4,4% al 10,96% della loro dimensione reale, pagina 18.

Circa 2) , la Corte osserva che tale fattore va così inteso: <<This factor “calls for recognition that some works are closer to the core of intended copyright protection than others, with the consequence that fair use is more difficult to establish when the former works are copied.” Blanch, 467 F.3d at 256 (internal quotation marks omitted). Courts consider two factors in evaluating whether the copyrighted work is of the nature that is conducive to fair use: “(1) whether the work is expressive or creative . . . or more factual, with a greater leeway being allowed to a claim of fair use where the work is factual or informational, and (2) whether the work is published or unpublished, with the scope for fair use involving unpublished works being considerably narrower.>>, p. 19.

E sulla base di ciò ravvisa il fair use, dato che :

– l’attore riconosce che i tatuaggi erano già stati in precedenza resi pubblici,

– i tatuaggi sono più factual che expressive perché ciascuno di essi riproduce oggetti comuni e che non avevano creato gli autori del tatuaggio, pagina 19 20. Cioè in pratica l’originalità è modesta.

– gli stessi autorui del tatuaggio avevano riconoscouto di aver copiato motivi comuni e diffuisi., p. 20

Circa 3), il giudice rileva che i tatuaggi erano stati sì copiati per intero, ma solo per creare l’elaborazione e cioè realizzare un’esperienza di gioco realistica: cosa non evitabile, se si voleva permettere questa possibilità elaborativa, pagina 21

Circa 4), la Corte esamina l’incidenza sul business dell’attore, p. 21-22-. Qui il giudice dice, da un lato, che l’uso elaborativo non incide sul business dell’opera originaria (non lo priva di significant revenue); dall’altro, che è improbabile che si sviluppi un mercato del  licensing per i tatuaggi nei videogiochi o in altri media.

Per questo accoglie pure la domanda riconvenzionale di fair use.

La proteggibiltià dei tatuaggi tramite diritto d’autore non è questione nuova.

Dalla sentenza si ricava che, sebbene la risposta sia astrattamente positiva, i tre fattori addotti (soglia de minimis, licenza implicita, fair use) faranno si che concretamente la protezione d’autore verrà concessa con molta difficoltà.