Anche la regia di opera lirica costituisce opera protetta dalla legge di autore

Cass. 17.565 del 18.06.2021, rel. Nazzicone, RCS Mediagroup c. De Bosio, afferma la proteggibilità  d’autore della regia teatrale o meglio di opera lirica.

RCs aveva pubblicato su Sette del Corsera una fotografia dell’Arena di Verona dall’alto e conseguente riproduzione della scenografia dell’Aida ivi presente, affemando  trattarsi di quelle predisposte dal regista Zeffirelli .

Si trattava invece di quelle prèedisposte dal regista De Bosio Gianfranco, il quale agì dunque per danni patrimoniali e non.

La SC conferma la corte di appello che aveva accertato la proteggibilità e condannato RCS a risarcire un danno di euro 5.200,00.

la SC premette qualche considerazione sull’interpretazione letterale e sistematica, ricordando la inaccettabilità del canone per cui in claris non fit interpretaio (considerazioni forse necessarie).

Poi entra in medias res.

<<2.5. orbene, l’opera dell’ingegno consistente nella regia teatrale di opera lirica a contenuto creativo è ricompresa nella nozione generale dell’art. 1, l.a.: il quale, al pari del sopraggiunto art. 2575 c.c., e con proclama di principio, dispone che sono protette le opere dell’ingegno di carattere creativo, enumerando i campi della letteratura, della musica, delle arti figurative, dell’architettura, del teatro e della cinematografia, in qualunque forma di espressione.

La lettera della norma, laddove con ampia previsione contempla il prodotto della creatività umana, in una con la ratio della disciplina, volta a tutelare il diritto morale e patrimoniale di autore – diritto soggettivo assai peculiare, connesso a quanto di più tipico ed imponderabilmente prezioso scaturisca dall’intelletto umano, autentico valore per l’umanità presente e futura – inducono a ricondurre all’enunciato anche l’opera di regia

La regia, invero, quale “reggenza” o “direzione”, per definizione “tiene insieme” l’intero spettacolo: sia esso cinematografico, teatrale o lirico, si tratta della decisione ultima su tutte le componenti che contribuiscono al risultato definitivo, dall’a scenografia ai costumi, dal ritmo ai movimenti sul palco, dai toni alle pause, dai colori alle luci. Come tale, essa è suscettibile del più alto contenuto creativo, secondo la fattispecie normativa ricordata..

La mancata esplicita menzione nelle norme dalla ricorrente richiamate, dunque, non è significativa del principio opposto.>>

Seguono precisazione di storia dell’arte: <<Sotto il profilo storico, si può osservare altresì come, all’epoca della approvazione del R.D. n. 633 del 1941, la notorietà raggiunta specialmente dal cinema americano (le Major) ed Europeo aveva reso ormai palese la rilevanza della regia cinematografica, sorte non ancora occorsa a quella teatrale, all’epoca forse ancora non ben percepita come autonomo ed originale contributo, atteso il predominante rilievo degli attori protagonisti, con la loro personalità ed anche con i loro capricci, sulle scelte artistiche.

Nondimeno, l’ampia previsione letterale e la ratio ricordate sono certamente idonee ad estendere la protezione alla regia teatrale, sia essa di sole parole o di quella particolare forma espressiva che coniuga musica e teatro, qual è l’opera lirica.

Se, nel corso dell’Ottocento, quando fu per la prima volta siglata la Convenzione di Berna del 1887, e poi nella prima metà del Novecento, allorchè furono emanati il regio decreto sul diritto d’autore ed il codice civile, l’opera lirica era affidata spesso allo stesso autore delle musiche, donde la preponderanza assoluta del musicista e del librettista, nonchè degli interpreti, in seguito, allontanandosi nel tempo la prima rappresentazione, è stato via via più chiaro l’apporto determinante, soggettivo ed ampiamente personale e creativo delle diverse “letture” di un testo o di un’opera da parte di una figura a sè stante, il regista.

Onde, da una sorta di presunzione di mera diligente o puramente “descrittiva” messa in scena da parte del regista – figura, per vero, spesso rimasta sconosciuta nelle rappresentazioni di quelle epoche è stato gradualmente più chiaro come soprattutto dai caratteri della “lettura registica” dipenda il risultato ultimo di questi spettacoli: la capacità di suscitare emozione.

Ecco, dunque, che un testo, pur toccante, può alla prova dei fatti lasciare indifferenti, mentre un altro, all’apparenza neutrale, può invece indurre a commozione: ciò che fa la differenza è l’interpretazione artistica di chi abbia il compito di mettere in scena il testo, di trovare il “tono” mediante le scelte di orientamento e di governo di tutti i complessi fattori sopra ricordati.

Pertanto, qualora tale apporto creativo sussista, l’attività di regia è tutelata dalla disciplina sul diritto d’autore.>>

principio di diritto: <<“L’opera dell’ingegno, consistente nella regia teatrale di opera lirica, è ricompresa nella nozione generale del R.D. n. 633 del 1941, art. 1, in forza dell’ampia lettera della disposizione, la quale, al pari di quella del sopraggiunto art. 2575 c.c., ed in piena coerenza con la ratio della disciplina, contempla il prodotto della creatività umana quale oggetto di tutela, non potendo valorizzarsi, in contrario, la mancanza di esplicita menzione della regia predetta nella legge sul diritto d’autore o nella Convenzione di Berna, entrata in vigore il 5 dicembre 1887, e ciò tutte le volte che si debba riconoscere un apporto personale e creativo della “lettura” dell’opera da parte del regista, come è compito del giudice del merito accertare”.>>

Sono tutelabili via copyright gli Emojis?

Dice di si, l’ufficio USA.

Con decisione 26.07-.2021 il Copyright Review Board decide il reclamo amministrativo, proposto da Apple, su alcuni Emojis (evoluzione degli Emoticons), basati sulla riproduzione di un cuore rosso con qualche variante: v. immagini nel file qui linkato.

Alcuni sono costituiti da forme banali e quindi non proteggibili; altri invece da forme più originali e quindi sono ammessi alla protezine.

Si v. la motivazione su ciascuna immagine (fissa o in movimento)  fornita dal’Ufficio.

(notizia e link alla decisione dal blog di Eric Godlman)

Diritto di sincronizzazione musicale e risarcimento del danno tramite prezzo del consenso

Trib. Milano di circa un anno fa decide una domanda di danno etc. per violazione dei diritto di autore tramite una sincronizzazione abusiva di opera musicale in spot pubblicitario (Trib. Milano 02.11.2020 n. 6832/2020, RG 5498472016, Accordo ediz. musicali c. Gestipharm +1, rel. Zana) .

Sulla sincronizzazione (a cavallo di riproduzione ed elaborazione dell’opera):

<<Attesa  la  sua  natura  esclusiva,  assoluta  ed  opponibile  erga  omnes, l’opera musicale non può essere legittimamente riprodotta, utilizzata e sincronizzata senza il consenso del titolare dei relativi diritti. La mancata autorizzazione comporta la violazione dei diritti esclusivi.

In particolare, il diritto di sincronizzazione consiste nel diritto di abbinare o di associare opere musicali o  fonogrammi  con  opere  audiovisive  o  con  altro  tipo  di  opere,  e  si  attua  con  la  loro  fissazione  in sincrono con una sequenza di immagini.

La sincronizzazione è dunque un atto complesso che permette il riadattamento dell’opera musicale (Cass. sez.1, 12.12.2017, n.29811) .

Creando un prodotto nuovo e diverso, le attività di cui la sincronizzazione necessita sono riconducibili a diritti esclusivamente riservati all’autore/editore, quali:  a) la fissazione dell’opera su un supporto e/o mezzo audiovisivo, idoneo a riprodurre suoni o immagini; b) la riproduzione dell’opera;  c)  l’inserimento  dell’opera  in  un  prodotto  nuovo,  che  necessariamente  presuppone  la  sua manipolazione ed il suo adattamento.

Quanto  alla  specifica  sincronizzazione  dei  singoli  fonogrammi,  si  rende  necessario  altresì  il  consenso del produttore fonografico>>

Quanto alla deterimnazine del danno patrimoniale (chiesto in euro 60.000,00):

<<Ritiene  l’Ufficio,  ai  fini  della  cristallizzazione  del  danno,  di  ricorrere  al  criterio  necessariamente equitativo ex art. 1226 c.c. e di utilizzare, quale parametro di valutazione, il prezzo del consenso, ossia l’importo che la titolare  avrebbe  verosimilmente  richiesto  per  consentire  alla  convenuta  di  utilizzare l’opera  musicale  nelle  proprie  pubblicità  commerciali.    Il  prezzo  del  consenso  deve  tener  conto,  quali elementi di ponderazione, della durata della lesione e della notorietà dell’opera.  A tale fine l’Ufficio ritiene di poter procedere senza necessità di attività tecniche alla luce:

– dei contratti versati agli atti dall’attrice e stipulati con soggetti terzi -estranei  alla  lite-  per  la sincronizzazione  di  alcuni  pezzi  musicali  in  altrettanti  analoghi  spot  pubblicitari,  ove  viene specificamente pattuito il prezzo del consenso con il titolare dei relativi diritti, con importi che oscillano da € 20.00,00 ad € 120.000,00 (cfr. in particolare documenti n.23, 25, 26, 27 e 28 di parte attrice) ;

– della durata della lesione sulle reti televisive, protrattasi dal 9.10.2015 al 10 dicembre 2015;

– dell’impiego, su molteplici canali promozionali, dell’hashtag promozionale Guaglione (cfr. doc. 4, 13, 14,15 di parte attrice). 

Parte  convenuta  non  ha infine adempiuto all’ordine di esibizione disposto dal giudice istruttore con ordinanza ritualmente notificata. Ritiene  dunque  il  Collegio  congruo  liquidare  l’importo,  a  titolo  di  risarcimento  del  danno,  di  € 50.000,00- già liquidato in moneta attuale- oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo.>

Sentenza milanese sulla riscossione dell’equo compenso da sfruttamento cinematografico ex art. 46 bis l. aut.

Viene fatta circolare ora Trib, Milano n° 7903/2020 del 03.12.2020, Rg 57224/2018, Sky italia c. SIAE ,che decide la lite sulla raccolta del compenso ex art. 46 bis l. aut.

I punti principali:

– tale raccolta non rientra nell’esclusiva di legge a favore della SIAE (dopo la dir. UE 26/2014 e il d. lgs. 35/17)

– la richiesta generalizzata dei compensi in mancanza di esclusiva ex lege e di incarico contrattuale costituisce abuso di posizione dominante nel mercato, merceologicamente determinato nel <<mercato specifico che attiene alla riscossione e ripartizione dell’equo compenso previsto dall’art. 46 bis l.a. che si pone in via del tutto autonoma ed indipendente rispetto ad altri diritti.>>, p. 19

<<Se infatti è del tutto pacifico in atti che attualmente SIAE gestisce la riscossione di tutti i proventi ex art. 46 bis l.a. per la totalità degli autori delle opere cinematografiche utilizzate dalle emittenti e cioè anche di quelli dovuti ad autori ad essa non associati o che non abbiano ad essa conferito alcun mandato la mancanza di una riserva legale che giustifichi l’attività di un unico ente di riscossione consente di individuare l’esistenza di un mercato concorrenziale potenziale che vale ad integrare un  ambito di sostituibilità dell’offerta di tali servizi da parte degli altri operatori indicati nel d.lsvo 35/17 (organismi di gestione collettiva ed enti di gestione indipendente).>>

La condotta di SIAE costituituisce abuso di posizione dominante laddove <<si è presentata dinanzi agli utilizzatori deelle opere cinematografiche come unico ente di riscossione dell’equo compenso con funzione di ripartizione di esso rispetto alla generalità degli autori delle opere stesse, a prescindere dall’esistenza di un rapposto volontario di rappresentanza ad essa conferito da ciascuno di essi in base alla manifestata volontà di associazione a SIAE o di conferire ad essa specifico mandato>>, 21-22

Tra le parti (e a seguito di precedente processo) era stata stipulato accordo nel 2015 che stabiliva gli obblighi di SKY per l’equo compenso cinema. Che SKY l’avesse liberamente sotto scritto non fa venir meno la sua impugnabilità: v. ad es. Corte giustizia 20.09.2001, C-453/99, caso Courage , come pure è pacifico se lo si ritiene nullo per violazione di norma imperativa (il passaggio sulla nullità: <<La clausola abusiva posta in essere da soggetto in posizione dominante viola in effetti l’ordine pubblico del mercato e la necessaria razionalità del suo assetto, violazione che connota il patto negoziale in termini di illiceità cui consegue la sua nullità (virtuale). La natura escludente dell’abuso induce infatti a ritenere l’esistenza di causa illecita, non già la mera violazione di una regola di comportamento.  L’eccezione di nullità dell’Accordo 13.2.2015 ai sensi dell’art. 1418 c.c.deve dunque essere ritenuta fondata >>, p. 23).

A maggiore ragione non fa venir meno l’impugnabilità (cioè non costituisce un venire contra factum proprium) la libera sottoscrizione del predetto accordo: infatti non era probabilmente tanto “libera”, se conseguente ad esercizio abusivo di posizione dominante

Infine, è processualmente  interessante la dichiarazione di inammissibilità e l’ordine di espunzione dal fascicolo (“dal giudizio”) dei doceumenti tardivamente introdotti.   Resta da vedere come si concretizzerà l’espunzione

Software, decompilazione e tutela d’autore in sede europea (dopo le conclusioni dell’A.G., arriva la C.G.)

E’ messa la parola fine alla lite intorno al diritto di intervenire sul software quando sia necessario per rimediare ad errori, <<anche quando la correzione consista nel disattivare una funzione che incide sul corretto funzionamento dell’applicazione di cui fa parte il programma stesso.>>

Dopo le conclusioni 10.03.21 dell’avvocato generale accennate in mio post,  interviene la CG con sentenza 06.10.2021, C-13/20, Top System c. Stato belga.

La CG risponde positivamente al quesito del giudice belga: l’acquirente del software può decompilarlo quando necessario per rimediare ad errori e ciò  anche si deve  disattivarne un afunzione.

Interpretazione non molto difficile, peraltro: il concetto di <<correzione di errori>> (art. 5.1 dir. 1991 n. 250) porta tranquillamente a ciò.

Nè vi osta la disciplina sulla decompilazione ex art. 6 dir. cit., che si limita a regolarne un’ipotesi di liceità: non c’è alcun motivo per ritenerla l’unica (§§ 48-50). L’intepretazione complessiva degli artt. 5 e 6 lo conferma senza esitazione.

Ne segue che non ha alcuna base testuale nè logica pretendere per il caso di correzione degli errori i requisiti pretesi per la diversa ipotesi di decompilabilità ex citato art. 6.1 (§§ 68).

Tutto sommato decisione facile.

La CG accenna poi alla regolabilità contrattuale dell’evenienza di errori, § 66-67: non può portare all’esclusione totale del diritto di decompilazione. In altre parole questo è indisponibile, perchè posto da norma imperativa.

Infine sarà importante capire quando la decompilazione è realmente <necessaria> alla correzione.

Copia privata su server in cloud ed equo compenso in diritto di autore

Interviene l’avvocato generale (AG) , C-433/20, 23.09.2021, Austro-Mechana Gesellschaft  c. Strato AG sulla questione del se la copia privata, memorizzata in cloud tramite apposito servizio,  costituisca <immissione in commercio di supporto di registrazione> che obbliga al pagamento dell’equoo compenso ex art. 5.2.b Dir. UE 29 del 2001 e disposizione austriaca attuativa .

Questioni sottoposte (§ 22):

«(1)      Se la nozione “su qualsiasi supporto” di cui all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva [2001/29] debba essere interpretata nel senso che essa include anche i server di proprietà di terzi, i quali mettono ivi a disposizione di persone fisiche (clienti) a fini privati (e non per scopi di lucro diretti o indiretti) uno spazio di archiviazione, che i clienti utilizzano per effettuare riproduzioni mediante archiviazione («cloud computing»).

(2)      In caso di risposta affermativa: se la disposizione citata nella prima questione debba essere interpretata nel senso che essa si applica ad una normativa nazionale in base alla quale l’autore ha diritto ad un equo compenso (compenso per supporto di registrazione):

–        qualora debba presumersi che di un’opera (trasmessa a mezzo radio, messa a disposizione del pubblico ovvero trasferita su un supporto di registrazione prodotto a fini commerciali), vengano effettuate, in considerazione della sua natura, riproduzioni a fini personali o privati, mediante memorizzazione su un “supporto di registrazione di qualsiasi tipo idoneo a riproduzioni di tal genere e immesso in commercio nel territorio nazionale”,

–        e nel caso in cui, a tal fine, venga impiegato il metodo di archiviazione descritto nella prima questione».

Sulla prima lAG risponde posirivamente: la dir. comprende anche i supporti usati non tramite l’esercizio del dir. di proprietà sulla res ma solo fruendo del servizio di cloud hosting., spt. § 35 ss

La risposta era qui abbastanza semplice.

E’ invece più difficile, come intuibile, rispondere alla seconda (anche perchè la domanda è mal posta: la UE non può dire se la disposizione è interpretabile o no in un certo modo ma se una certa disposizione -o, al limite,  una sua interpretazione- è o meno compabitile con il diritto UE). Il precedente di riferimento in tema di copia privata è naturalmente la sentenza del 2010  nel caso Padawan, C-467/08.

La premessa è che la dir. nell’art. cit. vuole che l’eccezione << di cui all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva non sia in contrasto con lo sfruttamento normale (58) dell’opera o degli altri materiali protetti e non arrechi ingiustificato pregiudizio agli interessi legittimi (59) del titolare.>>, § 64.

Il che, applicato al caso de quo, porta l’AG a … non giudicare la disposizione interna austriaca per mancanza di dati istruttori sull’entità di danno che la non imposizione nel caso de quo produrrebbe ai titolari dei dirtitti , rinviando dunque al giudice a quo. Bisogna infatti prima capire, dire,  se un equo compenso derivi ai titolati già da smartphone o altri devices, tal che l’imposizione pure sulla riproduizione in cloud risulti eccessiva

Precisamente: <<70.     A mio avviso, data la natura necessariamente imprecisa dei prelievi forfettari sui dispositivi o sui supporti, occorre essere prudenti prima di associare tali prelievi forfettari ad altri sistemi di remunerazione o di innestarvi altri prelievi per i servizi cloud senza condurre preventivamente uno studio empirico in materia – e senza stabilire, in particolare, se l’uso combinato di tali dispositivi/supporti e servizi arrechi un danno aggiuntivo ai titolari dei diritti – in quanto ciò potrebbe dar luogo a una sovracompensazione e alterare il giusto equilibrio tra titolari dei diritti e utenti di cui al considerando 31 della direttiva 2001/29.

71.      Inoltre, se non si tiene conto della riproduzione/memorizzazione nel cloud, vi può essere il rischio di sottocompensare il danno arrecato al titolare dei diritti. Tuttavia, poiché l’upload e il download di contenuti protetti dal diritto d’autore sul cloud mediante dispositivi o supporti potrebbe essere classificato come un unico processo ai fini della copia privata, gli Stati membri hanno la possibilità, alla luce dell’ampio potere discrezionale di cui dispongono, di istituire, se del caso, un sistema in cui l’equo compenso è corrisposto unicamente per i dispositivi o i supporti che costituiscono una parte necessaria di tale processo, purché ciò rifletta il pregiudizio arrecato al titolare del diritto dal processo in questione.

72.      In sintesi, quindi, non è dovuto un prelievo o un contributo separato per a riproduzione da parte di una persona fisica a fini personali basata su servizi di cloud computing forniti da un terzo, purché i prelievi pagati per i dispositivi/supporti nello Stato membro in questione riflettano anche il pregiudizio arrecato al titolare del diritto da tale riproduzione. Se uno Stato membro ha infatti scelto di prevedere un sistema di prelievo per i dispositivi/media, il giudice del rinvio è in linea di principio legittimato a presupporre che ciò costituisca di per sé un «equo compenso» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, a meno che il titolare del diritto (o il suo rappresentante) possa dimostrare chiaramente che tale pagamento sia, nelle circostanze del caso di specie, inadeguato.

73.      Questa valutazione – che richiede una notevole competenza economica e a conoscenza di numerosi settori – deve essere effettuata a livello nazionale dal giudice del rinvio>>

Da noi la disposizione di riferimento è l’art. 71 sexiex l. aut.

L’embedding di altrui post Instagram non costituisce comunicazione al pubblico

Secondo il Tribunale del northern district della california, 17.09.2021, Hunley e altri c. Instagram, caso 21-cv-03778-CRB, inserire nel proprio sito una fotografia latrui reperita su Instagram con lo strumento “embedding tool” non costituisce <display> e dunque non viola il diritto <<to display the copyrighted work publicly; >> (§ 106.5 del 17 US code).

Ciò sulla base di una interpretazione dei concetto di copy , di fixed e di display posta dalla decisione del 2007 Perfect 10 v. Amazon, secondo cui <<an “image is a work that is ‘fixed’ in a tangible medium of expression, for purposes of the Copyright Act, when embodied (i.e., stored) in a computer’s server (or hard disk, or other storage device).” Id. (internal quotation marks omitted). If a website publisher does not “store” an image or video in the relevant sense, the website publisher does not “communicate a copy” of the image or video and thus does not violate the copyright owner’s exclusive display right. Id.  This rule is known as the “server test.”>>.

Deicsione assai opinabile per un doppio passaggio logico di dubbia fondatezza:

i) che la legge sia interpretabile come dice Perfect 10 (ma qui -probabilmente- opera in prima battuta il vincolo del precedente, proprio della common law);

ii) che Perfect 10 sia interpetabile come dice il giudice californiano de quo

Infatti nessuna delle due fonti dice che lo storage del convenuto debba avvenire sui propri PC . Allora si può desumerne che per entrambi è ammssibile che la violazione avvenga con fissazione su PC di terzi , di cui il convenuto abbia per qualche motivo (lecito o illecito) il controllo . Come nel caso de quo, ove l’embedding fa rimanere il post fisicamente sui server di Instagram.

Sul produttore fonografico e sull’opera musicale in diritto di autore

Cass. 29.07.2021 n. 21.831, rel. Scotti, si pronuncia su una lite inerente alla disciplina del produttore fonografico ex art. 78 l. aut.

L’iniziale attore aveva avanzato  varie domande, tra cui:- accertamento della propria qualtà di produtture della colonna sonora poi usata dai conveuti per la realizzazione di un noto film; – rimedi conseguenti all’uso pretesamente non autorizzato del disco relativo.; – accertametno dell’essere coautore del testo dell’oepra musicale (art. 33 ss l. aut.) e di essere diretore di orchestra e arrangiatore con diritto alla menzionato nel film e nel cd-DVD.

I convenuti contestavano ciò.

I motivi di ricorso di questi ultimi in Cass. sono però respinti in toto.

Essendo la sentenza quasi tutta relativa a circostanze fattuali o processuali, ricordo qui solo i due principi di diritto enunciati:

  • «In tema di diritto d’autore, l’art.21 I.d.a. – secondo il quale l’autore di un’opera anonima e pseudonima ha sempre il diritto di rivelarsi e di far conoscere in giudizio la sua qualità di autore – è sempre revocabile l’originaria dichiarazione con la quale l’autore di un testo musicale abbia chiesto di non essere menzionato come tale
  • «In tema di titolarità dei diritti autorali, ai sensi dell’art.83 I.d.a. gli artisti interpreti e gli artisti esecutori che sostengono le prime parti nell’opera o composizione drammatica, letteraria o musicale (fra cui il direttore di orchestra ai sensi del precedente art. 82) hanno diritto che il loro nome sia indicato nella comunicazione al pubblico della loro recitazione, esecuzione o rappresentazione e venga stabilmente apposto sui supporti contenenti la relativa fissazione, quali fonogrammi, video grammi o pellicole cinematografiche (nella specie DVD e CD considerati autonomi e distinti supporti).»

Ma la parte più interessante della lite è quella relativa alla scelta di riconoscere la qualità di produttore in capo all’originario attore: in particolari quali sono stati i fatti valorizzati per tale esito.

Si v. il passo della sentenza di primo grado (Trib. Milano 20.05.2014 n° 6487/2014, RG 52050/2009),

<<In questo caso, indicazioni univoche e concordanti della veste di produttore in capo al Maestro sembrano desumersi:

a) dalla condotta successiva tenuta stabilmente per decenni dalle parti dopo la conclusione dell’accordo, elemento che l’art. 1362, comma 2, c.c. (primo oggetto della ricerca dell’interprete ove il dato letterale non sia chiaro, Cass. 16022/02) consente di considerare rilevante ai fini della ricostruzione dell’assetto degli interessi voluti dalle parti.
Qui in particolare è pacifico che:
i nastri delle registrazioni sono nel possesso pacifico e non contestato da oltre quarant’anni di Mariano Detto, al quale non è mai stata richiesta la restituzione, neppure a decorrere dalla data in cui, secondo parte convenuta, sarebbe stata revocata la concessione dei diritti conferiti al Maestro;
nel 1980, terminato il rapporto di licenza a CGS, il Maestro ha pubblicato direttamente su disco la colonna sonora musicale de qua sotto la propria etichetta discografica (doc.14): tale pubblicazione non risulta essere mai stata contestata dal Clan;
-la “concessione dei diritti discografici” a favore del Maestro non è mai stata formalmente né informalmente revocata da parte del Clan; [elemento però assai dubbio, valorizzabile anche in senso opposto: v. anche sotto]
b)  dall’assetto economico dei rapporti tra le parti, più complesso di un semplice sinallagma sostanziale: come accennato, le composizioni di cui si tratta costituivano la colonna musicale del film del quale il Clan era produttore, mentre la colonna sonora veniva curata da un altro soggetto (il Maestro appunto, cfr. doc.6). Inoltre il terzo CBS era legato da un contratto discografico con Adriano Celentano (cfr. lettera 6.3.1975,di CBS, sottoscritta dal convenuto, dal Maestro, nonché da Detto Music di Detto Mariano e Love Record, doc. 6 di parte attrice)sotto l’etichetta Clan: il fatto non è contestato.
In questo contesto, ritiene il Collegio che la lettera del 30.4.1974 sottoscritta dalla produttrice del film -Clan Celentano Films- intendesse regolare definitivamente i rapporti tra le parti nel senso che –fermo il c.d. diritto di sincronizzazione del Clan consistente nella facoltà di utilizzare la musica in abbinamento alle immagini del film- venivano riconosciuti a Mariano Detto i diritti di utilizzazione delle composizioni musicali pubblicate in via autonoma rispetto al Film

La locuzione “concessione dei diritti di utilizzazione discografica” non significa allora il riconoscimento e/o il mantenimento della qualità di produttore in capo a Clan, ma indica l’attribuzione in via definitiva- senza infatti alcun limite temporale e territoriale- dei diritti di utilizzazione economica delle composizioni musicali litigiose in capo al Maestro.>>

(la cit. lettera  30.4.1974 a suo tempo indirizzata dal Clan all’attore processuale era di questo tenore : << “a compenso di ogni e qualsiasi prestazione professionale da lei effettuata per la realizzazione della colonna sonora del film in oggetto, noi le concediamo il diritto di utilizzazione discografica della colonna sonora stessa” >>)

Comunicazione al pubblico in diritto di autore e ruolo delle piattaforme di condivisione dei file caricati dagli utenti

In giugno, giorno 22,  è finalmente stata emessa la sentenza della Corte di Giustizia CG nei due procedimenti C‑682/18 e C‑683/18, promossi da titolari ti diritti (Peterson e Elsevier) contro Google-Youtube e rispettivamente Cyando.

La due cause si assomigliano molto (sono state riunite), anche se c’è qualche differenza fattuale, soprattutto tecnica nel funzionamento delle due piattaforme.

Il quesito è duplice (ce ne è un terzo specifico al diritto tedesco sulle condizioni dell’inibitoria, di cui non mi occupo) :

i) la presenza e proposizione di file illeciti rende la piattaforma autrice di violazione della comunicazione al pubblico in diritto di autore (art. 3 dir. 29/2001)?

ii) la piattaforma può fruire del safe harbour ex art. 14/1 dir. commercio elettronico 2000/31?

Ebbene, sub i) : <<l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore deve essere interpretato nel senso che il gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file, sulla quale utenti possono mettere illecitamente a disposizione del pubblico contenuti protetti, non effettua una «comunicazione al pubblico» di detti contenuti, ai sensi di tale disposizione, salvo che esso contribuisca, al di là della semplice messa a disposizione della piattaforma, a dare al pubblico accesso a siffatti contenuti in violazione del diritto d’autore. Ciò si verifica, in particolare, qualora tale gestore sia concretamente al corrente della messa a disposizione illecita di un contenuto protetto sulla sua piattaforma e si astenga dal rimuoverlo o dal bloccare immediatamente l’accesso ad esso, o nel caso in cui detto gestore, anche se sa o dovrebbe sapere che, in generale, contenuti protetti sono illecitamente messi a disposizione del pubblico tramite la sua piattaforma da utenti di quest’ultima, si astenga dal mettere in atto le opportune misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente diligente nella sua situazione per contrastare in modo credibile ed efficace violazioni del diritto d’autore su tale piattaforma, o ancora nel caso in cui esso partecipi alla selezione di contenuti protetti comunicati illecitamente al pubblico, fornisca sulla propria piattaforma strumenti specificamente destinati alla condivisione illecita di siffatti contenuti o promuova scientemente condivisioni del genere, il che può essere attestato dalla circostanza che il gestore abbia adottato un modello economico che incoraggia gli utenti della sua piattaforma a procedere illecitamente alla comunicazione al pubblico di contenuti protetti sulla medesima>>, § 102.

Sub ii): <<Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni seconda e terza sollevate in ciascuna delle due cause dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico deve essere interpretato nel senso che l’attività del gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione, purché detto gestore non svolga un ruolo attivo idoneo a conferirgli una conoscenza o un controllo dei contenuti caricati sulla sua piattaforma .

L’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sul commercio elettronico deve essere interpretato nel senso che per essere escluso, in forza di tale disposizione, dal beneficio dell’esonero dalla responsabilità previsto da detto articolo 14, paragrafo 1, un siffatto gestore deve essere al corrente degli atti illeciti concreti dei suoi utenti relativi a contenuti protetti che sono stati caricati sulla sua piattaforma>>, §§ 117-118.

I risultati interpretativi sono grosso modo condivisibili , anche se il percorso logico non è sempre rigoroso (ad es. l’affermazione per cui il carattere lucrativo non è <priva di rilevanza> circa la questione sub i): invero o fa parte della fattispecie costitutiva o non ne fa parte, tertium non datur. Non può essere <non privo di rilevanza> ma poi messo da parte nel caso specifico, a meno che la legge così preveda. . Per non dire che questa <eventuale rilevanza> non viene chiarita, ma lasciata nel vago: tanto vale tacerla. La lucratività ha rilevanza <del tutto relativa> per l’AG, § 87).

Più lineare il percorso svolto dall’avvocato generale SAUGMANDSGAARD ØE (qui: AG) nella sue Conclusioni 16.07.2020.

I passaggi importanti sono molti e non possono essere qui tutti riferiti.

Ne ricordo due:

– l’elemento soggettivo va riferito agli <atti illeciti concreti> e cioè, a mio parere, ad ogni singola violazione, una alla volta;

– la distinzione tra materie di competenza europea (violazione primaria) e di competenza nazionale (violazione secondaria), evidenziata soprattutto dall’AG.

Riprodurre un video altrui tramite embedding costituisce comunicazione al pubblico

La South. Dist. Court di NY 30.07.21, Case 1:20-cv-10300-JSR, Nicklen c. SINCLAIR BROADCAST GROUP Inc., afferma che la riproduzione tramite il c.d. embedding di un video altrui costuisce comunicazione al pubblico : o meglio, public display secondo il 17 US code § 106 (secondo le definitions del § 101 <<To “display” a work means to show a copy of it, either directly or by means of a film, slide, television image, or any other device or process or, in the case of a motion picture or other audiovis­ual work, to show individual images nonsequentially>>).

Si trattava del notissimo video riproducente un orso polare tristemente magro ed emaciato che disperatamente e stancamente si trascina per i ghiacci artici in cerca di cibo.

<Embedding> è la tecnica dell’incorporamento nel proprio sito di un file che però fisicamente rimane nel server originario (l’utente non se ne rende conto)

Ebben per la Corte:  <<The Copyright Act’s text and history establish that embedding a video on a website “displays” that video, because to embed a video is to show the video or individual images of the video  nonsequentially by means of a device or process. Nicklen alleges that the Sinclair Defendants included in their web pages an HTML code that caused the Video to “appear[]” within the web page “no differently than other content within the Post,” al though “the actual Video . . was stored on Instagram’s server.” …. The embed code on the Sinclair Defendants’ webpages is simply an information “retrieval system” that permits the Video or an individual image of the Video to be seen. The Sinclair Defendants’ act of embedding therefore falls squarely within the display right>>,  p. 8-9.

La parte più interessante è il rigetto espresso  della c.d. <server rule>: <<Under that rule, a website publisher displays an image by “using a computer to fill a computer screen with a copy of the photographic image fixed in the computer’s memory.” Perfect 10, Inc. v. Amazon.com, Inc., 508 F.3d 1146, 1160 (9th Cir. 2007). In contrast, when a website publisher embeds an image, HTML code “gives the address of the image to the user’s browser” and the browser “interacts with the [third-party] computer that stores the infringing image.” Id. Because the image remains on a third-party’s server and is not fixed in the memory of the infringer’s computer, therefore, under the “server rule,” embedding is not display.>>, p. 9.

Infatti la <server rule is contrary to the text and legislative history of the Copyright Act>, ivi: e i giudici spiegano perchè.

Inoltre  i convenuti alleganti la server rule <<suggest that a contrary rule would impose far-reaching and ruinous liability, supposedly grinding the internet to a halt>>.

Obiezione respinta:  <<these speculations seem farfetched, but are, in any case, just speculations. Moreover, the alternative provided by the server rule is no more palatable. Under the server rule, a photographer who promotes his work on Instagram or a filmmaker who posts her short film on You Tube surrenders control over how, when, and by whom their work is subsequently shown reducing the display right, effectively, to the limited right of first publication that the Copyright Act of 1976 rejects. The Sinclair Defendants argue that an author wishing to maintain control over how a work is shown could abstain from sharing the work on social media, pointing out that if Nicklen removed his work from Instagram, the Video would disappear from the Sinclair Defendants’ websites as well. But it cannot be that the Copyright Act grants authors an exclusive right to display their work  publicly only if that public is not online>>, p. 10-11

Viene -allo stato- respinta pure l’eccezione di fair use: profilo interessante dato che Sinclair è un colosso della media industry e quindi ente for profit. Viene riconosciuto che il primo fattore (The Purpose and Character of the Use) gioca a favore del convenuto , mentre altri due sono a favore del fotografo Niclen (porzione dell’uso , avendolo riprodotto per intero, e lato economico-concorrenziale) (v. sub II Fair use).

(notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman).