Per il diritto d’autore costituisce “comunicazione al pubblico” noleggiare veicoli con radio preinstallate?

La Corte di Giustizia è chiamata a rispondere alla domanda del giudice svedese concernente il se noleggiare autoveicoli con sistemi radio preinstallati costituisca comunicazione al pubblico per il diritto di autore (e quindi se via vietata, tranne consenso dei titolari).

Sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale (A.G.) Szpunar 15 gennaio 2020 in causa C-753/18 Stim-SAMI c. Fleetmanager Sweden-Nordisk Biluthyrning.

La lite era nata dalla pretesa delle collecting society svedesi di ottenere il pagamento dei diritti per il loro repertorio a carico delle società che noleggiavano veicoli con sistemi radio preinstallati

Viene naturalmente alla mente il noto caso Sgae c. Rafael Hoteles SA del 2006, in cui la stessa domanda era stata avanzata nei confronti di un albergo che aveva installato apparecchi radiotelevisivi nelle stanze dei clienti

L’A.G. fa presente la ricchezza notevole di giurisprudenza in tema di comunicazione al pubblico  nel diritto di autore (§ 1).

Dopo un veloce sunto delle principali decisioni (§§ 24/30), egli ricorda che per la comunicazione al pubblico è necessario il ruolo dell’utente, che <<intervenga con piena cognizione di causa>> (§ 31).

In particolare il punto in comune alle varie fattispecie, in cui la comunicazione al pubblico è stata ravvisata, è <<il nesso diretto tra l’intervento dell’utente e il materiale protetto in tal modo comunicato. Tale punto in comune rappresenta l’elemento centrale in assenza del quale non si può parlare di un atto di comunicazione>> (§ 35)

In questo senso, dice l’AG, nel caso più vicino (che -come detto- è il caso Sgae c. Rafael Hoteles SA) , quello che contò non fu l’installazione di apparecchi televisivi nelle camere d’albergo ma la distribuzione del segnale (§ 37). Precisamente il punto richiamato (§ 46) di questa sentenza del 2006  dice così…<<Orbene, anche se la mera fornitura di attrezzature fisiche, che coinvolge, oltre all’albergo, abitualmente imprese specializzate nella vendita o nella locazione di apparecchi televisivi, non costituisce, in quanto tale, una comunicazione ai sensi della direttiva 2001/29, tuttavia tale istallazione può rendere tecnicamente possibile l’accesso del pubblico alle opere radiodiffuse. Pertanto, se, mediante apparecchi televisivi in tal modo installati, l’albergo distribuisce il segnale ai suoi clienti alloggiati nelle camere dello stesso, si tratta di una comunicazione al pubblico, senza che occorra accertare quale sia la tecnica di trasmissione del segnale utilizzata.>>.

Mi pare dubbia l’esattezza dell’affermazione dell’AG, dato che non è preminente la sola distribuzione del segnale, ma la combinazione <<apparecchi+segnale>>: i primi senza il secondo non svolgono la loro funzione e sono economicamente un non senso.

Ne segue che <<le imprese di autonoleggio non effettuano alcun intervento direttamente concernente le opere o i fonogrammi che vengono radiodiffusi e che possono essere eventualmente ascoltati dai loro clienti tramite gli apparecchi radio in dotazione degli autoveicoli noleggiati. Tali società si limitano a fornire ai loro clienti veicoli equipaggiati dai produttori con impianti radio. Sono i clienti delle società medesime a decidere se ascoltare o meno le trasmissioni radiofoniche>> ( § 38).  Tali apparecchi radio <<sono concepiti per poter captare, senza alcun ulteriore intervento, la radiodiffusione terrestre accessibile nelle zone in cui si trovano. L’unica comunicazione al pubblico che si verifica è, quindi, la comunicazione effettuata dagli organismi di radiodiffusione. Non sussiste, invece, alcuna comunicazione al pubblico successiva, segnatamente da parte delle società di autonoleggio>> (§ 39).

Il ruolo delle società di autonoleggio  <<si limita quindi alla mera fornitura di attrezzature atte a rendere possibile una comunicazione al pubblico, il che, in forza del considerando 27 della direttiva 2001/29, non costituisce una comunicazione di tal genere si limita La mera fornitura di attrezzatura>> (§ 40).

Al § 42 dice però che non è rilevante il fatto che gli apparecchi radio siano installati dai fabbricanti.

L’affermazione è discutibile, poichè è invece proprio questo a differenziare il caso odierno dal caso SGAE cit. Mentre nel secondo era stato l’albergatore a creare la possibilità recettiva del segnale, installando apparecchi e posando cavi in hotel, nel caso odierno l’impresa di autonoleggio si è limitata a comperare i veicoli così come già erano; né si può ragionevolmente pretendere che, dopo l’acquisto, esse rimuovano gli apparecchi radio che trovano preinstallati.

Si potrebbe allora pretendere che li acquistassero senza radio (scelta un tempo possibile al momento dell’acquisto: da vedere se ancora oggi). Tale pretesa sarebbe però economicamente irrazionale e quindi assurda (“inesigibile”). A quesrto punto , tuttavia, anche per gli albergatori varrebbe la stessa considerazione: il fatto che la prassi sia tale da prevedere sempre le televisioni nelle stanze, fa sì che nessun albergatore possa ragionevolmente offrire stanze senza TV, se vuole stare nel mercato. Per cui anche la scelta dell’albergatore, sul se offrire o meno l’apparecchio radio televisivo, praticamente è necessitata e quindi non libera: per cui non c’è intrervento sufficiente per ravvisare una comunicazione al pubblico.

Da ultimo (§ 43-44), secondo  l’AG, è errato sostenere che induca a ravvisare comunicazione al pubblico il fatto che l’offerta dell’apparecchio radiotelevisivo renda più attrattiva e quindi più redditizia l’attività di autonoleggio. Evidentemente le collecting societies, sollevando questo punto, si riferivano alla nutrita giurisprudenza europea, secondo cui il fine di lucro è rilevante per la <<valutazione individualizzata>> da condurre per ravvisare la comunicazione al pubblico. Questa opinione è stato resa nota ai più soprattutto con il caso sulla liceità dei links GS Media 08.09.2016 C‑160/15  (ivi v. § 47), anche se le sue radici affondano in sentenze più risalenti (ad es. già in  Società Consortile Fonografici (SCF) c. Del Corso, 15.03.2012 C‑135/10, §§ 76 e 78).

Questa valutazione non è condivisibile, dato che immotivatamente inserisce nella fattispecie l’elemento dell’intento lucrativo (soggettivamente o oggettivamente determinato, è indifferente), che però la legge non prevede. Nemmeno è ammissibile considerandolo indice di consapevolezza dell’illiceità, come spesso pure soi è affermato: la necessità dell’elemento soggettivo infatti oblitera immotivatamente la distinzione tra lesione del diritto (che non lo richiede) e sua dannosità (che invece lo richiede), distinzione cui fanno capo rimedi diversi (restitutorio-ripristinatori nel primo caso, risarcitori e penali nel secondo).

Tuttavia , se si accetta tale diffusa opinione , l’allegazione delle collecting svedesi era pertinente.

La risposta dell’AG  non è soddisfacente perché non chiara. Sembra di capire che egli escluda la rilevanza dell’elemento lucrativo , dal momento che in ogni caso l’attività delle imprese di autonoleggio non costituisce nulla più che una mera fornitura di infrastrutture fisiche (§ 44). In senso contrario va osservato che la valutazione individualizzata  e quindi anche il giudizio sulla lucrosità, se è necessaria per giudicare se ricorra o meno <<comunicazione al pubblico>>, non può essere esclusa a priori dicendo che si tratta di mera fornitura di infrastruttura. Questo potrà essere l’esito del giudizio, non il punto di partenza per escludere il requisito della lucrosità-.

Un’importante sentenza inglese sulla comunicazione al pubblico effettuata da aggregatore di radio internet (Warner e Sony v. TuneIn)

Con l’importante sentenza del 1 novembre 2019, [2019] EWHC 2923 (Ch) Case No: IL-2017-000025, la High Court of Justice-Business & Property Courts of England and Wales. Intellectual Property List, a firma del giudice Birss , interviene sul dibattito inerente la comunicazione al pubblico di opere già rese pubbliche in precedenza (esiste poi una seconda sentenza parallela nella medesima lite,  [2019] EWHC 3374 (Ch) – claim No. IL-2017-000025, relativa solo ad inibitoria e costi, qui non esaminata). Ne dà notizia

Nella fattispecie Warner Music e Sony Music Entertainment sostenevano che la TuneIn Incorporated, quale aggregatore di internet radio stations, dovesse ottenere da loro licenza (§ 11), come avviene quando le radio si rivolgono a collecting societies per diffondere musica dei loro repertori (§§ 3-4). TuneIn lo contestava, affermando di limitarsi a fornire hyperlinks ad opere già rese pubbliche.

La Corte (EWHC) affronta la questione con pregevole approfondimento, tutto concentrato sui fatti e sulla giurisprudenza, come nella prassi anglosassone.

Prima compare un’introduzione sui fatti (§§ 1-10: v. spt. quelli che descrivono l’attività di TuneIn) e l’esame della (fondamentale, per gli operatori) questione di giurisdizione, c.d. audience targeting test (§§ 12-34), usato in common  law (v. ad es. Belfield, Establishing personal jurisdiction in an internet context: reconciling the fourth circuit “targeting” test with Calder v. Jones using awareness, in UNIVERSITY OF PITTSBURGH LAW REVIEW vol. 80, winter 2018).

Poi il giudice Birss affronta la questione relativa alla comunicazione al pubblico. Inizia ricordando la normativa rilevante (§§ 35 ss) e poi -con un apprezzabile dettaglio- la giurisprudenza europea (§§ 48 ss)

In particolare come ovvio si riferisce essenzialmente ai casi Svensson del 2014 e GS Media del 2016: si v. ad es. § 66 dove coglie la novità costituita dalla rilevanza dello stato soggettivo di conoscenza in capo alla persona che crea il link per capire se o meno ha commesso comunicazione al pubblico , rilevanza propria della accessory tort liability (corresponsabilità aquiliana), che non è armonizzata in UE.

Al § 90 esamina la sentenza Renckhoff del 2018, che potrebbe essere ritenuta confliggente con GS Media . La  conciliazione da parte del giudice è trovata nei §§ 101-102. Il punto è molto importante: quando taluno acconsente alla pubblicazione su un sito, è vero che prende in considerazione tutti i potenziali utenti del web, ma solo come destinatari di link al sito stesso, non dei file ivi presenti (si v. al § 109 la sintesi di altra sentenza inglese del 2013 sull’acquis europeo in tema di comunicazione al pubblico ).

Questo passo centrale della motivazione è però di dubbia esattezza: si v. in senso contrario le conclusioni dell’Avvocato Generale Sanchez-Bordona nella causa  Renckhoff , andate disattese dalla Corte europea.

Il giudice Birss ricorda che la differenza tra Renckhoff e Soulier del 2016, da una parte, e Svensson, dall’altra, sta nel fatto che la divulgazione tramite link permette al titolare di rimuovere da internet il materiale, quando lo voglia; il che invece non è possibile se la divulgazione è avvenuta riproducendo il file su un nuovo sito (§ 104).

Questo però -preciso io- non toglie che i pubblici considerati siano i medesimi: allora la differenza non è tra i pubblici considerati in assoluto , ma tra pubblici considerati a seconda del possibile successivo mezzo di diffusione del materiale e o della notizia. Si tratta di fictio iuris. Il punto -centrale, lo ripeto- richiederebbe approfondimento.

Al § 113 il giudice categorizza le internet radio stations in quattro tipi, per poi analizzarli partitamente:

i) music radio stations which are licensed in the UK (Category 1);

ii) music radio stations which are not licensed in the UK or elsewhere (Category 2);

iii) music radio stations which are licensed for a territory other than the UK (Category 3); and

iv) Premium music radio stations (Category 4).

Ssuccessivamente valuta l’applicabilità della comunicazione al pubblico al servizio di TuneIn ( § 120 ss.).

Al § 121 esamina i normali motori di ricerca e quindi afferma che Tunein non  è equiparabile ad un ordinario search engine ( § 121) :

<<In argument neither party put it this way but it seems to me that when making a comparison with internet search engines it is necessary to identify the appropriate comparator. The relevance of the comparison is to illuminate where the balance lies between the functioning of the internet and the freedoms associated with that on the one hand, and the high protection to be afforded to intellectual property rights on the other. The issue is whether TuneIn does something different from the kind of search engine service which is a necessary part of the normal functioning of the internet. I call that a conventional search engine. A conventional search engine provides a service which the functioning of the internet depends on. It has a database with a search facility. It will no doubt have a prominent box for search on its home page. It will (internally) have structured indices of what is on the database. It may use fuzzy logic and automatic completion of text strings. When a search term is entered, the engine simply provides links to other websites in response to search terms. If a user selects the link then, at least from their point of view, the user is taken to that other website and the involvement of the search engine ceases. The search function is optimised in all sorts of ways to try and offer users what the search engine provider thinks the user really wants, nevertheless the search results provided are essentially neutral. Sponsored links (i.e. advertisements) may also be provided, reflecting a direct relationship between the search engine and particular websites or advertisers, but that sort of material is provided alongside the search results, not instead of them>>

Al § 123 elenca le caratteristiche del servizio Tunein: aggregation, categorization, curation of stations Lists, personalisation of content, search functionality, Station information, Artist information:

i) Aggregation: TuneIn collates and provides access to a vast array of international radio station streams. It essentially acts as a ‘one-stop shop’ for users, who are easily able to browse, search for and listen to stations in one place. The alternative for users is to use a standard internet search engine to locate a webcast / simulcast station by using tailored search terms, and then click-through to their websites to listen to the specific stream. One aspect of the difference there is that in the latter case the advertising targeted to the user once they access the stream will be entirely distinct in the two cases.

ii) Categorisation: TuneIn Radio enables users to browse by categories of music, such as location, genre and language, including sub-categories within those categories. This is the most commonly used method for users to find audio content. Music stations are placed in categories based on information provided by the stations and factors such as geographical location.

iii) Curation of station lists: In addition to categorising stations, TuneIn curates lists of radio stations and programmes to present them to users as part of the browsing experience on its website and via the apps. These stations are collated by factors such as location and language or themed around current events. For example, TuneIn promotes lists of stations to users, such as “Spin the Globe” (comprising international music stations) and “Editor’s Choice – Music” (a hand-curated list of music stations). Certain stations are also listed in a “Featured” section, which is frequently updated by TuneIn to keep content relevant and non-repetitive.

iv) Personalisation of content: TuneIn Radio provides a personalised service to users, which facilitates their ability to find and listen to radio stations. TuneIn recommends stations to users based on their location, the reliability of audio streams and (in respect of registered users) the user’s listening history. Registered users are also able to view their listening history and tag their ‘favourite’ stations and/or artists, which enables them to quickly access radio stations they have previously listened to via TuneIn Radio or their favourite stations and artists.

v) Search functionality: Users are able to search TuneIn Radio for specific radio stations and artists by name. The search functionality prioritises inter alia reliable station streams and stations which are popular at that time.

vi) Station information: TuneIn collates information about music stations, which is presented on individual station pages. This includes the genre of the station and, where available, the artist and track currently playing, the station’s show timetable and related podcasts or featured shows.

vii) Artist information: TuneIn also collates information about artists on dedicated artist pages, which can be accessed by searching for the particular artist. The artist pages include a list of stations which play the particular artist (based on metadata provided by the stations) and a list of the artist’s albums. Users are also able to click-through to each album page, which displays the individual tracks on each album.

Ai §§ 127-128 indica perché TuneIn non è paragonabile al motore di ricerca che fornisce link. Si tratta del punto centrale della sentenza (§ 128):

i) The fact that TuneIn aggregates links to audio streams as opposed to links to some other form(s) of content is relevant. The audio streams carry music and as a result they engage various intellectual property rights, as TuneIn is well aware.

ii) The data collected and curated by TuneIn allows for searches of stations to be carried out by artist. Such a search returns internet radio stations which are playing music by the artist at that moment. As I understand it this is only possible as a result of TuneIn’s own monitoring stream metadata and the AIR APIs. There was evidence about what a search for internet radio stations would produce on the commonly used Google search engine but, as far as I am aware, there is no evidence that a similar search on that search engine would produce results of the same kind as TuneIn.

iii) The fact that when a station is selected, although a hyperlink to the stream is provided at a technical level, from the user’s point of view content is provided to them at the TuneIn site. In effect this is a kind of framing. The fact that framing was not relevant to answer the questions posed in Svensson (para 29) does not mean it is irrelevant to considering the nature of TuneIn’s activity.

iv) The persistent nature of the content to which the user wishes to link. This is connected to (iii) but is a different point. One of the consequences of providing streams is that they persist over time as the user listens to them. In a conventional search engine, once a user has clicked on a link, they go to the new website and the involvement of the search engine is over. That is not how TuneIn’s service works and if it was then TuneIn would not be able to provide its own visual advertisements while the user was listening.

Date queste differenze il giudice Birss conclude che << For all these reasons I find that TuneIn intervenes directly in the provision of the links to the streams in a manner which neither conventional search engines nor hyperlinks on conventional websites do. TuneIn’s service is not the same as either a conventional search engine or the conventional hyperlinks considered in Svensson and GS Media.                 Before getting to individual categories, I find therefore that the activity of TuneIn does amount to an act of communication of the relevant works; and also that that act of communication is to a “public”, in the sense of being to an indeterminate and fairly large number of persons (see Arnold J’s summary at paragraph >> (§§ 130/131)

La, pur pregevole ed accurata, disamina non riesce però persuasiva. TuneIn non appare nulla più che un fornitore di link, per quanto tailorizzato e customizzato in base ad algoritmi magari autoapprendenti, non sostanzialmente diverso -sotto il profilo della comunicazione al pubblico- da un normale motore di ricerca

Il giudice deve quindi esaminare se l’atto sub iudice, accertato come di comunicazione al pubblico,  era rivolta ad un pubblico nuovo (§ 132 seguenti, soprattutto §§ 135/136), secondo l’elaborazione giurispruedneziale europea della comunicazione al pubblico di opere già pubblicate in precedenza (quando si tratti di uso del medesimo mezzo diffusivo).

La risposta è positiva: << Therefore it is appropriate to analyse the facts on the footing that the whole internet public, insofar as they encounter a link to a Category 3 station which is provided either by a conventional search engine or some other conventional sort of website, has been taken into account. It is an inherent aspect of making this material available on the internet that that sort of linking is likely to happen.       On the other hand, absent evidence to the contrary, there is no reason why the kind of public to whom TuneIn’s system is addressed should have been taken into account. TuneIn’s activity is a different kind of act of communication and is targeted at a particular public, i.e. users in the UK>> ( §§ 139-140)

Questo per la categoria di Radio Station numero 3. Le altre categorie non le esamino ma comunque seguono subito dopo: v. §§ 143 160 per la categoria 2, §§ 161 163 per la categoria 4, §§ 164 171 per la categoria 1.

Successivamente esamina la qualificazione giuridica del servizio Premium cioè senza pubblicità (§§ 172 e seguenti)

Interessante anche la disamina sulla responsabilità di coloro che forniscono i servizi radio cioè delle singole radio (§§ 192 e seguenti) : circa la categoria 3 (condivisibilemtne) afferma che c’è comunicazione al pubblico (§ 193).

Infine ai §§  205 ss nega l’applicazione della direttiva e-commerce n. 31 del 2000 nella parte in cui concede il safe harbour agli internet providers (artt. 12-15).

La conclusioni sono al paragrafo 213:

i) TuneIn’s service (web based or via the apps), insofar as it includes or included the sample stations in Categories 2, 3, and 4, infringes the claimants’ copyright under s20 of the 1988 Act.

ii) TuneIn’s service (web based or via the apps), insofar as it includes the sample stations in Category 1, does not infringe the claimants’ copyright under s20 of the 1988 Act.

iii) TuneIn’s service via the Pro app when the recording function was enabled infringed the claimants’ copyright under s20 of the 1988 Act insofar as it included the sample stations in Categories 1, 2, 3, and 4.

iv) Individual users of the Pro app who made recordings of sound recordings in claimants’ repertoire will themselves have committed an act of infringement under s17 of the 1988 Act. Some but not all will have fallen within the defence in s70.

v) The providers of sample stations in Categories 2, 3, and 4 will (or did) infringe when their station was targeted at the UK by TuneIn.

vi) TuneIn is liable for infringement by authorisation and as a joint tortfeasor.

vii) TuneIn cannot rely on the safe harbour defences under Arts 12, 13 and 14 of the E-Commerce Directive.

Diritto morale d’autore e obbligo di menzione del nome dell’autore

Il tribunale di Milano (sent.  11037/2018 del 31.10.2018, RG 41630/2016, rel. Dal Moro, Carrubba Pintaldi c. Giorgio Armani spa) affronta la questione del se l’impresa committente (e cessionaria di ogni diritto) debba menzionare il nome dell’autore nel pubblicizzare i gioielli da lui creati. La risposta è negativa. Una cosa infatti è il dovere di menzionare e quindi -nel caso in cui non esista- il tacere sul nome del creatore (condotta omissiva); altra cosa invece è usurpare la paternità affermando di essere l’autore (condotta commissiva).

Il dato normativo non è chiarissimo, limitandosi a dire <<l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera>> (art 20 c. 1 legge d’autore; del resto è irrilevante l’ammettere le  domande di accertamento del diritto, diverse dalla pretesa di essere sempre menzionati). Tuttavia applicando il tralatizio canone ermeneutico ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, si può forse concludere che l’obbligo di menzione sussista solo nei casi espressamente previsti. Si pensi ad esempio nella legge di autore a: -art. 40 c. 1, -art. 48, -art. 54 c. 2, -art. 98 c. 2, -art. 138 e, per le libere utilizzazioni, art. 65 c. 1, -art. 67, -art. 70 c. 3, -art. 71 bis c. 2 septies.

L’altro punto interessante è il giudizio sui fatti di causa, relativo al se l’apposizione del marchio Armani sui gioielli -senza menzione della stilista creatrice- abbia costituito usurpazione e cioè attribuzione a sé della paternità oppure semplicemente apposizione di marchio per la commercializzazione: condotta, quest’ultima, che nulla lascia intendere sulla paternità. La risposta del Tribunale è stata nel secondo senso.

Ecco i passi  più rilevanti della sentenza.

<<La tesi attorea fonda la sua difesa sull’erroneo presupposto per cui l’omessa menzione del nome di un autore costituisca invariabilmente una manifestazione concreta di violazione del diritto autorale; al contrario, l’essenza del diritto morale d’autore consiste nel diverso diritto a non vedere disconosciuto il proprio ruolo di autore; tale diritto negativo non necessariamente si traduce nell’obbligatoria indicazione del nome dell’autore (aspetto la cui regolamentazione è nella disponibilità delle parti); quindi, l’omessa menzione del nome dell’autore di un’opera nella sua diffusione non implica di per sé che sia messa in discussione la paternità della stessa. Peraltro nel caso di specie non sussiste un diritto alla menzione del disegnatore di gioielli né per contratto né in considerazione degli usi invalsi nel settore della gioielleria e bigiotteria; in tal senso il Tribunale condivide la giurisprudenza sul punto 3. Peraltro una comune volontà delle parti nel senso della non menzione della disegnatrice o quantomeno una tacita acquiescenza della signora, può desumersi dal fatto che per circa 12 anni dalla pubblicazione del primo catalogo nessuna contestazione è mai stata mossa da parte attrice nei confronti di Armani in punto di modalità di pubblicizzazione/presentazione dei gioielli. Sicchè il prolungato periodo di inerzia di parte attrice corrobora la tesi della infondatezza della domanda>>

Ed inoltre: <<Non è stata offerta da parte della attrice prova idonea di un avvenuto disconoscimento della propria opera creativa. Infatti, premesso che – come già visto – l’omessa menzione dell’autore di per sé sola non costituisce una prova di disconoscimento, tutte le altre prove addotte riguardano immagini che si limitano a evidenziare come i gioielli in questione siano associati al marchio Armani e non alla persona dello stilista quale loro creatore. Il fatto che il nome Armani contraddistingua i gioielli sui cataloghi non significa che lo stilista ne rivendichi la creazione a sé, disconoscendo il ruolo della disegnatrice, al contrario costituisce prassi diffusa e ovvia nonché strategia commerciale più fruttuosa che il brand – ciò che agli occhi del pubblico dei consumatori rende immediatamente riconoscibile il prodotto – sia posto in evidenza da solo. Né valgono in senso opposto gli articoli giornalistici che riportano la notizia del lancio della nuova linea di gioielli “Armani” tanto più che il documento più significativo risale al 2011 e si riferisce ad una collezione pertanto di molto successiva a quelle create nel corso della collaborazione con l’attrice. In ogni caso, come correttamente osserva la convenuta, sono reperibili in atti anche documenti ove il ruolo della signora Carrubba è riconosciuto e reso noto al pubblico e da cui si può altresì evincere come parte attrice dovesse essere consapevole del vantaggio di immagine conseguito grazie alla collaborazione con Armani>>

Singolarmente elevata la liquidazione delle spese di lite: euro 21.387,00+15% per spese forfettarie.

Sull’esaurimento del diritto d’autore relativo a libro digitale (il caso Tom Kabinet)

La questione della assoggettabilità ad esaurimento del diritto d’autore (del solo diritto di distribuzione (art. 4 § 2 dir. 29/2001; art. 17 c. 2 l. aut.) su libro digitale ha trovato -per ora, almeno- definizione. La Corte di Giustizia con sentenza 19.12.2019, C-263/18, NUV-GAU c. Tom Kabinet, dopo le accurate conclusioni dell’avvocato generale Szpunar 10.09.2019, ha preso posizione ed ha risposto negativamente: la fornitura di un libro elettronico per uso permanente (cioè senza limiti di tempo) rientra nella comunicazione al pubblico (in particolare nella messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente ex art. 3/1 dir. 29/2001) e non nella distribuzione. Di conseguenza non opera l’esaurimento, che è limitato al diritto di distribuzione. Quindi il mercato dell’usato di libri elettronici non può svilupparsi, essendo soggetto al consenso del titolare del diritto.

La sentenza richiederà meditazione accurata per la complessità degli interessi in gioco e le difficoltà ermeneutiche, per cui qui propongo solo brevissime considerazioni ad una prima lettura.

La Corte inizia ricordando le disposizioni del  WCT (WIPO Copyright Treaty 20.12.1996) , di cui la Direttiva 29 è anche attuazione (cons. 15) le quali nelle agreed statements agli articolo 6 e 7 riferiscono il diritto di distribuzione (e di noleggio) solo alle copie fisiche. Tuttavia è comunemente accettato che le Agreed Statements non possiedono forza interpretativa vincolante.

Inoltre la Corte si riferisce alla relazione sulla proposta di direttiva sfociata nella direttiva 29 da cui emerge che  <<che la proposta di direttiva mirava a far sì che qualsiasi comunicazione al pubblico di un’opera, diversa dalla distribuzione di copie materiali di quest’ultima, rientrasse non nella nozione di «distribuzione al pubblico» di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, bensì in quella di «comunicazione al pubblico» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva.>>§ 45.

Solo che anche qui si può dire che il materiale preparatorio è sempre di dubbia utilizzabilità in sede ermeneutica potendosi anche  argomentare in senso opposto: ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit . Cioè  proprio perché la precisazione in sede di lavori preparatori non è stata ripetuta nel testo definitivo, può dirsi che non sia stata voluta.

Altro argomento è quello della tutela estesa del diritto d’autore (paragrafi 46-48): anche qui però  la genericità di queste considerazioni non è di ausilio interpretativo

A questo proposito La Corte ricorda i considerando 28 e 29 dir. 29 i quali parlano di “supporto tangibile” per la distribuzione  e di esclusione dell’esaurimento per i servizi e le copie materiali realizzate dall’utente del servizio stesso. Anche queste considerazioni non sono persuasive. Da un lato i considerando non sono vincolanti; dall’altro il concetto di servizio è diverso da quello di libro digitale. A nulla rileva che si parli nel paragrafo 29 di “copie tangibili” realizzate dagli utenti di un servizio: si presuppone infatti che ricorra un servizio, il che non avviene nel caso de quo.

Ancora (§ 52 seguenti) per la CG il concetto di distribuzione si riferisce ai supporti tangibili in base non al dettato dell’art. 4 -muto sul punto- ma alla giurisprudenza. C’è però giurisprudenza contraria, come ricorda la stessa CG. Nella nota sentenza Usedsoft del 2012 ( C‑128/11, del 03.07.2012), relativa alla distribuzione di software, la CG assimilò la distribuzione su supporto a quella via internet, per cui l’esaurimento per allo stesso modo in entrambi i casi. Qui la situazione è diversa perché il libro digitale non è un software, per cui la ripresa del ragionamento è dubbia. Vi sono infatti differenze economiche e funzionali e il discorso richiederebbe approfondimenti qui non possibili. Mi limito a dire che nella dir. sul software 2009 n. 24 manca il diritto di comunicazione al pubblico (salvo dire che lo si può invocare dalla normativa generale ex dir. 21/2001), essendo esplicitati solo la riproduzione i diritti di elaborazione e di distribuzione (art. 4 comma 1).

Da ultimo la Corte affronta l’obiezione per cui non ricorre il concetto usuale di comunicazione al pubblico (§ 60 seguenti).   La Corte lo supera dicendo che <<nel caso di specie, è pacifico che la Tom Kabinet mette le opere di cui trattasi a disposizione di qualunque persona si registri sul sito Internet del club di lettura, la quale può avervi accesso dal luogo e nel momento individualmente scelto, sicché si deve considerare che la fornitura di un tale servizio configura la comunicazione di un’opera ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, senza che sia necessario che detta persona si avvalga di tale possibilità scaricando effettivamente il libro elettronico da detto sito Internet >>, § 65.

Però  l’ostacolo non è in realtà superato: il libro acquistato viene rivenduto ad un solo soggetto e dunque non è a disposizione scaricabile per chiunque. E ciò non costituisce certo “pubblico”, trattandosi di trasferimento ad un unico soggetto. La Corte supera questo ostacolo precisando che, oltre che per la possibilità di qualunque interessato di poter divenire membro del club di lettura [e quindi Acquistare il libro], nella comunuicazione al pubblico  rileva -per ravvisare il “pubblico”- anche <<l’assenza di misure tecniche, nell’ambito della piattaforma di tale club, che consentano di garantire che possa essere scaricata un’unica copia di un’opera durante il periodo in cui l’utente di un’opera ha effettivamente accesso a quest’ultima e che, scaduto tale periodo, la copia scaricata da tale utente non sia più utilizzabile da quest’ultimo (v., per analogia, sentenza del 10 novembre 2016, Vereniging Openbare Bibliotheken, C‑174/15, EU:C:2016:856), si deve considerare che il numero di persone che possono avere accesso, contemporaneamente o in successione, alla stessa opera tramite tale piattaforma è notevole. Pertanto, fatta salva una verifica da parte del giudice del rinvio che tenga conto di tutti gli elementi pertinenti, l’opera di cui trattasi deve essere considerata come comunicata a un pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 >>, § 69.

Non è chiaro il riferimento alla sentenza Vereniging Openbare Bibliotheken, C‑174/15, la quale si limita a dire che l’eccezione di prestito pubblico  ex art. 6 dir. 115/06 si applica pure ai libri digitali (purchè uno alla volta e con successiva inutilizzabilità di quello “scaduta”): ciò perchè non vi ostan il WCT WIPO Copyright Treaty 20.12.1996, che nell’Agreed Statement all’art. 7 pone il requisito della copia tangibile solo per il noleggio, non per il prestito (sentenza C-174/15, Prima Questione, § 39 e §§ 53-54).

Qui però la sentenza in esame dà per provato ciò che in realtà era da provare e cioè che nel caso specifico più persone contestualmente o in successione potevano acquistare copia del libro.

La Corte conclude al § 69 dicendo che, <<tenuto conto della circostanza, rilevata al punto 65 della presente sentenza, che qualsiasi interessato può divenire membro del club di lettura, nonché dell’assenza di misure tecniche, nell’ambito della piattaforma di tale club, che consentano di garantire che [1] possa essere scaricata un’unica copia di un’opera durante il periodo in cui l’utente di un’opera ha effettivamente accesso a quest’ultima e che [2] , scaduto tale periodo, la copia scaricata da tale utente non sia più utilizzabile da quest’ultimo (v., per analogia, sentenza del 10 novembre 2016, Vereniging Openbare Bibliotheken, C‑174/15, EU:C:2016:856)>>, ricorre la comunicazione al pubblico (numeri in rosso da me aggiunti). Aggiunge in coda, però, che va  <<fatta salva una verifica da parte del giudice del rinvio che tenga conto di tutti gli elementi pertinenti>> (§ 69, in fine)

Il punto è importante. Par infatti di capire che, se si accerta che nel caso specifico ricorrono misure tecniche tali da garantire il download di una sola copia per volta, in modo che non ci sia mai più di una copia del libro acquistgato da quel rivenditore, allora si rientra nel diritto di distribuzione (soggetto ad esaurimento) e non di comunicazione al pubblico.

La Corte però non dà indicaizoni di dettaglio su quest’ultimo punto e in particolare su chi incomba l’onere di provare che il libro è soggetto non ad una sola vendita bensì a alla possibilità di plurimi download. Verosimilmente toccherà all’acquirente/rivenditore provarlo, quantomeno per la sua maggior vicinanza alla prova.

Queste osservazioni descriverebbero <<in maniera puntuale l’evoluzione di modelli di gestione della proprietà intellettuale e del diritto d’autore mediante sistemi blockchain, che consentono di creare artificialmente condizioni di scarsità in senso economico – creando dunque copie digitali “uniche” di un determinato asset digitale-, favorendo nel contempo modalità di trasferimento univoche di tale asset tra i partecipanti>> (Galli M.-Bardelli E., Il mercato secondario degli ebook tra distribuzione, comunicazione al pubblico e principio dell’esaurimento, Riv. dir. dei media, 12.02.2020, p. 3, § 5).

La Corte infine non considera un ostacolo all’assoggettamento alla distribuzione (e quindi ad esaurimento), che era invece stato acutamente rilevato dall’avvocato generale:  quello del diritto di riproduzione. Infatti mentre nel mondo analogico la rivendita del libro non comporta alcuna riproduzione, in quello digitale si. Ed è certo che la prima vendita non ha attribuito all’acquirente il diritto di riprodurre i fini delle rivendite. per cui questo obiezione potrebbe essere risolutiva. In senso negativo. Si potrebbe forse ragionare su un’interpretazione evolutiva nel senso che la riproduzione temporanea è ammessa al solo scopo di poter rivendere il libro: con la conseguenza che l’acquirente/rivenditore dovrebbe subito poi cancellare la copia rimasta sul proprio dispositivo.

Il vero problema allora è come evitare che le dichiarazioni di intenti relative a tali cancellazioni siano eseguite nella pratica e provate in causa. Secondo la regola generale dell’onere probatorio potrebbe dirsi che -visto che è una riproduzione c’è-  toccasse all’acquirente/rivenditore dare prova di ciò. Certo che qui emerge la differenza vera tra mondo analogico e mondo digitale. Anche nel primo l’acquirente prima di rivendere teoricamente poteva farsi una copia del libro per tenerla per sé: solo che era improbabile, data  la fatica del lavoro di copiatura, a meno di detenere le fantasmagoriche tecniche di copiatura di Google Books.

Sembra quindi che sia questo il punctum dolens dell’assoggettabilità al diritto di distribuzione (e quindi all’esaurimento) della rivendita di libri digitali.

Decisione automatizzata della Pubblica Amministrazione e divulgazione (accessibilità) dell’algoritmo sottostante

Iniziano ad aumentare i casi di richiesta di accesso all’algoritmo utilizzato per l’emissione di provvedimenti amministrativi.

Ls sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 13.12.2019, n. 8472/2019, Reg. Ric. 2936/2019, è molto interessante perchè analizza il ruolo dell’algoritmo nell’azione amministrativa, affermandone la piena utilizzabilità, dati gli evidenti vantaggi (§§ 7-11).

Ne afferma anche però la piena soggezione al principio di trasparenza (§ 13.1)

Nel caso specifico alcuni docenti hanno contestato i provvedimenti di assegnazione delle sedi, resi sulla base di un algoritmo sconosciuto, sopratutto perchè non avevano tenuto conto delle preferenze da loro espresse in domanda, nonostante i posti preferiti fossero disponibili (§ 1).

Nè <<in senso contrario … può assumere rilievo l’invocata riservatezza delle imprese produttrici dei meccanismi informatici utilizzati i quali, ponendo al servizio del potere autoritativo tali strumenti, all’evidenza ne accettano le relative conseguenze in termini di necessaria trasparenza >> (ivi).

L’espressione pare da intendere nel senso che l’invocazione della riservatezza (tecnicamente: la non riproducibilità causata dalla vigenza di diritto di autore)  va disattesa. Infatti l’impresa, che “negozia” con la PA la realizzazione e consegna di software, sa che il suo uso sarà soggetto agli obblighi di trasparenza dell’azione amministrativa.

Sorgono dubbi circa la proprietà intellettuale.  L’affermazione può forse condividersi quando negli atti negoziali (o amministrativi) di affidamento dell’incarico nulla sia detto in proposito. Se però la fornitrice fosse riuscita ad imporre il divieto assoluto di divulgazione dell’algoritmo, quid iuris? L’interesse pubblico alla trasparenza amministrativa dovrebbe di certo prevalere sull’interesse privato tutelato con la privativa di autore: ma su quale base giuridica?

A fini pratici, inoltre, il CdS ne afferma sì la soggezione alla disciplina del procedimento amministrativo, ma con gli opportuni adattamenti  (§ 16): <<l’amministrazione, nel presente contenzioso, si è limitata a postulare una coincidenza fra la legalità e le operazioni algoritmiche che deve invece essere sempre provata ed illustrata sul piano tecnico, quantomeno chiarendo le circostanze prima citate, ossia le istruzioni impartite e le modalità di funzionamento delle operazioni informatiche se ed in quanto ricostruibili sul piano effettuale perché dipendenti dalla preventiva, eventualmente contemporanea o successiva azione umana di impostazione e/o controllo dello strumento. In tal senso la sentenza può essere confermata ma con diversa motivazione. Infatti, l’impossibilità di comprendere le modalità con le quali, attraverso il citato algoritmo, siano stati assegnati i posti disponibili, costituisce di per sé un vizio tale da inficiare la procedura, in termini analoghi e coerenti rispetto al precedente della sezione più volte citato che, tuttavia, in parte se ne differenziava essendo state provate singole violazioni di legge mentre qui la censura finisce per involgere il metodo in quanto tale per il difetto di trasparenza dello stesso. Ciò ha trovato indiretta conferma dall’avvenuta esecuzione della sentenza appellata, in termini satisfattivi delle posizioni azionate>>.

Commentando la decisione, la dottrina ha evidenziato quattro garanzie (requisiti) per il legittimo ricorso alla decisione algoritmica: conoscibilità, trasparenza, partecipazione e sindacabilità. Circa le prime due, ha precisato che <<si deve poter accedere quanto meno ai seguenti elementi: a) creatori del software; b) criteri utilizzati per la sua  elaborazione; c) modalità di svolgimento della fase istruttoria procedimentale; d) criteri utilizzati per l’adozione della decisione>> (Dalfino, Decisione amministrativa robotica ed effetto performativo. Un beffardo algoritmo per una “buona scuola”, 13.01.2020, Questionegiustizia.it , § 3).

Del resto la P.A. deve fornire ai soggetti “trattati” (i cui dati sono trattati) <<informazioni necessarie per garantire un trattamento corretto e trasparente>>, relative all’ <<esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione di cui all’articolo 22, paragrafi 1 e 4, e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato>> (art. 13.2.f; art. 14.2.g; art. 15.1.h, GDPR reg. 679/2016).

La direttiva sulla tutela dei segreti commerciali (dir. UE 94372015), del resto, pone la riserva per cui <<La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare l’applicazione delle norme dell’Unione o nazionali che prevedono la divulgazione di informazioni, inclusi i segreti commerciali, … alle autorità pubbliche, né essa dovrebbe pregiudicare l’applicazione delle norme che consentono alle autorità pubbliche di raccogliere informazioni per lo svolgimento dei loro compiti>> (cons. 11): compiti tra cui c’è amministrare la giustizia.

Questa sentenza ne cita un altra della medesima sezione sesta, diverso estensore, molto simile come fattispecie da esaminare e come iter ed esito decisionale: Cons. Stato sez. VI, 08.04.2019, n. 2270/2019, Reg. Ric.  4477/2017 , della quale riporto i seguenti passaggi:

  • utilità e legittimità del processodecisionale automatico, § 8.1;
  • necessità però di sottostare alla disciplina comune del procedimento amministrativo, per cui il <<In definitiva, dunque, l’algoritmo, ossia il software, deve essere considerato a tutti gli effetti come un “atto amministrativo informatico”>>, § 8.2. Ne seguono due conseguenze:
  • primo: <<il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo) deve essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico. Tale conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti>>, § 8.3
  • secondo: <<la regola algoritmica deve essere non solo conoscibile in sé, ma anche soggetta alla piena cognizione, e al pieno sindacato, del giudice amministrativo. La suddetta esigenza risponde infatti all’irrinunciabile necessità di poter sindacare come il potere sia stato concretamente esercitato, ponendosi in ultima analisi come declinazione diretta del diritto di difesa del cittadino, al quale non può essere precluso di conoscere le modalità (anche se automatizzate) con le quali è stata in concreto assunta una decisione destinata a ripercuotersi sulla sua sfera giuridica>>,  § 8.4.

In altre parole, secondo il C.d.S. questo comporta <<che la traduzione della regola tecnica in regola giuridica avvenga in modo chiaro per l’utente e per il giudice che deve verificarne la legittimità, in un’ottica di trasparenza “irrobustita”; sganciata da schemi predefiniti e orientata unicamente a garantire il risultato della massima spiegabilità. Per rispettare il concetto di massima trasparenza e dunque consentire di attuare quel meccanismo di spiegabilità che consiste nella traduzione della formula tecnica nella regola giuridica a essa sottesa, non basta fornire le istruzioni del software ma occorre che siano resi noti i suoi autori, il procedimento utilizzato per la sua elaborazione, il meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati sele-zionati come rilevanti: in altri termini, il linguaggio sorgente del software. Infatti, gli algoritmi funzionano attraverso appositi software, cioè programmi informatici specifici. A ben vedere, il fulcro della sentenza del Consiglio di Stato sta proprio in questo passaggio argomentativo e nell’accezione “sostanziale” di trasparenza che propone. Non vi è alcun ostacolo giuridico all’utilizzo dell’algoritmo nei procedimenti amministrativi che, anzi, si pone del tutto in linea con il favor generale dell’ordinamento per la digitalizzazione degli uffici pubblici>> (cosi Nicotra-Varone , L’algoritmo, intelligente ma non troppo, in Rivista A.I.C., 2019/4, 22.11.2019, p. 15, a commento di Cons. Stato n. 2270/2019).

L’attività di bilanciamento degli interessi allora dovrà essere compiuta dalla PA a monte e cioè in sede di costruzione dell’algoritmo (V. Canalini, L’algoritmo come “atto amministrativo informatico” e il sindacato del giudice,  nota a C.S. 2270 del 2019, Giorn. dir. amm., 2019, 6, 784).

La dottrina riporta un esito opposto in un caso simile da parte del BGH: <<Nell’ordinamento tedesco, una pronuncia del Bundesgerichtshof ha affrontato la specifica questione dell’incidenza della tutela del segreto sul diritto di accesso alla logica del trattamento automatizzato in relazione a un sistema di scoring sulla affidabilità creditizia . La richiesta di un soggetto interessato ad accedere alle informazioni relative alla logica del sistema di scoring e dunque alle informazioni sui metodi della valutazione dell’affidabilità creditizia, è stata da ultimo respinta dalla Corte federale tedesca. I giudici hanno affermatocome il diritto di accesso alla logica utilizzata dal trattamento automatizzato debba essere interpretato come comprensivo unicamente di dati personali che sono stati rilevanti ai fini del trattamento (input) e della decisione conseguente (output), ma non le formule di scoring, i dati statistici e le informazioni relative ai cluster di riferimento>> (Schneider G., <<Verificabilità>> del trattamento automatizzato dei dati personali e tutela del segreto commerciale nel quadro europeo, in Merc. concorr. regole, 2019, 2, 375). Bisognerebbe però vedere di quale ente si trattava: se fosse un ente sottoposto a disciplina privatistica non essendo una PA, il paragone non sarebbe pertinente. Non pare infatti che la base giuridica del diritto di accesso alle regole del’algoritmo verso la PA possa essere estesa al caso di algoritmo usato da ente privato (nè offrono appigli gli artt. 124, 124 bis, 125 T.U.B. su informazioni precontrattuali e merito creditizio).

Esamina la maggior tutela, emergente dalla giurisprudenza nazionale rispetto a quella offerta dal GDPR Reg. UE 679/2016, Simoncini A., Profili costituzionali della amministrazione algoritmica, Riv. dir. pubbl., 2019, 1169 ss., §§ 3.2-3-3.

Ricorda alcune decisioni TAR 2018-2019 in senso più restrittivo circa l’utilizzabilità degli algoritmi L. Musselli, La decisione amminsitrativa nell’età degli algoritmi, medialaws.eu 2020, p. 8.

Un a. propone di <<pensare all’algoritmo come ad un atto endoprocedimentale, ed al suo utilizzo come ad una fase del procedimento amministrativo destinato poi a concludersi con l’adozione del provvedimento finale>> (Muciaccia N., Algoritmi e procedimento decisionale: alcuni recenti arresti della giustizia amministrativa, www.federalismi.it , 15.04.2020, n. 10/2020, p. 358).

Un recente saggio affronta le questioni in materia: Prosperetti, Accesso al software e al relativo algoritmo nei procedimenti amministrativi e giudiziali. Un’analisi a partire da due pronunce del TAR Lazio, in Dir. informazione e informatica, 2019, 979 ss L’a. ricorda che tra le eccezioni al diritto di autore c’è quella della riproducibilità nei procedimenti amministrativi e giudiziari (art. 67 e 71 quinquies l. aut.).

Tra l’altro , dato che la decisione  è sostanzialmente predeterminata nelle istrizioni date dalla PA alle software house, sulle quali non c’è contraddittorio nè possibilità di intervento dei cives, la partecipazione procedimentale ex legge 241/1990 risulta radicalmente inapplicabile (così G. Avanzini, Decisioni amministrative e algoritmi informatici. Predeterminazione, analisi predittiva e nuove forme di intellegibilità, Editoriale Scientifca, 2019,  134-5 e 138

V. anche l’intervista al giudice Pajno, già presidente del Consiglio di Stato, sulla prima sentenza effettuata da C. Morelli 20.01.2020 su Altalex.

Per un breve saggio introduttivo all’uso degli algoritmi da parte della P.A. in Parona L., Government by algorithm: un contributo allo studio del ricorso allintelligenza artificiale nellesercizio di funzioni amministrative, Giorn. di dir. amm., 2021/1, 10 ss (con indicazioni statunitensi)

Su originalità, libertà artistica e parodia nel diritto d’autore (un caso francese tra fotografia e scultura)

Il prezioso sito IPKat a firma Eleonora Rosati il 23.12.2019 dà notizia della sentenza francese Corte di appello di Parigi 17.12.2019, n° 152/201.

Il fotografo francese Jean Francois Bauret, morto nel 2014, realizzò nel 1970 una fotografia chiamata <<Enfants>>, mai venduta come stampa ma riprodotta in cartolina

Gli eredi si accorgono che l’artista statunitense Jeff Koons l’ha riprodotta con modeste varianti in una sua scultura, chiamata <<Naked>>.

Ecco le fotografie (presenti in  sentenza e in IPKat, prese da quest’ultimo).  A sinistra quella di Bauret e a destra quella riproducente la scultura di Koons:

La corte parigina respinge l’eccezione di Koons di mancanza di originalità e pure quella di eventuale riproduzione di elementi non originali. E’ del resto intuibile anche al profano che i bimbi nella fotografia non hanno una posizione spontanea,  come vorrebbe Koons, bensì guidata dal fotografo.

La Corte respinge l’eccezione di necessità per libertà artistica e di comunicazione (p. 19-21) : afferma che <<Il revient au juge de rechercher un juste équilibre entre les droits en présence, soit la liberté  d’expression artistique et le droit d’auteur, et d’expliquer, en cas de condamnation, en quoi la recherche de ce juste équilibre commandait cette condamnation.>>.

La Corte non si riferisce purtroppo -almeno in via esplicita (ma implicita si, probabilmente)- alle tre recenti sentenze della Corte di Giustizia 29 luglio 2019, A.G. Szpunar,  che l’hanno esaminata approfonditamente: i) Pelham-Hass c. Hutter-Schneider-Esleben, C-476/17, § 56-65 (§ 66 segg. sull’eccezione di citazione); ii) Funke Medien c. Repubblica Federale di Germania, C-469/17, terza e seconda questione (§§ 55 ss e, rispettivamene, 65 ss.); iii)  Spiegel Online c. Volker Beck, C-516/17, terza e seconda questione (§§ 40 ss e rispettivametne 50 ss., nonchè § 75 ss sull’eccezione di citazione). Le quali tutte -in breve- escludono l’invocabilità di un fair use o comunque di un diritto fondamentale non previsto nel catalogo dei rimedi propri del diritto armonizzato ad oggi vigente.

Respinge pure l’eccezione di parodia (p. 21-22) , secondo la quale <<l’oeuvre seconde, pour bénéficier de l’exception de parodie, doit présenter un caractère humoristique, éviter tout risque de confusion avec l’oeuvre première, et permettre l’identification de celle-ci. (…)  La parodie doit aussi présenter un caractère humoristique, faire oeuvre de raillerie ou provoquer le rire, condition que ne caractérise ni ne revendique Jeff KOONS et la société Jeff KOONS LLC, la différence entre les messages transmis par les deux oeuvres ne répondant pas à cette condition de l’exception de parodie.>>.

Insommma la parodia deve avere un carattere umoristico, prendere in giro o provocare risate, oltre che non creare confusione: requisiti ritenuti assenti nell’opera di Koons. Probabilmente il Collegio parigino aveva in mente la sentenza Deckmyn +1 c. Vandersteen ed altri, Corte di Giustizia, 03.09.2014, C‑201/13, secondo cui <<la parodia ha come caratteristiche essenziali, da un lato, quella di evocare un’opera esistente, pur presentando percettibili differenze rispetto a quest’ultima, e, dall’altro, quella di costituire un atto umoristico o canzonatorio>> (§ 33 ma anche § 20). Ma anche qui non ne ha fatto menzione espressa.

Falcone, Borsellino e la protezione giuridica della fotografia

La fotografia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sorridenti è una delle più note tra quelle che li riguardano: fu scattata dal fotografo palermitano Antonio Gentile nel 1992 (due mesi prima della morte del primo).

La foto è presente in numerosi siti internet; ad es qui in ilfotografo.it.

Il fotografo nel 2017 citò la RAI in giudizio in risarcimento danni, lamentando l’illecita riproduzione della stessa, come si legge in sentenza:  <<a dire dell’attore la fotografia era stata mandata in onda più volte e pubblicata da  RAI sul propriosito  web,  a  corredo  di  una  campagna  di  sensibilizzazione  denominata “La ricerca della Legalità”, senza che all’autore venissero corri-sposti i diritti, che quantificava in oltre un milione di euro. L’attore  chiedeva anche  il  risarcimento  dei  danni  non  patrimoniali  per  euro 300.000 e la pubblicazione della sentenza>> (p. 4).

Il Trib. Roma però, con sentenza 12.09.2019 n° 14758 RG n. 75066/2017, ha escluso la creatività sufficiente per ravvisare opera dell’ingegno.

Secondo il giudice infatti <<La  fotografia  (….)  non  si  caratterizza  (…)  per  una  particolare  creatività, non  sembra  vi  sia  stata  da  parte  dell’autore  della  fotografia  una  particolare scelta di posta, di luci, di inquadramento, di sfondo. Si tratta invero di una testimonianza, a mo’ di cronaca, di una situazione di fatto, il momento di sorri-so e di rilassamento di due colleghi magistratidurante un congresso. Ciò  che  rende  particolare  questa  fotografia è  l’eccezionalità  del  soggetto:  si tratta di due magistrati eroi e martiri della lotta della Repubblica contro il fenomeno  mafioso  ed  il  loro  atteggiamento  sorridente,  l’immagine  della  loro amicizia, la stima reciproca che emerge da questa foto sono altamente simbo-lici  di  un  periodo  repubblicano  nel  quale,a  duro  prezzo,finalmente  questo Stato preseconsapevolezza della grandezza del fenomeno mafioso e lo seppe e vollecombattere, mediante queste persone ed a prezzo del loro personale sacrificio, con forza, decisione e per mezzo della loro integritàpersonale. La bellezza nella foto quindi è tanto più grande quanto, a posteriori, si riconosca e si ricordi la storia dei soggetti che lì sono effigiati. Dubita  questo  collegio  che  tutte  queste  considerazioni  fossero  nell’animo  ovvero nell’intenzione  del  fotografo a  priori,  cioè mentre  riprendeva  la  scena amicale rappresentata nella fotografia; né d’altronde, presumibilmente, questa fotografia avrebbe assunto il valore simbolico odierno se i soggetti ivi rappresentati non fossero tragicamente morti per mano mafiosa. Si tratta quindi sicuramente di una bella fotografia, simbolica, toccante ma che non può configurarsi quale opera d’arte>>.

L’opera dell’ingegno fotografica, infatti, <<presuppone (…) una lunga accurata sceltada parte del fotografo del luogo, del soggetto, dei colori, dell’angolazione, dell’illuminazionee si concretizza in uno scatto unico, irripetibile nel quale l’autore sintetizza la sua visione del soggetto. Il fotografo deve quindi avere in mente un obiettivo pittorico e creativo di valore artistico ed innovativo che tende a realizzare in una rappresentazione che non è grafico-pittorica bensì fotografica. In  sostanza  i  presupposti  per  riconoscere  ad  una  fotografia  valore  di  opera d’arte sono i medesimi chedevono essere ascritti  ad un quadro. La fotografia deve essere l’espressione di un progetto artistico, di uno stile, di un momento creativo>>

Si tratta dunque di fotografia semplice ex art. 87 l. a.

Solo che nemmeno questa tutela è stata riconosciuta, essendo già decorso il termine ventannale di durata del diritto (art. 92 l.a.).

Copyright e intelligenza artificiale (AI): novità da AIPPI (e da WIPO)

E’ stata diffusa la notizia che AIPPI (Association Internationale pour la Protection de la Propriété Intellectuelle) ha concluso l’indagine sulla proteggibilità dei lavori creati con l’AI pubblicando la Risoluzione adottata al congresso di Londra del 18 settembre 2019, Copyright in artificially generated works.

L’ Encyclopaedia Britannica (richiamata nella Risoluzione) dà questa definizione introduttiva nella sua voce omonima:

<<Artificial Intelligence (AI) , the ability of a digital computer or computer-controlled robot to perform tasks commonly associated with intelligent beings. The term is frequently applied to the project of developing systems endowed with the intellectual processes characteristic of humans, such as the ability to reason, discover meaning, generalize, or learn from past experience. Since the development of the digital computer in the 1940s, it has been demonstrated that computers can be programmed to carry out very complex tasks—as, for example, discovering proofs for mathematical theorems or playing chess—with great proficiency. Still, despite continuing advances in computer processing speed and memory capacity, there are as yet no programs that can match human flexibility over wider domains or in tasks requiring much everyday knowledge. On the other hand, some programs have attained the performance levels of human experts and professionals in performing certain specific tasks, so that artificial intelligence in this limited sense is found in applications as diverse as medical diagnosis, computer search engines, and voice or handwriting recognition.>>

E’ interessante e chiaro il documento prepatorio Study Guidelines. Nelle pagine dedicate si possono consultare anche i vari report nazionali e quello riassuntivo (Summary Report).

Dei cinque casi (Working Example) prospettati per dare concretezza (ottima idea metodologica) al ragionamento, la Risoluzione afferma la proteggibilità solo per il case 2.a) e cioè:

<< Step 2: Data is selected to be input to the one or more AI entities. The data may be prior works such as artwork, music or literature. The data also may be inputs from sensors or video cameras or input from other sources, such as the internet, based on certain selection criteria.
[Case 2a]. The data or data selection criteria are selected by a human.
[Case 2b]. The data or data selection criteria are not selected by a human. >>

E’ invece negata la proteggibilità quando l’azione  umana consiste (solo) nella scelta degli obiettivi:

<< Step 1: One or more AI entities are created that are able to receive inputs from the environment, interpret and learn from such inputs, and exhibit related and flexible behaviours and actions that help the entity achieve a particular goal or objective over a period of time1. The particular goal or objective to be achieved is selected by a human and, for purposes of this Study Question, involves generation of works of a type that would normally be afforded copyright protection >>.

In sintesi, i risultati ottenuti senza intevento umano non son proteggibili come opera dell’ingegno, ma potrebbe esserlo come diritti connessi.

Quest’ultima affermazione andrà precisata, dato che per certi di questi si pongono esigenze simili al diritto di autore: per artisti interpreti esecutori.  Se una macchina di AI esegue una partitura musicale, può essere tutelata anche l’esecuzione frutto solo di AI? Ci sono esigenze di policy così diverse da quelle che negano la protezione maggiore come opera dell’ingegno?

Per rispondere in maniera non troppo approssimativa bisognerebbe capire meglio il lato tecnico e cioè dove può situarsi e come può caratterizzarsi l’intervento umano in sede di progettazione e funzionamento della macchina.

C’è poi da capire come si possa verificare che vi sia stata reale attività umana e che sia consistita proprio in quella dichiarata (seppur a posteriori,  in caso di lite, dato che il diritto sorge senza formalità costitutive)

Inoltre W.I.P.O. il 13.12.2019 ha lanciato un Call for Comments ad una bozza di temi relativi all’impatto di AI sulla proprietà intellettuale . Riporto la parte sul copyright che correttamente imposta la questione (§ 12): <<The policy positions adopted in relation to the attribution of copyright to AI-generated works will go to the heart of the social purpose for which the copyright system exists. [1] If AI-generated works were excluded from eligibility for copyright protection, the copyright system would be seen as an instrument for encouraging and favoring the dignity of human creativity over machine creativity. [2] If copyright protection were accorded to AI-generated works, the copyright system would tend to be seen as an instrument favoring the availability for the consumer of the largest number of creative works and of placing an equal value on human and machine creativity>> (grassetti e numeri 1 e 2 in rosso da me aggiunti)

Nel frattempo la Cina taglia corto e riconosce il diritto di autore ai lavori prodotti dall’A.I.: v. la notizia 10.01.2020 in Venturebeat su una sentenza del tribunale di Shenzen.

Una a sintesi dei principali problemi, posti dalla protezione IP (brevetti e diritto di autore) delle creazioni ottenute tramite intelligenza artificiale, è stata redatta da Iglesias-Shamuilia-Andereberg, Intellectual Property and Artificial Intelligence – A literature review, 2019,  per conto della Commissione Europea. Qui trovi bibliografia in tema e l’indicazione  di protezioni tramite diritto di autore (nonchè di due tramite brevetto) (v. tabella a p. 12-13).

Un interessante caso di utilizzo di banca dati altrui e quindi di applicazione del diritto sui generis sulla medesima

Il tribunale delle imprese di Roma (sez. Trib. Imprese 4-5/09/2019, RG 34006/2019;  ne dà notizia Maraffino sul Sole 24 ore di oggi 21.10.2019, p. 22, ove il testo in allegato) interviene con un interessante provvedimento cautelare in materia di diritto sui generis su banca dati (art. 102 bis-ter l. aut.)

La banca dati per cui era causa era quella relativa ad orari e prezzi ferroviari  di Trenitalia.

Era capitato che la società di diritto inglese Go Bright avesse proceduto a estrazione e reimpiego dei dati di questa bancadati di Trenitalia. Trenitalia se n’era lamentata e aveva ottenuto in via cautelare inaudita altera parte l’inibitoria di cessazione e la comminazione di penale per successive eventuali violazioni a carico di Go Bright  Instauratosi il contraddittorio, però il tribunale di Roma col provvedimetno de quo ha revocato quello anteriore  inaudita altera parte e rigettato la domanda cautelare di Trenitalia

il Tribunale ricorda che la disciplina sulle banche dati prevede che <<il costitutore di una banca di dati ha il diritto, per la durata e alle condizioni stabilite dal presente Capo, di vietare le operazioni di estrazione ovvero reimpiego della totalita’ o di una parte sostanziale della stessa.>> (art. 102 bis c. 2 l. aut.)

“Costitutore” e quindi titolare di tale diritto è colui che <<effettua investimenti rilevanti per la costituzione di una banca di dati o per la sua verifica o la sua presentazione, impegnando, a tal fine, mezzi finanziari, tempo o lavoro;>> (art. 102 bis c. 1 lett. a) lt.). Il Tribunale dà atto che sul punto non c’erano contestazioni e quindi tale qualifica viene riconosciuta a Trenitalia.

Ad integrazione del c. 3. cit., il seguente comma 9 dell’art. 102 bis prevede però che <<non sono consentiti l’estrazione o il reimpiego ripetuti e sistematici di parti non sostanziali del contenuto della banca di dati, qualora presuppongano operazioni contrarie alla normale gestione della banca di dati o arrechino un pregiudizio ingiustificato al costitutore della banca di dati.>>

La ragione di quest’ultima norma è abbastanza chiara.  E’ vero che l’estrazione o il reimpiego di una banca dati altrui è sempre ammesso, purchè limitato ad una parte non sostanziale: ma è facile eludere tale limite procedendo con accessi ripetuti nel tempo, ciascuno rispettante il limite della “non sostanzialità” della parte utilizzata.

E’ un po’ come la regola sul divieto di uso del contante che superi una certa soglia, la quale può essere elusa tramite il frazionamento ripetuto nel tempo  di prelievi che, individualmente considerati, rispettano la soglia stessa: è per questo che la legge ha provveduto ad inserire una norma relativa al caso di cumulo di prelievi in un certo periodo di tempo. Ha infatti disposto che <<Il trasferimento superiore al predetto limite, quale che ne sia la causa o il titolo, e’ vietato anche quando e’ effettuato con piu’ pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati>>, dovendosi intendere per <<operazione frazionata>>, l’<<operazione unitaria sotto il profilo del valore economico, di importo pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso piu’ operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni, ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale>> (art. 49 e rispett. art. 1 lett. v) del D. lgs. 231 21.11.2007; c’è una disarmonia lessicale però, dato che prima parla di operazioni e poi di trasferimenti e di pagamenti).

Ebbene anche nel nostro caso è ammesso l’utilizzo di porzioni di banca dati altrui in misura non sostanziale ma  con dei limiti, quando si ha ripeta frequentemente.

Il legislatore fiscale ha ritenuto di porre una soglia quantitativa e temporale; la legge sul Diritto d’autore ha invece stabilito il concetto di operazioni “ripetute e sistematiche” , accompagnandolo poi con un’ulteriore duplice condizione negativa: i) che non devono presupporre operazioni contrarie alla normale gestione della banca dati; e ii) che non arrechino un pregiudizio ingiustificato al costitutore. Queste ultime due ipotesi sono parzialmente coincidenti dato che l’operazione contraria alla normale gestione probabilmente sarà anche pregiudizievole, ma letteralmente una differenza c’è: per quella sub i) rileva solo la contrarietà alla normale gestione, essendo invece irrilevante la dannosità.

Il Tribunale ricorda poi che esiste un’altra norma, trascurata dal giudice cautelare di prime cure, costituita dal c. 3 dell’articolo 102 ter. Secondo questa, <<non sono soggette all’autorizzazione del costitutore della banca di dati messa per qualsiasi motivo a disposizione del pubblico le attivita’ di estrazione o reimpiego di parti non sostanziali, valutate in termini qualitativi e quantitativi, del contenuto della banca di dati per qualsivoglia fine effettuate dall’utente legittimo. Se l’utente legittimo e’ autorizzato ad effettuare l’estrazione o il reimpiego solo di una parte della banca di dati, il presente comma si applica unicamente a tale parte>>.

La complessiva disciplina dunque pare sintetizzabile così:

A)  se la banca dati non è stata messa a disposizione del pubblico, è ammesso il reimpiego/estrazione solamente se A1) non sostanziale, nonchè  A2) non ci siano utilizzi ripetuti e sistematici contrari alla normale gestione -oppure, in alternativa ad A2- ; A3) non ci siano utilizzi ripetuti e sistematici arrecanti pregiudizievole ingiustificata al titolare.

B) quando invece la banca dati è stata messa a disposizione del pubblico, i paletti sono quelli B1) del reimpiego/estrazione “non sostanziali” (valutate in termini qualitativi e quantitativi), B2) da parte dell’utente legittimo.  Altri limiti non ci sono ed anzi è esporessamente detto che è ammesso per qualsiasi fine effettuato dall’utente legittimo (c. 3 art. 102 ter)

Semmai c’è da chiedersi chi sia l'<<utente legittimo>>, dato che per ipotesi si tratta di banca dati messa a disposizione del pubblico e quindi per chiunque. Tale concetto allora andrà probabilmente inteso con riferimento ad eventuali limitazioni che il costitutore apponga all’utilizzo pubblico: sarebbe logico,  perché in tali casi è utente legittimo solo chi rispetta i limiti entro cui il costitutore ha messo a disposizione del pubblico la banca dati. Se supera quei limiti, l’utente non è più legittimo.

Tornando al caso sub iudice l’estrazione consistette nell’estrazione da parte di Go Bright con picchi fino a 800.000 accessi al giorno, che rappresentavano il 30% di tutti gli accessi sui siti Trentilaia e rallentamenti della funzionalità dei server. Il giudice romano ha ritenuto che tali dati, forniti da Trenitalia, <<non appaiono sufficientemente convincenti per poter dare una risposta alla questione precedentemente sottolineata, in quanto il numero, per la verità non impressionante (30% degli accessi sulla totalità degli accessi giornalieri di TRENITALIA peraltro suddivisi nelle ventiquattr’ore) dello scraping effettuato sulla piattaforma della società ricorrente potrebbe essere interpretato come una periodica e selettiva acquisizione di dati da parte del server di GoBright. Non vi è quindi evidenza di una manifesta e di inequivoca sottrazione della banca dati da parte della società resistente>>( p. 8).

Inoltre ha precisato che l’apertura della banca dati al pubblico <<comporta la possibilità per qualsiasi utente di estrarre legittimamente tali dati in misura non sostanziale e di utilizzarli nelle forme che ritiene più opportune, anche in forma commerciale.>> (p. 6),  precisando subito dopo così: <<in  sintesi, una volta che la banca dati sia stata resa pubblica nel suo complesso, sono consentite ad avviso di questo giudice tutte le attività di estrazione, riproduzione e rielaborazione dei dati contenuti nella banca da parte di tutti gli utenti legittimi, siano essi soggetti fisici o soggetti imprenditoriali a condizione che la riutilizzazione e reimpiego dei dati non avvenga in maniera massiccia origuardi “ la totalità della banca dati, una parte sostanziale della stessa” (art. 102 bis) ovvero “il reimpiego di parti sostanziali valutati in termini qualitativi e quantitativi (art. 102 ter LDA)”.>> (p. 6/7)

Un elemento fattuale importante è che -secondo Go Bright- l’acquisizione dei dati non avveniva una volta per tutte e in via definitiva, bensì <<volta per volta sui propri server mediante il sistema dello “scraping” e che vi è un’acquisizione continuativa nel tempo e selettiva da parte del proprio applicativo dei dati utili al singolo utente che ne fa contestuale richiesta. In termini semplificati i server della società resistente acquisiscono i soli dati utili alla configurazione della richiesta del singolo utente.>> (p. 7).  In altre parole <<l’acquisizione parcellizzata e non massiva dei dati, considerate anche le prestazioni svolte dalla società, è piuttosto sintomatica di un uso contingente (ogniqualvolta l’utente ne faccia richiesta), circostanza questa che affievolisce significativamente il fumus cautelare evidenziato dal giudice della tutela interinale>> (p. 8)

La decisione esaminata non appare però particolarmente coerente, in quanto sembra mescolare i requisiti per fruire della banca dati altrui non resa pubblica con quelli necessari per fruire della banca dati altrui resa pubblica. Si tratta invece di due fattispecie normativamente distinte e quindi bisogna scegliere in base a quale  di esse si giudica la fattispecie concreta. Se la fattispecie astratta è quella dell’utilizzo di parti non sostanziali di banca dati non resa pubblica, allora ci si deve riferire all’articolo 102.  Se invece la fattispecie astratta è quella dell’utilizzo di banca dati resa pubblica, allora la norma di riferimento è solamente il comma 3 dell’articolo 102. I due gruppi di norme quindi non paiono potersi reciprocamente cumulare o in qualche modo integrare .

Se  sì esamina dunque il requisito del pregiudizio ex c. 9 art. 102 bis (banca dati non resa pubblica) , non si può poi anche ragionare sulla “non sostanzialità in termini qualitativi e quantitativi” di cui al c. dell’art. 102 ter (banca dati resa pubblica)

E interessante anche il riferimento finale alla recente direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, volta a facilitare l’utilizzo (commerciale e non) dei dati in possesso delle pubbliche amministraizoni.

Alla luce di tale novità , il  giudice ritiene che ciò porti ad un’interpretazione restrittiva del concetto di “parte sostanziale”, al punto da farla quasi coincidere col concetto di “totalità”, sì da facilitare reimpiego/estrazione dei dati propri presenti nelle banche dati. Dice infatti <<quando si parla quindi di estrazione, reimpiego ovvero rielaborazione di un quantitativo di dati provenienti da soggetto a cui la disciplina comunitaria impone la massima divulgazione dei dati in proprio possesso, il concetto di “parte sostanziale” del prelievo deve essere interpretato ed applicato in conformità alla volontà del legislatore comunitario in un’ottica di sostanziale sovrapposizione fra il concetto di “totalità” e quello di “parte sostanziale”. Quindi solo la prova stringente di una sottrazione di una banca dati complessiva può fondare il rilascio di un provvedimento interdittivo>> (p. 10)

Il punto è interessante anche se delicato da risolvere. Si potrebbe dire che la normativa sulla proprietà intellettuale vada interpretata a prescindere da questa direttiva, essendo norma speciale rispetto ad essa.

Tuttavia potrebbe far inclinare per la conclusione opposta (e quindi nel senso del Tribunale romano) il  fatto che la direttiva non si applica <<ai documenti su cui terzi detengono diritti di proprietà intellettuale;>> (art. 1 § 2 lett. c, dir.). Si badi che per <<documento>> si intende <<qualsiasi contenuto, a prescindere dal suo supporto>> (art. 2 n. 6 dir.; curioso uso sinonimico di documento e contenuto).

Con la conseguenza allora che, quando invece il diritto di IP spetti all’Ente stesso, la normativa di trasparenza e accessibilità va pienamente applicata.

La Corte di Giustizia sul cumulo di protezione per disegni e modelli (tutela specifica e tutela d’autore)

La Corte di Giustizia con sentenza 12.09.2019, C-683/17, Cofomel-Sociedade de Vestuário SA c. G‑Star Raw CV,  esamina una questione pregiudiziale sollevata dalla corte suprema portoghese.

Il diritto portoghese concede protezione d’autore anche a <<opere d’arte applicata, disegni e modelli industriali e opere di design che costituiscano una creazione artistica, indipendentemente dalla tutela della proprietà industriale>>, § 15

Pertanto il giudice portoghese chiede alla C.G. <<se l’interpretazione data dalla Corte all’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/29 osta ad una normativa nazionale – nel caso di specie, la norma di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera i), del codice del diritto d’autore e diritti connessi – che garantisca protezione a titolo di diritti d’autore a opere d’arte applicata, disegni e modelli industriali e opere di design, che, al di là del loro fine utilitario, producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico, di tal guisa che la loro originalità è il criterio centrale per l’attribuzione della protezione nell’ambito dei diritti d’autore>>, § 25.

[ La formulazione del questito non è chiara: il dettato normativo non dice esattamente quello che chiede il giudice, ma forse questi si riferisce ad una prassi interpretativa nazionale.]

La Corte riformula  la questione così: <<il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/29 vada interpretato nel senso che osta al conferimento, da parte di una normativa nazionale, di tutela ai sensi del diritto d’autore a modelli come i modelli di capi di abbigliamento oggetto del procedimento principale in base al rilievo secondo il quale, al di là del loro fine utilitario, essi producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico>>, § 26

Il passo centrale dunque, su cui certe la risposta, è il concetto di “producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico”. Cioè la Corte , se ben intendo, deve giudicare sulla compatibilità della normativa posta della direttiva 29/2001 con la tutela portoghese basata su tale concetto .

 La Corte ribadisce concetti noti tra cui:

<<La nozione di «opera» (..) costituisce (..) una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata e applicata in modo uniforme, e che presuppone il ricorrere di due elementi cumulativi. Da una parte, tale nozione implica che esista un oggetto originale, nel senso che detto oggetto rappresenta una creazione intellettuale propria del suo autore. D’altra parte, la qualifica di opera è riservata agli elementi che sono espressione di tale creazione (..) >>, § 29

Quanto al primo elemento, l’originalità <<è necessario e sufficiente che rifletta la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere e creative di quest’ultimo>>, § 30

Quanto al secondo elemento, <<la nozione di «opera» di cui alla direttiva 2001/29 implica necessariamente l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività>>, § 32. Infatti <<da un lato, le autorità competenti a garantire la tutela dei diritti esclusivi inerenti al diritto d’autore devono poter conoscere con chiarezza e precisione gli oggetti in tal modo protetti. Lo stesso vale per i terzi nei confronti dei quali si può far valere la tutela rivendicata dall’autore di detto oggetto. Dall’altro lato, la necessità di evitare qualsiasi elemento di soggettività, pregiudizievole per la certezza del diritto, nel processo di identificazione di detto oggetto implica che quest’ultimo sia stato espresso in modo obiettivo>>, § 33

Quando un oggetto presenta queste due caratteristiche, deve beneficiare della tutela d’autore, <<ove la portata di tale tutela non dipende dal grado di libertà creativa di cui ha goduto il suo autore e non è pertanto inferiore a quella di cui gode ogni opera che ricade in detta direttiva>>, § 35

Svolte queste premesse generali,  la Corte esamina se i modelli sub judice costituiscano opere ai sensi della direttiva 29/2001.

Disegni e modelli non sono in linea di principio assimilabili alle opere protette (§ 40) , ma è possibile concedere una protezione d’autore speciale (§ 42) in aggiunta a quella loro propria (§ 43).

Pertanto è confermato che modelli e disegni, se rispettano i due requisit predetti,  costituiscano “opere” ex dir. 29 (§ 48).

Poi la CG esamina il punto specifico e cioè <<se siano qualificabili come «opere», alla luce di queste esigenze, modelli come i modelli di capi di abbigliamento oggetto del procedimento principale che, al di là del loro fine utilitario, producono, secondo il giudice del rinvio, un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico, ove le questioni di detto giudice vertono sulla questione se un tale elemento di originalità estetica costituisca il criterio centrale di attribuzione della protezione prevista dalla direttiva 2001/29>>, § 49 . L’inciso finale (“ove le questioni di detto giudice..”) pare da interpretare nel senso che la CG valuta sul presupposto che il requisito costituisca l’unico (quello “centrale”) cui è subordinata la concessione della tutela d’autore a disegni e modelli.

La risposta è negativa, soprattutto alla luce del secondo requisito sopra ricordato.

Infatti l’effetto estetico prodotto da un modello è il risultato della sensazione soggettiva della bellezza percepita dall’osservatore. Quindi <<questo effetto di natura soggettiva non consente, di per sé, di caratterizzare l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività ai sensi della giurisprudenza menzionata ai punti da 32 a 34 della presente sentenza>>, § 53.

È bensì vero, ricorda la Corte, che le considerazioni estetiche fanno parte dell’attività creativa. Tuttavia la produzione di un effetto estetico non permette di determinare se il modello sia o meno creazione intellettuale, che rifletta la libertà di scelta e la personalità del suo autore e cioè se sia o meno originale (§ 54): che, come detto, è l’unico criterio rilevante.

Di conseguenza il requisito dell’ <<effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico>>, menzionato dal giudice di rinvio, non permette di concedere la tutela per le opere (§ 55), per cui la Corte concludeche la direttiva 29  osta a conferire tutela d’autore in base a questo requisito (§ 56).

La decisione può avere grande impatto, in quanto non ammette per alcun settore requisiti ulteriori, a parte l’orignalità, per la protezione d’autore.   Tuttavia lascia un po’ perplessi.

La normativa europea ed internazionale permette ai singoli Stati di fissare le condizioni a cui concedere la protezione d’autore a modelli e disegni: v. i §§ 3-14 e poi §§ 42-47 e soprattutto dir. 98/71 e reg. 6/2002, fatti salvi dall’art. 9 della dir. 29:

  • cons. 8 dir. 98/71: <<«[C]onsiderando che, in mancanza di un’armonizzazione della normativa sul diritto d’autore, è importante stabilire il principio della cumulabilità della protezione offerta dalla normativa specifica sui disegni e modelli registrati con quella offerta dal diritto d’autore, pur lasciando gli Stati membri liberi di determinare la portata e le condizioni della protezione del diritto d’autore>>;
  • art. 17 dir. 98/71: <<«I disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d’autore vigente in tale Stato fin dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere>>;
  • cons. 32 REg. 6/2002: <<In assenza di una completa armonizzazione delle normative nazionali in tema di diritto d’autore è importante stabilire il principio della cumulabilità della protezione conferita dal disegno o modello comunitario con quella conferita dal diritto d’autore, pur lasciando agli Stati membri piena facoltà di determinare la portata e le condizioni della protezione conferita dal diritto d’autore>>;
  • art. 96 § 2 reg. 6/2002: <<Disegni e modelli protetti in quanto tali da un disegno o modello comunitario sono altresì ammessi a beneficiare della protezione della legge sul diritto d’autore vigente negli Stati membri fin dal momento in cui il disegno o modello è stato ideato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere>>.
  • art. 9 della dir. 29 /2001: <<La presente direttiva non osta all’applicazione delle disposizioni concernenti segnatamente brevetti, marchi, disegni o modelli, modelli di utilità, topografie di prodotti a semiconduttori, caratteri tipografici, accesso condizionato, accesso ai servizi di diffusione via cavo, la protezione dei beni appartenenti al patrimonio nazionale, gli obblighi di deposito legale, le norme sulle pratiche restrittive e sulla concorrenza sleale, il segreto industriale, la sicurezza, la riservatezza, la tutela dei dati e il rispetto della vita privata, l’accesso ai documenti pubblici, il diritto contrattuale.>>

La Corte avrebbe dovuto spiegare – alla luce di tali norme- come possa imporre alla disciplina nazionale di disegni e modelli lo stesso concetto di “opera proteggibile”, previsto per le altre opere secondo la dir. 29.

Pare infatti  difficile ritenere che la previsione di requisiti ulteriori specifici (da noi il valore artistico: art.  2 n. 10 l.a.; in Germania, la soglia particolarmente elevata di originalità, secondo la teoria giurisprudenziale dei tre livelli della stessa, c.d. Stufentheorie, su cui v. Donle-Held-Nordemann-Schiffel-Nordemann, The interplay between design and copyright protection for industrial products, 31.05.2012, per AIPPI, §§ 4-5) possa essere incompatibile con la disciplina europea ex dir. 29. Come appena visto, infatti, la  normativa europea ed internazionale permette ai singoli Stati di determinare le condizioni della protezione.

Questa tesi è stata sostenuta pure da alcuni Stati intervenuti, tra cui l’Italia, ma contrastata dalle conclusioni dell’A.G. Szpunar, che nega l’esistenza di una lex specialis per disegni e modelli (v. sue conclusioni  2 maggio 2019, §§ 33-48). Egli contrasta il pur chiaro dettato normativo cit., affermando -con rif. al reg. 6/2002- che era anteriore alla dir. 29 e dunque volutamente provvisorio in attesa di un aromnizzazione del diritto di autore europea (§ 37).

Secondo l’AG, la ragione consisterebbe soprattutto nel fatto che: i) l’elaborazione dei due atti normativi (reg. 6/2002 e dir. 29) è proceduta in contemporanea; ii)  che la regola sul punto del reg. 6/2002 era presente anche nella sue versioni iniziali; iii)  che, pur essendo la dir. 29 stata approvata prima del reg., è però entrata in vigore dopo. In conclusione, le disposizioni, che lasciano agli Stati la determinazione della tutela di autore a disegni e mdoelli, andrebbero soggette ad una sorta di interpretatio abrogans.

Questa posizione mi pare alquanto debole.

I punti i) e ii) vanno valorizzato in senso opposto: il fatto che sia stata mantenuta la disciplina iniziale anche quanto la dir. 29 era in avanzato stato di elaborazione ,-anzi, era stata già approvata formalmente, significa che il tenore letterale è stato consapevolmente voluto e dunque è stata voluta la disciplina speciale per disegni e modelli. Il punto iii) è irrilevante: quello che conta è se esisteva o meno una disciplina generale  d’autore (basterebbero lavori avanzati, non essendo necessaria la approvazione definitiva), quando è stato varato il reg. 6 : e la risposta è positiva. Il momento di entrata in vigore non ha alcun rilievo interpretativo.

Ancora , l’AG contrasta l’art. 9 della dir. 29 dicendo che <<la direttiva 2001/29, la quale è relativa al diritto d’autore, non debba pregiudicare le disposizioni di altri settori, come il diritto dei disegni e dei modelli. Tuttavia, l’articolo 17 della direttiva 98/71, al pari dell’articolo 96, paragrafo 2, del regolamento n. 6/2002, [1° argomento] non sono disposizioni afferenti al settore del diritto dei disegni e dei modelli, bensì a quello del diritto d’autore. [2° argomento] Una diversa interpretazione implicherebbe che la protezione delle opere delle arti applicate attraverso il diritto d’autore dipenda dal diritto dei disegni e dei modelli, mentre questi due settori sono tra loro autonomi. L’articolo 9 della direttiva 2001/29 non può, pertanto, essere interpretato come determinante l’esclusione dei disegni e dei modelli dall’armonizzazione operata con la direttiva 2001/29>> (§ 39).

Il ragionamento non è corretto. Circa il primo argomento, l’art. 9 non fa salve solo le regole ad hoc di disegni e modelli, ma tutte le <<disposizioni concernenti segnatamente brevetti, marchi, disegni o modelli>>: quindi pure quelle che si occupano della tutela di autore. Circa il secondo , che i due settori siano autonomi è una petizione di principio: le riscostruzioni in sede interpretativa dipendono infatti dalle norme e queste sul punto specifico dicono l’opposto.