Su originalità, libertà artistica e parodia nel diritto d’autore (un caso francese tra fotografia e scultura)

Il prezioso sito IPKat a firma Eleonora Rosati il 23.12.2019 dà notizia della sentenza francese Corte di appello di Parigi 17.12.2019, n° 152/201.

Il fotografo francese Jean Francois Bauret, morto nel 2014, realizzò nel 1970 una fotografia chiamata <<Enfants>>, mai venduta come stampa ma riprodotta in cartolina

Gli eredi si accorgono che l’artista statunitense Jeff Koons l’ha riprodotta con modeste varianti in una sua scultura, chiamata <<Naked>>.

Ecco le fotografie (presenti in  sentenza e in IPKat, prese da quest’ultimo).  A sinistra quella di Bauret e a destra quella riproducente la scultura di Koons:

La corte parigina respinge l’eccezione di Koons di mancanza di originalità e pure quella di eventuale riproduzione di elementi non originali. E’ del resto intuibile anche al profano che i bimbi nella fotografia non hanno una posizione spontanea,  come vorrebbe Koons, bensì guidata dal fotografo.

La Corte respinge l’eccezione di necessità per libertà artistica e di comunicazione (p. 19-21) : afferma che <<Il revient au juge de rechercher un juste équilibre entre les droits en présence, soit la liberté  d’expression artistique et le droit d’auteur, et d’expliquer, en cas de condamnation, en quoi la recherche de ce juste équilibre commandait cette condamnation.>>.

La Corte non si riferisce purtroppo -almeno in via esplicita (ma implicita si, probabilmente)- alle tre recenti sentenze della Corte di Giustizia 29 luglio 2019, A.G. Szpunar,  che l’hanno esaminata approfonditamente: i) Pelham-Hass c. Hutter-Schneider-Esleben, C-476/17, § 56-65 (§ 66 segg. sull’eccezione di citazione); ii) Funke Medien c. Repubblica Federale di Germania, C-469/17, terza e seconda questione (§§ 55 ss e, rispettivamene, 65 ss.); iii)  Spiegel Online c. Volker Beck, C-516/17, terza e seconda questione (§§ 40 ss e rispettivametne 50 ss., nonchè § 75 ss sull’eccezione di citazione). Le quali tutte -in breve- escludono l’invocabilità di un fair use o comunque di un diritto fondamentale non previsto nel catalogo dei rimedi propri del diritto armonizzato ad oggi vigente.

Respinge pure l’eccezione di parodia (p. 21-22) , secondo la quale <<l’oeuvre seconde, pour bénéficier de l’exception de parodie, doit présenter un caractère humoristique, éviter tout risque de confusion avec l’oeuvre première, et permettre l’identification de celle-ci. (…)  La parodie doit aussi présenter un caractère humoristique, faire oeuvre de raillerie ou provoquer le rire, condition que ne caractérise ni ne revendique Jeff KOONS et la société Jeff KOONS LLC, la différence entre les messages transmis par les deux oeuvres ne répondant pas à cette condition de l’exception de parodie.>>.

Insommma la parodia deve avere un carattere umoristico, prendere in giro o provocare risate, oltre che non creare confusione: requisiti ritenuti assenti nell’opera di Koons. Probabilmente il Collegio parigino aveva in mente la sentenza Deckmyn +1 c. Vandersteen ed altri, Corte di Giustizia, 03.09.2014, C‑201/13, secondo cui <<la parodia ha come caratteristiche essenziali, da un lato, quella di evocare un’opera esistente, pur presentando percettibili differenze rispetto a quest’ultima, e, dall’altro, quella di costituire un atto umoristico o canzonatorio>> (§ 33 ma anche § 20). Ma anche qui non ne ha fatto menzione espressa.

Falcone, Borsellino e la protezione giuridica della fotografia

La fotografia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sorridenti è una delle più note tra quelle che li riguardano: fu scattata dal fotografo palermitano Antonio Gentile nel 1992 (due mesi prima della morte del primo).

La foto è presente in numerosi siti internet; ad es qui in ilfotografo.it.

Il fotografo nel 2017 citò la RAI in giudizio in risarcimento danni, lamentando l’illecita riproduzione della stessa, come si legge in sentenza:  <<a dire dell’attore la fotografia era stata mandata in onda più volte e pubblicata da  RAI sul propriosito  web,  a  corredo  di  una  campagna  di  sensibilizzazione  denominata “La ricerca della Legalità”, senza che all’autore venissero corri-sposti i diritti, che quantificava in oltre un milione di euro. L’attore  chiedeva anche  il  risarcimento  dei  danni  non  patrimoniali  per  euro 300.000 e la pubblicazione della sentenza>> (p. 4).

Il Trib. Roma però, con sentenza 12.09.2019 n° 14758 RG n. 75066/2017, ha escluso la creatività sufficiente per ravvisare opera dell’ingegno.

Secondo il giudice infatti <<La  fotografia  (….)  non  si  caratterizza  (…)  per  una  particolare  creatività, non  sembra  vi  sia  stata  da  parte  dell’autore  della  fotografia  una  particolare scelta di posta, di luci, di inquadramento, di sfondo. Si tratta invero di una testimonianza, a mo’ di cronaca, di una situazione di fatto, il momento di sorri-so e di rilassamento di due colleghi magistratidurante un congresso. Ciò  che  rende  particolare  questa  fotografia è  l’eccezionalità  del  soggetto:  si tratta di due magistrati eroi e martiri della lotta della Repubblica contro il fenomeno  mafioso  ed  il  loro  atteggiamento  sorridente,  l’immagine  della  loro amicizia, la stima reciproca che emerge da questa foto sono altamente simbo-lici  di  un  periodo  repubblicano  nel  quale,a  duro  prezzo,finalmente  questo Stato preseconsapevolezza della grandezza del fenomeno mafioso e lo seppe e vollecombattere, mediante queste persone ed a prezzo del loro personale sacrificio, con forza, decisione e per mezzo della loro integritàpersonale. La bellezza nella foto quindi è tanto più grande quanto, a posteriori, si riconosca e si ricordi la storia dei soggetti che lì sono effigiati. Dubita  questo  collegio  che  tutte  queste  considerazioni  fossero  nell’animo  ovvero nell’intenzione  del  fotografo a  priori,  cioè mentre  riprendeva  la  scena amicale rappresentata nella fotografia; né d’altronde, presumibilmente, questa fotografia avrebbe assunto il valore simbolico odierno se i soggetti ivi rappresentati non fossero tragicamente morti per mano mafiosa. Si tratta quindi sicuramente di una bella fotografia, simbolica, toccante ma che non può configurarsi quale opera d’arte>>.

L’opera dell’ingegno fotografica, infatti, <<presuppone (…) una lunga accurata sceltada parte del fotografo del luogo, del soggetto, dei colori, dell’angolazione, dell’illuminazionee si concretizza in uno scatto unico, irripetibile nel quale l’autore sintetizza la sua visione del soggetto. Il fotografo deve quindi avere in mente un obiettivo pittorico e creativo di valore artistico ed innovativo che tende a realizzare in una rappresentazione che non è grafico-pittorica bensì fotografica. In  sostanza  i  presupposti  per  riconoscere  ad  una  fotografia  valore  di  opera d’arte sono i medesimi chedevono essere ascritti  ad un quadro. La fotografia deve essere l’espressione di un progetto artistico, di uno stile, di un momento creativo>>

Si tratta dunque di fotografia semplice ex art. 87 l. a.

Solo che nemmeno questa tutela è stata riconosciuta, essendo già decorso il termine ventannale di durata del diritto (art. 92 l.a.).

Copyright e intelligenza artificiale (AI): novità da AIPPI (e da WIPO)

E’ stata diffusa la notizia che AIPPI (Association Internationale pour la Protection de la Propriété Intellectuelle) ha concluso l’indagine sulla proteggibilità dei lavori creati con l’AI pubblicando la Risoluzione adottata al congresso di Londra del 18 settembre 2019, Copyright in artificially generated works.

L’ Encyclopaedia Britannica (richiamata nella Risoluzione) dà questa definizione introduttiva nella sua voce omonima:

<<Artificial Intelligence (AI) , the ability of a digital computer or computer-controlled robot to perform tasks commonly associated with intelligent beings. The term is frequently applied to the project of developing systems endowed with the intellectual processes characteristic of humans, such as the ability to reason, discover meaning, generalize, or learn from past experience. Since the development of the digital computer in the 1940s, it has been demonstrated that computers can be programmed to carry out very complex tasks—as, for example, discovering proofs for mathematical theorems or playing chess—with great proficiency. Still, despite continuing advances in computer processing speed and memory capacity, there are as yet no programs that can match human flexibility over wider domains or in tasks requiring much everyday knowledge. On the other hand, some programs have attained the performance levels of human experts and professionals in performing certain specific tasks, so that artificial intelligence in this limited sense is found in applications as diverse as medical diagnosis, computer search engines, and voice or handwriting recognition.>>

E’ interessante e chiaro il documento prepatorio Study Guidelines. Nelle pagine dedicate si possono consultare anche i vari report nazionali e quello riassuntivo (Summary Report).

Dei cinque casi (Working Example) prospettati per dare concretezza (ottima idea metodologica) al ragionamento, la Risoluzione afferma la proteggibilità solo per il case 2.a) e cioè:

<< Step 2: Data is selected to be input to the one or more AI entities. The data may be prior works such as artwork, music or literature. The data also may be inputs from sensors or video cameras or input from other sources, such as the internet, based on certain selection criteria.
[Case 2a]. The data or data selection criteria are selected by a human.
[Case 2b]. The data or data selection criteria are not selected by a human. >>

E’ invece negata la proteggibilità quando l’azione  umana consiste (solo) nella scelta degli obiettivi:

<< Step 1: One or more AI entities are created that are able to receive inputs from the environment, interpret and learn from such inputs, and exhibit related and flexible behaviours and actions that help the entity achieve a particular goal or objective over a period of time1. The particular goal or objective to be achieved is selected by a human and, for purposes of this Study Question, involves generation of works of a type that would normally be afforded copyright protection >>.

In sintesi, i risultati ottenuti senza intevento umano non son proteggibili come opera dell’ingegno, ma potrebbe esserlo come diritti connessi.

Quest’ultima affermazione andrà precisata, dato che per certi di questi si pongono esigenze simili al diritto di autore: per artisti interpreti esecutori.  Se una macchina di AI esegue una partitura musicale, può essere tutelata anche l’esecuzione frutto solo di AI? Ci sono esigenze di policy così diverse da quelle che negano la protezione maggiore come opera dell’ingegno?

Per rispondere in maniera non troppo approssimativa bisognerebbe capire meglio il lato tecnico e cioè dove può situarsi e come può caratterizzarsi l’intervento umano in sede di progettazione e funzionamento della macchina.

C’è poi da capire come si possa verificare che vi sia stata reale attività umana e che sia consistita proprio in quella dichiarata (seppur a posteriori,  in caso di lite, dato che il diritto sorge senza formalità costitutive)

Inoltre W.I.P.O. il 13.12.2019 ha lanciato un Call for Comments ad una bozza di temi relativi all’impatto di AI sulla proprietà intellettuale . Riporto la parte sul copyright che correttamente imposta la questione (§ 12): <<The policy positions adopted in relation to the attribution of copyright to AI-generated works will go to the heart of the social purpose for which the copyright system exists. [1] If AI-generated works were excluded from eligibility for copyright protection, the copyright system would be seen as an instrument for encouraging and favoring the dignity of human creativity over machine creativity. [2] If copyright protection were accorded to AI-generated works, the copyright system would tend to be seen as an instrument favoring the availability for the consumer of the largest number of creative works and of placing an equal value on human and machine creativity>> (grassetti e numeri 1 e 2 in rosso da me aggiunti)

Nel frattempo la Cina taglia corto e riconosce il diritto di autore ai lavori prodotti dall’A.I.: v. la notizia 10.01.2020 in Venturebeat su una sentenza del tribunale di Shenzen.

Una a sintesi dei principali problemi, posti dalla protezione IP (brevetti e diritto di autore) delle creazioni ottenute tramite intelligenza artificiale, è stata redatta da Iglesias-Shamuilia-Andereberg, Intellectual Property and Artificial Intelligence – A literature review, 2019,  per conto della Commissione Europea. Qui trovi bibliografia in tema e l’indicazione  di protezioni tramite diritto di autore (nonchè di due tramite brevetto) (v. tabella a p. 12-13).

Un interessante caso di utilizzo di banca dati altrui e quindi di applicazione del diritto sui generis sulla medesima

Il tribunale delle imprese di Roma (sez. Trib. Imprese 4-5/09/2019, RG 34006/2019;  ne dà notizia Maraffino sul Sole 24 ore di oggi 21.10.2019, p. 22, ove il testo in allegato) interviene con un interessante provvedimento cautelare in materia di diritto sui generis su banca dati (art. 102 bis-ter l. aut.)

La banca dati per cui era causa era quella relativa ad orari e prezzi ferroviari  di Trenitalia.

Era capitato che la società di diritto inglese Go Bright avesse proceduto a estrazione e reimpiego dei dati di questa bancadati di Trenitalia. Trenitalia se n’era lamentata e aveva ottenuto in via cautelare inaudita altera parte l’inibitoria di cessazione e la comminazione di penale per successive eventuali violazioni a carico di Go Bright  Instauratosi il contraddittorio, però il tribunale di Roma col provvedimetno de quo ha revocato quello anteriore  inaudita altera parte e rigettato la domanda cautelare di Trenitalia

il Tribunale ricorda che la disciplina sulle banche dati prevede che <<il costitutore di una banca di dati ha il diritto, per la durata e alle condizioni stabilite dal presente Capo, di vietare le operazioni di estrazione ovvero reimpiego della totalita’ o di una parte sostanziale della stessa.>> (art. 102 bis c. 2 l. aut.)

“Costitutore” e quindi titolare di tale diritto è colui che <<effettua investimenti rilevanti per la costituzione di una banca di dati o per la sua verifica o la sua presentazione, impegnando, a tal fine, mezzi finanziari, tempo o lavoro;>> (art. 102 bis c. 1 lett. a) lt.). Il Tribunale dà atto che sul punto non c’erano contestazioni e quindi tale qualifica viene riconosciuta a Trenitalia.

Ad integrazione del c. 3. cit., il seguente comma 9 dell’art. 102 bis prevede però che <<non sono consentiti l’estrazione o il reimpiego ripetuti e sistematici di parti non sostanziali del contenuto della banca di dati, qualora presuppongano operazioni contrarie alla normale gestione della banca di dati o arrechino un pregiudizio ingiustificato al costitutore della banca di dati.>>

La ragione di quest’ultima norma è abbastanza chiara.  E’ vero che l’estrazione o il reimpiego di una banca dati altrui è sempre ammesso, purchè limitato ad una parte non sostanziale: ma è facile eludere tale limite procedendo con accessi ripetuti nel tempo, ciascuno rispettante il limite della “non sostanzialità” della parte utilizzata.

E’ un po’ come la regola sul divieto di uso del contante che superi una certa soglia, la quale può essere elusa tramite il frazionamento ripetuto nel tempo  di prelievi che, individualmente considerati, rispettano la soglia stessa: è per questo che la legge ha provveduto ad inserire una norma relativa al caso di cumulo di prelievi in un certo periodo di tempo. Ha infatti disposto che <<Il trasferimento superiore al predetto limite, quale che ne sia la causa o il titolo, e’ vietato anche quando e’ effettuato con piu’ pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati>>, dovendosi intendere per <<operazione frazionata>>, l’<<operazione unitaria sotto il profilo del valore economico, di importo pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso piu’ operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni, ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale>> (art. 49 e rispett. art. 1 lett. v) del D. lgs. 231 21.11.2007; c’è una disarmonia lessicale però, dato che prima parla di operazioni e poi di trasferimenti e di pagamenti).

Ebbene anche nel nostro caso è ammesso l’utilizzo di porzioni di banca dati altrui in misura non sostanziale ma  con dei limiti, quando si ha ripeta frequentemente.

Il legislatore fiscale ha ritenuto di porre una soglia quantitativa e temporale; la legge sul Diritto d’autore ha invece stabilito il concetto di operazioni “ripetute e sistematiche” , accompagnandolo poi con un’ulteriore duplice condizione negativa: i) che non devono presupporre operazioni contrarie alla normale gestione della banca dati; e ii) che non arrechino un pregiudizio ingiustificato al costitutore. Queste ultime due ipotesi sono parzialmente coincidenti dato che l’operazione contraria alla normale gestione probabilmente sarà anche pregiudizievole, ma letteralmente una differenza c’è: per quella sub i) rileva solo la contrarietà alla normale gestione, essendo invece irrilevante la dannosità.

Il Tribunale ricorda poi che esiste un’altra norma, trascurata dal giudice cautelare di prime cure, costituita dal c. 3 dell’articolo 102 ter. Secondo questa, <<non sono soggette all’autorizzazione del costitutore della banca di dati messa per qualsiasi motivo a disposizione del pubblico le attivita’ di estrazione o reimpiego di parti non sostanziali, valutate in termini qualitativi e quantitativi, del contenuto della banca di dati per qualsivoglia fine effettuate dall’utente legittimo. Se l’utente legittimo e’ autorizzato ad effettuare l’estrazione o il reimpiego solo di una parte della banca di dati, il presente comma si applica unicamente a tale parte>>.

La complessiva disciplina dunque pare sintetizzabile così:

A)  se la banca dati non è stata messa a disposizione del pubblico, è ammesso il reimpiego/estrazione solamente se A1) non sostanziale, nonchè  A2) non ci siano utilizzi ripetuti e sistematici contrari alla normale gestione -oppure, in alternativa ad A2- ; A3) non ci siano utilizzi ripetuti e sistematici arrecanti pregiudizievole ingiustificata al titolare.

B) quando invece la banca dati è stata messa a disposizione del pubblico, i paletti sono quelli B1) del reimpiego/estrazione “non sostanziali” (valutate in termini qualitativi e quantitativi), B2) da parte dell’utente legittimo.  Altri limiti non ci sono ed anzi è esporessamente detto che è ammesso per qualsiasi fine effettuato dall’utente legittimo (c. 3 art. 102 ter)

Semmai c’è da chiedersi chi sia l'<<utente legittimo>>, dato che per ipotesi si tratta di banca dati messa a disposizione del pubblico e quindi per chiunque. Tale concetto allora andrà probabilmente inteso con riferimento ad eventuali limitazioni che il costitutore apponga all’utilizzo pubblico: sarebbe logico,  perché in tali casi è utente legittimo solo chi rispetta i limiti entro cui il costitutore ha messo a disposizione del pubblico la banca dati. Se supera quei limiti, l’utente non è più legittimo.

Tornando al caso sub iudice l’estrazione consistette nell’estrazione da parte di Go Bright con picchi fino a 800.000 accessi al giorno, che rappresentavano il 30% di tutti gli accessi sui siti Trentilaia e rallentamenti della funzionalità dei server. Il giudice romano ha ritenuto che tali dati, forniti da Trenitalia, <<non appaiono sufficientemente convincenti per poter dare una risposta alla questione precedentemente sottolineata, in quanto il numero, per la verità non impressionante (30% degli accessi sulla totalità degli accessi giornalieri di TRENITALIA peraltro suddivisi nelle ventiquattr’ore) dello scraping effettuato sulla piattaforma della società ricorrente potrebbe essere interpretato come una periodica e selettiva acquisizione di dati da parte del server di GoBright. Non vi è quindi evidenza di una manifesta e di inequivoca sottrazione della banca dati da parte della società resistente>>( p. 8).

Inoltre ha precisato che l’apertura della banca dati al pubblico <<comporta la possibilità per qualsiasi utente di estrarre legittimamente tali dati in misura non sostanziale e di utilizzarli nelle forme che ritiene più opportune, anche in forma commerciale.>> (p. 6),  precisando subito dopo così: <<in  sintesi, una volta che la banca dati sia stata resa pubblica nel suo complesso, sono consentite ad avviso di questo giudice tutte le attività di estrazione, riproduzione e rielaborazione dei dati contenuti nella banca da parte di tutti gli utenti legittimi, siano essi soggetti fisici o soggetti imprenditoriali a condizione che la riutilizzazione e reimpiego dei dati non avvenga in maniera massiccia origuardi “ la totalità della banca dati, una parte sostanziale della stessa” (art. 102 bis) ovvero “il reimpiego di parti sostanziali valutati in termini qualitativi e quantitativi (art. 102 ter LDA)”.>> (p. 6/7)

Un elemento fattuale importante è che -secondo Go Bright- l’acquisizione dei dati non avveniva una volta per tutte e in via definitiva, bensì <<volta per volta sui propri server mediante il sistema dello “scraping” e che vi è un’acquisizione continuativa nel tempo e selettiva da parte del proprio applicativo dei dati utili al singolo utente che ne fa contestuale richiesta. In termini semplificati i server della società resistente acquisiscono i soli dati utili alla configurazione della richiesta del singolo utente.>> (p. 7).  In altre parole <<l’acquisizione parcellizzata e non massiva dei dati, considerate anche le prestazioni svolte dalla società, è piuttosto sintomatica di un uso contingente (ogniqualvolta l’utente ne faccia richiesta), circostanza questa che affievolisce significativamente il fumus cautelare evidenziato dal giudice della tutela interinale>> (p. 8)

La decisione esaminata non appare però particolarmente coerente, in quanto sembra mescolare i requisiti per fruire della banca dati altrui non resa pubblica con quelli necessari per fruire della banca dati altrui resa pubblica. Si tratta invece di due fattispecie normativamente distinte e quindi bisogna scegliere in base a quale  di esse si giudica la fattispecie concreta. Se la fattispecie astratta è quella dell’utilizzo di parti non sostanziali di banca dati non resa pubblica, allora ci si deve riferire all’articolo 102.  Se invece la fattispecie astratta è quella dell’utilizzo di banca dati resa pubblica, allora la norma di riferimento è solamente il comma 3 dell’articolo 102. I due gruppi di norme quindi non paiono potersi reciprocamente cumulare o in qualche modo integrare .

Se  sì esamina dunque il requisito del pregiudizio ex c. 9 art. 102 bis (banca dati non resa pubblica) , non si può poi anche ragionare sulla “non sostanzialità in termini qualitativi e quantitativi” di cui al c. dell’art. 102 ter (banca dati resa pubblica)

E interessante anche il riferimento finale alla recente direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, volta a facilitare l’utilizzo (commerciale e non) dei dati in possesso delle pubbliche amministraizoni.

Alla luce di tale novità , il  giudice ritiene che ciò porti ad un’interpretazione restrittiva del concetto di “parte sostanziale”, al punto da farla quasi coincidere col concetto di “totalità”, sì da facilitare reimpiego/estrazione dei dati propri presenti nelle banche dati. Dice infatti <<quando si parla quindi di estrazione, reimpiego ovvero rielaborazione di un quantitativo di dati provenienti da soggetto a cui la disciplina comunitaria impone la massima divulgazione dei dati in proprio possesso, il concetto di “parte sostanziale” del prelievo deve essere interpretato ed applicato in conformità alla volontà del legislatore comunitario in un’ottica di sostanziale sovrapposizione fra il concetto di “totalità” e quello di “parte sostanziale”. Quindi solo la prova stringente di una sottrazione di una banca dati complessiva può fondare il rilascio di un provvedimento interdittivo>> (p. 10)

Il punto è interessante anche se delicato da risolvere. Si potrebbe dire che la normativa sulla proprietà intellettuale vada interpretata a prescindere da questa direttiva, essendo norma speciale rispetto ad essa.

Tuttavia potrebbe far inclinare per la conclusione opposta (e quindi nel senso del Tribunale romano) il  fatto che la direttiva non si applica <<ai documenti su cui terzi detengono diritti di proprietà intellettuale;>> (art. 1 § 2 lett. c, dir.). Si badi che per <<documento>> si intende <<qualsiasi contenuto, a prescindere dal suo supporto>> (art. 2 n. 6 dir.; curioso uso sinonimico di documento e contenuto).

Con la conseguenza allora che, quando invece il diritto di IP spetti all’Ente stesso, la normativa di trasparenza e accessibilità va pienamente applicata.

La Corte di Giustizia sul cumulo di protezione per disegni e modelli (tutela specifica e tutela d’autore)

La Corte di Giustizia con sentenza 12.09.2019, C-683/17, Cofomel-Sociedade de Vestuário SA c. G‑Star Raw CV,  esamina una questione pregiudiziale sollevata dalla corte suprema portoghese.

Il diritto portoghese concede protezione d’autore anche a <<opere d’arte applicata, disegni e modelli industriali e opere di design che costituiscano una creazione artistica, indipendentemente dalla tutela della proprietà industriale>>, § 15

Pertanto il giudice portoghese chiede alla C.G. <<se l’interpretazione data dalla Corte all’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/29 osta ad una normativa nazionale – nel caso di specie, la norma di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera i), del codice del diritto d’autore e diritti connessi – che garantisca protezione a titolo di diritti d’autore a opere d’arte applicata, disegni e modelli industriali e opere di design, che, al di là del loro fine utilitario, producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico, di tal guisa che la loro originalità è il criterio centrale per l’attribuzione della protezione nell’ambito dei diritti d’autore>>, § 25.

[ La formulazione del questito non è chiara: il dettato normativo non dice esattamente quello che chiede il giudice, ma forse questi si riferisce ad una prassi interpretativa nazionale.]

La Corte riformula  la questione così: <<il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/29 vada interpretato nel senso che osta al conferimento, da parte di una normativa nazionale, di tutela ai sensi del diritto d’autore a modelli come i modelli di capi di abbigliamento oggetto del procedimento principale in base al rilievo secondo il quale, al di là del loro fine utilitario, essi producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico>>, § 26

Il passo centrale dunque, su cui certe la risposta, è il concetto di “producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico”. Cioè la Corte , se ben intendo, deve giudicare sulla compatibilità della normativa posta della direttiva 29/2001 con la tutela portoghese basata su tale concetto .

 La Corte ribadisce concetti noti tra cui:

<<La nozione di «opera» (..) costituisce (..) una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata e applicata in modo uniforme, e che presuppone il ricorrere di due elementi cumulativi. Da una parte, tale nozione implica che esista un oggetto originale, nel senso che detto oggetto rappresenta una creazione intellettuale propria del suo autore. D’altra parte, la qualifica di opera è riservata agli elementi che sono espressione di tale creazione (..) >>, § 29

Quanto al primo elemento, l’originalità <<è necessario e sufficiente che rifletta la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere e creative di quest’ultimo>>, § 30

Quanto al secondo elemento, <<la nozione di «opera» di cui alla direttiva 2001/29 implica necessariamente l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività>>, § 32. Infatti <<da un lato, le autorità competenti a garantire la tutela dei diritti esclusivi inerenti al diritto d’autore devono poter conoscere con chiarezza e precisione gli oggetti in tal modo protetti. Lo stesso vale per i terzi nei confronti dei quali si può far valere la tutela rivendicata dall’autore di detto oggetto. Dall’altro lato, la necessità di evitare qualsiasi elemento di soggettività, pregiudizievole per la certezza del diritto, nel processo di identificazione di detto oggetto implica che quest’ultimo sia stato espresso in modo obiettivo>>, § 33

Quando un oggetto presenta queste due caratteristiche, deve beneficiare della tutela d’autore, <<ove la portata di tale tutela non dipende dal grado di libertà creativa di cui ha goduto il suo autore e non è pertanto inferiore a quella di cui gode ogni opera che ricade in detta direttiva>>, § 35

Svolte queste premesse generali,  la Corte esamina se i modelli sub judice costituiscano opere ai sensi della direttiva 29/2001.

Disegni e modelli non sono in linea di principio assimilabili alle opere protette (§ 40) , ma è possibile concedere una protezione d’autore speciale (§ 42) in aggiunta a quella loro propria (§ 43).

Pertanto è confermato che modelli e disegni, se rispettano i due requisit predetti,  costituiscano “opere” ex dir. 29 (§ 48).

Poi la CG esamina il punto specifico e cioè <<se siano qualificabili come «opere», alla luce di queste esigenze, modelli come i modelli di capi di abbigliamento oggetto del procedimento principale che, al di là del loro fine utilitario, producono, secondo il giudice del rinvio, un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico, ove le questioni di detto giudice vertono sulla questione se un tale elemento di originalità estetica costituisca il criterio centrale di attribuzione della protezione prevista dalla direttiva 2001/29>>, § 49 . L’inciso finale (“ove le questioni di detto giudice..”) pare da interpretare nel senso che la CG valuta sul presupposto che il requisito costituisca l’unico (quello “centrale”) cui è subordinata la concessione della tutela d’autore a disegni e modelli.

La risposta è negativa, soprattutto alla luce del secondo requisito sopra ricordato.

Infatti l’effetto estetico prodotto da un modello è il risultato della sensazione soggettiva della bellezza percepita dall’osservatore. Quindi <<questo effetto di natura soggettiva non consente, di per sé, di caratterizzare l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività ai sensi della giurisprudenza menzionata ai punti da 32 a 34 della presente sentenza>>, § 53.

È bensì vero, ricorda la Corte, che le considerazioni estetiche fanno parte dell’attività creativa. Tuttavia la produzione di un effetto estetico non permette di determinare se il modello sia o meno creazione intellettuale, che rifletta la libertà di scelta e la personalità del suo autore e cioè se sia o meno originale (§ 54): che, come detto, è l’unico criterio rilevante.

Di conseguenza il requisito dell’ <<effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico>>, menzionato dal giudice di rinvio, non permette di concedere la tutela per le opere (§ 55), per cui la Corte concludeche la direttiva 29  osta a conferire tutela d’autore in base a questo requisito (§ 56).

La decisione può avere grande impatto, in quanto non ammette per alcun settore requisiti ulteriori, a parte l’orignalità, per la protezione d’autore.   Tuttavia lascia un po’ perplessi.

La normativa europea ed internazionale permette ai singoli Stati di fissare le condizioni a cui concedere la protezione d’autore a modelli e disegni: v. i §§ 3-14 e poi §§ 42-47 e soprattutto dir. 98/71 e reg. 6/2002, fatti salvi dall’art. 9 della dir. 29:

  • cons. 8 dir. 98/71: <<«[C]onsiderando che, in mancanza di un’armonizzazione della normativa sul diritto d’autore, è importante stabilire il principio della cumulabilità della protezione offerta dalla normativa specifica sui disegni e modelli registrati con quella offerta dal diritto d’autore, pur lasciando gli Stati membri liberi di determinare la portata e le condizioni della protezione del diritto d’autore>>;
  • art. 17 dir. 98/71: <<«I disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d’autore vigente in tale Stato fin dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere>>;
  • cons. 32 REg. 6/2002: <<In assenza di una completa armonizzazione delle normative nazionali in tema di diritto d’autore è importante stabilire il principio della cumulabilità della protezione conferita dal disegno o modello comunitario con quella conferita dal diritto d’autore, pur lasciando agli Stati membri piena facoltà di determinare la portata e le condizioni della protezione conferita dal diritto d’autore>>;
  • art. 96 § 2 reg. 6/2002: <<Disegni e modelli protetti in quanto tali da un disegno o modello comunitario sono altresì ammessi a beneficiare della protezione della legge sul diritto d’autore vigente negli Stati membri fin dal momento in cui il disegno o modello è stato ideato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere>>.
  • art. 9 della dir. 29 /2001: <<La presente direttiva non osta all’applicazione delle disposizioni concernenti segnatamente brevetti, marchi, disegni o modelli, modelli di utilità, topografie di prodotti a semiconduttori, caratteri tipografici, accesso condizionato, accesso ai servizi di diffusione via cavo, la protezione dei beni appartenenti al patrimonio nazionale, gli obblighi di deposito legale, le norme sulle pratiche restrittive e sulla concorrenza sleale, il segreto industriale, la sicurezza, la riservatezza, la tutela dei dati e il rispetto della vita privata, l’accesso ai documenti pubblici, il diritto contrattuale.>>

La Corte avrebbe dovuto spiegare – alla luce di tali norme- come possa imporre alla disciplina nazionale di disegni e modelli lo stesso concetto di “opera proteggibile”, previsto per le altre opere secondo la dir. 29.

Pare infatti  difficile ritenere che la previsione di requisiti ulteriori specifici (da noi il valore artistico: art.  2 n. 10 l.a.; in Germania, la soglia particolarmente elevata di originalità, secondo la teoria giurisprudenziale dei tre livelli della stessa, c.d. Stufentheorie, su cui v. Donle-Held-Nordemann-Schiffel-Nordemann, The interplay between design and copyright protection for industrial products, 31.05.2012, per AIPPI, §§ 4-5) possa essere incompatibile con la disciplina europea ex dir. 29. Come appena visto, infatti, la  normativa europea ed internazionale permette ai singoli Stati di determinare le condizioni della protezione.

Questa tesi è stata sostenuta pure da alcuni Stati intervenuti, tra cui l’Italia, ma contrastata dalle conclusioni dell’A.G. Szpunar, che nega l’esistenza di una lex specialis per disegni e modelli (v. sue conclusioni  2 maggio 2019, §§ 33-48). Egli contrasta il pur chiaro dettato normativo cit., affermando -con rif. al reg. 6/2002- che era anteriore alla dir. 29 e dunque volutamente provvisorio in attesa di un aromnizzazione del diritto di autore europea (§ 37).

Secondo l’AG, la ragione consisterebbe soprattutto nel fatto che: i) l’elaborazione dei due atti normativi (reg. 6/2002 e dir. 29) è proceduta in contemporanea; ii)  che la regola sul punto del reg. 6/2002 era presente anche nella sue versioni iniziali; iii)  che, pur essendo la dir. 29 stata approvata prima del reg., è però entrata in vigore dopo. In conclusione, le disposizioni, che lasciano agli Stati la determinazione della tutela di autore a disegni e mdoelli, andrebbero soggette ad una sorta di interpretatio abrogans.

Questa posizione mi pare alquanto debole.

I punti i) e ii) vanno valorizzato in senso opposto: il fatto che sia stata mantenuta la disciplina iniziale anche quanto la dir. 29 era in avanzato stato di elaborazione ,-anzi, era stata già approvata formalmente, significa che il tenore letterale è stato consapevolmente voluto e dunque è stata voluta la disciplina speciale per disegni e modelli. Il punto iii) è irrilevante: quello che conta è se esisteva o meno una disciplina generale  d’autore (basterebbero lavori avanzati, non essendo necessaria la approvazione definitiva), quando è stato varato il reg. 6 : e la risposta è positiva. Il momento di entrata in vigore non ha alcun rilievo interpretativo.

Ancora , l’AG contrasta l’art. 9 della dir. 29 dicendo che <<la direttiva 2001/29, la quale è relativa al diritto d’autore, non debba pregiudicare le disposizioni di altri settori, come il diritto dei disegni e dei modelli. Tuttavia, l’articolo 17 della direttiva 98/71, al pari dell’articolo 96, paragrafo 2, del regolamento n. 6/2002, [1° argomento] non sono disposizioni afferenti al settore del diritto dei disegni e dei modelli, bensì a quello del diritto d’autore. [2° argomento] Una diversa interpretazione implicherebbe che la protezione delle opere delle arti applicate attraverso il diritto d’autore dipenda dal diritto dei disegni e dei modelli, mentre questi due settori sono tra loro autonomi. L’articolo 9 della direttiva 2001/29 non può, pertanto, essere interpretato come determinante l’esclusione dei disegni e dei modelli dall’armonizzazione operata con la direttiva 2001/29>> (§ 39).

Il ragionamento non è corretto. Circa il primo argomento, l’art. 9 non fa salve solo le regole ad hoc di disegni e modelli, ma tutte le <<disposizioni concernenti segnatamente brevetti, marchi, disegni o modelli>>: quindi pure quelle che si occupano della tutela di autore. Circa il secondo , che i due settori siano autonomi è una petizione di principio: le riscostruzioni in sede interpretativa dipendono infatti dalle norme e queste sul punto specifico dicono l’opposto.

Autore della musica di opera cinematografica, cessione dei diritti e termination right nel diritto statunitense (una recente decisione della Court of Appeals del 2° Circuito)

Il compositore Ennio Morricone (in causa si presenta il suo avente causa, Ennio Morricone Music Inc.)  si impegnò a creare sei colonne sonore per sei film verso una società del gruppo Edizioni Musicali Bixio (in causa: Bixio Music Group Ltd.) a fronte di un pagamento anticipato (3.000.000 di lire) e di future royalties, oltre ad altri compensi secondari. In aggiunta egli cedette all’editore Bixio i diritti d’autore su dette sue creazioni .

I film sono della fine anni 70 e inizio 80.

Successivamente (2012) Morricone notificò a Bixio l’intenzione di avvalersi del diritto di termination (recesso oppure risoluzione: qui non approfondisco) del rapporto  (si badi: era stata stipulata una cessione, non una licenza) secondo il § 203 della legge copyright statunitense (Tit. 17 Copyrights  dello US Code, chap. 2).

Questa norma lo permette dopo trentacinque anni, tranne che si tratti di  work made for hire.  Work made for hire (di seguito: w.m.f.h.) all’incirca significa “opera realizzata in esecuzione di contratto di lavoro dipendente o autonomo”: il concetto è definito dal § 101 del  cit. Tit. 17 Copyrights  dello US Code.

Le parti concordano in causa che il rapporto è governato dalla legge italiana e il giudice prende per buona questa posizione.

La difesa Bixio eccepisce che la nostra legge qualifica il rapporto sub iudice in modo tale da poterlo riternere sostanzialmente corrispondente al concetto statunitense di w.m.f.h. e dunque che Morricone non poteva esercitare il suo diritto di termination.

Il giudice però rileva diverse differenze tra i due istituti, che elenca in modo minuzioso. La prima ad es. consiste nel fatto che il  diritto statunitense rende titolare ab initio il datore/committente, mentre da noi l’autore delle  musiche è coautore (art. 44 l.aut.): ed il § 203 presuppone un trasferimento/cessione (assignment) da parte dell’autore per invocarne la relativa termination. Quindi -direi così, ma non lo dice il giudice- questa , se non può operare nel caso di w.m.f.h., ove non c’è alcun trasferimento, può invece operare secondo il diritto italiano, che prevede invece un acquisto derivativo in caso di trasferimetno dal compositore (Morricone) a soggetto terzo (Bixio).

Quello che è strano è il motivo per cui si applica un istituto autorale statunitense pur in presenza di legge applicabile italiana.

Secondo la teoria del diritto internazionale privato, l’ordinamento richiamato potrebbe non applicarsi, a favore invece di una norma della lex fori, se si tratta di norma c.d. unilateriale oppure di norma di diritto internazionale privato materiale oppure di  norma di applicazione necessaria o infine di norma di ordine pubblico.

Nessuna di queste ipotesi è richiamata però dal giudice.

In conclusione il giudice , ribaltando il primo verdetto, dà ragione a Morricone riconoscendogli il diritto di termination.

La decisione è del 21 agosto 2019 ed è stata emessa dalla United States Court of Appeals for the Second Circuit, KEARSE, JACOBS, HALL, Circuit Judges, caso No. 17‐3595‐cv, August Term 2018, parti: ENNIO MORRICONE MUSIC INC., Plaintiff‐Appellant, v. BIXIO MUSIC GROUP LTD., Defendant‐Appellee.

E’ leggibile nel database Decisions del Second Circuit.

La distruzione dell’opera dell’ingegno da parte dell’attuale proprietario costituisce violazione del diritto morale dell’autore?

La Suprema Corte tedesca affronta la questione in tre sentenze e dà risposta articolata. Il riferimento normativo è l’art. 14 della legge d’autore tedesca (qui la traduzione inglese: Distortion of the work), corrispondente al nostro art. 20 l. aut. In due delle tre sentenze si trattava di ristrutturazione di immobile con conseguente distruzione della stanza multimediale e multidimensionale “HHole (for Mannheim) 2006” and the light installation “PHaradise”, create nel 2006 per il Kunsthalle Mannheim, una art gallery in Mannheim (Germany).

Secondo il BGH, teoricamente l’attività distruttrice rientra nel concetto di distortion/Entstellung.

Solo che ciò va bilanciato con il diritto del proprietario di esercitare il dominio sul corpus mechanicum. Pertanto l’esito di questo conflitto di interessi dipenderà dalle circostanze, quali ad es.: -se è l’unica copia, -se è stata data previa possibilità all’autore di farne delle copie, -tipo di uso che il proprietario vuol farne.

Il BGH precisa che per lo più prevarranno i diritti del proprietario su quelli dell’autore.

Va ricordato che il diritto morale non è stato armonizzato a livello UE

Si potrebbe ragionare se si può distinguere tra tutela reale e tutela risarcitoria a favore dell’autore, sempre che l’illiceità sia accertata: infatti se è invece accertata la liceità dell’atto distruttivo, non spetta nemmeno la seconda tutela (a meno di ravvisare un caso di c.d. indennizzo da atto lecito). Soluzione però problematica in assenza di norma ad hoc.

V. il resoconto 19.08.2019 di su Kluwer Copyright Blog. dove si precisa che si tratta di sentenze del 21 febbraio 2019 numerate  I ZR 98/17, I ZR 99/17 and I ZR 15/18.

Può un video costituire plagio di un dipinto?

Questo è il quesito posto ai giudici del Nevada (USA) dall’artista russo-americano Vladimir Kush.

Secondo costui, la cantante Ariana Grande nel suo video God is a Woman riprodurrebbe il proprio dipinto The Candle.

La risposta alla domanda in oggetto, astrattamente, è positiva: non c’è motivo per pensare l’opposto, visto che la tutela copre pure le trasformazioni dell’opera in altra forma artistica  (art. 4 e 18 l. aut.) .

Bisognerà poi vedere se il plagio ricorra o meno nel caso concreto.

Ne riferisce il sito   www.theartnewspaper.com , ove sono riprodotti sia il dipinto che un fotogramma del video.

Segnalazione da Eleonora Rosati in IP Law at University of Southampton – School of Law

Sulla protezione di un progetto di architettura d’interni con il diritto di autore (art. 2 n. 5, l. aut.): la vertenza Kiko c. Wjcon / 2: l’appello (con un cenno a inibitoria e alla proteggibilità come marchio)

Dando seguito al post sulla sentenza di primo grado, vediamo ora il ragionamento condotto dalla sentenza d’appello (Appello Milano sent. n. 1543/2018 del 26.03.2018, RG 3945/2015) per respingere l’impugnazione e confermare la decisione di primo grado praticamente per intero (l’unica differenza sta nel maggior termine concesso a Wjcon per darvi esecuzione, come dirò sotto).

Ecco i punti principali.

  1. Sull’eccezione di carenza in Kiko  di legittimazione attiva – secondo Wjcon il contratto per la progettazione dell’arredo non avrebbe fatto acquisire a Kiko  il diritto d’autore relativo. La Corte d’Appello rigetta la doglianza sotto due profili: i) dicendo che invece è nella logica economica di questo contratto che il diritto d’autore venga acquisito dal committente; ii) valorizzando alcune dichiarazioni, sostanzialmente ricognitive della titolarità di Kiko, pare, rilasciate dallo studio di architettura e/o dall’architetto personalmente (primo motivo di impugnazione).
  2. Sulla censura, secondo cui un’eventuale tutela avrebbe dovuto essere semmai concessa come opera di design (art. 2 n. 10 l. aut.; pur negandola per mancanza dei requisiti di legge) e non come opera dell’architettura ex art. 2 n. 5 – Secondo la Corte invece, poichè il concept-store è progettato come insieme complessivo del punto vendita, è più appropriata la tutela come opera dell’architettura. Il concetto di interior design si addice maggiormente (in base alle esperienze e alla giurisprudenza) ai singoli elementi che compongono l’arredamento dell’Interno (secondo motivo di impugnazione).
  3. Sull’eccezione secondo cui Kiko avrebbe modificato il progetto del concept store per negozi  successivi – Trattasi di circostanza irrilevante che non fa venir meno il diritto alla protezione del concept store anteriori (terza censura)
  4. Circa la presenza di alcune differenze tra l’arredo dei negozi di wycon e quello dei negozi Kiko  – La Corte ricorda che decisivo è l’aspetto complessivo: <<dato che la tutela autorale riconosciuta dal Tribunale riguarda la combinazione degli elementi sopra descritti, limitate differenze nella forma del singoli elementi che compongono l’arredamento di interno non sono rilevanti, se e nella misura in cui l’effetto di insieme, quale si coglie dalle foto in atti, sia il medesimo, vale a dire nella stragrande maggioranza dei punti di vendita Wycon ritratti nelle fotografie prodotte dall’attrice>> (sempre terza censura).
  5. Sulla presunta mancanza di originalità del progetto architettonico in quanto già noto nel settore per essere stato anticipato da terzi concorrenti  – Come già il Tribunale, anche la Corte d’Appello respinge la doglianza, rilevando la mancanza di prova e [addirittura] di allegazione dell’anteriorità degli arredamenti/allestimenti di detti terzi rispetto a quelli di Kiko (ancora terza censura).  Di ciò gli operatori faranno bene a tenere adeguato conto.
  6. Sulla concorrenza parassitaria – Anche qui viene confermato il giudizio del tribunale circa la sistematicità dell’imitazione e comunque la rilevanza dell’aspetto complessivo, anzichè dei singoli dettagli: <<a imitazione degli elementi come sopra considerati da parte di Wycon è talmente sistematica anche agli occhi di un osservatore superficiale della cospicua documentazione e delle fotografie prodotte dalle parti, da rendere assolutamente di giustizia l’affermazione al di là di ogni ragionevole dubbio che Wycon ha sfruttato le ricerche, l’attività produttiva e promozionale ed il lavoro di Kiko. Del resto anche qui vale la considerazione che lo agganciamento parassitario riguarda il complesso dell’attività commerciale dell’appellata e che, quindi, essa non è esclusa da singole e parziali differenze degli elementi considerati, i quali peraltro sono molto di frequente anche essi uguali o comunque pedissequamente imitati>> (quarta  censura).
  7. Sul mancato utilizzo del criterio risarcitorio degli utili persi  – Correttamente non è stato utilizzato, secondo la Corte d’Appello: <<il Tribunale ha giustamente escluso che il criterio della possibile determinazione degli utili persi da Kiko a causa del predetto fatto illecito potesse essere in qualche modo utilizzato e questo argomento logico giuridico va interamente condiviso, poiché, in sostanza, la Kiko vende prodotti cosmetici e non fa invece offerta di progetti di arredamento e quindi nessun senso avrebbe concepire nella specie il danno come correlato agli utili ipoteticamente perduti dall’attrice>>.  (Quinta censura)
  8. Circa la doglianza sul  fatto che in realtà Kiko non ha subito alcun danno né come lucro cessante né come danno emergente a seguito della riproduzione  non autorizzata del concept store – La Corte replica osservando che il lucro cessante esiste ed è rappresentato proprio dalla somma, che Kiko  avrebbe percepito da wycon se quest’ultima avesse acquistato dalla attrice il diritto di utilizzare l’idea progettuale (“giusto prezzo del consenso”)  (sempre quinta censura
    1. Sul punto rinvio ad un mio precedente ampio studio Restituzione e trasferimento dei profitti nella tutela della proprietàindustriale (con un cenno al diritto di autore), Contratto e impresa, 2010, 1149 ss, leggibile in academia.edu.
  9. Sulla quantificazione del danno – La Corte d’Appello rileva (come già osservato nel mio post precedente) che in causa non si era accertato quanti negozi Wycon avesse clonato ne è accertabile quanto avrebbe dovuto corrispondere a controparte per l’allestimento di ogni punto vendita: per questo, dice,  è stato “prudentemente liquidato”  nel multiplo di 10 del costo progettuale (sempre quinta censura).
    1. Più che “prudentemente liquidato”, però, sarebbe stato più esatto dire “equitativamente determinato”,  visto che così si esprime l’articolo 1226 c.c., richiamato dall’articolo 2056 c..c (il cui comma 2, poi, aggiunge che <<il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso>>)
  10. Sull’inibitoria – L’appellante lamentava che erroneamente ed ingiustamente il tribunale avesse emesso inibitoria “della apertura di nuovi negozi con arredamento di interni copiato da quello dei quo” perché aveva agito in buona fede. La corte respinge la doglianza (tranne quello che si dirà al punto seguente), osservando:  – da un lato, che <<l’inibitoria è il provvedimento tipico, che consegue all’accertamento di una contraffazione di opera di ingegno. Esso è espressamente previsto dall’art. 156 LDA>>; – dall’altro, che Wjcon non può essere ritenuto in buona fede (sesta  doglianza).  Due osservazioni:
    1. Il punto è importante, ma la posizione del  collegio è poco comprensibile, dal momento che la risposta avrebbe potuto essere più radicale: l’elemento soggettivo non è richiesto per concedere l’inibitoria. Questa infatti è un rimedio reale e non personale, secondo la tradizionale partizione, che riflette la distizione tra illiceità mera e dannosità (potendoci essere l’una senza l’altra): per opinione diffusa, quindi, non richiede l’elemento soggettivo (dolo/colpa) nel trasgressore  nè la prova di un danno. In tale senso v. Libertini-Genovese, sub art. 2599, in Comm. del cod. civ. dir. da Gabrielli,  Artt. 2575-2642: Delle soc., dell’az., della concorr., a cura di Santosuosso, Utet, 2014, p. 626; Musso, sub art. 2577, Comm. cod. civ. Scialoja Branca, Art. 2575-2583, Zanichelli, 2008, § 19, p. 273; Spolidoro, Le misure di protezione nel diritto industriale, Giuffrè, 1982, p. 161 ss.. Tra i processualisti v. Nardo., Profili sistematici dell’azione civile inibitoria, ESI, 2017, 87 ss e 101 ss; Rapisarda, Profili civili della tutela civile inibitoria, Cedam, 1987, 88 ss.
    2. inoltre non è vero che il Tribunale  aveva emesso inibitoria “della apertura di nuovi negozi con arredamento di interni copiato da quello dei quo”. L’inibitoria riguardava il protrarsi dell’illecito e quindi, visto che questo consisteva nell’arredo già installato, obbligava a rimuoverlo: aveva cioè contenuto positivo/commissivo, non negativo/omissivo. Ciò risulta in modo sufficientemente chiaro dalla pronuncia di primo grado (dispositivo: “accertata la tutelabilità del progetto di arredamento d’interni applicato ai negozi di cosmetici della catena di KIKO s.r.l. ai sensi dell’art. 2, n. 5 L.A.  (…) nonché la contraffazione posta in essere dalla convenuta WJCON s.r.l. di tale progetto (…), ne inibisce a parte convenuta l’ulteriore utilizzazione nei negozi facenti parte della sua catena commerciale, fissando a titolo di penale la somma ..”) e in modo ancor più chiaro da quella di appello.
  11. La Corte d’Appello aumenta da 60 a 150 giorni il termine per dare esecuzione al gravoso provvedimento di inibitoria, con contenuto però positivo (rimozione degli arredi in violazione: v. punto precedente)
  12. E’ confermato il rigetto delle domande di concorrenza sleale confusoria e per appropriazione di pregi, avanzate da Kiko.
  13. La corte , infine, ha ritenuto di compensare per un quarto le spese legali d’appello a favore di wycon e di condannarla però a rifondere a Kiko i residui tre quarti

Circa la protezione dell’arredo interno del negozio , ricordo che in passato è stata tentata anche tramite l’istituto del marchio di forma. L’ha ammessa la sentenza della Corte di Giustizia UE 10.07.2014, C‑421/13, nel caso Apple c.Deutsches Patent- und Markenamt, purchè ricorra la distintività; l’ha invece respinta l’EUIPO proprio a Kiko (decisione 29.03.2016 della 1° Commissione di ricorso, proc. R 1135/2015-1), anche se non in linea di principio, bensì per carenza  di distintività nel caso specifico.

Sulla protezione di un progetto di architettura d’interni con il diritto di autore (art. 2 n. 5, l. aut.): la vertenza Kiko c. Wjcon

Interessante vertenza milanese in tema di protezione col diritto di autore dei progetti di architettura di interni, riferita a negozi . Riferisco qui della sentenza di primo grado e in un prossimo post di quella d’appello, che ha respinto l’impugnazione di Wjcon, confermando il provvedimento del Tribunale quasi interamente .

Era successo, secondo le allegazioni di Kiko srl (attore), che il concept dei propri negozi fosse stato copiato dai negozi di Wycon srl (convenuto). Inoltre sarebbe stata posta in essere attività di concorrenza sleale, poiché erano stati copiati anche altri profili della comunicazione di impresa  (abbigliamento delle commesse, packaging dei prodotti , format dei siti web etc).

Nella sentenza di primo grado (Trib. Milano n. 11416/2015 – RG 80647/2013, pubblicata il 13.10.2015), questi sono alcuni dei punti più interessanti.

  1. il Tribunale non ha dato rilevanza al disconoscimento, da parte di Wjcon, di fotografie e riproduzioni grafiche prodotte da Kiko: ciò perchè il generico disconoscimento di  “conformità e provenienza” delle stesse non ha precisato quali riproduzioni grafiche risulterebbero non conformi alla realtà e non ha prodotto elementi a contrasto utili a potere in concreto individuare e evidenziare tali presunte difformità. Infatti la contestazione di difformità, pur non potendo essere governata dagli articoli 214 215 cpc, concernenti la scrittura privata, deve comunque essere “chiara, circostanziata ed esplicita”: in mancanza è generica e per questo irrilevante (§ 2).
  2. Secondo il collegio, “non sembra contestabile la possibilità di riconoscere la tutela ex articolo 2 n.5 legge d’autore a detto progetto di arredamento di interni” (di Kiko). La tutelabilità infatti di tali progetti è possibile quando la progettazione sia il risultato non imposto dal problema tecnico funzionale, che l’autore vuole risolvere:  in tale contesto “il carattere creativo, requisito necessario per la tutela, può essere valutato in base alla scelta, coordinamento e organizzazione degli elementi dell’opera, in rapporto al risultato complessivo conseguito. (…) La presenza in detto progetto degli elementi di creatività necessari per assicurare ad esso la tutela autorale, appare connessa alla combinazione e conformazione complessiva di tutti detti elementi in relazione tra loro” (§ 3).
  3. L’esistenza di uno specifico studio ed elaborazione progettuale [commissionato a terzi, nel caso specifico] costituisce una favorevole presunzione in tal senso (§ 3).
  4. La documentazione di Wycon, per provare che il progetto di Kiko non è originale perchè già utilizzata dai concorrenti nel settore, è irrilevante, in quanto non assistita da alcun elemento, che possa contribuire a fornire una effettiva datazione dell’epoca, in cui i singoli allestimenti ivi rappresentati sono stati effettivamente presentati sul mercato (§ 4).
  5. Gli altri aspetti di concorrenza sleale confusoria o per appropriazione di pregi (abbigliamento delle commesse, aspetto dei sacchetti e dei contenitori portaprodotti, aspetto dei prodotti medesimi, aspetti della comunicazione commerciale on-line, eccetera), invece, non sono stati ritenuti censurabili, in quanto iniziative da un lato consuete nel settore e dall’altro comportanti un rischio poco apprezzabile di confusione (§ 5) .
  6. Il tribunale ha invece affermato (ed è interessante, essendo poche le sentenze di accoglimento di questa domanda) l’esistenza di concorrenza parassitaria. Ha infatti  ravvisato una <<ripresa pressoché pedissequa di ulteriori elementi -di per se privi di attitudine confusoria- che hanno dato luogo ad un comportamento di pedissequa imitazione del complesso delle attività commerciali e promozionali poste in essere nel tempo da parte attrice di tale complessive entità e rilevanza da porre in essere quello sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui in tempi sostanzialmente coincidenti o comunque immediatamente successivi all’adozione da parte dell’attrice delle sue specifiche iniziative>> (§6)
  7. il risarcimento del danno non è stato  parametrato sugli utili del contraffattore (visto che <<difficilmente potrebbe essere individuato tra gli utili conseguiti dal contraffattore nell’ambito di una attività di impresa più complessiva ed articolata, risultando di fatto del tutto arbitraria ogni possibilità di assegnare direttamente sul piano causale una parte di tali utili all’illecito accertato>>), bensì con una iniziativa equitativa parametrata al costo sostenuto per il progetto d’arredo. In particolare la condanna è fondata su un <<criterio di natura equitativa che tragga fondamento sostanziale dalle somme che parte convenuta ha di fatto risparmiato sfruttando il progetto sviluppato da KIKO e commisurando tali importi Alla entità delle riproduzioni eseguite nei numerosi negozi di wycon sparsi sul territorio nazionale>>.  Pertanto avendo Kiko speso € 70.000,00 per il progetto del Concept presso uno studio esterno, <<tale importo appare di sicuro riferimento come base di per determinare il lucro cessante a cui kiko ha diritto, sulla base del quale cioè commisurare il prezzo che wjcon avrebbe dovuto sostenere per sfruttare lecitamente l’opera tutelata e che deve essere opportunamente aumentato in relazione al numero di negozi ai quali essa ha applicato detto concept. Stima equo dunque il collegio liquidare per tale voce di danno in via equitativa la complessiva somma di 700.000,00>>.
    1. Non è però chiarito come si sia passati da € 70.000,00 ad una somma pari al decuplo: in base a criterio puramente equitativo, par di capire, non essendoci alcun riferimento nè al numero di negozi di Wjcon interessati dai fatti di causa nè a canoni ipotetici di mercato per un licensing del genere.
  8. ll Tribunale, emettendo l’inibitoria assistita da penale [si badi: comportante la rimozione degli arredi dei propri negozi!], ha concesso il termine di 60 giorni dalla notifica prima di far scattare la penale medesima.