Si conferma difficile la tutela del format (radiofonico in questo caso) come opera dell’ingegno

Rigttata la domanda di tutela come opera dell’ingegno di un format di programma radiofonico da Trib Roma n. 10837/2022 del 6 luglio 2022, RG 80912/2019, rel. Maretucci .

<<In sostanza, il format di un programma televisivo è tutelabile quale opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore quando presenti uno schema di programma, un canovaccio delineato nei suoi tratti essenziali, generalmente destinato ad una produzione televisiva seriale, come risultante da una sintetica descrizione.
Al contrario, non è tutelabile come opera dell’ingegno una descrizione assolutamente generica e sommaria dei contenuti del programma, senza previsione concreta dello svolgimento dello stesso ( cfr. Trib. Roma n. 8736/2015; Trib. Roma n. 19116/2017; Trib. Roma n. 14827/2019).
Nella specie, il programma radiofonico rispetto al quale l’attore invoca la tutela autorale è privo di tutti i requisiti necessari perché possa valere quale opera dell’ingegno, non atteggiandosi ad opera strutturata ed in quanto tale valida come format, trattandosi, al contrario, di trasmissione radiofonica di segmenti di film, compresi la musica e il rumore di sottofondo, peraltro non commentati dal conduttore, il cui parlato non rappresentava una critica o un commento del film tramesso in parte, ma riguardava temi sviluppati dal Brondello soggettivamente ed a prescindere con la stretta attinenza alla trama del prodotto cinematografico, senza alcuna indicazione di una scaletta di programma tale da poter essere riprodotto in modo tale da mantenerne gli elementi caratteristici e distintivi.
Si rileva peraltro che non vi è contezza di un format realizzato per iscritto dall’attore e depositato alcunché presso la SIAE, relativamente al programma radiofonico Specchio dimezzato. Cinema alla radio, il cui schema, come rappresentato nel presente giudizio e risultante dai documenti versati in atti, risulta privo degli elementi essenziali del format inteso come opera tutelabile dal diritto d’autore, fermo restando che non è meritevole di tutela la mera idea di trasmettere attraverso la radio spezzoni di film.
Invero, conformemente alla giurisprudenza consolidata di legittimità e di merito, il diritto d’autore non tutela la mera idea, non trasposta in un’opera avente i caratteri della novità e della creatività come sopra intesi, sicché la mera idea di trasmettere attraverso lo strumento radiofonico spezzoni di film, compresi gli effetti sonori, non integra in re ipsa gli estremi dell’opera dell’ingegno, neanche nella forma sopra delineata del format, la cui idoneità alla riproduzione seriale necessita di una serie di elementi distintivi, come sopra indicati, mancanti nel programma radiofonico condotto dal Brondello tra l’ottobre 1979 ed il 1980 su Radio Torino Alternativa.
Si rileva, inoltre, che non è in atti un documento ideato dall’attore che illustri analiticamente le articolazioni sequenziali della trasmissione radiofonica di cui si chiede la tutela autorale e l’esatta durata di ciascuna delle suddette attività, circostanza che rende oltremodo difficile la tutela del diritto azionato dal Brondello>>.

E poi: <<Ad abundantiam, non può ritenersi che i programmi trasmessi da RadioRai costituiscano plagio del programma radiofonico ideato dall’attore, considerate le sostanziali differenze tra i suddetti prodotti radiofonici, con particolare riferimento al programma “Hollywood Party”, che contempla la partecipazione di registi e interpreti italiani stranieri intervistati di conduttori, con interviste, commenti sul mondo del cinema e lancio di anticipazioni sempre in ambito cinematografico. Il programma ospita anche un momento ludico costituito da un quiz: in particolare, dopo l’ascolto di alcune clip in lingua originale di un celebre film del passato, gli ascoltatori sono invitati a indovinarne il titolo. Uno spazio della trasmissione radiofonica è poi dedicato alle “ultime notizie”: conferenze stampa, aggiornamenti sui premi e indiscrezioni sul mondo delle star.

Sussistono, inoltre, sostanziali differenze anche tra il programma radiofonico attoreo e quello trasmesso dalla convenuta con il titolo “Hollywood Party. Il cinema alla radio”, che rappresenta la versione domenicale del programma “Hollywood Party”, caratterizzato da una durata più estesa, circa 1:15 e che propone l’ascolto di un film, introdotto e raccontato da un critico cinematografico, che, quale conduttore, introduce il film e si limita ad intervenire per descrivere le parti della pellicola prive di sonoro.
Ebbene, le differenze tra i programmi contestazione valgono ad escludere ogni ipotesi di plagio.
Ne consegue il rigetto delle domande attoree di inibitoria e di accertamento della violazione del diritto d’autore da parte delle convenute e delle consequenziali pretese risarcitorie.
E’ parimenti priva di pregio la domanda attorea di condanna della convenuta al risarcimento del danno per l’asserita violazione del diritto all’identità personale del Brondello ai sensi dell’art. 2 Cost.. Ed invero, premesso quanto sopra esposto sulla inidoneità del programma in relazione al quale l’attore invoca la tutela ad assurgere a format, l’idea di trasmettere via radio spezzoni di film non è idonea ad assurgere ad elemento identificativo della identità personale del Brondello,
così come la netta differenza tra i programmi trasmessi dalla RAI e sopra menzionati e quello attoreo è tale da escludere in radice ogni ipotesi di violazione, da parte della convenuta, della altrui identità personale. Si rileva, inoltre, che è pacifico che il parlato del programma attoreo non è mai stato trasposto nei programmi realizzati dalla RAI, né in alcun modo imitato o ripreso
dai conduttori dei programmi trasmessi dalla convenuta, pertanto non può ritenersi leso il diritto all’identità personale del Brondello neanche sotto questo profilo, posto che unico elemento che in parte potrebbe essere ritenuto identificativo della personalità del Brondello è costituito dal parlato trasmesso tra i vari spezzoni dei film, non certamente l’idea di trasmettere via radio
prodotti cinematografici o musiche ritenute appropriate al contesto, che non risultano in alcun modo collegati all’attore.
E’ infondata, infine, la domanda proposta in via ulteriormente subordinata da Dario Brondello ai sensi dell’art. 2041 c.c., atteso che, per le ragioni sopra esposte circa l’assenza della condotta di illecito plagio ascrivibile alla convenuta, non è neanche astrattamente configurabile l’ingiustificato arricchimento da parte della RAI, la quale, nella produzione e trasmissione dei programmi radiofonici sopra citati, non ha tratto alcun indebito arricchimento dal programma ideato dall’attore per affermarsi presso il pubblico e realizzare, quindi, un profitto anche sotto forma di introiti pubblicitari>>.

Per la pubblicazione dell’opera, serve la vendita o basta l’esposizione in una mostra pubblica?

E’ giusta la seconda per Cass. sez. 1 n° 23.395 del 7 agosto 2023, rel. Scotti.

Ne dà notizia Eleonora Rosati su IPKat  (il link punta a www.italgiure.giustizia.it che però la dà in via di oscuramento)

In breve un collezionista chiede i danni a Koons per aver disconosciuto la paternità dopo aver pubblicato l’opera The Serpents.

I punti più interessanti sono: 1) quando ricorra pubblicazione ex art.12 l.aut; 2) se l’autore abbbia diritto di disconoscere l’opera (ripudiarla), con tutte le conseguenze per il valore commerciale dell’opera in capo all’attuale proprietario del corpus mysticum.

Il più interessante è il secondo. Bisognerebbe prima approfondire i concetti di “riconoscere” e “disconoscere”  un ‘opera.

In prima approssimazione direi che all’autore non si può imporre il dovere di riconsocere artisticamente un ‘opera pur se materialmente sua i titolari del supporto potranno/dovranno disporne come “opera di Koons  ma da lui ripudiata”, senza pretendere che egli la riconosca.

Il Tribunale di Washington conferma la negazione amministrativa di tutela autorale al dr. Stepah Thaler per opera creata tramite IA

Varie fonti notiziano circa  la sentenza 18 agosto 2023 , caso n° 22-1564 (BAH) del tribunale di  WEashington DC, Thaler v. SHIRA PERLMUTTER, che nega la tutela autorale a opera creata tramite intelligenza artificiale.

Si tratta della fase giudiziale successiva all’analogo rigetto amministrativo, su cui v. mio post  18.02.2022.

Ad es. v. questo link alla sentenza , offerto dal blog del prof. Eric Goldman

<<Copyright has never stretched so far, however, as to protect works generated by new forms of technology operating absent any guiding human hand, as plaintiff urges here. Human authorship is a bedrock requirement of copyright.
That principle follows from the plain text of the Copyright Act. The current incarnation of the copyright law, the Copyright Act of 1976, provides copyright protection to “original works of authorship fixed in any tangible medium of expression, now known or later developed, from which they can be perceived, reproduced, or otherwise communicated, either directly or with the aid of a machine or device.” 17 U.S.C. § 102(a). The “fixing” of the work in the tangible medium must be done “by or under the authority of the author.” Id. § 101. In order to be eligible for copyright, then, a work must have an “author.”
To be sure, as plaintiff points out, the critical word “author” is not defined in the Copyright Act. See Pl.’s Mem. at 24. “Author,” in its relevant sense, means “one that is the source of some form of intellectual or creative work,” “[t]he creator of an artistic work; a painter, photographer, filmmaker, etc.” Author, MERRIAM-WEBSTER UNABRIDGED DICTIONARY, https://unabridged.merriam-webster.com/unabridged/author (last visited Aug. 18, 2023); Author, OXFORD ENGLISH DICTIONARY, https://www.oed.com/dictionary/author_n (last visited Aug. 10, 2023). By its plain text, the 1976 Act thus requires a copyrightable work to have an originator with the capacity for intellectual, creative, or artistic labor. Must that originator be a human being to claim copyright protection? The answer is yes.2
The 1976 Act’s “authorship” requirement as presumptively being human rests on centuries of settled understanding. The Constitution enables the enactment of copyright and patent law by granting Congress the authority to “promote the progress of science and useful arts, by securing for limited times to authors and inventors the exclusive right to their respective
2 The issue of whether non-human sentient beings may be covered by “person” in the Copyright Act is only “fun conjecture for academics,” Justin Hughes, Restating Copyright Law’s Originality Requirement, 44 COLUMBIA J. L. & ARTS 383, 408–09 (2021), though useful in illuminating the purposes and limits of copyright protection as AI is increasingly employed. Nonetheless, delving into this debate is an unnecessary detour since “[t]he day sentient refugees from some intergalactic war arrive on Earth and are granted asylum in Iceland, copyright law will be the least of our problems.” Id. at 408.
writings and discoveries.” U.S. Const. art. 1, cl. 8. As James Madison explained, “[t]he utility of this power will scarcely be questioned,” for “[t]he public good fully coincides in both cases [of copyright and patent] with the claims of individuals.” THE FEDERALIST NO. 43 (James Madison). At the founding, both copyright and patent were conceived of as forms of property that the government was established to protect, and it was understood that recognizing exclusive rights in that property would further the public good by incentivizing individuals to create and invent. The act of human creation—and how to best encourage human individuals to engage in that creation, and thereby promote science and the useful arts—was thus central to American copyright from its very inception. Non-human actors need no incentivization with the promise of exclusive rights under United States law, and copyright was therefore not designed to reach them.
The understanding that “authorship” is synonymous with human creation has persisted even as the copyright law has otherwise evolved. The immediate precursor to the modern copyright law—the Copyright Act of 1909—explicitly provided that only a “person” could “secure copyright for his work” under the Act. Act of Mar. 4, 1909, ch. 320, §§ 9, 10, 35 Stat. 1075, 1077. Copyright under the 1909 Act was thus unambiguously limited to the works of human creators. There is absolutely no indication that Congress intended to effect any change to this longstanding requirement with the modern incarnation of the copyright law. To the contrary, the relevant congressional report indicates that in enacting the 1976 Act, Congress intended to incorporate the “original work of authorship” standard “without change” from the previous 1909 Act. See H.R. REP. NO. 94-1476, at 51 (1976).

The human authorship requirement has also been consistently recognized by the Supreme Court when called upon to interpret the copyright law. As already noted, in Sarony, the Court’s recognition of the copyrightability of a photograph rested on the fact that the human creator, not the camera, conceived of and designed the image and then used the camera to capture the image. See Sarony, 111 U.S. at 60. The photograph was “the product of [the photographer’s] intellectual invention,” and given “the nature of authorship,” was deemed “an original work of art . . . of which [the photographer] is the author.” Id. at 60–61. Similarly, in Mazer v. Stein, the Court delineated a prerequisite for copyrightability to be that a work “must be original, that is, the author’s tangible expression of his ideas.” 347 U.S. 201, 214 (1954). Goldstein v. California, too, defines “author” as “an ‘originator,’ ‘he to whom anything owes its origin,’” 412 U.S. at 561 (quoting Sarony, 111 U.S. at 58). In all these cases, authorship centers on acts of human creativity.
Accordingly, courts have uniformly declined to recognize copyright in works created absent any human involvement, even when, for example, the claimed author was divine. The Ninth Circuit, when confronted with a book “claimed to embody the words of celestial beings rather than human beings,” concluded that “some element of human creativity must have occurred in order for the Book to be copyrightable,” for “it is not creations of divine beings that the copyright laws were intended to protect.” Urantia Found. v. Kristen Maaherra, 114 F.3d 955, 958–59 (9th Cir. 1997) (finding that because the “members of the Contact Commission chose and formulated the specific questions asked” of the celestial beings, and then “select[ed] and arrange[d]” the resultant “revelations,” the Urantia Book was “at least partially the product of human creativity” and thus protected by copyright); see also Penguin Books U.S.A., Inc. v. New Christian Church of Full Endeavor, 96-cv-4126 (RWS), 2000 WL 1028634, at *2, 10–11 (S.D.N.Y. July 25, 2000) (finding a valid copyright where a woman had “filled nearly thirty stenographic notebooks with words she believed were dictated to her” by a “‘Voice’ which would speak to her whenever she was prepared to listen,” and who had worked with two human co-collaborators to revise and edit those notes into a book, a process which involved enough creativity to support human authorship); Oliver v. St. Germain Found., 41 F. Supp. 296, 297, 299 (S.D. Cal. 1941) (finding no copyright infringement where plaintiff claimed to have transcribed “letters” dictated to him by a spirit named Phylos the Thibetan, and defendant copied the same “spiritual world messages for recordation and use by the living” but was not charged with infringing plaintiff’s “style or arrangement” of those messages). Similarly, in Kelley v. Chicago Park District, the Seventh Circuit refused to “recognize[] copyright” in a cultivated garden, as doing so would “press[] too hard on the[] basic principle[]” that “[a]uthors of copyrightable works must be human.” 635 F.3d 290, 304–06 (7th Cir. 2011). The garden “ow[ed] [its] form to the forces of nature,” even if a human had originated the plan for the “initial arrangement of the plants,” and as such lay outside the bounds of copyright. Id. at 304. Finally, in Naruto v. Slater, the Ninth Circuit held that a crested macaque could not sue under the Copyright Act for the alleged infringement of photographs this monkey had taken of himself, for “all animals, since they are not human” lacked statutory standing under the Act. 888 F.3d 418, 420 (9th Cir. 2018). While resolving the case on standing grounds, rather than the copyrightability of the monkey’s work, the Naruto Court nonetheless had to consider whom the Copyright Act was designed to protect and, as with those courts confronted with the nature of authorship, concluded that only humans had standing, explaining that the terms used to describe who has rights under the Act, like “‘children,’ ‘grandchildren,’ ‘legitimate,’ ‘widow,’ and ‘widower[,]’ all imply humanity and necessarily exclude animals.” Id. at 426. Plaintiff can point to no case in which a court has recognized copyright in a work originating with a non-human>>.

Considerazioni che nella sostanza valgono anche per il nostro art. 6 l. aut.

Sul diritto connesso del produttore fonografico, un’interessante e approfondita sentenza romana

Trib. Roma n. 12.101/2023 del 4 agosto 2023, RG 80798/2018, rel. Basile , nella lite tra il maestro Vessicchio e la RAI, di cui ha dato ampiamentoe conto la stampa oggi.

La sentenza farà testo, dato l’approfondimento del tema e la numerosità delle questioni affrontate. E’  non definitiva  rimetendo sul ruolo ex art. 279 n. 4 cpc per al quantificaizone del credito del maestro Vessicchio in base alle perizie espletate sulle dimensjoni dell’avvenuto utilizzo.

Il dubbio di base era se il maestro consegnando un master a RAI, in esecuzione di contratto, ne fosse anche il produttore ex art. 73 e 73 bis legge aut.

Principali insegnamenti presenti in sentenza:

1) non serve essere imprendutiore del settore, basta organizzare la produzione fonografica ancbe solo in quella ‘occcasione:

<<Partendo da quest’ultima norma, il Collegio rileva in primo luogo l’infondatezza della contestazione di parte convenuta relativa alla non ravvisabilità della qualifica di produttore fonografico in capo al Maestro VESSICCHIO e/o alla società CIAOSETTE, sul presupposto che essi, in spregio a quanto previsto dall’art. 78 L.d.A., non avrebbero agito in qualità di imprenditore, né avrebbero sostenuto gli investimenti necessari per la registrazione.
Difatti, benché nella stragrande maggioranza dei casi il produttore fonografico svolge tale attività in maniera continuativa e professionale con scopo di lucro e, dunque, acquisisce la qualifica di imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c., la norma invocata da RAI e RAI COM non impone affatto la qualifica di imprenditore commerciale in capo al produttore fonografico, ma considera come “produttore di fonogrammi” qualunque persona fisica o giuridica che assume l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni.
Deve pertanto ritenersi che la qualifica di produttore fonografico e il conseguente diritto alla corresponsione dell’equo compenso previsto dagli artt. 73 e 73-bis L.d.A. spetti a chiunque abbia assunto l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni su un supporto fonografico (c.d. master), indipendentemente dal fatto che esso rivesta anche la qualifica di imprenditore commerciale e – come si vedrà meglio appresso – a prescindere dal fatto che la fissazione sia avvenuta nell’ambito di un’attività commerciale finalizzata alla messa in commercio delle copie.
Anche con riguardo all’iniziativa e alla responsabilità della prima fissazione dei suoni, non colgono nel segno le contestazioni di parte convenuta secondo le quali gli attori non avrebbero fornito la prova di aver effettivamente compiuto le attività necessarie alla produzione, duplicazione e commercializzazione dei relativi supporti fonografici, adempiendo alle formalità e agli obblighi facenti carico al produttore fonografico, né avrebbero agito di loro iniziativa, ma su specifico incarico conferito al Maestro VESSICCHIO dalla stessa RAI COM, che lo avrebbe incaricato di produrre le musiche di accompagnamento originali del programma “La prova del cuoco”.
Rimandando la trattazione del profilo della commercializzazione dei supporti fonografici al tema della utilizzazione secondaria dei fonogrammi in contestazione, rileva il Collegio come la documentazione versata in atti dagli attori documenti sufficientemente la circostanza che la prima fissazione su supporto fonografico delle opere musicali utilizzate dalla RAI nel programma La prova del cuoco avvenne nell’anno 2000 su iniziativa del Maestro VESSICHIO, in proprio e quale legale rappresentante di CIAOSETTE, negli Studi di registrazione Plastic Studios (cfr. dichiarazione di Silvio Capitta, legale rappresentante della Plastic Studios, All. 3).
Gli attori provvidero, altresì, a remunerare gli artisti interpreti che avevano preso parte alle registrazioni (cfr. dichiarazioni dei sigg.ri Pino Perris, Maurizio Dei Lazzareti e Renato Pistocchi, All. 4).
Gli altri brani di sottofondo furono invece registrati, sempre su iniziativa del Maestro VESSICCHIO, in proprio e quale legale rappresentante di CIAOSETTE, nell’anno 2006 presso gli studi Meggaride Sound, sostenendone i relativi costi (cfr. dichiarazione del sig. Claudio Ribulet depositata sub All. 5 e dichiarazioni dei sigg.ri Pino Perris e Maurizio Dei Lazzareti, All. 4) (…).

Riguardo al secondo profilo, giova ripetere che né il dato letterale, né l’interpretazione dell’invocato art. 78 L.d.A. pongono condizioni o limiti minimi all’importo dell’investimento economico per l’acquisto della qualifica di produttore fonografico in capo a chi assume l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni.
Dunque, anche investimenti di modesta entità possono essere idonei a realizzare la prima fissazione dei suoni su un supporto fonografico in grado di essere utilizzato da terzi per scopo di lucro o senza scopo di lucro.
L’analisi della fattispecie costitutiva dei diritti sul fonogramma e la definizione di produttore fonografico contenuta nell’art. 78 L.d.A. indicano chiaramente che il titolo d’acquisto originario dei diritti di produttore fonografico di cui agli artt. 72 e ss. L.d.A. è costituito dall’assunzione dell’iniziativa e del rischio economico della realizzazione di una fissazione sonora nuova e originale (la c.d. prima fissazione).
La norma in esame – come si vedrà anche in seguito – neppure condiziona l’acquisto a titolo originario dei diritti sul fonogramma alla “primaria” attività di produzione, duplicazione e commercializzazione dei supporti fonografici.
Sicché, anche nel caso in cui la prima fissazione delle opere musicali destinate al programma RAI “La prova del cuoco” fosse avvenuta al solo fine di consegnare il master all’utilizzatore finale (RAI ), gli odierni attori avrebbero comunque acquistato ab origine la qualifica di produttori fonografici e, di conseguenza, i diritti ad essi spettanti ai sensi degli artt. 72 e 73-bis L.d.A. per ogni utilizzazione del supporto fonografico, indipendentemente dalla sua riproduzione in ulteriori supporti fonografici, distribuzione e commercializzazione.>>.

2) irrilevante la mancata richiesta e apposizione di contrasssegno SIAE:

<<Anche la deduzione relativa alla mancata richiesta dei contrassegni SIAE, con il pagamento dei relativi diritti d’autore, non coglie nel segno.
E’ evidente, infatti, che l’apposizione del contrassegno SIAE su ogni supporto fonografico contenente suoni, voci o immagini in movimento che reca la fissazione di opere dell’ingegno di cui all’art. 1 L.d.A., oltre ad essere finalizzata alla protezione del diritto d’autore degli autori delle opere ivi fissate (questione che, come detto, non viene in alcun rilievo in questa sede), riguarda i supporti fonografici “destinati ad essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro”.
Ne discende, al contrario, che qualora, come nel caso in esame, il supporto fonografico non sia destinato alla vendita e/o al noleggio al pubblico a fine di lucro, non sussiste alcun obbligo di apporre il contrassegno SIAE sul master realizzato e destinato ad essere utilizzato direttamente da un’emittente televisiva, né sussiste l’esigenza di tutelare attraverso tale accorgimento il diritto d’autore>>

3) distinzione concettuale netta tra incarico di creazione dell’opera e produzione del fonogramma, p. 24-25

4) la cessione dei diritto sull’opera non comporta la cessione di quello di produttore, anche ex art. 109/1 l. aut.

5) la proprietà della res è un diritto diverso da quello al compenso come produttore fonografico, p. 28-29

6) non è richiesta una previa utilizzione primaria perchè maturi l’equo compensui ex 73-73 bis l. aut. su quelle secodnarie : quindi il compenso spetta anche su un master di opera mai prima commercializzata , p. 31/4

7) prescrizione 1: si tratta non di fatto illecito ma di violazione di obbligazione ex lege. Quindi opera il termine generale decennale, anzichè la diversa regola per ciò che va pagato ad anno o in termine minore ex art. 2948.4 cc.

8) prescrizione 2:  il termine  allora decorre dalle singole utilizzazioni.

L’embedding sul proprio sito di fotografia altrui, legittimamente presente su altro sito, non è comunicazione al pubblico

l’appello del 9° Circuito afferma quanto sopra (No. 22-15293 del 17 luglio 2023, Hunley e Brauer c. Instagram ; notizia e link da Tyler Ochoa in Eric Goldman blog).

Due fotografi avevano postato loro foto su Instagram e se le vedono poi riprrodotte tramite incorporazione (embedding) da Time e da Buzzfeed.

Agiscono solo verso Instagram per secondary liability (contributory e/o vicarious), non verso le due testate giornalsitiche.

Risposta in 1 e 2 grado: nessuna responsabilità perchè manca la violazione primaria. Infatti l’embedding non è violazione , la quale richiede una riproduzione nella forma di fissazione sul server (c.d. server test).

Precisazioni tecniche:

<<embedding is different from merely providing a hyperlink. Hyperlinking gives the URL address where external content is located directly to a user. To access that content, the user must click on the URL to open the linked website in its entirety. By contrast, embedding provides instructions to the browser, and the browser automatically retrieves and shows the content from the host website in the format specified by the embedding website. Embedding therefore allows users to see the content itself—not merely the address—on the embedding website without navigating away from the site. Courts have generally held that hyperlinking does not constitute direct infringement. See, e.g., Online Pol’y Grp. v. Diebold, Inc., 337 F. Supp. 2d 1195, 1202 n.12 (N.D. Cal. 2004) (“[H]yperlinking per se does not constitute direct infringement because there is no copying, [but] in some instances there may be a tenable claim of contributory infringement or vicarious liability.”); MyPlayCity, Inc. v. Conduit Ltd., 2012 WL 1107648, at *12 (S.D.N.Y. Mar. 20, 2012) (collecting cases), adhered to on reconsideration, 2012 WL 2929392 (S.D.N.Y. July 18, 2012).
From the user’s perspective, embedding is entirely passive: the embedding website directs the user’s own browser to the Instagram account and the Instagram content appears as part of the embedding website’s content. The embedding website appears to the user to have included the copyrighted material in its content. In reality, the embedding website has directed the reader’s browser to retrieve the public Instagram account and juxtapose it on the embedding website. Showing the Instagram content is almost instantaneous>>.

Server test, p. 18:

<<We interpreted the Copyright Act’s fixation requirement and found that an image is “fixed in a tangible medium of expression” when it is “embodied (i.e., stored) in a computer’s server, (or hard disk, or other storage device).” Id. at 1160 (citing MAI Sys. Corp. v. Peak Computer, Inc., 991 F.2d 511, 517–18 (9th Cir. 1993)). Applying that interpretation, we concluded that a “computer owner shows a copy ‘by means of a . . . device or process’ when the owner uses the computer to fill the computer screen with the photographic image stored on that computer.” Id. (quoting 17 U.S.C. § 101. And “a person displays a photographic image by using a computer to fill a computer screen with a copy of the photographic image fixed in the computer’s memory.” Id. This requirement that a copy be “fixed in the computer’s memory” has come to be known as the “Server Test.” See id. at 1159 (“The district court referred to this test as the ‘server test.’”) (quoting Perfect 10 v. Google, Inc., 416 F. Supp. 2d 828, 838–39 (C.D. Cal. 2006)); Free Speech Sys., LLC v. Menzel, 390 F. Supp. 3d 1162, 1171 (N.D. Cal. 2019).>>ù

Sua applicazione al caso, p. 34:

<<Having rejected Hunley’s legal and policy challenges to Perfect 10, we now apply the Server Test to the facts of this case.
By posting photographs to her public Instagram profile, Hunley stored a copy of those images on Instagram’s servers. By displaying Hunley’s images, Instagram did not directly infringe Hunley’s exclusive display right because Instagram had a nonexclusive sublicense to display these photos.
To assert secondary liability claims against Instagram, Hunley must make the threshold showing “that there has been direct infringement by third parties.” Oracle Am., Inc., 971 F.3d at 1050. Time and BuzzFeed wrote the HTML instructions that caused browsers to show Hunley and Brauer’s photographs on Time and BuzzFeed websites. However, under Perfect 10 these instructions did not constitute “display [of] a copy.” See Perfect 10, 508 F.3d at 1160–61. Rather, Instagram displayed a copy of the copyrighted works Hunley posted on its platform, and the web browser formatted and displayed the images alongside additional content from Time and BuzzFeed. Because BuzzFeed and Time embedded—but did not store—the underlying copyrighted photographs, they are not guilty of direct infringement. See Perfect 10, 508 F.3d at 1160–61. Without direct infringement, Hunley cannot prevail on any theory of secondary liability. See Giganews, 847 F.3d at 671. As a result, Instagram is not secondarily liable (under any theory) for the resulting display. The district court did not err in dismissing this case on the basis of the Server Test>>.

Nemmeno il profilo della percezione dell’utente fa cambiare opinione ai giudici di appello, pp. 30-31.

IN UE è importante a questo proposito il caso VG Bild-Kunst / Stiftung Preußischer Kulturbesitz, causa C-392/19 con sentenza C.G. 9 marzo 2021 e spt. conclusioni AG Szpunar 10.09.2020 (nella cui Introduzione v. spiegazioni tecniche in linguaggio meritoriamente accessibile), giunto a conclusioni opposte.

Resta che il contenuto esterno, pur entrando nel sito web incorporante automaticamente, viene ivi pur sempre “riprodotto”: quindi la violazione di quest’ultimo diritto dovrebbe esserci

Prima decisione sulla normativa riformata del diritto di autore: Trib. Roma 1094/2023, RG 2312/2022, segnalata e linkata dal prof. Paolo Cuomo.

Il giudice affronta una questione preliminare di di diritto transitorio e cioè l’applicabilità del novellato art. 110 septies l. aut. ai contratti anteriori: e la risolve in senso negativo.

Del resto il tenore della pertinente norma della  dir. e del ns. d. lgs. 177/2021 (art. 3: <<1. Le disposizioni del presente decreto si applicano anche alle opere e agli altri materiali protetti dalla normativa nazionale in materia di diritto d’autore e diritti connessi vigente alla data del 7 giugno 2021. Sono fatti salvi i contratti conclusi e i diritti acquisiti fino al 6 giugno 2021>>. ) non lascia spazio a dubbi di sorta.  Qualunque contratto anteriore, anche se ancora efficace alla data di entrata in vigore, non è governato dalla novella.

Il giudice poi rigetta la domanda sotto il profilo del diritto comune (risoluzione contrattuale ex art. 1453 ss c.c.) non ravvisando inadempimento . Ma questo attiene alle circostanze del caso .

Piuttosto, non risulta esplorata la possibilità interpretativa di far sorgere/esplicitare un dovere di sfruttamento (rimasto poi eventualmente inadempiuto) sulla base del dovere di eseguire il contratto secondo buona fede.

Trib. Roma sul ruolo di SIAE e sulla “bollinatura” dei supporti digitali

Trib. Roma n° 9315/2023 del 12.06.2023, RG 57860/2018, rel. Garrisi:

<<La funzione del contrassegno è quello di autenticazione del prodotto ai fini della sua commercializzazione, in modo da garantire il consumatore, attraverso
uno strumento di immediata verificabilità, che il prodotto acquistato è legittimo e non un c.d. “prodotto pirata”. Si tratta di una funzione eminentemente pubblica a vantaggio della collettività e  non del richiedente che ne sopporta il costo: il che spiega l’obbligatorietà ex lege del contrassegno
e la sanzione penale per l’ipotesi della mancata apposizione del medesimo sul prodotto (L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), come modificata dal D.Lgs. n. 68 del 2003, art. 26). (…)

A norma dell’art. 180 della legge sul diritto d’autore, l’oggetto principale dell’attività della SIAE, quale Organismo di Gestione Collettiva, è l’intermediazione per l’esercizio dei diritti di rappresentazione, esecuzione, recitazione, radiodiffusione e riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate dalla legge d’autore, connotata dai seguenti tre contenuti:
– la stipulazione, per conto e nell’interesse degli aventi diritto, dei necessari negozi privatistici, che la legge definisce licenze ed autorizzazioni, con i grandi e piccoli utilizzatori delle opere ad essa affidate per la gestione dei vari diritti;
– l’incasso delle royalties versate per l’utilizzazione delle opere;

– la ripartizione dei proventi di cui sopra tra gli aventi diritto.
L’attività della SIAE non pregiudica tuttavia la facoltà dell’autore dell’opera di esercitare direttamente i propri diritti. (…)

Con l’introduzione dell’obbligo di apporre il contrassegno si è, infatti, voluto consentire di effettuare una rapida verifica sulla produzione e sulla commercializzazione dei supporti nel rispetto dei diritti dell’autore dell’opera riprodotta. Il contrassegno consente, inoltre, ai consumatori di accertare la provenienza lecita del prodotto acquistato, tutelando in tal modo anche il consumatore in ordine alla liceità della produzione e della vendita del prodotto
acquistato.(…)

Nel caso di specie, premesso in fatto e diritto quanto sopra, non è configurabile alcun rapporto negoziale tra le parti, atteso che l’attività accertativa da parte della convenuta consistente nella apposizione del contrassegno su ogni supporto su cui viene impressa un’opera tutelata dalla legge sul diritto d’autore discende direttamente dalla legge, segnatamente dal citato articolo 181-bis L.A., senza che possa considerarsi instaurato tra l’attrice e la convenuta alcun contratto da cui far discendere l’obbligo in capo a quest’ultima di apporre i contrassegni su cui si
controverte.
La natura tributaria del contrassegno predicata dalla giurisprudenza prevalente esclude la sinallagmaticità del rapporto inter partes, non essendo quindi configurabile alcun obbligo contrattuale a carico della convenuta.
Quanto alla pretesa risarcitoria, non è ravvisabile la condotta illecita da parte della SIAE.
L’attrice deduce di aver inviato, in data 23/8/2016, le richieste di rilascio dei contrassegni (cfr. doc. 1 allegato all’atto di citazione).
Tuttavia la convenuta ha dato ampia prova documentale del fatto che le richieste inviate erano irregolari in relazione alla compilazione di modelli appositi, con la conseguenza che ciò ha reso necessaria una interlocuzione tra le parti ed il compimento di una ulteriore attività accertativa da parte della convenuta.
L’ampia corrispondenza intercorsa tra le parti dimostra che la convenuta, riscontrata l’irregolarità nella compilazione dei moduli di richiesta di rilascio dei contrassegni – con particolare riferimento alla sottoscrizione mediante scansione anziché in via telematica, all’incompletezza dei moduli e delle varie sezioni – ha sempre e tempestivamente richiesto le necessarie modificazioni o integrazioni (cfr. doc. da 5 a 7 e da 17 a 30 allegati alla comparsa di costituzione)>>.

Da vedere se la non contrattualità vale anche dopo la dir. 26 del 2014 il cui art. 5.2 recita: <<I titolari dei diritti hanno il diritto di autorizzare un organismo di gestione collettiva di loro scelta a gestire i diritti, le categorie di diritti o i tipi di opere e altri materiali protetti di loro scelta, per i territori di loro scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’organismo di gestione collettiva o del titolare dei diritti. A meno che non abbia ragioni oggettivamente giustificate per rifiutare la gestione, l’organismo di gestione collettiva è obbligato a gestire tali diritti, categorie di diritti o tipi di opere e altri materiali protetti, purché la gestione degli stessi rientri nel suo ambito di attività>>.

Trib. Firenze 19.05.2023 n° 1519/2023, RG 16901/2018, rel. Pattonelli (da giurisprudenzadelleimprese.it):

<<Più in generale, la disciplina d’autore non assicura la tutela alle semplici idee,
informazioni, opinioni e teorie espresse nell’opera (come anche chiarito all’art. 9,
comma 2 Accordo TRIPS, all’art. 2, n. 8 L. n. 633/41 e nelle DCE nn. 1991/250 e 1996/9, rispettivamente in tema di programmi per elaboratore e di banche-dati), ma soltanto alle relative forme espressive, ossia alla loro concretizzazione esterna, intesa come rappresentazione nel mondo esterno di un contenuto di idee, fatti, sensazioni, ragionamenti, sentimenti, sicché l’opera dell’ingegno è tutelata soltanto quale espressione, segno palese e concreto della creatività dell’autore, mentre pari tutela non riceve l’utilizzazione dell’argomento o dell’insegnamento espressi nell’opera stessa: ciò in nome di criteri di ragionevolezza, dacché un’esclusiva tanto ampia da abbracciare perfino le idee – ancorché originali – dell’autore o i contenuti dell’opera recherebbe pregiudizio al progresso delle arti e delle scienze. Siffatto principio – esteso anche alle c.d. “idee elaborate”, per tali intendendosi gli schemi che fungono da traccia nello svolgimento di un’attività diretta alla successiva realizzazione di un’opera dell’ingegno completa – è stato ribadito, in particolare, per quanto qui di interesse, con riferimento alle opere di carattere scientifico (Cass. n. 190/62), nel cui ambito, del pari, l’esclusiva deve ritenersi cadere soltanto sull’espressione formale, id est, sulla soluzione espressiva del discorso scientifico, ma non pure sul contenuto intellettuale intrinseco dell’opera scientifica, o sull’insegnamento che da esso può trarsene, dovendo questo invece rimanere a disposizione di tutti, per il progresso delle scienze e della cultura generale (Cass. n. 10300/20; n. 15496/04). E se è pur vero, da un lato, che la visione personale, che dà luogo all’opera dell’ingegno creativa nel senso suindicato, si manifesta non soltanto nella c.d. forma esterna con cui viene espressa l’opera, ossia nell’espressione in
cui l’opera si presenta ai soggetti che intendono fruirne, ma anche nella c.d. forma interna, identificabile con la struttura dell’opera, ovvero con quel nucleo fondamentale che ne costituisce l’originalità creativa, che – come tale – non è appropriabile liberamente dai terzi; è d’altro canto da ribadirsi come, al fine della configurazione di un’opera dell’ingegno, occorra pur sempre una forma esteriore compiuta, determinata e identificabile, in cui la stessa opera si concretizzi e possa pertanto essere percepita come tale all’esterno, non ponendosi altrimenti neppure il problema della sua percezione come frutto dell’attività creativa di un determinato autore.

In altri termini, dunque, un’opera dell’ingegno in tanto riceve protezione, in quanto sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppure minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, a prescindere dal suo carattere edito o inedito, sempreché, tuttavia, ne sussistano i requisiti della concretezza di espressione, e, dunque, una forma come tale riconoscibile e riconducibile al soggetto autore (Cass. n. 22010/15; n. 18073/12) – come è ben evincibile, anzitutto, dalla lettura della clausola di chiusura di cui all’art. 1 LDA (“in qualunque forma di espressione”) e all’art. 2575 c.c., entrambe presupponenti l’esistenza di un’espressione tangibile e percepibile dell’opera>>

Oper dell’integno non ravvisata nel caso specifico in cui <<secondo le prospettazioni attoree (cfr. pag. 4 citazione), “idea, ricerca, formulazione, programma, progetto ed esecuzione” di un laboratorio scientifico, il LISM, costituirebbero un’opera dell’ingegno da tutelare in suo favore, in quanto diretta promanazione dai suoi studi e dalle sue intuizioni, e di cui, pertanto, lo stesso attore avrebbe dovuto essere ritenuto l’unico autore>>.

Decisione ineccepibile anche se facile.

Equo compenso anche per le riproduzioni private di trasmissioni televisive, dice l’Avvocato Generale

Secondo le Conclusioni 13.07.2023 dell”AG Collins, C-260/22, Seven.One Enterteinment group c. Coriont Media GmBH, è incompatibile col diritto UE la legge tedesca, laddove  non attriobuisce l’equo compenso agli organismi di radio diffusione sulla riproduzione privatedi loro trasmissioni.

<<§ 41 L’articolo 2, lettera e), e l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, devono essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro preveda un’eccezione per copia privata al diritto esclusivo di riproduzione degli organismi di diffusione radiotelevisiva nelle fissazioni delle loro trasmissioni, escludendo al contempo il diritto a un equo compenso per tale copia qualora essa arrechi loro un pregiudizio più che minimo.

Il fatto che gli organismi di diffusione radiotelevisiva possono avere diritto a un equo compenso ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 in qualità di produttori cinematografici è irrilevante [giusto ma ovvio]>>.

Circa la possibilità di disapplicare, sempre utile il ripasso:

<<38. La questione che si pone nel caso di specie è se la ricorrente possa invocare l’articolo 2, lettera e), e l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 in un procedimento contro la convenuta al fine di ottenere la disapplicazione di una normativa nazionale contrastante con tali disposizioni. L’articolo 288, terzo comma, TFUE stabilisce che le direttive non possono di per sé creare obblighi a carico di soggetti di diritto e quindi non possono essere fatte valere in quanto tale nei confronti di soggetti di diritto dinanzi a un giudice nazionale. Anche se chiare, precise e incondizionate, le disposizioni di una direttiva, come quelle di cui all’articolo 2, lettera e), e all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 non consentono al giudice nazionale di disapplicare una disposizione del suo diritto interno ad esse contraria se, in tal modo, venisse imposto un obbligo aggiuntivo a un soggetto di diritto (51).

39. Una direttiva può comunque essere invocata nei confronti di uno Stato membro, a prescindere dalla veste in cui quest’ultimo agisce. Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la disposizione nazionale contraria a una direttiva laddove quest’ultima sia invocata nei confronti di uno Stato membro, degli organi della sua amministrazione, ivi comprese autorità decentralizzate, o degli organismi o entità sottoposti all’autorità o al controllo dello Stato o a cui uno Stato membro abbia demandato l’assolvimento di un compito di interesse pubblico e che dispongono a tal fine di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli (52).

40. All’udienza, sia la convenuta che il governo tedesco hanno confermato che la convenuta è una società di gestione collettiva a cui la legge ha conferito poteri speciali e che deve agire nell’interesse pubblico. Ne consegue che, qualora il giudice del rinvio si trovi nell’impossibilità di interpretare l’articolo 87, paragrafo 4, dell’UrhG in modo conforme agli articoli 2, lettera e), e 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, la ricorrente può avvalersi di queste ultime disposizioni nella sua controversia con la convenuta per cercare di persuadere tale giudice a disapplicare l’articolo 87, paragrafo 4, dell’UrhG>>.

Quindi verso la collecting,  organo di diritto pubblico, vale l’efficacia verticale delle direttive inattuate.

Il problema della legittimità dell’uso dei training data per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale

Il Trib. del Northern District della California 11 maggio 2023, Case 4:22-cv-06823-JST, Doe1 ed alktri c. Github e altri, decide (per ora) la lite promosa da titolari di software caricato sulla piattafoma Github (di MIcrosoft) contro la stessa e contro OpenAI per uso illegittimo dei loro software (in violazione di leggi e di clausole contrattuali).

La fattispecie -non è difficile pronostico-  diverrà sempre più frequente.-

I fatti:

<<In June 2021, GitHub and OpenAI released Copilot, an AI-based program that can “assist software coders by providing or filling in blocks of code using AI.” Id. ¶ 8. In August 2021, OpenAI released Codex, an AI-based program “which converts natural language into code and is integrated into Copilot.” Id. ¶ 9. Codex is integrated into Copilot: “GitHub Copilot uses the OpenAI Codex to suggest code and entire functions in real-time, right from your editor.” Id. ¶ 47 (quoting GitHub website). GitHub users pay $10 per month or $100 per year for access to Copilot. Id. ¶ 8.
Codex and Copilot employ machine learning, “a subset of AI in which the behavior of the program is derived from studying a corpus of material called training data.” Id. ¶ 2. Using this data, “through a complex probabilistic process, [these programs] predict what the most likely solution to a given prompt a user would input is.” Id. ¶ 79. Codex and Copilot were trained on “billions of lines” of publicly available code, including code from public GitHub repositories. Id. ¶¶ 82-83.
Despite the fact that much of the code in public GitHub repositories is subject to open-source licenses which restrict its use, id. ¶ 20, Codex and Copilot “were not programmed to treat attribution, copyright notices, and license terms as legally essential,” id. ¶ 80. Copilot reproduces licensed code used in training data as output with missing or incorrect attribution, copyright notices, and license terms. Id. ¶¶ 56, 71, 74, 87-89. This violates the open-source licenses of “tens of thousands—possibly millions—of software developers.” Id. ¶ 140. Plaintiffs additionally allege that Defendants improperly used Plaintiffs’ “sensitive personal data” by incorporating the data into Copilot and therefore selling and exposing it to third parties. Id. ¶¶ 225-39>>.

MOlte sono le vioalazioni dedotte e per cio il caso è interessante. Alcune domande sono però al momento rigettate per insufficiente precisazione dell’allegaizone , ma con diritto di modifica.

La causa prosegue: vedremo

(notizia e link alla sentenza da Kieran McCarthy nel blog di Eric Goldman)