Sull’annoso problema interpretativo dell’estensione della licenza esclusiva: anche verso il licenziante o solo verso eventuali altri licenziatari?

La cattiva tecnica redazionale di contratti di licenza può portare anche a liti quale quella decisa da Trib. Milano 09.03.2021 sent. n° 1993/2021, Rg 69/2018, rel. Macchi, S§R Farmaceutici spa c. Ekuberg Pharma srl.

Questione ampiamente trattata in passato , per cui è strano che ancora si ponga nelle aule giudiziarie.

E’ il caso in cui il licenziante pattuisce l’esclusiva a favore del licenziatario: non si chiarisce però se <esclusiva> sia riferito solo ad eventuali altri licenziatari (in tale caso il licenziante può vendere in concorrenza al licenzitario) o sia riferita a chiunque, erga omnes (in tale caso il licenziante deve astenersene).

Non chiarire (per sciatteria redazionale o magari per silenzio strategico) il punto può costare chiaro e porta a liti quale quella de qua

Il Tribunale è per la prima interpretazioneà: il licenziante può continuare a vendere per conto proprio, non potendosi dedurre dal contratto un’esclusiva pure a carico suo: <<L’esame del testo del contratto deve essere condotta alla luce di un elemento di fatto che appare rivestire cruciale rilevanza. Ekuberg era già presente da tempo con quei tre propri prodotti in alcuni segmenti territoriali del mercato italiano, e in una serie di Paesi esteri. La circostanza era evidentemente ben nota sin da prima della stipulazione (come emerge con chiarezza anche dal
comportamento delle parti successivo alla stipulazione, su cui si tornerà  iffusamente più avanti), e non affatto “scoperta” in corso di rapporto. Osserva il Collegio che non può ragionevolmente ritenersi che Ekuberg intendesse obbligarsi ad autoescludere i propri prodotti dai mercati in cui essi erano affermati, ancor prima che la licenziataria si organizzasse per entrarvi con il proprio marchio, o a prescindere dall’idoneità delle iniziative della licenziataria a ciò finalizzate. Sullo sfondo di tale scenario fattuale, è da ritenersi che la previsione di un’esclusiva rigidamente imposta anche a Ekuberg dovrebbe trovare nel contratto forti indici testuali; il fatto che le parti, invece, non abbiano ritenuto di regolare  espressamente, e con puntualità di disciplina, un obbligo per Ekuberg di cessare l’attività di vendita diretta con propri marchi in favore di una licenziataria che ancora doveva organizzare le sue strategie, depone significativamente per l’insussistenza di un obbligo di esclusiva rivolto verso la stessa Ekuberg nei termini prospettati da parte attrice.
Se, come detto, nessuna specifica clausola contrattuale prevede espressamente un divieto per Ekuberg di vendere i propri prodotti, si deve rilevare che detta conclusione nemmeno può raggiungersi all’esito della ricerca della comune intenzione delle parti, attuata interpretando le clausole le une per mezzo delle altre come previsto dall’art. 1363 c.c.>>.

La motivazione è interessante perchè dettaglia sulle circosatnze fattuali anche post stipula , ragionando sui criteri legali di interpretazione del contratto ex art. 1362 segg. c.c.

Non è chiarissimpo il tipo contrattuale sub iudice , chiamato “contratto di produzione e fornitura in full service e licenza di formulato”: forse licenza di know how? E’ infatti il TITOLARE della c.d. formula produttiva (distribuita dal livenziatario , attore in causa, con proprio marchio) ad essere convenuto per asserita violazione del contratto.

L’eccezione di sperimentazione (c.d. eccezione Bolar) verso il brevetto inventivo ex art. 68.1.b cod. propr. ind.

L’ecczione alla privativa brevettuale posta c.d di sperimetnazione o occezione Bolar da un noto caso giudiziario è cos’ discipolinata dalll’arty. 68.1.b:

<<1. La facolta’ esclusiva attribuita dal diritto di brevetto non si estende, quale che sia l’oggetto dell’invenzione:

a) ..

b) agli studi e sperimentazioni diretti all’ottenimento, anche in paesi esteri, di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco ed ai conseguenti adempimenti pratici ivi compresi la preparazione e l’utilizzazione delle materie prime farmacologicamente attive a cio’ strettamente necessarie; >>

L’interessante questione sub iudice è quella del se l’eccezione copra solo il futuro produttore che chiederà l’AIc oppure anche eventuali terzisti incaricati dal produttore stesso, che non ha il tempo o le risorse per provvedere in proprio alla sperimentazione.

La corte di appello di Milano 08.06.2021, n. 1785/2021-Rg 858/2019, Sicor-Teva c. Boheringer, confermando la decisione di primo greado, ha così statuito:

– L’art. 68.1.b cpi << è  volta  a  conferire  una  maggiore rapidità nell’ingresso dei farmaci generici sul mercato, poiché il genericista non è obbligato a portare a termine tutti gli studi clinici atti a dimostrare l’efficacia e la sicurezza del prodotto, basandosi sugli  studi  già  effettuati  in  relazione  al  farmaco  di  riferimento,  il  cd.  originator.  Tuttavia, non sono esclusi, per il genericista, gli studi di bioequivalenza, idonei a dimostrare che il medicinale generico ha la stessa efficacia terapeutica ed analoghi effetti collaterali dell’originator.   Per questa ragione, l’art. 10, comma IX del D. lgs.    n.    219/06  stabilisce  che  gli  studi  necessari  per  consentire  al  genericista  la procedura abbreviata non comportano pregiudizio alla proprietà industriale>>;

<< il  giudice  di  primo  grado,  pur  dando  conto  del  carattere  eccezionale  che contraddistingue la disposizione citata, a tutela della privativa industriale brevettuale, ha valorizzato la finalità delle sperimentazioni necessarie ad introdurre farmaci generici sul mercato in tempi relativamente rapidi.  Nel tentativo, dunque,  di contemperare le opposte esigenze, del titolare della privativa e  del genericista, il  giudice di  prime  cure   ha  ritenuto  che la clausola  Bolar   non possa  applicarsi ai meri produttori/rivenditori di principio attivo:  “a    coloro, cioè,   che svolgano un’attività di sperimentazione e produzione non  finalizzata ex  ante  all’ottenimento  di  un’AIC,  bensì  finalizzata  ad  ottenere    il prodotto/principio attivo oggetto della privativa e ad offrirlo  in  vendita ad altri; in questi casi, invero, la  produzione/offerta del prodotto è obiettivamente slegata  dalla  finalità  di  ottenere  un’AIC  ed  il  profitto  che  il  produttore  ricava  dalla vendita  dello  stesso  è  la  remunerazione  di  un’attività  di  studio  e  produzione, offerta e pubblicizzazione, ovvero di un’attività  di sfruttamento commerciale del principio brevettato avvenuta senza alcuna copertura della scriminante”.   Sempre  in  un’ottica  teleologica,  il  giudice  di  prime  cure  ha  ritenuto  che  i genericisti  privi  delle  necessarie  attrezzature  tecnologiche  e  competenze  possano rivolgersi  a  terzi  produttori  del  principio  attivo  per  richiedere  un’attività  di produzione e di consegna, da ritenere legittima in quanto funzionale all’ottenimento di un’AIC. 25.

La  Corte  reputa  corretta  tale  interpretazione,  che  costituisce  a  tutti  gli  effetti  un valido compromesso tra la libertà di iniziativa economica in un settore particolarmente significativo per la collettività mondiale e la necessaria tutela del titolare della privativa. Ed è dunque nel solco dell’attività  di  produzione  e  di consegna  dietro  specifica  richiesta  del  genericista  che  il  terzo  produttore  può muoversi  senza  trasmigrare  nell’ambito  della  commercializzazione  e  della pubblicizzazione  del  prodotto.        In altri termini, ciò significa che l’attività  del terzo  produttore,  non  potendo  essere  svincolata  da  una  specifica  richiesta  del genericista,    non  può    comprendere  una  vera  e  propria  attività  di  marketing, perché  il  concetto  di  marketing  si  pone  in  evidente  contrasto  con  le    finalità sperimentative  e registrative tipiche dell’eccezione  consentita dalla disposizione legislativa;  come,  del  resto,  anche  la  produzione  del  principio  attivo  in  quantità svincolate da una specifica richiesta e, perciò  stesso, neppure ex ante controllabili (come anche infra spiegato).   Ebbene, Sicor e Teva – che non hanno impugnato in maniera specifica l’interpretazione della disposizione nei termini sopra esposti – si sono  limitate  ad affermare che sarebbe “irrealistico” pensare che un produttore di  principi  attivi  inizi  a  sviluppare  il  processo  di  produzione  di  un  principio soltanto dopo aver ricevuto richiesta da un genericista, proprio perché, in tal caso, egli  non  sarebbe  mai  in  grado  di  soddisfare  tempestivamente  tale  richiesta  (cfr. atto di citazione in appello, I  cpv,  pag. 22).   Coerentemente, Sicor e Teva hanno ammesso nei propri atti di aver avviato le attività di produzione e pubblicizzazione del tiotropio prima ed indipendentemente da una specifica richiesta  ed  incarico  da  parte  di  una  società  genericista  (cfr.  pagg.  20  –  21  della comparsa conclusionale delle appellanti), in contrasto proprio con l’interpretazione pure estensiva ammessa dal giudice di prime cure. 26. Poste queste premesse di ordine generale, occorre passare in rassegna le obiezioni sollevate  dalle  parti  appellanti  e  ritenute  non  adeguatamente  valorizzate  dal Tribunale, alla  luce delle quali la  produzione  del principio attivo dovrebbe ritenersi  coperta  e  avallata  dalla  clausola  Bolar.    Le  impugnanti,  infatti,  hanno evidenziato  di  aver  sempre  avvertito  i  genericisti  di  poter  vendere  soltanto  per finalità Bolar, come, del resto, risultava dal sito internet.  Non avendo adeguatamente valorizzato tale circostanza, il giudice di prime cure aveva dunque errato.  Parimenti non era stato considerato il fatto che la stessa Sicor, pur avendo chiesto  ed  ottenuto  da  AIFA  un’autorizzazione  alla  produzione  del  tiotropio bromuro  a  fini  di  sola  sperimentazione  anche  clinica  e  per  mero  errore  avendo invece ottenuto l’autorizzazione a fini commerciali, si era poi attivata  per  far riscontrare detto errore, come risultava dai documenti nn.  34 – 3d.  27. La  Corte  premette  che  concorda  con  l’interpretazione  proposta  dal  giudice  di prime cure, sulla base della quale il mero inserimento del prodotto nel sito internet costituisce  espressione  della  nota  attività  di  marketing,  funzionale  a  catturare l’attenzione dei possibili clienti genericisti>>.

Il passaggio chiave è <dietro  specifica  richiesta  del  genericista> 

E’ infine interessante la discussione infatto sul se nel caso specifico ricorresse tale requisito o se invece il c.d. terzista avesse messo in vendita i propri risultati sperimentali.

Anche il Regno Unito nega il brevetto all’invenzione generata da intelligenza artificiale (sul caso Thaler-DABUS)

la corte di appello UK , 21.09.2021, caso No: A3/2020/1851, Thaler c. COMPTROLLER GENERAL OF PATENTS TRADE MARKS AND DESIGNS, a maggioranza conferma il rigetto della domanda brevettuale.

La lunga battaglia processuale del dr. Thaler in  molti Uffici brevettuali e tribunali, sparsi nel mondo, segna un’altra battuta di arresto (si v. quella di inizio mese in Virginia USA, ricordata nel mio post di ieri).

Secondo i giudici Arnold e Laing, nè DABUS è inventore (deve esserlo un umano) nè Thaler (poi: T.) ha indicato un titolo (derivativo o altro) per essere indicato lui come tale.

J. Birss concorda sul primo punto , ma non sul secondo: secondo lui  i) T. ha in buona fede  indicato chi secondo lui è l’inventore, § 58, e ii) quale costruttore della macchimna , gli spetta -per accessione, direi- il diritto sull’output della stessa e cioè l’esclusiva brevettuale, § 82 (J. Arnold nega l’invocabilità dell’accession doctrine: § 130 ss).

Quanto ad ii) non mi pronuncio, se non per dire che l’applicazine dell’accession agli intangibles è ammissibile pur se in base al criterio analogico (essendo indubbiamente dettata dal diritto positivo per le res) .

Quanto ad i), c’è un palese errore. La sec. 13.2.a del patent act, laddove dice <<identifying the person or persons whom he believes to be the inventor  or inventors>>, intende si l’indicazione di chi secondo il depositante è l’inventore, ma sempre purchè sia persona fisica

Invenzione ad opera di intelligenza artificiale: chi è l’inventore? Altra pronuncia provocata da StephenThaler (ma a lui sfavorevole)

Anche la corte distrettuale est della Virginia si occupa del chi è l’inventore nel caso di invenzione generata tramite intelligenza artiticiale (AI).

Si tratta della sentenza 2 settembre 2021, caso Case 1:20-cv-00903-LMB-TCB, Thaler c. Hirshfekld come rappresentante del USPTO-United States Patent and Trademark Office (fonte _ the Verge, notizia reperita in Serrano, gizmodo.com.au).

Il giudice conferma il rigetto dela domanda brevettuale, avvenuto in sede amministrativa.

la definizione di inventore è  : The term “inventor” means the individual or, if a joint invention, the individuals collectively who invented or discovered the subject matter of the invention ( tit. 35 US code § 100, lettera f; così pure la lettera g).

Quindi in domanda, dovendosi indicare l’inventore, si deve indicare un individuo e cioè una persona fisica.

Ciò sia per interpretazione letterale (p. 9 ss) sia per per insufficiente prova dell’allegazione del dr. Thaler per cui motivi di policy (id est interpretazione teleologica: favorire l’innovazione) sosterrebbero la sua tesi e contasterebbero quella dell’ufficio , p. 15

Rimedi risarcitori, restitutori e punitivi in caso di violazione brevettuale

E’ intervenuta in tema di violazione brevettuale Cass. n. 5.666 del 02.03.2021, rel. Iofrida, Cappellotto spa c. Farid Industrie spa.

A parte alcune interessanti spunti processuali (per i quali servirebbe conoscere gli atti di causa ma sui quali comunque non mi fermo), due sono quelli qui  ricordati: novità intrinseca e rimedi ex art. 125 cpi,

Sul primo, nulla di interessante, ripetendo tralatice posizioni sulla differenza tra invenzine e modello di utliità: <<In conclusione, mentre sono brevettabili come modello di utilità i trovati che incrementano la comodità d’uso, grazie a soluzioni che migliorano l’efficacia di un prodotto noto, senza introdurre modifiche rivolte a risolvere specifici problemi di funzionamento delle versioni precedenti di quello, sono brevettabili come “invenzioni di perfezionamento o di combinazione” tutti quei trovati che consistono in modifiche rappresentanti, ad un tecnico medio del ramo, una soluzione nuova e non evidente ad uno specifico problema posto dal funzionamento dei precedenti prodotti analoghi.

Orbene, poichè le cosiddette “invenzioni di combinazione” sono caratterizzate dall’esplicito utilizzo di tecniche e procedimenti in tutto o in parte già noti, raggiungendosi un risultato nuovo attraverso la loro coordinazione originale, rispetto ad esse i requisiti di novità ed originalità vanno valutati proprio in relazione al quid pluris rappresentato dalla combinazione ed utilizzazione dei suddetti elementi (ancorchè non nuovi), al fine di ravvisare la sussistenza di un contributo inventivo ulteriore rispetto alla pura e semplice continuità tecnica e, trattandosi di questione di fatto, tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato, ora nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5>>

Più interessante il secondo tema, relativo all’art. 125 cpi, che richiede ancora sistemazione ermeneutica.

– I-

Qualche passaggio lascia perplessi. Ad es.:  <<Il comma 1 della disposizione in esame individua, tuttavia, dei parametri da cui potere desumere indirettamente il danno, sia pure in via di approssimazione (quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione): si fa rinvio, tra i criteri da seguire per determinare l’entità del pregiudizio subito dal titolare della privativa, non soltanto al tradizionale pregiudizio di tipo patrimoniale, ma anche alla categoria del danno morale, quale il danno all’immagine commerciale dell’imprenditore, o la perdita di investimenti pubblicitari, ed al parametro dei benefici ricavati dal contraffattore (indipendentemente quindi dalla retroversione degli utili, di cui al comma 3, della disposizione in esame, che può essere chiesta in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura eccedente tale risarcimento), in un’ottica non solo indennitaria ma anche riparatoria, giustificata dall’obiettivo di tutela di una corretta attività di mercato. Si tratta, in buona sostanza, di una regola speciale nell’ambito del rimedio risarcitorio, di norma volto a compensare per equivalente, attraverso un pagamento commisurato alla perdita et ricchezza sopportata, chi ha subito la violazione.>>

Il danno morale, anche concesso che si applichi alle imprese collettive e non solo alle persone fisiche, non comprende la perdita di inverstimenti pubblicitari (cocnetto -poi- che andrebbe prima definito) , i quali semmai costituiscono danno emergente.

Poi non cbhiarisce la distinzione (civilistica) tra indennità e riparazione, usandolo con troppa leggerezza

Ancora, non è una regola speciale all’interno del risarcimento: o è compensazione d ipregiudizio, e allora vi rientra in toto, o non mira a compensare, e allora è altro dalla compensazione.

-II-

sul c. 2: <<senza l’onere per il titolare della privativa di dimostrare quale sarebbe stata la certa royalty pretesa in caso di ipotetica richiesta di una licenza da parte dell’autore della violazione, non rappresentando detto criterio il danno effettivamente subito ma un c.d. “minimo obbligatorio”.>>.

Bisogna intendersi: non deve dimostrare la propria ipotetica royalty, ma deve però dimostrare (ex onere della prova, art. 2697 cc) quella ipotetica di mercato per casi simili (cosa non facile, dovendosi trovare un’invenzione simile)

-III-

Circa il c. 3 della’rt. 125 cpi, <<il titolare danneggiato potrà chiedere il risarcimento del danno nella forma alternativa della restituzione degli utili del contraffattore.

Si tratta sempre di una forma di ristoro, forfettario, del lucro cessante, che può quindi cumularsi al danno emergente e che può essere chiesta o in via alternativa al risarcimento del mancato guadagno o nella misura in cui gli utili del contraffattore superino il suddetto pregiudizio subito>>.

Errore concettuale: non è risarcimento ma punizione o quanto meno restituzione di indebito (a scusa, però, va detto che c’è pure qualche dottrina che parla di compensazoine).

Quindi nemmeno è ristoro del lucro cessante, essendo statisticametne improbabilissimo che lo stesso utile l’avrebbe prodotto la vittima: esso dipende da svariati fattori (quindi a rigore nemmeno si tratta di restituzine di indebito).

-IV-

Ai sensi del risarcimenot ex c. 1, dice la SC,  <SI DEVE> tener conto degli utili del contraffattore. Passaggio importate, ma forse azzardato.

-V-

calcolo dei profitti: <<Questa Corte (Cass. 8944/2020) ha poi, di recente, rilevato che l’utile percepito dal contraffattore non corrisponde all’intero ricavo derivante dalla commercializzazione del prodotto contraffatto, ma al margine di profitto conseguito da colui che si è reso responsabile della lesione del diritto di privativa, deducendo i costi sostenuti (produttivi e di distribuzione) dal ricavo totale.>>.

Aspetto praticamente assai significativo e di competenza in prima battuta degli aziendalisti (ma poi pure dei giuristi)

-VI-

Perplessi lascia il § 6.8, che censura la royalty media a favore dell’applicazione del MOL (margine operativo lordo) incremetnale proprio della vittima , calcolato però sul fatturato del violatore.

Errato, però.

O si applica il c.1 (eventualmente col minimo sindacale del c.2) o  il c.3.

Se si applica il c-.1 , il fattorato del violatore è irrilevante dovendosi guardare ai suoi profitti/utili e comunqjue è solo  un possibile spunto (a mio parere rararamente sarà utile).

Se si applica il c.3, il MOL della vittima è irrilevante, rlevando solo quellodel violatore.

L’intelligenza artificiale può essere “inventor” per il diritto australiano

La querelle aperta dal dr. Thaler con la sua DABUS machine, che sta cercando di ottenere brevetto inventivo a nome proprio ma come avente causa dall’inventore costituito da intelligenza artificiale (IA), trova ora una soluzione posiiva in Australia.

Qui la Corte Federale con decisione 30.07.2021, Thaler v Commissioner of Patents [2021] FCA 879, file n° VID 108 of 2021, con analitico esame,  riforma la decisione amministrativa di rifiuto.

<<Now whilst DABUS, as an artificial intelligence system, is not a legal person and cannot legally assign the invention, it does not follow that it is not possible to derive title from DABUS. The language of s 15(1)(c) recognises that the rights of a person who derives title to the invention from an inventor extend beyond assignments to encompass other means by which an interest may be conferred.>>, § 178

Per cui dr. Thaler legittimanente dichiara di essere avente causa da DABUS: <<In my view, Dr Thaler, as the owner and controller of DABUS, would own any inventions made by DABUS, when they came into his possession. In this case, Dr Thaler apparently obtained possession of the invention through and from DABUS.  And as a consequence of his possession of the invention, combined with his ownership and control of DABUS, he prima facie obtained title to the invention.  By deriving possession of the invention from DABUS, Dr Thaler prima facie derived title.  In this respect, title can be derived from the inventor notwithstanding that it vests ab initio other than in the inventor.  That is, there is no need for the inventor ever to have owned the invention, and there is no need for title to be derived by an assignment.>>, § 189.

E poi: <<In my view on the present material there is a prima facie basis for saying that Dr Thaler is a person who derives title from the inventor, DABUS, by reason of his possession of DABUS, his ownership of the copyright in DABUS’ source code, and his ownership and possession of the computer on which it resides. Now more generally there are various possibilities for patent ownership of the output of an artificial intelligence system. First, one might have the software programmer or developer of the artificial intelligence system, who no doubt may directly or via an employer own copyright in the program in any event.  Second, one might have the person who selected and provided the input data or training data for and trained the artificial intelligence system.  Indeed, the person who provided the input data may be different from the trainer.  Third, one might have the owner of the artificial intelligence system who invested, and potentially may have lost, their capital to produce the output.  Fourth, one might have the operator of the artificial intelligence system.  But in the present case it would seem that Dr Thaler is the owner>>, §§ 193-194.

In sitnesi, <<in my view an artificial intelligence system can be an inventor for the purposes of the Act. First, an inventor is an agent noun; an agent can be a person or thing that invents.  Second, so to hold reflects the reality in terms of many otherwise patentable inventions where it cannot sensibly be said that a human is the inventor.  Third, nothing in the Act dictates the contrary conclusion.>>, § 10.

Si osservi che dr Thaler <<is the owner of copyright in DABUS’s source code. He is also the owner, is responsible for and is the operator of the computer on which DABUS operates.  But Dr Thaler is not the inventor of the alleged invention the subject of the application.  The inventor is identified on the application as “DABUS, The invention was autonomously generated by an artificial intelligence”.  DABUS is not a natural or legal person.  DABUS is an artificial intelligence system that incorporates artificial neural networks.>>, § 8

Avevo segnalato il precedente inglese contrario con post 02.10.2020.

Un mese prima dr. Thaler aveva ottenuto il brevetto sulla stessa invenzione in Sud Africa: ne dà notizia www.ipwatchdog.com con post 29 luglio u.s. ove anche il link al documento amministrativo in cui si legge che l’istante è Thaler ma l’inventore è DABUS.

(notizia e link alla sentenza da gestaltlaw.com)

Assignor estoppel: sulla buona fede negli atti dispositivi del diritto di brevetto

Ripasso della dottrina dell’assignor estoppel (AE) nel diritto brevettuale da parte della corte suprema USA (S.C., 29.06.2021, Minerva surgical c .Hologica e altri, n° 20-440).

L’AE è una difesa che impedisce di eccepire la invalidità del brevetto che si era in prcedenza ceduto (venduto).

Si tratta dunque di una preclusione del diritto di far valere fatti estintivi/modificativi della pretesa altrui, basata sul divieto di venire contra factum proprium.

E’ parte del più generale istituto dell’estoppel , tipico del common law.

La SC ribadisce la validità dell’istituto, fondato sulla necessità di coerenza nella condotta del dante causa: <<, we do not think, as Minerva claims, that contem-porary patent policy—specifically, the need to weed out bad patents—supports overthrowing assignor estoppel. In re-jecting that argument, we need not rely on stare decisis: “[C]orrect judgments have no need for that principle to prop them up.” Kimble v. Marvel Entertainment, LLC, 576 U. S. 446, 455 (2015). And we continue to think the core of as-signor estoppel justified on the fairness grounds that courts applying the doctrine have always given. Assignor estop-pel, like many estoppel rules, reflects a demand for con-sistency in dealing with others. See H. Herman, The Law of Estoppel §3 (1871) (“An estoppel is an obstruction or bar to one’s alleging or denying a fact contrary to his own pre-vious action, allegation or denial”). When a person sells his patent rights, he makes an (at least) implicit representation to the buyer that the patent at issue is valid—that it will actually give the buyer his sought-for monopoly.3 In later raising an invalidity defense, the assignor disavows that implied warranty. And he does so in service of regaining access to the invention he has just sold. As the Federal Cir-cuit put the point, the assignor wants to make a “represen-tation at the time of assignment (to his advantage) and later to repudiate it (again to his advantage).” DiamondScientific,848 F. 2d, at 1224; see supra, at 4. By saying one thing and then saying another, the assignor wants to profit doubly—by gaining both the price of assigning the patent and the continued right to use the invention it covers. That course of conduct by the assignor strikes us, as it has struck courts for many a year, as unfair dealing—enough to out-weigh any loss to the public from leaving an invalidity de-fense to someone other than the assignor.>>, p. 13-14.

In alcuni casi però non opera: precisamente quando non c’è ragione di ravvisare affidamento nell’avente causa: <<Still, our endorsement of assignor estoppel comes with limits—true to the doctrine’s reason for being. Just as we guarded the doctrine’s boundaries in the past, see supra, at 7– 8, 11–13, so too we do so today. Assignor estoppel should apply only when its underlying principle of fair dealing comes into play. That principle, as explained above, de-mands consistency in representations about a patent’s va-lidity: What creates the unfairness is contradiction. When an assignor warrants that a patent is valid, his later denial of validity breaches norms of equitable dealing. And the original warranty need not be express; as we have ex-plained, the assignment of specific patent claims carries with it an implied assurance. See supra, at 13. But when the assignor has made neither explicit nor implicit repre-sentations in conflict with an invalidity defense, then there is no unfairness in its assertion. And so there is no ground for applying assignor estoppel>>, p. 14-15.

L’affermazione della SC mi  pare esatta.

la Sc offre alcuni casi di non operatività dell’AE:

i) un esempio <<of non-contradiction is when the assign-ment occurs before an inventor can possibly make a war-ranty of validity as to specific patent claims>>.

ii) un secondo esempio è << when a later legal development ren-ders irrelevant the warranty given at the time of assign-ment. Suppose an inventor conveys a patent for value, with the warranty of validity that act implies. But the governing law then changes, so that previously valid patents become invalid>.

III) un terzo esempio (il più stimolante teoricamente) è la modifica delle rivendicaizoni: <<another post-assignment develop-ment—a change in patent claims—can remove the ra-tionale for applying assignor estoppel. Westinghouse itself anticipated this point, which arises most often when an in-ventor assigns a patent application, rather than an issued patent. As Westinghouse noted, “the scope of the right con-veyed in such an assignment” is “inchoate”—“less certainly defined than that of a granted patent.” 266 U. S., at 352–353; see supra, at 9. That is because the assignee, once he is the owner of the application, may return to the PTO to “enlarge[]” the patent’s claims. 266 U. S., at 353;see 35 U. S. C. §120; 37 CFR §1.53(b). And the new claims result-ing from that process may go beyond what “the assignor in-tended” to claim as patentable. 266 U. S., at 353. Westing-house did not need to resolve the effects of such a change, but its liberally dropped hints—and the equitable basis for assignor estoppel—point all in one direction. Assuming that the new claims are materially broader than the old claims, the assignor did not warrant to the new claims’ va-lidity. And if he made no such representation, then he can challenge the new claims in litigation: Because there is no inconsistency in his positions, there is no estoppel. The lim-its of the assignor’s estoppel go only so far as, and not be-yond, what he represented in assigning the patent applica-tion>>, p. 15-16.

Si v. la sintesi, sempre utile, presente nell’iniziale Syllabus , come costume per le pronunce della SC.

Sulla nullità brevettuale per carenza di attività inventiva

Il Trib. Milano con sent. 1015 del 08.02.2021, Rg 14639/2017, rel. Barbieri, relativa a farmaci (principio attivo Glatiramer Acetato), dichiara la nullità della frazione italiana di un brevetto delle convenute per carenza di inventività.

Cos’ si esprime: <Sul punto, il Collegio condivide le considerazioni svolte dal CTU, che ha concluso per la nullità di EP’962 sulla base delle medesime argomentazioni che hanno condotto il medesimo ausiliario a ritenere non valido EP’335, definitivamente revocato, lo si ricorda, per carenza di attività inventiva, poiché la caratteristica aggiuntiva della rivendicazione 1 (di EP’962), relativa al PH della composizione farmaceutica in cui è contenuto il Glatiramer acetato, nella sostanza non modifica in maniera significativa l’analisi e le conclusioni raggiunte per il brevetto EP’335>.

La valutazione centrale sul punto <muove dalla individuazione della closest prior art maggiormente pertinente all’analisi di non ovvietà del trovato. In particolare, l’individuazione della stessa in WO ‘975 Pinchasi, elide l’attività inventiva, dal momento che nello stesso è chiaramente e specificamente rivendicato – in alternativa alla somministrazione quotidiana – il regime di dosaggio di 40 mg. di Glatiramer Acetato applicato a giorni alterni, che risulta dal testo letterale della riv. 3 di tale domanda e risulta indicato nel testo della descrizione (v. pag. 8 della descrizione: “In another embodiment, the periodic administration is every other day”; v. anche pag. 9, righe 20 e 21).
E’ vero che tale indicazione non trovava ancora all’epoca un supporto diretto di natura sperimentale, ma tale circostanza non è parsa alla CTU di effettivo rilievo nello specifico contesto in cui essa era formulata in quanto la ricchezza di informazioni tecniche espresse in tale documento sui regimi di dosaggio di 40 mg non avrebbero distolto il tecnico del ramo dal considerare tale indicazione come meritevole di considerazione ed approfondimento nella prosecuzione delle ricerche in merito alla individuazione di un regime di trattamento con il Glatiramer Acetato volto ad aumentarne la tollerabilità complessiva per i pazienti>.

Ancora: <Condivisa l’individuazione della closest prior art in WO ‘975 Pinchasi, occorre ritenere – a parere del Collegio – che l’esperto del ramo avrebbe potuto confidare sulla base del quadro dello stato della tecnica innanzi descritto in una ragionevole aspettativa di successo nell’individuazione di una soluzione alternativa di somministrazione rispetto a quella corrente all’epoca aumentando la dose di Glatiramer Acetato da 20 mg a 40 mg e riducendone la frequenza di somministrazione. Evidentemente tale aspettativa non poteva ritenersi estesa fino al punto di prevedere con esattezza l’effetto complessivo di tale soluzione ma nel senso di poter ragionevolmente ritenere che una sperimentazione ulteriore – che non presentava in sé particolari profili di difficoltà – avrebbe potuto conseguire effetti positivi ancorchè quale soluzione alternativa di somministrazione del medesimo principio attivo.
Deve dunque ritenersi, condividendo le conclusioni del CTU, che l’esperto del ramo avrebbe potuto confidare sulla base del quadro dello stato della tecnica innanzi descritto in una ragionevole aspettativa di successo nell’individuazione di una soluzione alternativa di somministrazione rispetto a quella corrente all’epoca aumentando la dose di Glatiramer Acetato da 20 mg a 40 mg e riducendone la frequenza di somministrazione. Evidentemente tale aspettativa non poteva ritenersi estesa fino al punto di prevedere con esattezza l’effetto complessivo di tale soluzione ma nel senso di poter ragionevolmente ritenere che una sperimentazione ulteriore – che non presentava in sé particolari profili di difficoltà – avrebbe potuto conseguire effetti positivi ancorchè quale soluzione alternativa di somministrazione del medesimo principio attivo. Tale variante nel regime di somministrazione integra dunque una ovvia modifica del regime a giorni alterni>.

Ancora su IP e Intelligenza Artificiale

Nuovo documento sul rapporto tra IP e Artificial Intelligence (poi: AI).

E’ lo studio  edito da The Joint Institute for Innovation Policy (Brussels) e da IViR – University of Amsterdam , autori Christian HARTMANN e Jacqueline E. M. ALLAN nonchè rispettivamente P. Bernt HUGENHOLTZ-João P. QUINTAIS-Daniel GERVAIS, titolato <<Trends and Developments in Artificial Intelligence Challenges to the Intellectual Property Rights Framework, Final report>>, settembre 2020.

Lo studio si occupa in particolare di brevetti inventivi e diritto di autore.

V.  la sintesi e le recommendations per diritto diautore sub § 5.1, po. 116 ss :

  • Current EU copyright rules are generally sufficiently flexible to deal with the challenges posed by AI-assisted outputs.
  • The absence of (fully) harmonised rules of authorship and copyright ownership has led to divergent solutions in national law of distinct Member States in respect of AI-assisted works, which might justify a harmonisation initiative.
  • Further research into the risks of false authorship attributions by publishers of “work-like” but “authorless” AI productions, seen in the light of the general authorship presumption in art. 5 of the Enforcement Directive, should be considered.
  • Related rights regimes in the EU potentially extend to “authorless” AI productions in a variety of sectors: audio recording, broadcasting, audivisual recording, and news. In addition, the sui generis database right may offer protection to AI-assisted databases that are the result of substantial investment.
  • The creation/obtaining distinction in the sui generis right is a cause of legal uncertainty regarding the status of machine-generated data that could justify revision or clarification of the EU Database Directive.
  • Further study on the role of alternative IP regimes to protect AI-assisted outputs, such as trade secret protection, unfair competition and contract law, should be encouraged.

Si vedano poi quelle per il diritto brevettuale: sub 5.2, p. 118 ss:

  • The EPC is currently suitable to address the challenges posed by AI technologies in the context of AI-assisted inventions or outputs.
  • While the increasing use of AI systems for inventive purposes does not require material changes to the core concepts of patent law, the emergence of AI may have practical consequences for national Intellectual Property Offices (IPOs) and the EPO. Also, certain rules may in specific cases be difficult to apply to AI-assisted outputs and, where that is the case, it may be justified to make minor adjustments.
  • In the context of assessing novelty, IPOs and the EPO should consider investing in maintaining a level of technical capability that matches the technology available to sophisticated patent applicants.
  • In the context of assessing the inventive step, it may be advisable to update the EPO examination guidelines to adjust the definition of the POSITA and secondary indicia so as to track developments in AI-assisted inventions or outputs.
  • In the context of assessing sufficiency of disclosure, it would be useful to study the feasibility and usefulness of a deposit system (or similar legal mechanism) for AI algorithms and/or training data and models that would require applicants in appropriate cases to provide information that is relevant to meet this legal requirement, while including safeguards to protect applicants’ confidential information to the extent it is required under EU or international rules [forse il punto più interessante in assoluto!]
  • For the remaining potential challenges identified in this report arising out of AI-assisted inventions or outputs, it may be good policy to wait for cases to emerge to identify actual issues that require a regulatory response, if any.

Sull’ampiezza dell’esclusiva conferita da brevetto inventivo

Sull’annosa e complicata (a livello pratico-applictivo) questione dell’ampezza di tutela conferita dal brefetto inventivo, interviene la prima sezione della Cassazione (ord. 07.02.2020, n. 2977, Proras srl c. Ades srl).

La norma di riferimento è l’art. 52 cpi (spt. c. 2-3) , secondo cui:

((1.  Nelle  rivendicazioni  e' indicato, specificamente, cio' che si
intende debba formare oggetto del brevetto.))
  2.   I   limiti   della   protezione   sono  determinati  ((dalle))
rivendicazioni;  tuttavia,  la  descrizione  e  i  disegni servono ad
interpretare le rivendicazioni.
  3.  La  disposizione  del  comma  2  deve  essere intesa in modo da
garantire   nel  contempo  un'equa  protezione  al  titolare  ed  una
ragionevole sicurezza giuridica ai terzi.
((3-bis.  Per  determinare  l'ambito  della  protezione conferita dal
brevetto,  si  tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un
elemento indicato nelle rivendicazioni.))

(da Normattiva.it)

Tra le varie interpretazioni ricorre pure la c.d cosiddetta prosecution-history estoppel statunitense, <secondo la quale il richiedente che nel corso della procedura brevettuale abbia rilasciato dichiarazioni limitative del brevetto non può espandere la portata del brevetto oltre tali limiti, neppure giovandosi della dottrina degli equivalenti.>.

la Corte riconosce sì che <nel concedere spazio alla regola di contemperamento espressa dall’art. 52, commi 3 e 3 bis  non si può abbandonare il fondamentale criterio che attribuisce il principale rilievo al contenuto obiettivo delle rivendicazioni, espressione della volontà di protezione rappresentata dal richiedente del brevetto>, § 2.6.

Però affidarsi solo alla limitazione di parte applicando il prosecution-history estoppel  non è corretto.

Infatti <tale criterio è estraneo al nostro ordinamento e al sistema brevettuale in cui le norme interpretative sono fissate dall’art. 69 del protocollo CBE e dall’art. 52 cod.propr.ind., con esclusione della rilevanza dell’intenzione soggettiva dell’inventore, dovendosi aver riguardo al significato oggettivo del brevetto, recepibile dalla collettività, espresso nelle rivendicazioni, interpretate alla luce delle descrizioni e dei disegni, a prescindere dall’iter amministrativo del procedimento di concessione e dovendosi negare rilevanza scriminante alle modifiche, ovvie e non originali, elusive della sua portata oggettiva> ,§ 2.7.

Il principio di diritto è dunque il seguente:

“In tema di contraffazione di brevetti per invenzioni industriali posta in essere per equivalenza ai sensi del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 52, comma 3 bis come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131 il giudice, nel determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, non deve limitarsi al tenore letterale delle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni, ma deve contemperare l’equa protezione del titolare con la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi, e pertanto deve considerare ogni elemento sostanzialmente equivalente a un elemento indicato nelle rivendicazioni; a tal fine può avvalersi di differenti metodologie dirette all’accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva, come il verificare se la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti prive del carattere di originalità, perchè ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema; non può invece attribuire rilievo alle intenzioni soggettive del richiedente del brevetto, sia pur ricostruite storicamente attraverso l’analisi delle attività poste in essere in sede di procedimento amministrativo diretto alla concessione del brevetto” >.

Tuttavia non mancano decisioni che accolgono il criterio statunitense e la SC non si è confrontata in dettaglio con esse.