Il Tribunale di Milano sulle invenzioni dei dipendenti (art. 64 cpi) e tutela dei segreti commerciali (art. 98 cpi)

Il Tribunale di Mliano è intervenuto sulle invenzioni dei dipendenti con una sentenza portante qualche interessante riflessione.  Si tratta di Trib. MI 282/2019 del 14.01.2019, Rg 49376/2041, da poco pubblicata su giurisprudenzadelleimprese.it.

L’ex dipendente aveva depositato domanda brevettuale , per cui l’azienda aveva agito in giudizio per far valre la natura di invenzione di servizio, con applicazione della disciplina relativa (art. 64 c.1 cpi). Il convenuto aveva invocato, tra le altre, la natura di invenzione occasionale ex art. 64 c. 3 cpi.

Al § 3 il giudice riepiloga la distinzione tra le tre tipoliguie di invenzione, enucleabili dall’art. 64 cpi.

Poi ravvisa nel caso specifico una invenzione d’azienda, visto che:

<<– non si tratta di un’invenzione di servizio, non prevedendo il contratto di assunzione né direttamente né indirettamente quale oggetto dell’incarico alcuna attività inventiva né essendo prevista una specifica remunerazione a tale fine a titolo di compenso (cfr. doc. 3 di parte attrice). In proposito giova rammentare che, secondo gli indirizzi di legittimità, è onere del datore di lavoro provare la specifica retribuzione per l’attività inventiva svolta (cfr. Cass. 1285/2006), non essendo sufficiente allo scopo neppure la prova di avere corrisposto una somma superiore ai minimi, onere qui non assolto;

– non si tratta di un’invenzione occasionale, estranea all’attività cui il Fischetto era adibito, non sussistendo qui una mera coincidenza temporale tra il deposito del trovato ed il rapporto di lavoro che legava le parti. Il trovato rientrava nello specifico campo di ricerca e sperimentazione a cui era dedita l’attrice>> (p. 10).

Osssrva poi che <<Non colgono nel segno le eccezioni svolte dal convenuto:
-in merito alla mancata menzione nel contratto di lavoro di compiti di ricerca. Come accennato, sono le reali attività e mansioni espletate dal dipendente che vengono in rilievo al fine dell’applicazione delle diverse ipotesi di cui all’art. 64 c.p.i.;>> (p. 12)

Ricorda <<Per completezza: non risulta in questa sede formulata domanda di equo compenso che spetterebbe all’ex lavoratore: tale pretesa non può dunque essere esaminata>>, p. 13. E’ ben strano che il difensore non abbia avanzato questa pretesa, magari in via subordinata.

Circa la protezione dei segreti ex art. 98 cpi, ha ravvisato l”esistenza dei requisiti di legge e quindi ha accolto la domanda.

Sono di interesse soprattutto le osservazioni sulle misure di protezione: <<parte attrice ha allegato e provato la protezione attraverso password e credenziali personali (cfr. le testimonianza resa in proposito da Tiziano Baroni: “anche Fischetto aveva un computer portatile con password personale non conosciuta dall’azienda. Le informazione salvate sul pc personale sono accessibili solo al singolo utente, quelle salvate sul server sono accessibili ad alcuni gruppi di persone autorizzate, poi c’è un ulteriore porzione di server accessibile al singolo utente. Tutte le informazioni strategiche sono salvate sul server per evitare che nell’ipotesi un cui un pc si rompa le stesse vadano perse. Tali informazioni sono accessibili con autorizzazione o con password”).Tali misure adottate da Bettini erano ragionevolmente adeguate a mantenere segrete le informazioni di cui discute. Inoltre, il contratto di assunzione sottoscritto con Ivan Fischetto prevedeva all’art. 10 l’obbligo di segretezza,imponendo al lavoratore di non rivelare alcuna informazione acquisita in costanza del rapporto di lavoro (cfr. doc. 3 di parte attrice);>>

Vediamo infine la statuizione sulla domanda  brevettuale.

L’attrice aveva domandato: <<..; 2) accertare e dichiarare che il diritto al brevetto e al relativo deposito e registrazione della domanda di brevetto italiano n. MI2013A1265 (“Brevetto”), meglio descritto in narrativa, spetta alla Bettini Spa (in sede di conclusioni attrice) ai sensi dell’art. 118 secondo comma CPI; 3) trasferire a nome dell’attrice il Brevetto, nel caso in cui nelle more del giudizio il Brevetto venga concesso ai sensi dell’art. 118 terzo comma lett. a CPI;…; 7) inibire l’uso del processo e prodotto oggetto dell’invenzione tutelata dal Brevetto;>> (p. 2).

Il Giudice così ha provveduto: <<1. accerta e dichiarare che il diritto alla brevettazione e al relativo deposito e registrazione della domanda di brevetto italiano n. MI2013A1265 depositato in data 29.7.2013 presso U.I.B.M. spetta alla Bettini s.p.a. ai sensi dell’art. 118 secondo comma CPI; 2. dispone il trasferimento a favore dell’attrice del brevetto indicato al punto n. 1, incaricando UIBM dei relativi adempimenti; 3. inibisce al convenuto l’uso del procedimento oggetto di invenzione di cui al punto sub. 1;>>

Brevettazione di invenzioni create dall’intelligenza artificiale: chi va indicato come inventore? /2

Avevo dato notizia tempo fa (05.01.2020) del rigetto da parte dell’EPO (European Patent Office)  della domanda di un brevetto basata su A.I. :

Brevettazione di invenzioni create dall’intelligenza artificiale: chi va indicato come inventore?

Ora è stata depositata la motivazione del’Ufficio.

Dall’elenco generale del fascicolo brevettuale (domanda n. 18 275 163.6), si vedano i Grounds for the decision (Annex) del 27.01.2020 .

V. anche l’elenco generale documenti della parallela domanda n. 18 275 174.3 e anche qui i Grounds for the decision (Annex) del 27.01.2020 .

L’Ufficio ribadisce che solo una persona fisica può essere inventore, secondo la disciplina attuale (spt. § 23-29). Dunque a nulla vale indicare titolare una persona fisica quale employer del sistema DABUS di A.I. ovvero indicare una succession in title dalla A.I. (§ 30 ss).

L’indicazine di una persona fisica permette, infine,  di soddisfare l’interesse pubblico di sapere chi sia l’inventore (§§ 37-39).

Una a sintesi dei principali problemi posti dalla protezione tramite IP (brevetti e diritto di autore) delle creazioni tramite intelligenza artificiale è ora stata redatta da Iglesias-Shamuilia-Andereberg, Intellectual Property and Artificial Intelligence – A literature review, 2019,  per conto della Commissione Europea. Qui trovi bibliografia in tema e l’indicazione di altra concessione brevettuale (statunitense: John Koza’s “Invention machine”) nonchè di altre protezioni tramite diritto di autore  (v. tabella a p. 12-13).

Sull’accesso (europeo) al fascicolo del concorrente, che ha ottenuto autorizzazione all’immissione in commercio di farmaci

Interviene sulla questione Corte di Giustizia 22.01.2020, C-175/18, PTC Therapeutics International Ltd c. Agenzia europea per i medicinali (EMA)-European Confederation of Pharmaceutical Entrepreneurs (Eucope).

Parallela c’è un altra decisione in pari data sul medesimo tema: C.G. 22.01.2020, C-178/18, MSD Animal Health Innovation GmbH-Intervet International BV contro  Agenzia europea per i medicinali (EMA).

Qui però riferisco solo della prima e cioè di C-175/18.

La lite verte sulla correttezza della decisione dell’EMA, la quale aveva dato accesso al fascicolo di PTC Therapeutics International, accogliendo un’istanza in tal senso di un concorrente. Ciò, si badi, dopo aver rilasciato autorizzazione condizionata all’immissione in commercio del farmaco.

L’EMA aveva permesso si l’accesso, ma oscurando <<di propria iniziativa i riferimenti alle discussioni sull’elaborazione di protocolli con la US Food and Drug Administration (Agenzia per gli alimenti e i farmaci, Stati Uniti d’America) i numeri di lotto, i materiali e le attrezzature, le analisi esplorative, la descrizione quantitativa e qualitativa del metodo di misurazione della concentrazione del medicinale, nonché le date di inizio e di fine del trattamento e altre date che avrebbero potuto permettere l’identificazione dei pazienti>>, § 15.

La norma regolante la fattispecie è l’articolo 4 del reg. 1049/2001, che così dice:

<<Articolo 4  Eccezioni

  1. Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue (…) 
  2. Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

– gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale,

(…)

a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

  1. L’accesso a un documento elaborato per uso interno da un’istituzione o da essa ricevuto, relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione, viene rifiutato nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione>>,

Il Tribunale aveva rigetta il ricorso contro la decisione dell’EMA, sicchè la PTC Therapeutics ricorre alla Corte di Giustizia. Del resto la decisione dell’EMA era stata già adottata, per cui non poteva operare il § 3 dell’art. 4 cit. (§ 14).

La CG inizia con il ricordare che il diritto di accesso è la regola, mentre la sua restrizione è un’eccezione (§ 56)

Ricorda poi  che <<qualora un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione, investito di una domanda di accesso a un documento decida di respingere tale domanda sulla base di una delle eccezioni previste dall’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, spetta ad esso, in linea di principio, spiegare in che modo l’accesso a tale documento potrebbe pregiudicare concretamente ed effettivamente l’interesse tutelato dall’eccezione in questione e il rischio di un siffatto pregiudizio deve essere ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico>> , § 57.

E’ bensì vero che in alcuni casi << 58 … la Corte ha riconosciuto che era … lecito per tale istituzione, organo o organismo fondarsi, a questo proposito, su presunzioni generali applicabili a determinate categorie di documenti, posto che considerazioni di ordine generale simili possono applicarsi a domande di divulgazione riguardanti documenti aventi uguale natura (…).   59 L’obiettivo di tali presunzioni risiede dunque nella possibilità, per l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione interessato, di ritenere che la divulgazione di alcune categorie di documenti pregiudichi, in linea di principio, l’interesse tutelato dall’eccezione che esso invoca, fondandosi su simili considerazioni generali, senza essere tenuto ad esaminare concretamente e individualmente ciascuno dei documenti richiesti (…).  60 Tuttavia, un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione non è tenuto a fondare la propria decisione su una siffatta presunzione generale, ma può sempre procedere a un esame concreto dei documenti menzionati nella domanda di accesso e fornire una motivazione al riguardo. 61 Ne consegue che il ricorso a una presunzione generale di riservatezza costituisce soltanto una mera facoltà per l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione interessato, il quale conserva sempre la possibilità di procedere a un esame concreto e individuale dei documenti di cui trattasi per determinare se, in tutto o in parte, questi siano tutelati da una o più eccezioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001.>>

Di conseguenza, sostenere, come fa la ricorrente, che il proprio fascicolo beneficiava necessariamente di una presunzione generale di riservatezza è erroneo : il tribunale ha facoltà di stabilirla ma anche di negarla (§ 62).

Questo è il primo motivo d’interesse della pronuncia.

Poi la CG passa ad esaminare l’eccezione, secondo cui Tribunale non avrebbe dato peso al fatto che l’istanza d’accesso era è stata avanzata da un concorrente: il che avrebbe potuto avere un negativo impatto commerciale sulla ricorrente (§ 80).

La CG però lo respinge, osservando che <<  82 (…) la ricorrente non espone le ragioni per le quali il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel considerare che i passaggi della relazione controversa che erano stati divulgati non costituivano dati che potevano rientrare nell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali, prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, non avendo concretamente e precisamente individuato, dinanzi all’EMA, nonché nell’atto di ricorso presentato dinanzi allo stesso Tribunale, quali di quei passaggi, se divulgati, potevano arrecare pregiudizio ai suoi interessi commerciali.   83 Del resto, l’argomento della ricorrente equivale a invocare una presunzione generale di riservatezza a favore della relazione controversa nel suo complesso nell’ambito di un motivo diretto contro la valutazione operata dal Tribunale dell’esito dell’esame concreto e individuale alla luce del quale l’EMA ha deciso di concedere un accesso parziale a tale relazione>>.

Interessante è anche il punto in cui la Corte ammette che il tribunale ha sbagliato nel ravvisare la necessità di una pregiudizio grave (serious), non previsto dall’art. 4/2 del reg. cit. Tuttavia questo errore non ha poi inciso sull’esito decisionale (§§ 90-92)

Infine arriva il punto più interessante della sentenza, circa il ricorrere dell’eccezione di tutela di interessi commerciali. La relativa trattazione è ai punti 94-97,  che vale la pena di riferire quasi integralmente:

<< 94 (…) qualora un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione, investito di una domanda di accesso a un documento decida di respingere tale domanda sulla base di una delle eccezioni previste dall’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 al principio fondamentale di trasparenza (…), spetta ad esso, in linea di principio, spiegare in che modo l’accesso a tale documento potrebbe pregiudicare concretamente ed effettivamente l’interesse tutelato dall’eccezione in questione. Inoltre, il rischio di un siffatto pregiudizio deve essere ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico (…) .   95 Allo stesso modo, spetta a una persona che chiede l’applicazione di una di tali eccezioni, da parte di un’istituzione, un organo o un organismo al quale si applica detto regolamento, fornire, in tempo utile, spiegazioni equivalenti all’istituzione, all’organo o all’organismo dell’Unione di cui trattasi>>.

E’ vero che un uso improprio dei dati contenuti in un documento al quale è richiesto l’accesso può arrecare pregiudizio agli interessi commerciali di un’impresa.   Tuttavia << 96 … , in considerazione dell’obbligo di fornire spiegazioni come quelle di cui al punto 95 della presente sentenza, l’esistenza di un siffatto rischio deve essere dimostrata. A tale riguardo, una semplice affermazione non circostanziata relativa a un rischio generale di uso improprio non può condurre a ritenere che tali dati rientrino nell’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, in assenza di qualsiasi altra precisazione, fornita dalla persona che chiede l’applicazione di tale eccezione dinanzi all’istituzione, all’organo o all’organismo di cui trattasi prima che quest’ultimo adotti una decisione a tale riguardo, circa la natura, l’oggetto e la portata di detti dati, che possa fornire lumi al giudice dell’Unione sul modo in cui la loro divulgazione sarebbe idonea ad arrecare concretamente pregiudizio in modo ragionevolmente prevedibile agli interessi commerciali delle persone interessate dai medesimi dati.  97 Orbene … la ricorrente non ha dimostrato, nell’atto di ricorso dinanzi al Tribunale, di aver fornito all’EMA prima dell’adozione della decisione controversa, e malgrado abbia avuto l’opportunità di prendere posizione sull’eventuale riservatezza di taluni elementi contenuti nella relazione controversa, spiegazioni circa la natura, l’oggetto e la portata dei dati di cui trattasi che consentano di concludere per la sussistenza del rischio invocato, alla luce, in particolare, delle considerazioni esposte ai punti da 89 a 92 della sentenza impugnata da cui emerge che la divulgazione di tali dati non poteva arrecare pregiudizio ai legittimi interessi della ricorrente. In particolare, l’argomento della ricorrente non può consentire di dimostrare che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nell’aver considerato, al punto 89 della sentenza impugnata, che la ricorrente non aveva dimostrato che completando e combinando i dati accessibili al pubblico con quelli che non lo sono si crea un dato commerciale sensibile la cui divulgazione arrecherebbe pregiudizio agli interessi commerciali della ricorrente>>.

Brevettazione di invenzioni create dall’intelligenza artificiale: chi va indicato come inventore?

Rose Hughes nel sempre interessante blog IPkat.com in un post 22.12.2019 dà notizia del rifiuto da parte dell’EPO (European Patent Office) della brevettazione di due trovati creati dall’ intelligenza artificiale.

Si tratta di due invenzioni “parallele” basate sulla tecnologia frattale, la sintesi della cui descrizione è la seguente:

<<Un contenitore (10) da utilizzare, ad esempio, per bevande, ha una parete (12) con una superficie esterna (14) e una parete interna (16) di spessore sostanzialmente uniforme. La parete (12) ha un profilo frattale che fornisce una serie di elementi frattali (18-28) sulle superfici interna ed esterna (14-16), formando fosse (40) e rigonfiamenti (42) nel profilo della parete e in cui una fossa (40) vista da una delle superfici esterne o interne (12, 14) forma un rigonfiamento (42) sull’altra delle superfici esterne o interne (12, 14). Il profilo consente di accoppiare più contenitori insieme mediante un impegno di pozzi e rigonfiamenti su quelli corrispondenti dei contenitori. Il profilo migliora anche l’aderenza, nonché il trasferimento di calore all’interno e all’esterno del contenitore>> (domanda EP20180275163);

<<La presente invenzione descrive dispositivi e metodi per attirare una maggiore attenzione. I dispositivi includono: un segnale di ingresso di un treno di impulsi lacunari avente caratteristiche di una frequenza di impulsi di circa quattro Hertz e una dimensione frattale del treno di impulsi di circa la metà; e almeno una sorgente di luce controllabile configurata per funzionare in modo pulsante dal segnale di ingresso; in cui una fiamma neurale emessa da almeno una sorgente di luce controllabile a seguito del treno di impulsi lacunari è adattata per servire come segnale di segnalazione identificabile in modo univoco su fonti di attenzione potenzialmente concorrenti attivando selettivamente filtri di rilevamento di anomalie umane o artificiali, attirando così maggiore attenzione.>> (domanda EP20180275174)  (traduzioni automatiche prese dal database dell’EPO)

In breve si tratta -par di capire- di creazione di contenitore per bevande e -rispettivamente- di produzione di segnali luminosi per emergenze.

La particolarità è che il creatore dell’algoritmo, dovendo designare l’autore dell’invenzione secondo l’art. 81 dell’EPC (European Patent Convention 05.10.1973) e l’art. 19 c. 1 del suo regolamento di esecuzione,  non ha indicato sè stesso bensì: i) inizialmente ha lasciato in bianco il campo del nome dell’inventore, ii) poi ha designato come inventore una macchina (“machine”) chiamata DABUS e ha precisato la propria qualifica di richiedente  e attuale titolare dei diritti quale employer/datore di lavoro. Successivamente ha corretto tale designazione indicando di essere titolare dei diritti in qualità di “successor in title”.

Successivamente l’ufficio nel documento allegato alla lettera 13 settembre 2019 di convocazione per l’udienza del 21 novembre 2019 [Summons to attend oral proceedings pursuant tu Rule 115(1) EPC – Annex to Summons (EPO form 2901AK). Points to be discussed (R.116(1) EPC)] ha negato la legittimità di queste indicazioni: l’ha fatto sostenendo che un inventore deve essere una persona fisica e non può essere una macchina, poiché queste non hanno personalità giuridica e non possono essere titolari di diritti  (§ 11). Ha anche anticipato che, se non rimedierà alle designazioni insufficienti, la domanda verrà respinta (§ 17)

Gli avvocati del richiedente hanno replicato con dettagliate controdeduzioni: v. le Submission in preparation for oral  proceedings scheduled for 25 november 2019 dello studio Williams Powell di Londra del 25.10.2019, che fra l’altro sollevano un profilo interessante circa i diritti morali (p.5-6).

Successivamente è stata diffusa il 20 dicembre 2019 la minuta della discussione orale davanti alla Receiving Section tenutasi il 25 novembre (Minutes of the oral proceedings before the Receiving Station); ivi sono riepilogate le tesi difensive del richiedente, basate sostanzialmente sul fatto che la normativa non impedisce la brevettazione di invenzioni create da sistemi di intelligenza artificiale (ad es. § 10 e 13).

Il delegato dell’EPO Chairperson Magdalena Kolasa, dopo una camera di consiglio di 16 minuti, dichiarato che le due domande di brevetto sono respinte poiché non rispettano i requisiti dell’articolo 81 e della regola 19 dell EPC.

Si attendono ora le motivazioni-. Il richiedente ha già dichiarato che presenterà appello.

Secondo un recente studio, il diritto di privativa sui prodotti realizzati da un sistema di intelligenza artificiale andrebbe attribuito al soggetto che lo utilizzi (Spedicato, Creatività artificiale, mercato e proprietà intellettuale, Riv. dir. ind., 2019, 284-287).

[ Nota: i documenti citati sono presenti nel database dell’EPO: nella pagina sopra ricordata a proposito del riassunto della descrizione, vedasi  la voce Global Dossier e il link ivi sotteso che porta all’elenco di tutti i documenti]

Sul punto si era espresso come l’EPO già Noam Shemtov, A study on inventorship in inventions involving AI activity, febbraio 2019 (studio commissionato dall’EPO stesso, che evidentemente poi si è attenuto alle relative conclusioni), sub 2.c.i, pag. 33: <<As discussed in length above, it is clear that at present all of the relevant jurisdictions limit the definition of inventor to natural persons. Although the EPC does not contain a definition of the term  “inventor”, it is submitted that it is unambiguously implicit that AI systems cannot be identified as inventors, as discussed above. To recap, identification of AI systems as inventors is not reconcilable with the overall legal framework of the EPC, and in particular the rights enumerated under Article 60 EPC. As mentioned, inventorship is the starting point of an entitlement/ownership enquiry, with the inventor being a first owner unless the invention was made in the course of employment. However, since AI systems do not have a separate legal personality, and are not
expected to have one in the foreseeable future, such systems are incapable of owning property. In the same vein, AI systems cannot be part of employment relationships in the legal sense of the term; they cannot be considered as employees unless and until they have legal personality. To conclude, considering AI systems as inventors and applying the provisions of Article 60 to such “inventors” as would be the case under the EPC is unworkable. In addition, it has been established that the moral right to be mentioned as an inventor, which serves a number of key interests in the case of human inventors, would serve no desirable purpose whatsoever if applied to AI systems. Thus, not only does the present legal position not allow for AI systems to be considered as inventors, it is submitted that at present there are no convincing reasons to consider a change in this respect.    In light of the above, should a patent application be filed designating an AI system as an inventor, it would be likely to be found deficient under Art>> (v. la pagina dell’EPO sull’A.I., in cui è presente questo studio, assieme ad altri due documenti in forma di slides).

L’Ufficio europeo ha inserito un paragrafo specifico nelle sue Guidelines for Examination, Patentability-List of esclusions, relativo a Artificial intelligence and machine learning (G.II.3.3.1).

E’ probabile dunque che i richiedenti brevetto, per invenzione prodotta dall’A.I., indicheranno il nome  di un <<proxy human inventor>> (così per D. Gervais, Is intellectual property law ready for artificial intelligence?, GRUR International, 2020, 1-2, p.2)

Su risarcimento del danno e reversione degli utili del contraffattore in caso di violazione brevettuale

Trib. MI n. 7717/2018 del 10/07/2018, RG n. 31690/2014 (in www.giurisprudenzadelleimprese.it) costituisce un interessante caso di quantificazione del danno da violazione brevettuale (relativa a cartucce contenenti gas per camping).  Tre regole sono desumibili dalla sentenza; riporto i passi relativi, necessari per capire il ragionamento condotto dal giudice.

1) il risarcimento del danno da lucro cessante non è parametrabile al prezzo di vendita della cartuccia nel suo complesso, dato che il trovato da proteggere non era stato comunicato al pubblico e quindi non ha potuto costituirne motivo di acquisto:  << Ritiene tuttavia il Collegio che la particolarità della concreta fattispecie impedisca di ritenere quale parametro di riferimento per la determinazione del danno risarcibile (lucro cessante) l’importo relativo alla vendita della cartuccia nel suo complesso. Invero deve precisarsi che l’oggetto dell’invenzione di cui al brevetto n° …….. consiste nel solo dispositivo di sicurezza reso necessario dall’intervento normativo introdotto nel 2014 e che la presenza di tale dispositivo – obbligatoria per tutte le cartucce poste in vendita dall’aprile 2014 – non era in alcun modo resa palese all’acquirente finale del prodotto, il quale dunque procedeva all’acquisto sulla base di criteri di scelta che non potevano comprendere un eventuale maggiore o minore affidamento del (nuovo) sistema di sicurezza. Sul mercato erano presenti sistemi di sicurezza alternativi implementati dagli imprenditori concorrenti su cartucce del tutto simili. Deve dunque escludersi che le pretese risarcitorie delle titolari del brevetto possano comprendere a titolo di lucro cessante la vendita della cartuccia contestata nel suo insieme, posto che nessuna concreta influenza sull’acquisto appare possibile attribuire alla presenza all’interno di essa del dispositivo in contraffazione>> (§ 5).

2) qui possiamo scindere in due l’insegnamento: i) parametrare la riduzione delle vendite della vittima alle vendite del prodotto contraffatto non è possibile, se non ci sono elementi che permettano di giustificare tale correlazione; ii) ne segue che, non potendo applicare il comma 1 dell’art. 125 cod. propr. ind. , il giudice calcolerà il danno secondo la regola della reversione degli utili ex comma 3 del medesimo articolo (oggetto di specifica domanda):  << Le analisi svolte in sede di CTU contabile non hanno fornito elementi rilevanti al fine di poter procedere alla determinazione del danno risarcibile sulla base dei criteri indicati dal comma 1 dell’art. 125 c.p.i. In effetti non vi sono elementi sufficienti – anche richiamando le osservazioni innanzi svolte circa le determinazione dei consumatori all’acquisto del prodotto originale o di quello contenente il dispositivo in contraffazione – per verificare se vi sia stata un’effettiva relazione tra le vendite delle cartucce in contraffazione da parte di P. s.r.l. ed una eventuale riduzione delle vendite dei prodotti originali da parte delle titolari del brevetto. Lo stesso CTU contabile ha affermato l’inesistenza di elementi documentali atti a confermare che le vendite conseguite da P. s.r.l. siano state o meno in tutto o in parte sottratte a P.A.I. s.r.l. (unica parte convenuta che ha partecipato alla CTU contabile). Deve dunque il Collegio provvedere alla determinazione del danno risarcibile in relazione alla previsione dell’ultimo comma dell’art. 125 c.p.i. e cioè procedendo alla reversione degli utili conseguiti dal contraffattore in favore del titolare del brevetto, consentendo così a quest’ultimo di recuperare tutte le utilità derivanti dallo sfruttamento della privativa indebitamente sottratte e fatte indebitamente proprie dal contraffattore. Entrambe le parti convenute e attrici in via riconvenzionale, cointestatarie del brevetto n° ……, hanno espressamente formulato la domanda di retroversione degli utili nelle loro rispettive comparse di costituzione nel presente giudizio e dunque – contrariamente all’infondata contestazione sul punto svolta da P. s.r.l. – il lucro cessante connesso all’illecito contraffattorio deve essere accertato sulla base di tale criterio.>> (§ 6).

3) gli utili da trasferire alla vittima sono determinati col criterio aziendalistico del margine operativo lordo (MOL), oggetto di stima da parte del CTU. Centrale, allora, è capire quali sono i costi da dedurre:  <<La determinazione del margine operativo lordo (MOL) realizzato da P.  s.r.l. sul numero di cartucce complessivamente commercializzate come innanzi riportato (n. 7.078.678 cartucce) ma limitatamente al dispositivo ritenuto in contraffazione è stata eseguita dal CTU contabile ed è stata valutata in complessivi € 818.449,00. Come è noto l’individuazione del margine di contribuzione al lordo delle imposte prevede di sottrarre dai ricavi incrementali esclusivamente i costi variabili incrementali specificamente sostenuti per produrre e commercializzare i beni contraffatti.  Da tale calcolo risultano pertanto estranei sia i costi fissi di produzione che i costi variabili che non abbiano natura incrementale e che l’impresa avrebbe sostenuto anche in assenza della condotta illecita. Il CTU contabile, in coerenza con tali criteri, ha escluso dalla determinazione del costo incrementale i costi commerciali, amministrativi e generali nonché i costi di produzione per mano d’opera, ammortamenti, manutenzioni e servizi produttivi interni. I costi ritenuti effettivamente rilevanti sono stati elencati dal CTU contabile nella tabella n. 3, alla quale ha aggiunto in via equitativa un’ulteriore 5% per i costi di trasporto. In particolare ha escluso da tale calcolo anche i servizi interni di litografia, imbutitura e riempimento, taglio, trasporto interno, collaudo ed assemblaggio in quanto riconducibili in percentuale a costi fissi di manodopera, ammortamenti, manutenzioni e servizi produttivi interni. P. s.r.l. ha contestato la metodologia seguita dal CTU contabile sia in relazione all’esclusione dai costi variabili della mano d’opera – che a suo dire avrebbe dovuto essere invece inclusa per il 100% del suo valore – che per l’esclusione dei costi relativi al taglio litografia, imbutitura, riempimento, trasporto interno, in quanto necessari per la produzione delle cartucce. Tali rilievi non possono essere accolti. Quanto al costo del lavoro impiegato per la produzione (del dispositivo in contraffazione) è corretto identificare nei costi fissi dell’azienda lo stipendio e gli oneri finanziari del lavoratori fissi, dunque tra quei costi che l’azienda avrebbe comunque subito anche in assenza dell’attività contraffattoria accertata. Nel caso di specie le richieste di inclusione di tali costi – sia in termini percentuali rispetto all’utilizzazione che sarebbe stata fatta sulle specifiche linee di produzione che addirittura per il 100% di esso – evidentemente confermano la natura di costo non incrementale della mano d’opera anche nella stessa prospettazione di P. s.r.l. In effetti nessun elemento di effettivo rilievo probatorio consente di poter attribuire – anche solo in parte – il costo della mano d’opera come esclusivamente dedicato alla produzione del dispositivo in questione, tenuto altresì conto – come osservato dal CTU contabile (pag. 54 relazione) – che la produzione in questione rivestiva un ruolo del tutto minoritario nelle complessive vendite della società e che pertanto anche in assenza di attività contraffattoria il personale sarebbe stato utilizzato in altre attività produttive dell’impresa. Nemmeno le ulteriori contestazioni relative all’esclusione di costi particolari (taglio litografia, imbutitura, riempimento, trasporto interno) possono essere ritenute rilevanti, tenuto conto del fatto che essi risultano comunque riconducibili a servizi interni dell’azienda utilizzati per tutte le sue attività produttive. Le valutazioni del CTU in ordine alla misura del MOL conseguito da P.  s.r.l. devono dunque essere confermate>>.

OSSERVAZIONI  – Genera qualche perplessità il passaggio sub 2, dove il giudice osserva che, non potendo liquidare il danno secondo il comma 1 dell’art. 125 cod. propr. ind., lo fa  secondo il criterio della reversione degli utili, prevista dal successivo comma 3. La perplessità sta nel fatto che il comma 3 non offre un diverso criterio per risarcire il danno, bensì un  rimedio diverso: non risarcitorio ma semmai restitutorio, che nulla ha a che fare con la finalità del compensare i pregiudizi altrui. Anzi ha natura punitiva, più che restitutoria, dato che: i) in generale, oltre a fattori generanti l’utile propri della vittima (e “usurpati”), ce ne saranno anche altri propri esclusivamente del contraffattore (per i quali dunque non si può parlare di “restituzione”); ii) a maggior ragione nel caso de quo, in cui il giudice esclude che la contraffazione abbia rivestito una qualsiasi  rilevanza nella motivazione d’acquisto dei clienti del contraffattore.

Sul punto v. il mio saggio “Restituzione e trasferimento dei profitti nella tutela della proprietà industriale (con un cenno al diritto di autore) per Contratto e impresa , 2010, 1149 segg., presente in www.academia.edu .

Self-driving vehicles e brevetti

L’ufficio brevettuale europeo (EPO) dà notizia di un recente studio sullo stato delle brevettazioni inerenti le driverless cars (  “Patents and self-driving vehicles”, portato a termine con l’European Council for Automotive R&D (EUCAR), novembre 2018).

Si legge che c’è stata un’impennata di domande brevettuali dal 2011 al 2017, pari al 330 %  : assai significativa se paragonata al  16 %  negli settori complessivamente considerati (cioè 20 volte tanto).

Lo studio distingue due tipi di settori tecnologici in questo settore: quello relativo al funzionamenot interno del veicolo (automated vehicle platform) e quello relativo alla relazione con le altre vetture e con l’ambiente esterno in generale (Smart environment) (v. p. 25 del Full Study e tabella 2.1 per i sottosettori)

(notizia appresa da Frantzeska Papadopoulou  tramite IPKat’s email readers’ group)