L’intelligenza artificiale non può essere intestataria di brevetto inventivo: lo dice pure l’Alta Corte inglese (ancora sul caso DABUS/dr. Stephen Thaler)

Altro caso giudiziale sul se l’intelligenza artificiale (AI) possa essere intestataria di brevetto ivnentivo quando si tratti di invenzione appunto creata da AI.

Si è pronunciata la  HIGH COURT OF JUSTICE BUSINESS AND PROPERTY COURTS OF ENGLAND AND WALES PATENTS COURT (ChD) il 21.09.2020, nel caso DABUS realizzato dallo scienziato Stephen Thaler.

La presentazione della invenzione è questa:  <“A machine called “DABUS” conceived of the present invention –  The invention disclosed and claimed in this British patent application was generated by a specific machine called “DABUS”, which is a type of “Creativity Machine”. A Creativity Machine is a particular type of connectionist artificial intelligence. Such systems contain a first artificial neural network, made up of a series of smaller neural networks, that has been trained with general information from various knowledge domains. This first network generates novel ideas in response to self-perturbations of connection weights between neurons and component neural nets therein. A second “critic” artificial neural network monitors the first neural network for new ideas and identifies those ideas that are sufficiently novel compared to the machine’s pre-existing knowledge base. The critic net also generates an effective response that in turn injects/retracts perturbations to selectively form and ripen ideas having the most novelty, utility, or value.

In the case of the present invention, the machine only received training in general knowledge in the field and proceeded to independently conceive of the invention and to identify it as novel and salient. If the teaching had been given to a person, that person would meet inventorship criteria as inventor.

In some instances of machine invention, a natural person might qualify as an inventor by virtue of having exhibited inventive skill in developing a program to solve a particular problem, or by skillfully selecting data to provide to a machine, or by identifying the output of a machine as inventive. However, in the present case, DABUS was not created to solve any particular problem, was not trained on any special data relevant to the present invention, and the machine rather than a person identified the novelty and salience of the present invention.

A detailed description of how DABUS and a Creativity Machine functions is available in, among others, the following US patent publications: 5,659,666; 7,454,388 B2; and 2015/0379394 A1>.

Dunque , secondo la prospettazione del ricorrente,  l’artificial intelligence machine chiamata DABUS sarebbe l’inventore , mentre il dr. Thaler avrebbe solo acquired the right to grant of the patents in question by “ownership of the creativity machine DABUS.

Il giudice Marcus Smith conferma la decisione dell’ufficio brevettuale inglese: solo una persona può essere inventore presso l’ufficio brevetti.

Le disposizioni di riferimento  sono gli artt. 7 e 13 del Patents Act.

Precisamente dice il giudice al § 40 :

<<It is quite clear from the statutory scheme contained in the Patents Act 1977 that – whatever the meaning of the term “inventor” – a patent can only be granted to a person. I reach this conclusion explicitly without considering the meaning of the term inventor. In my judgment, a patent can only be granted to a person falling within Classes (a), (b) or (c) for the following reasons:

(1) First, and most fundamentally, only a person can hold property and an invention, an application for the grant of a patent and the patent itself are all property rights. Were the 1977 Act to contemplate a thing owning another thing, then I would expect extremely clear language to be used in the Act to compel such a conclusion.

(2) In fact, the language of the Patents Act 1977 makes clear that the holder of a patent must be a person:

(a) Since a patent is only granted on application, it follows from section 7(1) (“[a]ny person may make an application for a patent”) that the grant of a patent can only be to a person, because only a person may make an application for a patent.[23]

(b) Classes (b) and (c) explicitly refer to and define themselves by reference to the “person” that is the transferee of the inventor’s rights.[24]

(c) Class (a) does not – section 7(2)(a) refers only to “the inventor or joint inventors”. However, it seems to me that either an inventor must be a person or at section 7(2)(a) must be read as stating “primarily to the person(s) who are the inventor or joint inventors”, given the points made in paragraphs 40(1) and 40(2)(a) above.>>

Vedi anche miei precedenti post su copyright/brevetti e intelligenza artificiale.

Sulla liquidazione del danno da violazione brevettuale, giunge una messa a punto della Corte d’Appello ambrosiana

Appello Milano del 14 maggio 2020, Rg 2667/2018 n. 1094/2020,  Caimi 1 spa contro Ima spa e Gima spa, decide l’impugnazione su una questione di violazioni brevettuali.

Qui non esamino il merito relativo alla validità e violazione del brevetto, ma solo quello su altre domande (risarcimento del danno spt.)

La sentenza è molto lunga e il relatore ha trovato una modalità grafico-espositiva chiara e comprensibile , nonostante la complessità delle questioni trattate e dei punti di vista da esporre (Tribunale, parte,  controparte, Corte d’Appello -in seguito anche solo <CdA>-)

La questione risarcitoria è trattata nella parte seconda, pagine 41 ss

i fatti di causaCama 1 produce macchine imballatrici e nel caso specifico macchine astucciatrici per cialde di caffè.   Viene contattata da una certa Mother Parkers (poi: MP) per una vendita sul mercato nordamericano. Cama 1  è però già legata contrattualmente ad una concorrente di MP , per cui declina la proposta commerciale. MP si rivolge quindi a Gima/Ima (l’una è la società operativa, l’altra la capogruppo) la quale fornisce le 5 linee complete di imballaggio contenenti la macchina astucciatrice su cui c’era il brevetto di Cama 1.

Ecco dunque alcuni passaggi interessanti

la royalty – Secondo il tribunale il tasso di royalty medio del settore machine tools è circa il 5% dei ricavi , p. 42 ss. Poi aggiunge (secondo quanto riferito dalla CdA):

<Il  criterio  della royalty media, ai fini dell’applicazione dell’art. 125 c. 2 D.Lvo 30/2005, in quanto criterio di risarcimento solo minimale, nel caso di violazione brevettuale, può e deve essere integrato al fine di garantire un’equa riparazione della violazione e di indennizzare tutte le perdite,  effettivamente subite  dalla  parte  lesa,  al  fine  di  evitare  che  il  risultato  del  calcolo  non  sia  economicamente  premiale per l’autore della contraffazione del brevetto. Pertanto  in  via  equitativa  la royalty, applicabile  al  caso  di  specie,doveva  essere determinata  nella misura dell’ 8% anziché  del  5%  dei  ricavi  complessivi  derivati  dalla  vendita  delle  astucciatrici,  così determinando il danno risarcibile a tale proposito nella misura di € 231.652>, p.42/3

Questo il Tribunale in primo grado

Interviene su ciò la CdA, sub B pagina 49

Secondo la Cda , Cama 1 non ha subito perdite di guadagno, visto che era comunque impegnata in esclusiva con un concorrente e non avrebbe potuto vendere la sua macchina astucciatrice a MP in quanto concorrente della sua controparte  nel Nord America.

Pertanto la vendita illecita ha procurato sì un utile a Gima/Ima ma non ha sottratto guadagni a Cama 1.

Sul recupero dei profitti   –   la Corte , ricordati l’articolo 125 CPI e la Direttiva, chiosa: <Con  riguardo  al  contraffattore  inconsapevole  il  risarcimento  può  essere  determinato solo in  misura pari al recupero dei profitti o ai danni che possono essere predeterminati;pare evidente, però,che tale risarcimento non può mai essere superiore a quello posto a carico del contraffattore consapevole>, p. 51 in fondo.

Subito dopo aggiunge:

<Pare altresì evidente  che anche l’ipotesi di risarcimento di cui alla lettera a) del  suddetto  art.  13  c.  1 della  Direttiva 2004/48/CE per  il  caso  di  violazione  commessa  dal  contraffattore  consapevole possa avere ad oggetto anche i profitti realizzati dall’autore della violazione (visto il riferimento a “i benefici realizzati  illegalmente  dall’autore  della  violazione”) senza  alcuna specifica limitazione;  pertanto, secondo   la   disciplina   contenuta   nella direttiva   europea, il   profitto   realizzato   dal   contraffattore consapevole (che  costituirebbe  il  danno  da  risarcire  al  titolare  del  diritto  leso)  potrebbe  anche  essere maggiore rispetto al lucro cessante effettivo (cioè al mancato guadagno subito dalla parte lesa)> p.52

Secondo Gima/IMA invece la dir. consente il trasferirmento dei profitti solo se il contrattaffattore è incolpevole,  p. 52.

La Corte non è d’accordo e sostiene che è fruibile anche da parte del contraffattore consapevole: <il comma 3 dell’art. 125 D.Lvo 30/2005 introduce, come detto, la possibilità, per il titolare del diritto leso, di  ottenere, a  sua  esplicita  richiesta, a  carico  del  contraffattore  anche  consapevole, anziché  il risarcimento  commisurato  al  lucro  cessante  (determinato  in  misura  pari  alla royalty ragionevole, previsto  dal  comma  2  dello  stesso  articolo,  ovvero in  misura  pari al  suo  mancato  guadagno  effettivo, previsto dal comma 1), il risarcimento  commisurato all’importo dei profitti realizzati dall’autore della violazione, quand’anche superiore all’importo del suo mancato guadagno>,  p. 52

Qui la CdA non brilla per chiarezza concettuale (parzialmente scusabile per l’opacità del dettato normativo). Innantitutto dovremmo distinguere tra interpetazione della direttiva e intereptazione della norma nazionale, per vedere se la seconda ha attuato correttamente la prima.

Soprattutto la Corte equivoca tra risarcimento del danno (funzione compensativa)  e trasferimenot dei profitti (funzione restitutoria, se non -come pare- punitiva).

Secondo l’art. 13 dir. al c. 1 sub a)  (autore consapevole) , dir., i profitti son considerati si ma solo per determinare il lucro cessante, cioè come uno dei possibili parametri di liquidazione del danno cagionato. Non si esce dalla compensazione.

Invece secondo il c. 2 (autore inconsapebole) gli Stati possono disporre il trasferimento dei profitti (o danni predeterminati).

Ogni tentativo, di dire quale sia misura più gravosa tra il risarcimento del danno e il traswferimento dei profitti, non andrà a buon fine: dipende dalle circostanze del caso e  in particolare dal ruolo di vittima o di aggressore della parte economicamente più forte.

in ogni caso per la Corte che il trasferimento dei profitti è chiedibile anche da parte del contraffattore consapevole e ciò anche se superiori al mancato guadagno (dato che il colpevole non può reicevere un trattamento migliore del non colpevole, parrebbe di capire) .

Effettivamente il c. 3 del nostro art. 125 c.p.i. è muto sul profilo soggettivo (grave difetto del legislatore nazionale!) per cui la tesi della Cda è in prima battuta sostenibile.

Recupero dei profitti totali o solo di una loro parte (apportionment)?  –  Inoltre dice la Corte che Cama 1 avrebbe  avuto  diritto  al  trasferimento  degli  utili  complessivi  conseguiti  da  Gima/IMA dall’intera commessa (cioè dalla vendita per tutte e cinque le linee di imballaggio di tutti i macchinari e i servizi che ne facevano parte) <solo nel caso in cui fosse risultato provato che i contratti di vendita in questione  erano  stati  conclusi  esclusivamente  perché  Gima/IMA  aveva  promesso  di  fornire  a  Mother Parkers anche le macchine astucciatrici, incorporanti i trovati oggetto dei brevetti di Cama1> p. 53.

Toccava però a Cama1 dare la prova di ciò ma non lo ha fatto.

<in conclusione, resta del tutto escluso che Gima/IMA avesse ottenuto la  commessa solo perché aveva offerto anche la fornitura della macchina astucciatrice, dotata dei trovati oggetto dei brevetti di Cama 1. Pertanto Cama 1 ha diritto alla retroversione degli utili, ma solo di quelli conseguiti da Gima/IMA dalla vendita a Mother Parkers delle cinque macchine astucciatrici contraffattori> p. 57

Calcolo degli utili – Secondo la corte gli utili vanno identificati nel margine operativo lordo, p. 57 ss

In particolare, <l’utile conseguito  dal contraffattore(oggetto  quindi  del  diritto  di  restituzione  del titolare del diritto leso) sia “rappresentato dal  confronto  fra  i  soli  ricavi  e  i  soli  costi incrementali”relativi alle  macchine  astucciatrici,“escludendo  dal  calcolo  gli  eventuali costi  comuni  ad  altre  produzioni  (in  prevalenza  costi  fissi)che l’azienda  avrebbe  comunque  sostenuto;la  grandezza  da  ricercare  ha  natura incrementale  rispetto  al MOL (margine  operativo  lordo) complessivo  aziendale  ed  è  il risultato  algebrico  della  somma  dei ricavi realizzati dalla vendita dei prodotti oggetto di contraffazione, dedotti i solicosti diretti sostenuti per  la  specifica produzione/commercializzazione  di  quei  prodotti,  ed  esclusi quindi  tutti  i  costi  di struttura,  di  servizi,  gli  oneri finanziari  e  i  costi  del  personale,non  specificamente  imputabili alla produzione/commercializzazione dei prodotti contenenti l’oggetto della contraffazion>, p.58.

Anzi, nel caso specifico , <“l’indagine….deve  essere  condotta….riferendone  i risultati  alle tre  società  indicate coinvolte (Gimas.p.a.,  I.M.A.  Industria  Macchine  Automatiche s.p.a.e  I.M.A.Industries s.r.l.,  ora  incorporata  in  IMA)  e  quindi procedendo  alla stima  di  una  figura  speciale  di “MOL di Gruppo”, in ragione della posizione di capogruppo della società I.M.A. Industria Macchine Automatiche  SpA,  cui  “risalgono”  in  tale  sua  qualità tutti  i  risultati  economici  delle  società appartenenti al Gruppo.”>, p. 58

Il danno emergente: la domanda è rigettata –  <il  danno  emergente  non  può  che  consistere  nella  perdita  di  valore, provocata dal fatto illecito del contraffattore, di un bene materiale o immateriale, posseduto dal titolare del diritto leso. Cama 1, con argomentazioni in verità piuttosto confuse, ha sostenuto, come sopra esposto, che, a causa della contraffazione oggetto della presente controversia, dell’esposizione della macchina contraffattoria a un’importante  fiera di  settore  e  della  pubblicazione della  stessa,  da  parte  di  Gima, sul  proprio  sito Internet, i  brevetti  violati  avrebbero  subito  una  perdita  di  valore  e  conseguentemente  sarebbero  stati, almeno  in  parte, vanificati  i  relativi  investimenti;  in  particolare, la  somma  spesa  per  la  ricerca  e  lo sviluppo dei trovati per € 328.882, la somma spesa per la tutela brevettuale per € 74.883 e le spese sostenute per la promozione pubblicitaria della macchina con i relativi brevetti per non meno di € 9.000.00>, p. 63

Contraria la CdA: <Nella  fattispecie  in  esame, peraltro,  risulta  provata  una  serie  di  circostanze da  cui  può invece ragionevolmente presumersi che nessun danno emergente abbia subito Cama 1:

– il CTU ha accertato che, anche dopo l’episodio di contraffazione in questione,Cama 1 non ha subito nessuna diminuzione di fatturato;. 

– il  fatto  illecito,  pur  certamente  commesso  in  Italia,  si  è  concretizzato  in  Canada, mercato in  cui  non hanno efficacia i brevetti azionati da Cama 1 nella presente  controversia e in cui, a causa del patto di esclusiva che la legava a Keurig, Cama 1 non avrebbe potuto vendere la sua macchina astucciatrice;

– Cama  1,  come  accertato  dal  CTU,  non  ha  ritenuto  di  ricorrere  ad  alcuna  azione  pubblicitaria riparatoria;

– l’investimento per la ricerca e lo sviluppo dei trovati poi brevettati è stato avviato al fine di effettuare la fornitura della macchina a Caffita s.p.a., quindi è presumibile che fosse stato già, se non totalmente almeno in parte, ammortizzato dalla vendita conclusa con tale cliente°> p. 63

il danno morale  –   <Premesso che il danno morale, per una persona giuridica che svolge attività di impresa, si identifica con il  danno  alla  sua  reputazione  commerciale,  di  persé  considerata,  a  prescindere  cioè  dalle  eventuali conseguenze economiche che ne siano derivate, nella fattispecie in esame Cama 1 non ha fornito alcuna prova  dell’esistenza di un dannodi  tale  natura,  tanto  più  che  la  violazione  del  suo  diritto  si  è concretizzata  con  la  vendita  della  macchina  contraffattoria  a  un  unico  cliente,  estraneo  al  mercato europeo  (dove  hanno  efficacia  i  brevetti  contraffatti),  esi  è  immediatamente  esauritain  seguito  alla reazione  di  Cama  1,  con  la  promozione  del  ricorso  perdescrizione  del  24.1.2013,  e  alla  conclusione dell’accordo  con  Mother  Parkers  del  10.3.2013 (con cui Cama 1 ha acconsentito a quest’ultima di ottenere la consegna di quanto già ordinato); pertanto apparecomunque verosimile che nessuna lesione della reputazione commerciale di Cama 1 si sia verificata>,  p. 64

L’effetto sulla lite della transazione conclusa da Cama1 con MP –  il quantum percepito da Cama1 va detratto dalla condanna inbase al principio della compensatio lucri cum damno:

<come  sopra  esposto, il  diritto  di  Cama  1  ad  ottenere  una  somma  commisurata  agli  utili  conseguiti  da Gima/IMA  trova  il  suo fondamento nel fatto che quest’ultima ha prodotto, venduto e si  apprestava  a consegnare a Mother Parkers le cinque macchine astucciatrici FTB 549-C, incorporanti i trovati di cui ai brevetti EP ‘612 e EP ‘151 di cui era titolare Cama 1; ebbene quest’ultima ha acquisito il diritto di ottenere il  pagamento  da  Mother  Parkers della somma di € 288.000 proprio con  la  stipulazione  della transazione del 10.3.2013, che trova il suo fondamento esclusivamente nel fatto che Gima/IMA aveva prodotto,  venduto  e  si  apprestava a  consegnare  a  Mother  Parkers  le  suddette  cinque  macchine astucciatrici FTB 549-C. Pertanto dal medesimo fatto, l’avvenuta vendita da parte di Gima/IMA a Mothers Parkers di cinque macchine astucciatrici, incorporanti i trovati di cui ai brevetti violati, sono derivati, da un lato, il danno che deve essere risarcito da Gima/IMA (che Cama1 ha chiesto venisse commisurato agli utili da quella conseguiti  dalla  vendita  illecita),  e, dall’altro lato,  il  guadagno,  consistente  nella  somma pagatada Mother  Parkers,  guadagno  che  Cama  1  non  avrebbe  mai  potuto  conseguire,  in  assenza  dell’attività illecita  posta  in  essere  da  Gima/IMAper  aver  venduto  a  Mother  Parkers  le  macchine  contraffattorie,  che Cama1 non avrebbe mai potuto vendere (per i motivi più volte richiamati>, p. 68.

Qui il concetto decisivo per procedere alla compensazione  è naturalmente quello di <medesimo fatto> , che da solo richiederebbe esame ad hoc.

Concorrenza sleale  –  <In ordine agli asseriti atti di concorrenza sleale, di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. (secondo cui “compie atti di concorrenza sleale chiunque…. si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”),  il  fatto della contraffazione dei  brevetti, di  cui  è  causa, non  costituisce  di  per  sé  un  atto  di  concorrenza  sleale,   in assenza  della  prova  di  una sua specifica e  autonoma rilevanza in  tal  senso,   tanto  più  che  nella  fattispecie in esame, per  tutte le ragioni sopra esposte (vale a dire la sussistenza del patto di esclusiva con Keurig, che impediva a Cama1 di vendere le proprie macchine nel mercato nordamericano), Cama 1, non avrebbe in ogni caso potuto lecitamente svolgere l’attività svolta da Gima/IMA, che quindi non può essere considerata quale attività concorrenziale con la sua. In  ordine  agli  asseriti atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 n. 2 c.c., il fatto che  Gima/IMA abbia pubblicato  nel  proprio  sito  web  la  macchina astucciatrice  FTB  549-C,  incorporante  anche  i ritrovati  dei  brevetti  di  cui  è  causa,  non  costituisce  di  per  sé,  come  già  rilevato  dal  Tribunale, appropriazione  di  pregidei  prodotti  di  un  concorrente,  essendo  del  tutto  mancata  la  prova  della sussistenza  di  una  qualunque  attività  concreta,  svolta  da  Gima/IMA,  diretta  ad  attribuireal  proprio prodotto, dinanzi al mercato di riferimento, le caratteristiche innovative del prodotto della concorrente>,  p. 70/1

Pubblicazione della sentenza –  <La  pubblicazione  della  sentenza,  che, per quanto riguarda l’accertamento della validità dei brevetti azionati e la loro contraffazione, conferma quella pronunciata dal Tribunale di Milano, non è necessaria e  neppuredi  alcuna concreta utilità  riparatoria  del  danno  subito  da  Cama  1 in  conseguenza  della contraffazione accertata, in considerazione del fatto che la contraffazionerisulta attuata da Gima/IMA con riguardo al mercato nordamericano (in cui i brevetti contraffatti, azionati nel presente giudizio, non avevano alcuna efficacia), del  fatto che con l’accordo transattivo del 10.3.2013 Cama 1 ha  comunque autorizzato Mother Parkers a ricevere (e quindi ad utilizzare) le macchine contraffattorie edel fatto che, una volta eseguita la commessa in questione, la contraffazione non ha più avuto alcunulteriore seguito>, p. 73

Il Tribunale di Milano sulle invenzioni dei dipendenti (art. 64 cpi) e tutela dei segreti commerciali (art. 98 cpi)

Il Tribunale di Mliano è intervenuto sulle invenzioni dei dipendenti con una sentenza portante qualche interessante riflessione.  Si tratta di Trib. MI 282/2019 del 14.01.2019, Rg 49376/2041, da poco pubblicata su giurisprudenzadelleimprese.it.

L’ex dipendente aveva depositato domanda brevettuale , per cui l’azienda aveva agito in giudizio per far valre la natura di invenzione di servizio, con applicazione della disciplina relativa (art. 64 c.1 cpi). Il convenuto aveva invocato, tra le altre, la natura di invenzione occasionale ex art. 64 c. 3 cpi.

Al § 3 il giudice riepiloga la distinzione tra le tre tipoliguie di invenzione, enucleabili dall’art. 64 cpi.

Poi ravvisa nel caso specifico una invenzione d’azienda, visto che:

<<– non si tratta di un’invenzione di servizio, non prevedendo il contratto di assunzione né direttamente né indirettamente quale oggetto dell’incarico alcuna attività inventiva né essendo prevista una specifica remunerazione a tale fine a titolo di compenso (cfr. doc. 3 di parte attrice). In proposito giova rammentare che, secondo gli indirizzi di legittimità, è onere del datore di lavoro provare la specifica retribuzione per l’attività inventiva svolta (cfr. Cass. 1285/2006), non essendo sufficiente allo scopo neppure la prova di avere corrisposto una somma superiore ai minimi, onere qui non assolto;

– non si tratta di un’invenzione occasionale, estranea all’attività cui il Fischetto era adibito, non sussistendo qui una mera coincidenza temporale tra il deposito del trovato ed il rapporto di lavoro che legava le parti. Il trovato rientrava nello specifico campo di ricerca e sperimentazione a cui era dedita l’attrice>> (p. 10).

Osssrva poi che <<Non colgono nel segno le eccezioni svolte dal convenuto:
-in merito alla mancata menzione nel contratto di lavoro di compiti di ricerca. Come accennato, sono le reali attività e mansioni espletate dal dipendente che vengono in rilievo al fine dell’applicazione delle diverse ipotesi di cui all’art. 64 c.p.i.;>> (p. 12)

Ricorda <<Per completezza: non risulta in questa sede formulata domanda di equo compenso che spetterebbe all’ex lavoratore: tale pretesa non può dunque essere esaminata>>, p. 13. E’ ben strano che il difensore non abbia avanzato questa pretesa, magari in via subordinata.

Circa la protezione dei segreti ex art. 98 cpi, ha ravvisato l”esistenza dei requisiti di legge e quindi ha accolto la domanda.

Sono di interesse soprattutto le osservazioni sulle misure di protezione: <<parte attrice ha allegato e provato la protezione attraverso password e credenziali personali (cfr. le testimonianza resa in proposito da Tiziano Baroni: “anche Fischetto aveva un computer portatile con password personale non conosciuta dall’azienda. Le informazione salvate sul pc personale sono accessibili solo al singolo utente, quelle salvate sul server sono accessibili ad alcuni gruppi di persone autorizzate, poi c’è un ulteriore porzione di server accessibile al singolo utente. Tutte le informazioni strategiche sono salvate sul server per evitare che nell’ipotesi un cui un pc si rompa le stesse vadano perse. Tali informazioni sono accessibili con autorizzazione o con password”).Tali misure adottate da Bettini erano ragionevolmente adeguate a mantenere segrete le informazioni di cui discute. Inoltre, il contratto di assunzione sottoscritto con Ivan Fischetto prevedeva all’art. 10 l’obbligo di segretezza,imponendo al lavoratore di non rivelare alcuna informazione acquisita in costanza del rapporto di lavoro (cfr. doc. 3 di parte attrice);>>

Vediamo infine la statuizione sulla domanda  brevettuale.

L’attrice aveva domandato: <<..; 2) accertare e dichiarare che il diritto al brevetto e al relativo deposito e registrazione della domanda di brevetto italiano n. MI2013A1265 (“Brevetto”), meglio descritto in narrativa, spetta alla Bettini Spa (in sede di conclusioni attrice) ai sensi dell’art. 118 secondo comma CPI; 3) trasferire a nome dell’attrice il Brevetto, nel caso in cui nelle more del giudizio il Brevetto venga concesso ai sensi dell’art. 118 terzo comma lett. a CPI;…; 7) inibire l’uso del processo e prodotto oggetto dell’invenzione tutelata dal Brevetto;>> (p. 2).

Il Giudice così ha provveduto: <<1. accerta e dichiarare che il diritto alla brevettazione e al relativo deposito e registrazione della domanda di brevetto italiano n. MI2013A1265 depositato in data 29.7.2013 presso U.I.B.M. spetta alla Bettini s.p.a. ai sensi dell’art. 118 secondo comma CPI; 2. dispone il trasferimento a favore dell’attrice del brevetto indicato al punto n. 1, incaricando UIBM dei relativi adempimenti; 3. inibisce al convenuto l’uso del procedimento oggetto di invenzione di cui al punto sub. 1;>>

Brevettazione di invenzioni create dall’intelligenza artificiale: chi va indicato come inventore? /2

Avevo dato notizia tempo fa (05.01.2020) del rigetto da parte dell’EPO (European Patent Office)  della domanda di un brevetto basata su A.I. :

Brevettazione di invenzioni create dall’intelligenza artificiale: chi va indicato come inventore?

Ora è stata depositata la motivazione del’Ufficio.

Dall’elenco generale del fascicolo brevettuale (domanda n. 18 275 163.6), si vedano i Grounds for the decision (Annex) del 27.01.2020 .

V. anche l’elenco generale documenti della parallela domanda n. 18 275 174.3 e anche qui i Grounds for the decision (Annex) del 27.01.2020 .

L’Ufficio ribadisce che solo una persona fisica può essere inventore, secondo la disciplina attuale (spt. § 23-29). Dunque a nulla vale indicare titolare una persona fisica quale employer del sistema DABUS di A.I. ovvero indicare una succession in title dalla A.I. (§ 30 ss).

L’indicazine di una persona fisica permette, infine,  di soddisfare l’interesse pubblico di sapere chi sia l’inventore (§§ 37-39).

Una a sintesi dei principali problemi posti dalla protezione tramite IP (brevetti e diritto di autore) delle creazioni tramite intelligenza artificiale è ora stata redatta da Iglesias-Shamuilia-Andereberg, Intellectual Property and Artificial Intelligence – A literature review, 2019,  per conto della Commissione Europea. Qui trovi bibliografia in tema e l’indicazione di altra concessione brevettuale (statunitense: John Koza’s “Invention machine”) nonchè di altre protezioni tramite diritto di autore  (v. tabella a p. 12-13).

Sull’accesso (europeo) al fascicolo del concorrente, che ha ottenuto autorizzazione all’immissione in commercio di farmaci

Interviene sulla questione Corte di Giustizia 22.01.2020, C-175/18, PTC Therapeutics International Ltd c. Agenzia europea per i medicinali (EMA)-European Confederation of Pharmaceutical Entrepreneurs (Eucope).

Parallela c’è un altra decisione in pari data sul medesimo tema: C.G. 22.01.2020, C-178/18, MSD Animal Health Innovation GmbH-Intervet International BV contro  Agenzia europea per i medicinali (EMA).

Qui però riferisco solo della prima e cioè di C-175/18.

La lite verte sulla correttezza della decisione dell’EMA, la quale aveva dato accesso al fascicolo di PTC Therapeutics International, accogliendo un’istanza in tal senso di un concorrente. Ciò, si badi, dopo aver rilasciato autorizzazione condizionata all’immissione in commercio del farmaco.

L’EMA aveva permesso si l’accesso, ma oscurando <<di propria iniziativa i riferimenti alle discussioni sull’elaborazione di protocolli con la US Food and Drug Administration (Agenzia per gli alimenti e i farmaci, Stati Uniti d’America) i numeri di lotto, i materiali e le attrezzature, le analisi esplorative, la descrizione quantitativa e qualitativa del metodo di misurazione della concentrazione del medicinale, nonché le date di inizio e di fine del trattamento e altre date che avrebbero potuto permettere l’identificazione dei pazienti>>, § 15.

La norma regolante la fattispecie è l’articolo 4 del reg. 1049/2001, che così dice:

<<Articolo 4  Eccezioni

  1. Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue (…) 
  2. Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

– gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale,

(…)

a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

  1. L’accesso a un documento elaborato per uso interno da un’istituzione o da essa ricevuto, relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione, viene rifiutato nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione>>,

Il Tribunale aveva rigetta il ricorso contro la decisione dell’EMA, sicchè la PTC Therapeutics ricorre alla Corte di Giustizia. Del resto la decisione dell’EMA era stata già adottata, per cui non poteva operare il § 3 dell’art. 4 cit. (§ 14).

La CG inizia con il ricordare che il diritto di accesso è la regola, mentre la sua restrizione è un’eccezione (§ 56)

Ricorda poi  che <<qualora un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione, investito di una domanda di accesso a un documento decida di respingere tale domanda sulla base di una delle eccezioni previste dall’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, spetta ad esso, in linea di principio, spiegare in che modo l’accesso a tale documento potrebbe pregiudicare concretamente ed effettivamente l’interesse tutelato dall’eccezione in questione e il rischio di un siffatto pregiudizio deve essere ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico>> , § 57.

E’ bensì vero che in alcuni casi << 58 … la Corte ha riconosciuto che era … lecito per tale istituzione, organo o organismo fondarsi, a questo proposito, su presunzioni generali applicabili a determinate categorie di documenti, posto che considerazioni di ordine generale simili possono applicarsi a domande di divulgazione riguardanti documenti aventi uguale natura (…).   59 L’obiettivo di tali presunzioni risiede dunque nella possibilità, per l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione interessato, di ritenere che la divulgazione di alcune categorie di documenti pregiudichi, in linea di principio, l’interesse tutelato dall’eccezione che esso invoca, fondandosi su simili considerazioni generali, senza essere tenuto ad esaminare concretamente e individualmente ciascuno dei documenti richiesti (…).  60 Tuttavia, un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione non è tenuto a fondare la propria decisione su una siffatta presunzione generale, ma può sempre procedere a un esame concreto dei documenti menzionati nella domanda di accesso e fornire una motivazione al riguardo. 61 Ne consegue che il ricorso a una presunzione generale di riservatezza costituisce soltanto una mera facoltà per l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione interessato, il quale conserva sempre la possibilità di procedere a un esame concreto e individuale dei documenti di cui trattasi per determinare se, in tutto o in parte, questi siano tutelati da una o più eccezioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001.>>

Di conseguenza, sostenere, come fa la ricorrente, che il proprio fascicolo beneficiava necessariamente di una presunzione generale di riservatezza è erroneo : il tribunale ha facoltà di stabilirla ma anche di negarla (§ 62).

Questo è il primo motivo d’interesse della pronuncia.

Poi la CG passa ad esaminare l’eccezione, secondo cui Tribunale non avrebbe dato peso al fatto che l’istanza d’accesso era è stata avanzata da un concorrente: il che avrebbe potuto avere un negativo impatto commerciale sulla ricorrente (§ 80).

La CG però lo respinge, osservando che <<  82 (…) la ricorrente non espone le ragioni per le quali il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel considerare che i passaggi della relazione controversa che erano stati divulgati non costituivano dati che potevano rientrare nell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali, prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, non avendo concretamente e precisamente individuato, dinanzi all’EMA, nonché nell’atto di ricorso presentato dinanzi allo stesso Tribunale, quali di quei passaggi, se divulgati, potevano arrecare pregiudizio ai suoi interessi commerciali.   83 Del resto, l’argomento della ricorrente equivale a invocare una presunzione generale di riservatezza a favore della relazione controversa nel suo complesso nell’ambito di un motivo diretto contro la valutazione operata dal Tribunale dell’esito dell’esame concreto e individuale alla luce del quale l’EMA ha deciso di concedere un accesso parziale a tale relazione>>.

Interessante è anche il punto in cui la Corte ammette che il tribunale ha sbagliato nel ravvisare la necessità di una pregiudizio grave (serious), non previsto dall’art. 4/2 del reg. cit. Tuttavia questo errore non ha poi inciso sull’esito decisionale (§§ 90-92)

Infine arriva il punto più interessante della sentenza, circa il ricorrere dell’eccezione di tutela di interessi commerciali. La relativa trattazione è ai punti 94-97,  che vale la pena di riferire quasi integralmente:

<< 94 (…) qualora un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione, investito di una domanda di accesso a un documento decida di respingere tale domanda sulla base di una delle eccezioni previste dall’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 al principio fondamentale di trasparenza (…), spetta ad esso, in linea di principio, spiegare in che modo l’accesso a tale documento potrebbe pregiudicare concretamente ed effettivamente l’interesse tutelato dall’eccezione in questione. Inoltre, il rischio di un siffatto pregiudizio deve essere ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico (…) .   95 Allo stesso modo, spetta a una persona che chiede l’applicazione di una di tali eccezioni, da parte di un’istituzione, un organo o un organismo al quale si applica detto regolamento, fornire, in tempo utile, spiegazioni equivalenti all’istituzione, all’organo o all’organismo dell’Unione di cui trattasi>>.

E’ vero che un uso improprio dei dati contenuti in un documento al quale è richiesto l’accesso può arrecare pregiudizio agli interessi commerciali di un’impresa.   Tuttavia << 96 … , in considerazione dell’obbligo di fornire spiegazioni come quelle di cui al punto 95 della presente sentenza, l’esistenza di un siffatto rischio deve essere dimostrata. A tale riguardo, una semplice affermazione non circostanziata relativa a un rischio generale di uso improprio non può condurre a ritenere che tali dati rientrino nell’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, in assenza di qualsiasi altra precisazione, fornita dalla persona che chiede l’applicazione di tale eccezione dinanzi all’istituzione, all’organo o all’organismo di cui trattasi prima che quest’ultimo adotti una decisione a tale riguardo, circa la natura, l’oggetto e la portata di detti dati, che possa fornire lumi al giudice dell’Unione sul modo in cui la loro divulgazione sarebbe idonea ad arrecare concretamente pregiudizio in modo ragionevolmente prevedibile agli interessi commerciali delle persone interessate dai medesimi dati.  97 Orbene … la ricorrente non ha dimostrato, nell’atto di ricorso dinanzi al Tribunale, di aver fornito all’EMA prima dell’adozione della decisione controversa, e malgrado abbia avuto l’opportunità di prendere posizione sull’eventuale riservatezza di taluni elementi contenuti nella relazione controversa, spiegazioni circa la natura, l’oggetto e la portata dei dati di cui trattasi che consentano di concludere per la sussistenza del rischio invocato, alla luce, in particolare, delle considerazioni esposte ai punti da 89 a 92 della sentenza impugnata da cui emerge che la divulgazione di tali dati non poteva arrecare pregiudizio ai legittimi interessi della ricorrente. In particolare, l’argomento della ricorrente non può consentire di dimostrare che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nell’aver considerato, al punto 89 della sentenza impugnata, che la ricorrente non aveva dimostrato che completando e combinando i dati accessibili al pubblico con quelli che non lo sono si crea un dato commerciale sensibile la cui divulgazione arrecherebbe pregiudizio agli interessi commerciali della ricorrente>>.

Brevettazione di invenzioni create dall’intelligenza artificiale: chi va indicato come inventore?

Rose Hughes nel sempre interessante blog IPkat.com in un post 22.12.2019 dà notizia del rifiuto da parte dell’EPO (European Patent Office) della brevettazione di due trovati creati dall’ intelligenza artificiale.

Si tratta di due invenzioni “parallele” basate sulla tecnologia frattale, la sintesi della cui descrizione è la seguente:

<<Un contenitore (10) da utilizzare, ad esempio, per bevande, ha una parete (12) con una superficie esterna (14) e una parete interna (16) di spessore sostanzialmente uniforme. La parete (12) ha un profilo frattale che fornisce una serie di elementi frattali (18-28) sulle superfici interna ed esterna (14-16), formando fosse (40) e rigonfiamenti (42) nel profilo della parete e in cui una fossa (40) vista da una delle superfici esterne o interne (12, 14) forma un rigonfiamento (42) sull’altra delle superfici esterne o interne (12, 14). Il profilo consente di accoppiare più contenitori insieme mediante un impegno di pozzi e rigonfiamenti su quelli corrispondenti dei contenitori. Il profilo migliora anche l’aderenza, nonché il trasferimento di calore all’interno e all’esterno del contenitore>> (domanda EP20180275163);

<<La presente invenzione descrive dispositivi e metodi per attirare una maggiore attenzione. I dispositivi includono: un segnale di ingresso di un treno di impulsi lacunari avente caratteristiche di una frequenza di impulsi di circa quattro Hertz e una dimensione frattale del treno di impulsi di circa la metà; e almeno una sorgente di luce controllabile configurata per funzionare in modo pulsante dal segnale di ingresso; in cui una fiamma neurale emessa da almeno una sorgente di luce controllabile a seguito del treno di impulsi lacunari è adattata per servire come segnale di segnalazione identificabile in modo univoco su fonti di attenzione potenzialmente concorrenti attivando selettivamente filtri di rilevamento di anomalie umane o artificiali, attirando così maggiore attenzione.>> (domanda EP20180275174)  (traduzioni automatiche prese dal database dell’EPO)

In breve si tratta -par di capire- di creazione di contenitore per bevande e -rispettivamente- di produzione di segnali luminosi per emergenze.

La particolarità è che il creatore dell’algoritmo, dovendo designare l’autore dell’invenzione secondo l’art. 81 dell’EPC (European Patent Convention 05.10.1973) e l’art. 19 c. 1 del suo regolamento di esecuzione,  non ha indicato sè stesso bensì: i) inizialmente ha lasciato in bianco il campo del nome dell’inventore, ii) poi ha designato come inventore una macchina (“machine”) chiamata DABUS e ha precisato la propria qualifica di richiedente  e attuale titolare dei diritti quale employer/datore di lavoro. Successivamente ha corretto tale designazione indicando di essere titolare dei diritti in qualità di “successor in title”.

Successivamente l’ufficio nel documento allegato alla lettera 13 settembre 2019 di convocazione per l’udienza del 21 novembre 2019 [Summons to attend oral proceedings pursuant tu Rule 115(1) EPC – Annex to Summons (EPO form 2901AK). Points to be discussed (R.116(1) EPC)] ha negato la legittimità di queste indicazioni: l’ha fatto sostenendo che un inventore deve essere una persona fisica e non può essere una macchina, poiché queste non hanno personalità giuridica e non possono essere titolari di diritti  (§ 11). Ha anche anticipato che, se non rimedierà alle designazioni insufficienti, la domanda verrà respinta (§ 17)

Gli avvocati del richiedente hanno replicato con dettagliate controdeduzioni: v. le Submission in preparation for oral  proceedings scheduled for 25 november 2019 dello studio Williams Powell di Londra del 25.10.2019, che fra l’altro sollevano un profilo interessante circa i diritti morali (p.5-6).

Successivamente è stata diffusa il 20 dicembre 2019 la minuta della discussione orale davanti alla Receiving Section tenutasi il 25 novembre (Minutes of the oral proceedings before the Receiving Station); ivi sono riepilogate le tesi difensive del richiedente, basate sostanzialmente sul fatto che la normativa non impedisce la brevettazione di invenzioni create da sistemi di intelligenza artificiale (ad es. § 10 e 13).

Il delegato dell’EPO Chairperson Magdalena Kolasa, dopo una camera di consiglio di 16 minuti, dichiarato che le due domande di brevetto sono respinte poiché non rispettano i requisiti dell’articolo 81 e della regola 19 dell EPC.

Si attendono ora le motivazioni-. Il richiedente ha già dichiarato che presenterà appello.

Secondo un recente studio, il diritto di privativa sui prodotti realizzati da un sistema di intelligenza artificiale andrebbe attribuito al soggetto che lo utilizzi (Spedicato, Creatività artificiale, mercato e proprietà intellettuale, Riv. dir. ind., 2019, 284-287).

[ Nota: i documenti citati sono presenti nel database dell’EPO: nella pagina sopra ricordata a proposito del riassunto della descrizione, vedasi  la voce Global Dossier e il link ivi sotteso che porta all’elenco di tutti i documenti]

Sul punto si era espresso come l’EPO già Noam Shemtov, A study on inventorship in inventions involving AI activity, febbraio 2019 (studio commissionato dall’EPO stesso, che evidentemente poi si è attenuto alle relative conclusioni), sub 2.c.i, pag. 33: <<As discussed in length above, it is clear that at present all of the relevant jurisdictions limit the definition of inventor to natural persons. Although the EPC does not contain a definition of the term  “inventor”, it is submitted that it is unambiguously implicit that AI systems cannot be identified as inventors, as discussed above. To recap, identification of AI systems as inventors is not reconcilable with the overall legal framework of the EPC, and in particular the rights enumerated under Article 60 EPC. As mentioned, inventorship is the starting point of an entitlement/ownership enquiry, with the inventor being a first owner unless the invention was made in the course of employment. However, since AI systems do not have a separate legal personality, and are not
expected to have one in the foreseeable future, such systems are incapable of owning property. In the same vein, AI systems cannot be part of employment relationships in the legal sense of the term; they cannot be considered as employees unless and until they have legal personality. To conclude, considering AI systems as inventors and applying the provisions of Article 60 to such “inventors” as would be the case under the EPC is unworkable. In addition, it has been established that the moral right to be mentioned as an inventor, which serves a number of key interests in the case of human inventors, would serve no desirable purpose whatsoever if applied to AI systems. Thus, not only does the present legal position not allow for AI systems to be considered as inventors, it is submitted that at present there are no convincing reasons to consider a change in this respect.    In light of the above, should a patent application be filed designating an AI system as an inventor, it would be likely to be found deficient under Art>> (v. la pagina dell’EPO sull’A.I., in cui è presente questo studio, assieme ad altri due documenti in forma di slides).

L’Ufficio europeo ha inserito un paragrafo specifico nelle sue Guidelines for Examination, Patentability-List of esclusions, relativo a Artificial intelligence and machine learning (G.II.3.3.1).

E’ probabile dunque che i richiedenti brevetto, per invenzione prodotta dall’A.I., indicheranno il nome  di un <<proxy human inventor>> (così per D. Gervais, Is intellectual property law ready for artificial intelligence?, GRUR International, 2020, 1-2, p.2)

Su risarcimento del danno e reversione degli utili del contraffattore in caso di violazione brevettuale

Trib. MI n. 7717/2018 del 10/07/2018, RG n. 31690/2014 (in www.giurisprudenzadelleimprese.it) costituisce un interessante caso di quantificazione del danno da violazione brevettuale (relativa a cartucce contenenti gas per camping).  Tre regole sono desumibili dalla sentenza; riporto i passi relativi, necessari per capire il ragionamento condotto dal giudice.

1) il risarcimento del danno da lucro cessante non è parametrabile al prezzo di vendita della cartuccia nel suo complesso, dato che il trovato da proteggere non era stato comunicato al pubblico e quindi non ha potuto costituirne motivo di acquisto:  << Ritiene tuttavia il Collegio che la particolarità della concreta fattispecie impedisca di ritenere quale parametro di riferimento per la determinazione del danno risarcibile (lucro cessante) l’importo relativo alla vendita della cartuccia nel suo complesso. Invero deve precisarsi che l’oggetto dell’invenzione di cui al brevetto n° …….. consiste nel solo dispositivo di sicurezza reso necessario dall’intervento normativo introdotto nel 2014 e che la presenza di tale dispositivo – obbligatoria per tutte le cartucce poste in vendita dall’aprile 2014 – non era in alcun modo resa palese all’acquirente finale del prodotto, il quale dunque procedeva all’acquisto sulla base di criteri di scelta che non potevano comprendere un eventuale maggiore o minore affidamento del (nuovo) sistema di sicurezza. Sul mercato erano presenti sistemi di sicurezza alternativi implementati dagli imprenditori concorrenti su cartucce del tutto simili. Deve dunque escludersi che le pretese risarcitorie delle titolari del brevetto possano comprendere a titolo di lucro cessante la vendita della cartuccia contestata nel suo insieme, posto che nessuna concreta influenza sull’acquisto appare possibile attribuire alla presenza all’interno di essa del dispositivo in contraffazione>> (§ 5).

2) qui possiamo scindere in due l’insegnamento: i) parametrare la riduzione delle vendite della vittima alle vendite del prodotto contraffatto non è possibile, se non ci sono elementi che permettano di giustificare tale correlazione; ii) ne segue che, non potendo applicare il comma 1 dell’art. 125 cod. propr. ind. , il giudice calcolerà il danno secondo la regola della reversione degli utili ex comma 3 del medesimo articolo (oggetto di specifica domanda):  << Le analisi svolte in sede di CTU contabile non hanno fornito elementi rilevanti al fine di poter procedere alla determinazione del danno risarcibile sulla base dei criteri indicati dal comma 1 dell’art. 125 c.p.i. In effetti non vi sono elementi sufficienti – anche richiamando le osservazioni innanzi svolte circa le determinazione dei consumatori all’acquisto del prodotto originale o di quello contenente il dispositivo in contraffazione – per verificare se vi sia stata un’effettiva relazione tra le vendite delle cartucce in contraffazione da parte di P. s.r.l. ed una eventuale riduzione delle vendite dei prodotti originali da parte delle titolari del brevetto. Lo stesso CTU contabile ha affermato l’inesistenza di elementi documentali atti a confermare che le vendite conseguite da P. s.r.l. siano state o meno in tutto o in parte sottratte a P.A.I. s.r.l. (unica parte convenuta che ha partecipato alla CTU contabile). Deve dunque il Collegio provvedere alla determinazione del danno risarcibile in relazione alla previsione dell’ultimo comma dell’art. 125 c.p.i. e cioè procedendo alla reversione degli utili conseguiti dal contraffattore in favore del titolare del brevetto, consentendo così a quest’ultimo di recuperare tutte le utilità derivanti dallo sfruttamento della privativa indebitamente sottratte e fatte indebitamente proprie dal contraffattore. Entrambe le parti convenute e attrici in via riconvenzionale, cointestatarie del brevetto n° ……, hanno espressamente formulato la domanda di retroversione degli utili nelle loro rispettive comparse di costituzione nel presente giudizio e dunque – contrariamente all’infondata contestazione sul punto svolta da P. s.r.l. – il lucro cessante connesso all’illecito contraffattorio deve essere accertato sulla base di tale criterio.>> (§ 6).

3) gli utili da trasferire alla vittima sono determinati col criterio aziendalistico del margine operativo lordo (MOL), oggetto di stima da parte del CTU. Centrale, allora, è capire quali sono i costi da dedurre:  <<La determinazione del margine operativo lordo (MOL) realizzato da P.  s.r.l. sul numero di cartucce complessivamente commercializzate come innanzi riportato (n. 7.078.678 cartucce) ma limitatamente al dispositivo ritenuto in contraffazione è stata eseguita dal CTU contabile ed è stata valutata in complessivi € 818.449,00. Come è noto l’individuazione del margine di contribuzione al lordo delle imposte prevede di sottrarre dai ricavi incrementali esclusivamente i costi variabili incrementali specificamente sostenuti per produrre e commercializzare i beni contraffatti.  Da tale calcolo risultano pertanto estranei sia i costi fissi di produzione che i costi variabili che non abbiano natura incrementale e che l’impresa avrebbe sostenuto anche in assenza della condotta illecita. Il CTU contabile, in coerenza con tali criteri, ha escluso dalla determinazione del costo incrementale i costi commerciali, amministrativi e generali nonché i costi di produzione per mano d’opera, ammortamenti, manutenzioni e servizi produttivi interni. I costi ritenuti effettivamente rilevanti sono stati elencati dal CTU contabile nella tabella n. 3, alla quale ha aggiunto in via equitativa un’ulteriore 5% per i costi di trasporto. In particolare ha escluso da tale calcolo anche i servizi interni di litografia, imbutitura e riempimento, taglio, trasporto interno, collaudo ed assemblaggio in quanto riconducibili in percentuale a costi fissi di manodopera, ammortamenti, manutenzioni e servizi produttivi interni. P. s.r.l. ha contestato la metodologia seguita dal CTU contabile sia in relazione all’esclusione dai costi variabili della mano d’opera – che a suo dire avrebbe dovuto essere invece inclusa per il 100% del suo valore – che per l’esclusione dei costi relativi al taglio litografia, imbutitura, riempimento, trasporto interno, in quanto necessari per la produzione delle cartucce. Tali rilievi non possono essere accolti. Quanto al costo del lavoro impiegato per la produzione (del dispositivo in contraffazione) è corretto identificare nei costi fissi dell’azienda lo stipendio e gli oneri finanziari del lavoratori fissi, dunque tra quei costi che l’azienda avrebbe comunque subito anche in assenza dell’attività contraffattoria accertata. Nel caso di specie le richieste di inclusione di tali costi – sia in termini percentuali rispetto all’utilizzazione che sarebbe stata fatta sulle specifiche linee di produzione che addirittura per il 100% di esso – evidentemente confermano la natura di costo non incrementale della mano d’opera anche nella stessa prospettazione di P. s.r.l. In effetti nessun elemento di effettivo rilievo probatorio consente di poter attribuire – anche solo in parte – il costo della mano d’opera come esclusivamente dedicato alla produzione del dispositivo in questione, tenuto altresì conto – come osservato dal CTU contabile (pag. 54 relazione) – che la produzione in questione rivestiva un ruolo del tutto minoritario nelle complessive vendite della società e che pertanto anche in assenza di attività contraffattoria il personale sarebbe stato utilizzato in altre attività produttive dell’impresa. Nemmeno le ulteriori contestazioni relative all’esclusione di costi particolari (taglio litografia, imbutitura, riempimento, trasporto interno) possono essere ritenute rilevanti, tenuto conto del fatto che essi risultano comunque riconducibili a servizi interni dell’azienda utilizzati per tutte le sue attività produttive. Le valutazioni del CTU in ordine alla misura del MOL conseguito da P.  s.r.l. devono dunque essere confermate>>.

OSSERVAZIONI  – Genera qualche perplessità il passaggio sub 2, dove il giudice osserva che, non potendo liquidare il danno secondo il comma 1 dell’art. 125 cod. propr. ind., lo fa  secondo il criterio della reversione degli utili, prevista dal successivo comma 3. La perplessità sta nel fatto che il comma 3 non offre un diverso criterio per risarcire il danno, bensì un  rimedio diverso: non risarcitorio ma semmai restitutorio, che nulla ha a che fare con la finalità del compensare i pregiudizi altrui. Anzi ha natura punitiva, più che restitutoria, dato che: i) in generale, oltre a fattori generanti l’utile propri della vittima (e “usurpati”), ce ne saranno anche altri propri esclusivamente del contraffattore (per i quali dunque non si può parlare di “restituzione”); ii) a maggior ragione nel caso de quo, in cui il giudice esclude che la contraffazione abbia rivestito una qualsiasi  rilevanza nella motivazione d’acquisto dei clienti del contraffattore.

Sul punto v. il mio saggio “Restituzione e trasferimento dei profitti nella tutela della proprietà industriale (con un cenno al diritto di autore) per Contratto e impresa , 2010, 1149 segg., presente in www.academia.edu .

Self-driving vehicles e brevetti

L’ufficio brevettuale europeo (EPO) dà notizia di un recente studio sullo stato delle brevettazioni inerenti le driverless cars (  “Patents and self-driving vehicles”, portato a termine con l’European Council for Automotive R&D (EUCAR), novembre 2018).

Si legge che c’è stata un’impennata di domande brevettuali dal 2011 al 2017, pari al 330 %  : assai significativa se paragonata al  16 %  negli settori complessivamente considerati (cioè 20 volte tanto).

Lo studio distingue due tipi di settori tecnologici in questo settore: quello relativo al funzionamenot interno del veicolo (automated vehicle platform) e quello relativo alla relazione con le altre vetture e con l’ambiente esterno in generale (Smart environment) (v. p. 25 del Full Study e tabella 2.1 per i sottosettori)

(notizia appresa da Frantzeska Papadopoulou  tramite IPKat’s email readers’ group)