Istruttiva sentenza bolognese sulla disciplina brevettuale , rimedi compresi

Trib. Bologna n. 258/2021, RG 20004/2013, del 03 febbraio 2021, rel. Rimondini, offre un’utile panoramica delle questioni da trattare nei giudizi brevettuali.

– p. 17-19:  ripasso dei requisiti di brevettabilità

– modalità del rinvio alle ctu: < Il Tribunale non ha pertanto
motivi per discostarsi dalle considerazioni del consulente, in quanto frutto di un
iter logico ineccepibile e condotto in modo accurato, in aderenza ai documenti,
agli atti e allo stato di fatto analizzato
>, p. 23

– limitazione delle rivendicaizoni ex 76/3 cpi: senpre ammessa,   <purchè la stessa non sia posta in modo
abusivo e reiterato e rimanga entro i limiti del contenuto della domanda di
brevetto originaria (cfr. Tribunale Bologna, Sezione Specializzata in materia di
Impresa, 21.3.2018, n. 1223, in
www.giuraemilia. >, p. 26

– la descrizione può essere anche più più ampia della rivendicaizone dipendente: p. 27

– esclusa l’assegnazione in proprietà perchè inibitoria e ritiro dal commercio, disposte, son sufficienti per adeguata tutela, p. 32: questione interessante (in effetti la legge dà discrezionalità al giudice)

– concorrenza sleale ex 2598 n. 3 cc: esclusa per genericità della domanda: < Al riguardo va osservato che l’azione di contraffazione e quella di
concorrenza sleale sono certamente cumulabili, ma nel caso in esame l’azione ex
art. 2598 c.c. deve ritenersi infondata. Parte attrice, infatti, si è limitata a dedurre
tempestivamente solo che la realizzazione e commercializzazione di macchinari in
contraffazione con i diritti di privativa di Projecta integrava l’illecito
concorrenziale. Tale indicazione deve ritenersi troppo generica, non individuando
i fatti costitutivi alla base della domanda di concorrenza sleale
>. Affermazione assai perplessa, dato che la slealtà è in re ipsa dopo accertata la contraffazione. Semmai il problema è che il comando da c.p.i. copre quello emanabile da conc. sleale ex c.c., senza dare nulla in più : ma andava detto e motivato.

– negato il risarcimento del danno patrimoniale ex 125 c.1 cpi: < Nel caso in esame Projecta non ha tempestivamente compiuto alcuna
allegazione, neppure a livello generico, riguardo alla suscettibilità della
contraffazione a determinarle un danno, essendosi limitata – in tutti i tre i giudizio
– a dedurre che la contraffazione aveva per ciò solo procurato un danno, da
ragguagliare al valore complessivo del prodotto in contraffazione. La genericità di
tale allegazione non consente di apprezzare se vi sia stato, anche solo
potenzialmente, un danno, tenuto conto che – come eccepito da parte convenuta
fin dalla comparsa di risposta – Projecta non ha neppure allegato di sfruttare
commercialmente i propri titoli di privativa.
>>

– negato anche il danno non patriminiale sempre ex 125 c. 1 cpi: < L’attrice ha inoltre invocato l’art. 125, I comma, c.p.i. per il risarcimento
del danno non patrimoniale, che la norma in esame riconosce solo “nei casi
appropriati”. Il danno non patrimoniale, dunque, non sussiste in ogni ipotesi di
violazione di diritti di proprietà industriale, ma solo se la reputazione aziendale sia
stata pregiudicata dalla circolazione di prodotti contraffatti. Tale circostanza –
neppure dedotta specificamente dall’attrice – non pare ricorrere nell’ipotesi in
esame e, conseguentemente, la relativa richiesta va respinta.
>. Da segnalare: il d. non patrimoniale coincide con la lesione della reputazione.

– negato il danno, è negata anche la pubblicità alla sentenza: < Projecta ha domandato la pubblicazione della presente sentenza. L’art. 126
c.p.i. consente all’autorità giudiziaria di ordinare che la sentenza di accertamento
della violazione dei diritti di proprietà industriale di pubblicare la sentenza a spese
del soccombente. La pubblicazione della sentenza ha funzione di risarcimento in
forma specifica del danno (cfr. Cass., sez. I, 14.10.2009, n. 21835) e,
conseguentemente, l’infondatezza della domanda risarcitoria non consente di fare
applicazione dell’art. 126 c.p.i
>

L’atto di citazione di Moderna c. Pfizer Biontech per violazione dei brevetti sui vaccini anticovid

Il prof. Chiris Seaman mette a disposizione il link all’atto di citazione di Moderna contro Pzifer Biontech. (poi: PB) (caso Case 1:22-cv-11378 presso la corte del Distretto del Massachusetts, depositatato il 26 agosto).

<21.  Pfizer and BioNTech copied two critical features of Moderna’s patented mRNA technology platform. First, out of numerous possible choices, they decided to make the exact same chemical modification to their mRNA that Moderna scientists first developed years earlier, and which the Company patented and uses in Spikevax®. Second, and again despite having many  different options, the Pfizer and BioNTech vaccine encoded for the exact same type of coronavirus protein (i.e., the full-length spike protein), which is the coronavirus vaccine design that Moderna had pioneered based off its earlier work on coronaviruses and which the company patented and uses in Spikevax®. The Moderna inventions that Pfizer and BioNTech chose to copy were foun-dational for the success of their vaccine>

La domanda giudiziale è basata <<on three patents that claim priority to applications filed be-tween 2011 and 2016 covering Moderna’s foundational intellectual property, and the Company is seeking damages for revenue Pfizer and BioNTech derived from sales in the United States that are not subject to 28 U.S.C. § 1498 and from its domestic manufacture for supply to non-AMC 92 countries outside the United States>>.   Il che è poi dettagliato nei §§ 54 ss.

I vaccini PB son descritti ai § 72 ss

Le allegazioni sulle tre violazioni sono ai §§ 83 ss, 104 ss e 122 ss.

Curiosamente (ma comprensibilmente) Moderna chiede non misure ripristinatorie (inibitoria e ritiro dal commercio; misure “correttive” secondo il ns. art. 124 cpi),  ma solo  il risarcimento del danno (oltre all’accertamento della violazione).

L’azione in corte pare contrastare con l’impegno, assuntosi da Moderna nel 2020 (vedilo ad es. qui), di non far valere i suoi brevetti contro alcuno che li usasse per contrastare il vodic 19, finechè durasse la pandemia.

Moderna affronta l’obiezione e tenta gi giustificare la propria scelta:  <<22. Given the unprecedented challenges of the COVID-19 pandemic, Moderna volun-tarily pledged on October 8, 2020 that, “while the pandemic continues, Moderna will not enforce our COVID-19 related patents against those making vaccines intended to combat the pandemic.” Moderna refrained from asserting its patents earlier so as not to distract from efforts to bring the pandemic to an end as quickly as possible.

23.  By early 2022, however, the collective fight against COVID-19 had entered a new endemic phase and vaccine supply was no longer a barrier to access in many parts of the world, including the United States. In view of these developments, Moderna announced on March 7, 2022, that it expected companies such as Pfizer and BioNTech to respect Moderna’s intellectual  property and would consider a commercially-reasonable license should they request one. This announcement was widely publicized, including through coverage in TheWall Street Journal.5Critically, however, and to further its belief that intellectual property should never be a barrier to access, as part of this announcement, Moderna committed to never enforce its patents for any COVID-19 vaccine used in the 92 low- and middle-income countries in the Gavi COVAX Ad-vance Market Commitment (“AMC”). This includes any product manufactured outside the AMC-92 countries, such as the World Health Organization’s project in South Africa, with respect to COVID-19 vaccines destined for and used in the AMC-92 countries. Although they have contin-ued to use Moderna’s intellectual property, Pfizer and BioNTech have not reached out to Moderna to discuss a license>>

V. però la dettagliata critica di  Jorge L. Contreras per cui la dichiarzione 2020 di Moderna è giuridcamente vincolante e ora non può revocarla

Rimedi risarcitori, restitutori e punitivi in caso di violazione brevettuale

E’ intervenuta in tema di violazione brevettuale Cass. n. 5.666 del 02.03.2021, rel. Iofrida, Cappellotto spa c. Farid Industrie spa.

A parte alcune interessanti spunti processuali (per i quali servirebbe conoscere gli atti di causa ma sui quali comunque non mi fermo), due sono quelli qui  ricordati: novità intrinseca e rimedi ex art. 125 cpi,

Sul primo, nulla di interessante, ripetendo tralatice posizioni sulla differenza tra invenzine e modello di utliità: <<In conclusione, mentre sono brevettabili come modello di utilità i trovati che incrementano la comodità d’uso, grazie a soluzioni che migliorano l’efficacia di un prodotto noto, senza introdurre modifiche rivolte a risolvere specifici problemi di funzionamento delle versioni precedenti di quello, sono brevettabili come “invenzioni di perfezionamento o di combinazione” tutti quei trovati che consistono in modifiche rappresentanti, ad un tecnico medio del ramo, una soluzione nuova e non evidente ad uno specifico problema posto dal funzionamento dei precedenti prodotti analoghi.

Orbene, poichè le cosiddette “invenzioni di combinazione” sono caratterizzate dall’esplicito utilizzo di tecniche e procedimenti in tutto o in parte già noti, raggiungendosi un risultato nuovo attraverso la loro coordinazione originale, rispetto ad esse i requisiti di novità ed originalità vanno valutati proprio in relazione al quid pluris rappresentato dalla combinazione ed utilizzazione dei suddetti elementi (ancorchè non nuovi), al fine di ravvisare la sussistenza di un contributo inventivo ulteriore rispetto alla pura e semplice continuità tecnica e, trattandosi di questione di fatto, tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato, ora nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5>>

Più interessante il secondo tema, relativo all’art. 125 cpi, che richiede ancora sistemazione ermeneutica.

– I-

Qualche passaggio lascia perplessi. Ad es.:  <<Il comma 1 della disposizione in esame individua, tuttavia, dei parametri da cui potere desumere indirettamente il danno, sia pure in via di approssimazione (quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione): si fa rinvio, tra i criteri da seguire per determinare l’entità del pregiudizio subito dal titolare della privativa, non soltanto al tradizionale pregiudizio di tipo patrimoniale, ma anche alla categoria del danno morale, quale il danno all’immagine commerciale dell’imprenditore, o la perdita di investimenti pubblicitari, ed al parametro dei benefici ricavati dal contraffattore (indipendentemente quindi dalla retroversione degli utili, di cui al comma 3, della disposizione in esame, che può essere chiesta in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura eccedente tale risarcimento), in un’ottica non solo indennitaria ma anche riparatoria, giustificata dall’obiettivo di tutela di una corretta attività di mercato. Si tratta, in buona sostanza, di una regola speciale nell’ambito del rimedio risarcitorio, di norma volto a compensare per equivalente, attraverso un pagamento commisurato alla perdita et ricchezza sopportata, chi ha subito la violazione.>>

Il danno morale, anche concesso che si applichi alle imprese collettive e non solo alle persone fisiche, non comprende la perdita di inverstimenti pubblicitari (cocnetto -poi- che andrebbe prima definito) , i quali semmai costituiscono danno emergente.

Poi non cbhiarisce la distinzione (civilistica) tra indennità e riparazione, usandolo con troppa leggerezza

Ancora, non è una regola speciale all’interno del risarcimento: o è compensazione d ipregiudizio, e allora vi rientra in toto, o non mira a compensare, e allora è altro dalla compensazione.

-II-

sul c. 2: <<senza l’onere per il titolare della privativa di dimostrare quale sarebbe stata la certa royalty pretesa in caso di ipotetica richiesta di una licenza da parte dell’autore della violazione, non rappresentando detto criterio il danno effettivamente subito ma un c.d. “minimo obbligatorio”.>>.

Bisogna intendersi: non deve dimostrare la propria ipotetica royalty, ma deve però dimostrare (ex onere della prova, art. 2697 cc) quella ipotetica di mercato per casi simili (cosa non facile, dovendosi trovare un’invenzione simile)

-III-

Circa il c. 3 della’rt. 125 cpi, <<il titolare danneggiato potrà chiedere il risarcimento del danno nella forma alternativa della restituzione degli utili del contraffattore.

Si tratta sempre di una forma di ristoro, forfettario, del lucro cessante, che può quindi cumularsi al danno emergente e che può essere chiesta o in via alternativa al risarcimento del mancato guadagno o nella misura in cui gli utili del contraffattore superino il suddetto pregiudizio subito>>.

Errore concettuale: non è risarcimento ma punizione o quanto meno restituzione di indebito (a scusa, però, va detto che c’è pure qualche dottrina che parla di compensazoine).

Quindi nemmeno è ristoro del lucro cessante, essendo statisticametne improbabilissimo che lo stesso utile l’avrebbe prodotto la vittima: esso dipende da svariati fattori (quindi a rigore nemmeno si tratta di restituzine di indebito).

-IV-

Ai sensi del risarcimenot ex c. 1, dice la SC,  <SI DEVE> tener conto degli utili del contraffattore. Passaggio importate, ma forse azzardato.

-V-

calcolo dei profitti: <<Questa Corte (Cass. 8944/2020) ha poi, di recente, rilevato che l’utile percepito dal contraffattore non corrisponde all’intero ricavo derivante dalla commercializzazione del prodotto contraffatto, ma al margine di profitto conseguito da colui che si è reso responsabile della lesione del diritto di privativa, deducendo i costi sostenuti (produttivi e di distribuzione) dal ricavo totale.>>.

Aspetto praticamente assai significativo e di competenza in prima battuta degli aziendalisti (ma poi pure dei giuristi)

-VI-

Perplessi lascia il § 6.8, che censura la royalty media a favore dell’applicazione del MOL (margine operativo lordo) incremetnale proprio della vittima , calcolato però sul fatturato del violatore.

Errato, però.

O si applica il c.1 (eventualmente col minimo sindacale del c.2) o  il c.3.

Se si applica il c-.1 , il fattorato del violatore è irrilevante dovendosi guardare ai suoi profitti/utili e comunqjue è solo  un possibile spunto (a mio parere rararamente sarà utile).

Se si applica il c.3, il MOL della vittima è irrilevante, rlevando solo quellodel violatore.

Sulla liquidazione del danno da violazione brevettuale, giunge una messa a punto della Corte d’Appello ambrosiana

Appello Milano del 14 maggio 2020, Rg 2667/2018 n. 1094/2020,  Caimi 1 spa contro Ima spa e Gima spa, decide l’impugnazione su una questione di violazioni brevettuali.

Qui non esamino il merito relativo alla validità e violazione del brevetto, ma solo quello su altre domande (risarcimento del danno spt.)

La sentenza è molto lunga e il relatore ha trovato una modalità grafico-espositiva chiara e comprensibile , nonostante la complessità delle questioni trattate e dei punti di vista da esporre (Tribunale, parte,  controparte, Corte d’Appello -in seguito anche solo <CdA>-)

La questione risarcitoria è trattata nella parte seconda, pagine 41 ss

i fatti di causaCama 1 produce macchine imballatrici e nel caso specifico macchine astucciatrici per cialde di caffè.   Viene contattata da una certa Mother Parkers (poi: MP) per una vendita sul mercato nordamericano. Cama 1  è però già legata contrattualmente ad una concorrente di MP , per cui declina la proposta commerciale. MP si rivolge quindi a Gima/Ima (l’una è la società operativa, l’altra la capogruppo) la quale fornisce le 5 linee complete di imballaggio contenenti la macchina astucciatrice su cui c’era il brevetto di Cama 1.

Ecco dunque alcuni passaggi interessanti

la royalty – Secondo il tribunale il tasso di royalty medio del settore machine tools è circa il 5% dei ricavi , p. 42 ss. Poi aggiunge (secondo quanto riferito dalla CdA):

<Il  criterio  della royalty media, ai fini dell’applicazione dell’art. 125 c. 2 D.Lvo 30/2005, in quanto criterio di risarcimento solo minimale, nel caso di violazione brevettuale, può e deve essere integrato al fine di garantire un’equa riparazione della violazione e di indennizzare tutte le perdite,  effettivamente subite  dalla  parte  lesa,  al  fine  di  evitare  che  il  risultato  del  calcolo  non  sia  economicamente  premiale per l’autore della contraffazione del brevetto. Pertanto  in  via  equitativa  la royalty, applicabile  al  caso  di  specie,doveva  essere determinata  nella misura dell’ 8% anziché  del  5%  dei  ricavi  complessivi  derivati  dalla  vendita  delle  astucciatrici,  così determinando il danno risarcibile a tale proposito nella misura di € 231.652>, p.42/3

Questo il Tribunale in primo grado

Interviene su ciò la CdA, sub B pagina 49

Secondo la Cda , Cama 1 non ha subito perdite di guadagno, visto che era comunque impegnata in esclusiva con un concorrente e non avrebbe potuto vendere la sua macchina astucciatrice a MP in quanto concorrente della sua controparte  nel Nord America.

Pertanto la vendita illecita ha procurato sì un utile a Gima/Ima ma non ha sottratto guadagni a Cama 1.

Sul recupero dei profitti   –   la Corte , ricordati l’articolo 125 CPI e la Direttiva, chiosa: <Con  riguardo  al  contraffattore  inconsapevole  il  risarcimento  può  essere  determinato solo in  misura pari al recupero dei profitti o ai danni che possono essere predeterminati;pare evidente, però,che tale risarcimento non può mai essere superiore a quello posto a carico del contraffattore consapevole>, p. 51 in fondo.

Subito dopo aggiunge:

<Pare altresì evidente  che anche l’ipotesi di risarcimento di cui alla lettera a) del  suddetto  art.  13  c.  1 della  Direttiva 2004/48/CE per  il  caso  di  violazione  commessa  dal  contraffattore  consapevole possa avere ad oggetto anche i profitti realizzati dall’autore della violazione (visto il riferimento a “i benefici realizzati  illegalmente  dall’autore  della  violazione”) senza  alcuna specifica limitazione;  pertanto, secondo   la   disciplina   contenuta   nella direttiva   europea, il   profitto   realizzato   dal   contraffattore consapevole (che  costituirebbe  il  danno  da  risarcire  al  titolare  del  diritto  leso)  potrebbe  anche  essere maggiore rispetto al lucro cessante effettivo (cioè al mancato guadagno subito dalla parte lesa)> p.52

Secondo Gima/IMA invece la dir. consente il trasferirmento dei profitti solo se il contrattaffattore è incolpevole,  p. 52.

La Corte non è d’accordo e sostiene che è fruibile anche da parte del contraffattore consapevole: <il comma 3 dell’art. 125 D.Lvo 30/2005 introduce, come detto, la possibilità, per il titolare del diritto leso, di  ottenere, a  sua  esplicita  richiesta, a  carico  del  contraffattore  anche  consapevole, anziché  il risarcimento  commisurato  al  lucro  cessante  (determinato  in  misura  pari  alla royalty ragionevole, previsto  dal  comma  2  dello  stesso  articolo,  ovvero in  misura  pari al  suo  mancato  guadagno  effettivo, previsto dal comma 1), il risarcimento  commisurato all’importo dei profitti realizzati dall’autore della violazione, quand’anche superiore all’importo del suo mancato guadagno>,  p. 52

Qui la CdA non brilla per chiarezza concettuale (parzialmente scusabile per l’opacità del dettato normativo). Innantitutto dovremmo distinguere tra interpetazione della direttiva e intereptazione della norma nazionale, per vedere se la seconda ha attuato correttamente la prima.

Soprattutto la Corte equivoca tra risarcimento del danno (funzione compensativa)  e trasferimenot dei profitti (funzione restitutoria, se non -come pare- punitiva).

Secondo l’art. 13 dir. al c. 1 sub a)  (autore consapevole) , dir., i profitti son considerati si ma solo per determinare il lucro cessante, cioè come uno dei possibili parametri di liquidazione del danno cagionato. Non si esce dalla compensazione.

Invece secondo il c. 2 (autore inconsapebole) gli Stati possono disporre il trasferimento dei profitti (o danni predeterminati).

Ogni tentativo, di dire quale sia misura più gravosa tra il risarcimento del danno e il traswferimento dei profitti, non andrà a buon fine: dipende dalle circostanze del caso e  in particolare dal ruolo di vittima o di aggressore della parte economicamente più forte.

in ogni caso per la Corte che il trasferimento dei profitti è chiedibile anche da parte del contraffattore consapevole e ciò anche se superiori al mancato guadagno (dato che il colpevole non può reicevere un trattamento migliore del non colpevole, parrebbe di capire) .

Effettivamente il c. 3 del nostro art. 125 c.p.i. è muto sul profilo soggettivo (grave difetto del legislatore nazionale!) per cui la tesi della Cda è in prima battuta sostenibile.

Recupero dei profitti totali o solo di una loro parte (apportionment)?  –  Inoltre dice la Corte che Cama 1 avrebbe  avuto  diritto  al  trasferimento  degli  utili  complessivi  conseguiti  da  Gima/IMA dall’intera commessa (cioè dalla vendita per tutte e cinque le linee di imballaggio di tutti i macchinari e i servizi che ne facevano parte) <solo nel caso in cui fosse risultato provato che i contratti di vendita in questione  erano  stati  conclusi  esclusivamente  perché  Gima/IMA  aveva  promesso  di  fornire  a  Mother Parkers anche le macchine astucciatrici, incorporanti i trovati oggetto dei brevetti di Cama1> p. 53.

Toccava però a Cama1 dare la prova di ciò ma non lo ha fatto.

<in conclusione, resta del tutto escluso che Gima/IMA avesse ottenuto la  commessa solo perché aveva offerto anche la fornitura della macchina astucciatrice, dotata dei trovati oggetto dei brevetti di Cama 1. Pertanto Cama 1 ha diritto alla retroversione degli utili, ma solo di quelli conseguiti da Gima/IMA dalla vendita a Mother Parkers delle cinque macchine astucciatrici contraffattori> p. 57

Calcolo degli utili – Secondo la corte gli utili vanno identificati nel margine operativo lordo, p. 57 ss

In particolare, <l’utile conseguito  dal contraffattore(oggetto  quindi  del  diritto  di  restituzione  del titolare del diritto leso) sia “rappresentato dal  confronto  fra  i  soli  ricavi  e  i  soli  costi incrementali”relativi alle  macchine  astucciatrici,“escludendo  dal  calcolo  gli  eventuali costi  comuni  ad  altre  produzioni  (in  prevalenza  costi  fissi)che l’azienda  avrebbe  comunque  sostenuto;la  grandezza  da  ricercare  ha  natura incrementale  rispetto  al MOL (margine  operativo  lordo) complessivo  aziendale  ed  è  il risultato  algebrico  della  somma  dei ricavi realizzati dalla vendita dei prodotti oggetto di contraffazione, dedotti i solicosti diretti sostenuti per  la  specifica produzione/commercializzazione  di  quei  prodotti,  ed  esclusi quindi  tutti  i  costi  di struttura,  di  servizi,  gli  oneri finanziari  e  i  costi  del  personale,non  specificamente  imputabili alla produzione/commercializzazione dei prodotti contenenti l’oggetto della contraffazion>, p.58.

Anzi, nel caso specifico , <“l’indagine….deve  essere  condotta….riferendone  i risultati  alle tre  società  indicate coinvolte (Gimas.p.a.,  I.M.A.  Industria  Macchine  Automatiche s.p.a.e  I.M.A.Industries s.r.l.,  ora  incorporata  in  IMA)  e  quindi procedendo  alla stima  di  una  figura  speciale  di “MOL di Gruppo”, in ragione della posizione di capogruppo della società I.M.A. Industria Macchine Automatiche  SpA,  cui  “risalgono”  in  tale  sua  qualità tutti  i  risultati  economici  delle  società appartenenti al Gruppo.”>, p. 58

Il danno emergente: la domanda è rigettata –  <il  danno  emergente  non  può  che  consistere  nella  perdita  di  valore, provocata dal fatto illecito del contraffattore, di un bene materiale o immateriale, posseduto dal titolare del diritto leso. Cama 1, con argomentazioni in verità piuttosto confuse, ha sostenuto, come sopra esposto, che, a causa della contraffazione oggetto della presente controversia, dell’esposizione della macchina contraffattoria a un’importante  fiera di  settore  e  della  pubblicazione della  stessa,  da  parte  di  Gima, sul  proprio  sito Internet, i  brevetti  violati  avrebbero  subito  una  perdita  di  valore  e  conseguentemente  sarebbero  stati, almeno  in  parte, vanificati  i  relativi  investimenti;  in  particolare, la  somma  spesa  per  la  ricerca  e  lo sviluppo dei trovati per € 328.882, la somma spesa per la tutela brevettuale per € 74.883 e le spese sostenute per la promozione pubblicitaria della macchina con i relativi brevetti per non meno di € 9.000.00>, p. 63

Contraria la CdA: <Nella  fattispecie  in  esame, peraltro,  risulta  provata  una  serie  di  circostanze da  cui  può invece ragionevolmente presumersi che nessun danno emergente abbia subito Cama 1:

– il CTU ha accertato che, anche dopo l’episodio di contraffazione in questione,Cama 1 non ha subito nessuna diminuzione di fatturato;. 

– il  fatto  illecito,  pur  certamente  commesso  in  Italia,  si  è  concretizzato  in  Canada, mercato in  cui  non hanno efficacia i brevetti azionati da Cama 1 nella presente  controversia e in cui, a causa del patto di esclusiva che la legava a Keurig, Cama 1 non avrebbe potuto vendere la sua macchina astucciatrice;

– Cama  1,  come  accertato  dal  CTU,  non  ha  ritenuto  di  ricorrere  ad  alcuna  azione  pubblicitaria riparatoria;

– l’investimento per la ricerca e lo sviluppo dei trovati poi brevettati è stato avviato al fine di effettuare la fornitura della macchina a Caffita s.p.a., quindi è presumibile che fosse stato già, se non totalmente almeno in parte, ammortizzato dalla vendita conclusa con tale cliente°> p. 63

il danno morale  –   <Premesso che il danno morale, per una persona giuridica che svolge attività di impresa, si identifica con il  danno  alla  sua  reputazione  commerciale,  di  persé  considerata,  a  prescindere  cioè  dalle  eventuali conseguenze economiche che ne siano derivate, nella fattispecie in esame Cama 1 non ha fornito alcuna prova  dell’esistenza di un dannodi  tale  natura,  tanto  più  che  la  violazione  del  suo  diritto  si  è concretizzata  con  la  vendita  della  macchina  contraffattoria  a  un  unico  cliente,  estraneo  al  mercato europeo  (dove  hanno  efficacia  i  brevetti  contraffatti),  esi  è  immediatamente  esauritain  seguito  alla reazione  di  Cama  1,  con  la  promozione  del  ricorso  perdescrizione  del  24.1.2013,  e  alla  conclusione dell’accordo  con  Mother  Parkers  del  10.3.2013 (con cui Cama 1 ha acconsentito a quest’ultima di ottenere la consegna di quanto già ordinato); pertanto apparecomunque verosimile che nessuna lesione della reputazione commerciale di Cama 1 si sia verificata>,  p. 64

L’effetto sulla lite della transazione conclusa da Cama1 con MP –  il quantum percepito da Cama1 va detratto dalla condanna inbase al principio della compensatio lucri cum damno:

<come  sopra  esposto, il  diritto  di  Cama  1  ad  ottenere  una  somma  commisurata  agli  utili  conseguiti  da Gima/IMA  trova  il  suo fondamento nel fatto che quest’ultima ha prodotto, venduto e si  apprestava  a consegnare a Mother Parkers le cinque macchine astucciatrici FTB 549-C, incorporanti i trovati di cui ai brevetti EP ‘612 e EP ‘151 di cui era titolare Cama 1; ebbene quest’ultima ha acquisito il diritto di ottenere il  pagamento  da  Mother  Parkers della somma di € 288.000 proprio con  la  stipulazione  della transazione del 10.3.2013, che trova il suo fondamento esclusivamente nel fatto che Gima/IMA aveva prodotto,  venduto  e  si  apprestava a  consegnare  a  Mother  Parkers  le  suddette  cinque  macchine astucciatrici FTB 549-C. Pertanto dal medesimo fatto, l’avvenuta vendita da parte di Gima/IMA a Mothers Parkers di cinque macchine astucciatrici, incorporanti i trovati di cui ai brevetti violati, sono derivati, da un lato, il danno che deve essere risarcito da Gima/IMA (che Cama1 ha chiesto venisse commisurato agli utili da quella conseguiti  dalla  vendita  illecita),  e, dall’altro lato,  il  guadagno,  consistente  nella  somma pagatada Mother  Parkers,  guadagno  che  Cama  1  non  avrebbe  mai  potuto  conseguire,  in  assenza  dell’attività illecita  posta  in  essere  da  Gima/IMAper  aver  venduto  a  Mother  Parkers  le  macchine  contraffattorie,  che Cama1 non avrebbe mai potuto vendere (per i motivi più volte richiamati>, p. 68.

Qui il concetto decisivo per procedere alla compensazione  è naturalmente quello di <medesimo fatto> , che da solo richiederebbe esame ad hoc.

Concorrenza sleale  –  <In ordine agli asseriti atti di concorrenza sleale, di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. (secondo cui “compie atti di concorrenza sleale chiunque…. si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”),  il  fatto della contraffazione dei  brevetti, di  cui  è  causa, non  costituisce  di  per  sé  un  atto  di  concorrenza  sleale,   in assenza  della  prova  di  una sua specifica e  autonoma rilevanza in  tal  senso,   tanto  più  che  nella  fattispecie in esame, per  tutte le ragioni sopra esposte (vale a dire la sussistenza del patto di esclusiva con Keurig, che impediva a Cama1 di vendere le proprie macchine nel mercato nordamericano), Cama 1, non avrebbe in ogni caso potuto lecitamente svolgere l’attività svolta da Gima/IMA, che quindi non può essere considerata quale attività concorrenziale con la sua. In  ordine  agli  asseriti atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 n. 2 c.c., il fatto che  Gima/IMA abbia pubblicato  nel  proprio  sito  web  la  macchina astucciatrice  FTB  549-C,  incorporante  anche  i ritrovati  dei  brevetti  di  cui  è  causa,  non  costituisce  di  per  sé,  come  già  rilevato  dal  Tribunale, appropriazione  di  pregidei  prodotti  di  un  concorrente,  essendo  del  tutto  mancata  la  prova  della sussistenza  di  una  qualunque  attività  concreta,  svolta  da  Gima/IMA,  diretta  ad  attribuireal  proprio prodotto, dinanzi al mercato di riferimento, le caratteristiche innovative del prodotto della concorrente>,  p. 70/1

Pubblicazione della sentenza –  <La  pubblicazione  della  sentenza,  che, per quanto riguarda l’accertamento della validità dei brevetti azionati e la loro contraffazione, conferma quella pronunciata dal Tribunale di Milano, non è necessaria e  neppuredi  alcuna concreta utilità  riparatoria  del  danno  subito  da  Cama  1 in  conseguenza  della contraffazione accertata, in considerazione del fatto che la contraffazionerisulta attuata da Gima/IMA con riguardo al mercato nordamericano (in cui i brevetti contraffatti, azionati nel presente giudizio, non avevano alcuna efficacia), del  fatto che con l’accordo transattivo del 10.3.2013 Cama 1 ha  comunque autorizzato Mother Parkers a ricevere (e quindi ad utilizzare) le macchine contraffattorie edel fatto che, una volta eseguita la commessa in questione, la contraffazione non ha più avuto alcunulteriore seguito>, p. 73

Su risarcimento del danno e reversione degli utili del contraffattore in caso di violazione brevettuale

Trib. MI n. 7717/2018 del 10/07/2018, RG n. 31690/2014 (in www.giurisprudenzadelleimprese.it) costituisce un interessante caso di quantificazione del danno da violazione brevettuale (relativa a cartucce contenenti gas per camping).  Tre regole sono desumibili dalla sentenza; riporto i passi relativi, necessari per capire il ragionamento condotto dal giudice.

1) il risarcimento del danno da lucro cessante non è parametrabile al prezzo di vendita della cartuccia nel suo complesso, dato che il trovato da proteggere non era stato comunicato al pubblico e quindi non ha potuto costituirne motivo di acquisto:  << Ritiene tuttavia il Collegio che la particolarità della concreta fattispecie impedisca di ritenere quale parametro di riferimento per la determinazione del danno risarcibile (lucro cessante) l’importo relativo alla vendita della cartuccia nel suo complesso. Invero deve precisarsi che l’oggetto dell’invenzione di cui al brevetto n° …….. consiste nel solo dispositivo di sicurezza reso necessario dall’intervento normativo introdotto nel 2014 e che la presenza di tale dispositivo – obbligatoria per tutte le cartucce poste in vendita dall’aprile 2014 – non era in alcun modo resa palese all’acquirente finale del prodotto, il quale dunque procedeva all’acquisto sulla base di criteri di scelta che non potevano comprendere un eventuale maggiore o minore affidamento del (nuovo) sistema di sicurezza. Sul mercato erano presenti sistemi di sicurezza alternativi implementati dagli imprenditori concorrenti su cartucce del tutto simili. Deve dunque escludersi che le pretese risarcitorie delle titolari del brevetto possano comprendere a titolo di lucro cessante la vendita della cartuccia contestata nel suo insieme, posto che nessuna concreta influenza sull’acquisto appare possibile attribuire alla presenza all’interno di essa del dispositivo in contraffazione>> (§ 5).

2) qui possiamo scindere in due l’insegnamento: i) parametrare la riduzione delle vendite della vittima alle vendite del prodotto contraffatto non è possibile, se non ci sono elementi che permettano di giustificare tale correlazione; ii) ne segue che, non potendo applicare il comma 1 dell’art. 125 cod. propr. ind. , il giudice calcolerà il danno secondo la regola della reversione degli utili ex comma 3 del medesimo articolo (oggetto di specifica domanda):  << Le analisi svolte in sede di CTU contabile non hanno fornito elementi rilevanti al fine di poter procedere alla determinazione del danno risarcibile sulla base dei criteri indicati dal comma 1 dell’art. 125 c.p.i. In effetti non vi sono elementi sufficienti – anche richiamando le osservazioni innanzi svolte circa le determinazione dei consumatori all’acquisto del prodotto originale o di quello contenente il dispositivo in contraffazione – per verificare se vi sia stata un’effettiva relazione tra le vendite delle cartucce in contraffazione da parte di P. s.r.l. ed una eventuale riduzione delle vendite dei prodotti originali da parte delle titolari del brevetto. Lo stesso CTU contabile ha affermato l’inesistenza di elementi documentali atti a confermare che le vendite conseguite da P. s.r.l. siano state o meno in tutto o in parte sottratte a P.A.I. s.r.l. (unica parte convenuta che ha partecipato alla CTU contabile). Deve dunque il Collegio provvedere alla determinazione del danno risarcibile in relazione alla previsione dell’ultimo comma dell’art. 125 c.p.i. e cioè procedendo alla reversione degli utili conseguiti dal contraffattore in favore del titolare del brevetto, consentendo così a quest’ultimo di recuperare tutte le utilità derivanti dallo sfruttamento della privativa indebitamente sottratte e fatte indebitamente proprie dal contraffattore. Entrambe le parti convenute e attrici in via riconvenzionale, cointestatarie del brevetto n° ……, hanno espressamente formulato la domanda di retroversione degli utili nelle loro rispettive comparse di costituzione nel presente giudizio e dunque – contrariamente all’infondata contestazione sul punto svolta da P. s.r.l. – il lucro cessante connesso all’illecito contraffattorio deve essere accertato sulla base di tale criterio.>> (§ 6).

3) gli utili da trasferire alla vittima sono determinati col criterio aziendalistico del margine operativo lordo (MOL), oggetto di stima da parte del CTU. Centrale, allora, è capire quali sono i costi da dedurre:  <<La determinazione del margine operativo lordo (MOL) realizzato da P.  s.r.l. sul numero di cartucce complessivamente commercializzate come innanzi riportato (n. 7.078.678 cartucce) ma limitatamente al dispositivo ritenuto in contraffazione è stata eseguita dal CTU contabile ed è stata valutata in complessivi € 818.449,00. Come è noto l’individuazione del margine di contribuzione al lordo delle imposte prevede di sottrarre dai ricavi incrementali esclusivamente i costi variabili incrementali specificamente sostenuti per produrre e commercializzare i beni contraffatti.  Da tale calcolo risultano pertanto estranei sia i costi fissi di produzione che i costi variabili che non abbiano natura incrementale e che l’impresa avrebbe sostenuto anche in assenza della condotta illecita. Il CTU contabile, in coerenza con tali criteri, ha escluso dalla determinazione del costo incrementale i costi commerciali, amministrativi e generali nonché i costi di produzione per mano d’opera, ammortamenti, manutenzioni e servizi produttivi interni. I costi ritenuti effettivamente rilevanti sono stati elencati dal CTU contabile nella tabella n. 3, alla quale ha aggiunto in via equitativa un’ulteriore 5% per i costi di trasporto. In particolare ha escluso da tale calcolo anche i servizi interni di litografia, imbutitura e riempimento, taglio, trasporto interno, collaudo ed assemblaggio in quanto riconducibili in percentuale a costi fissi di manodopera, ammortamenti, manutenzioni e servizi produttivi interni. P. s.r.l. ha contestato la metodologia seguita dal CTU contabile sia in relazione all’esclusione dai costi variabili della mano d’opera – che a suo dire avrebbe dovuto essere invece inclusa per il 100% del suo valore – che per l’esclusione dei costi relativi al taglio litografia, imbutitura, riempimento, trasporto interno, in quanto necessari per la produzione delle cartucce. Tali rilievi non possono essere accolti. Quanto al costo del lavoro impiegato per la produzione (del dispositivo in contraffazione) è corretto identificare nei costi fissi dell’azienda lo stipendio e gli oneri finanziari del lavoratori fissi, dunque tra quei costi che l’azienda avrebbe comunque subito anche in assenza dell’attività contraffattoria accertata. Nel caso di specie le richieste di inclusione di tali costi – sia in termini percentuali rispetto all’utilizzazione che sarebbe stata fatta sulle specifiche linee di produzione che addirittura per il 100% di esso – evidentemente confermano la natura di costo non incrementale della mano d’opera anche nella stessa prospettazione di P. s.r.l. In effetti nessun elemento di effettivo rilievo probatorio consente di poter attribuire – anche solo in parte – il costo della mano d’opera come esclusivamente dedicato alla produzione del dispositivo in questione, tenuto altresì conto – come osservato dal CTU contabile (pag. 54 relazione) – che la produzione in questione rivestiva un ruolo del tutto minoritario nelle complessive vendite della società e che pertanto anche in assenza di attività contraffattoria il personale sarebbe stato utilizzato in altre attività produttive dell’impresa. Nemmeno le ulteriori contestazioni relative all’esclusione di costi particolari (taglio litografia, imbutitura, riempimento, trasporto interno) possono essere ritenute rilevanti, tenuto conto del fatto che essi risultano comunque riconducibili a servizi interni dell’azienda utilizzati per tutte le sue attività produttive. Le valutazioni del CTU in ordine alla misura del MOL conseguito da P.  s.r.l. devono dunque essere confermate>>.

OSSERVAZIONI  – Genera qualche perplessità il passaggio sub 2, dove il giudice osserva che, non potendo liquidare il danno secondo il comma 1 dell’art. 125 cod. propr. ind., lo fa  secondo il criterio della reversione degli utili, prevista dal successivo comma 3. La perplessità sta nel fatto che il comma 3 non offre un diverso criterio per risarcire il danno, bensì un  rimedio diverso: non risarcitorio ma semmai restitutorio, che nulla ha a che fare con la finalità del compensare i pregiudizi altrui. Anzi ha natura punitiva, più che restitutoria, dato che: i) in generale, oltre a fattori generanti l’utile propri della vittima (e “usurpati”), ce ne saranno anche altri propri esclusivamente del contraffattore (per i quali dunque non si può parlare di “restituzione”); ii) a maggior ragione nel caso de quo, in cui il giudice esclude che la contraffazione abbia rivestito una qualsiasi  rilevanza nella motivazione d’acquisto dei clienti del contraffattore.

Sul punto v. il mio saggio “Restituzione e trasferimento dei profitti nella tutela della proprietà industriale (con un cenno al diritto di autore) per Contratto e impresa , 2010, 1149 segg., presente in www.academia.edu .