Decadenza dal marchio per non uso quinquennale e relativo onere della prova

La Corte di Giustizia UE del 10.03.2022, C-183/21, Maxxus Group GmbH c. Globus Holding GmbH, inteviene sull’oggetto precisando che :

i) la questione dell’onere della prova del non uso decadenziale è armonizzata : quindi non è lasciata ai diritti nazionali, § 33.

ii) spetta al titolare della registrazione provare il proprio uso, non alla controparte provare il fatto negativo del non uso (quest’ultima quindi avrà solo l’onere di allegazione, però piuttosto semplice: basta letteralmente affermare il non uso protratto per cinque annu), §§ 35 ss.

Nessun ragionamento particolarmente interessante.

Nel caso specifico la Corte ha deciso quindi che osta a tale interpretazione la normativa nazionale che pone qualche onere probatorio anche in capo all’impugnante il marchio.

Da noi la questione è pacificamente disciplinata nello stesso senso, alla luce dell’attuale versione dell’art. 121 cod.propr. ind.

Oscuro tentativo di distinguere tra onere di allegazione e onere della prova da parte del giudice del rinvio (v. questione sollevata sub a), al § 23)

Deposito ripetuto del medesimo marchio (per evitare la decadenza da non uso quinquennale) costiutisce deposito in malafede e dunque causa di nullità

Interessante presa di posizione del Tribunale UE 21.04.2021, T-663/19, Hasbro inc. c. EUIPO – Kreativni Događaji d.o.o., sul deposito di marchio in malafede ex art. 52.1.b reg. 207/2009, costituto da depositi ripetuti per evitare la decadenza per non uso.

la sentenza analizza a fondo questo tema e quello della decadenza per non uso; è interessante perchè, sollecitata da attenta difesa del ricorrente, li esamina in modo analitico . Si pone dunque come precednte da studiare per chi si occuperà dei temi medesimi.

Si trattava del marchio denominativo MONOPOLY

Premesse generali: <<54  La ratio legis del requisito secondo cui un marchio deve aver formato oggetto di un uso effettivo per poter essere protetto ai sensi del diritto dell’Unione è che l’iscrizione di un marchio dell’Unione europea nel registro dell’EUIPO non può essere assimilata a un deposito strategico e statico che conferisce a un titolare inattivo un monopolio legale di durata indeterminata. Al contrario, tale registro dovrebbe rispecchiare fedelmente le indicazioni che le imprese utilizzano effettivamente sul mercato per distinguere i loro prodotti e i loro servizi della vita economica [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2015, Deutsche Rockwool Mineralwoll/UAMI – Recticel (λ), T‑215/13, non pubblicata, EU:T:2015:518, punto 20 e giurisprudenza ivi citata].

55      Come evidenziato dalla commissione di ricorso al punto 35 della decisione impugnata, dai principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e dalla norma relativa alla prova dell’uso, illustrati ai precedenti punti da 49 a 53, deriva quindi che, se è vero che al titolare di un marchio viene conferito un diritto esclusivo, tale diritto, tuttavia, può essere tutelato solo se, alla scadenza del periodo di tolleranza di cinque anni, detto titolare è in grado di dimostrare l’uso effettivo del suo marchio. Un simile regime opera un bilanciamento tra i legittimi interessi del titolare del marchio, da un lato, e quelli dei suoi concorrenti, dall’altro.

56      Sotto un secondo profilo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza citata al precedente punto 36 risulta che l’assenza di un fattore che la Corte o il Tribunale avevano considerato pertinente al fine di accertare la malafede di un richiedente il marchio, nel particolare contesto di una controversia o di una questione pregiudiziale allora ad essi sottoposte, non osta necessariamente a che la malafede di un altro richiedente il marchio sia accertata in circostanze diverse. Come ricordato al precedente punto 37, la nozione di malafede, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, non può, infatti, essere circoscritta a una categoria limitata di circostanze specifiche.

57      Sotto un terzo profilo, se è vero che i depositi reiterati di un marchio non sono vietati, resta nondimeno il fatto che un simile deposito effettuato al fine di evitare le conseguenze del mancato uso di marchi anteriori può costituire un elemento rilevante, atto a dimostrare la malafede dell’autore di tale deposito (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2012, Pelikan, T‑136/11, non pubblicata, EU:T:2012:689, punto 27)>>.

Applicate al caso specifico:

<<70 Al riguardo, occorre evidenziare che nessuna disposizione della normativa relativa ai marchi dell’Unione europea vieta il deposito reiterato di una domanda di registrazione di marchio e che, pertanto, un simile deposito non può, di per sé, dimostrare la malafede del richiedente, senza che sia accompagnato da altri elementi pertinenti invocati dal richiedente la dichiarazione di nullità o dall’EUIPO. Tuttavia, è necessario constatare che, nel caso di specie, dalle considerazioni della commissione di ricorso risulta che la ricorrente ha ammesso, e persino sostenuto, che uno dei vantaggi che giustificavano il deposito del marchio contestato si basava sul fatto di non dover fornire la prova dell’uso effettivo di tale marchio. Orbene, un simile comportamento non può essere considerato legittimo, ma deve essere considerato contrario agli obiettivi del regolamento n. 207/2009, ai principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e alla norma della prova dell’uso, come ricordati ai precedenti punti da 49 a 55.

71      Stanti le specifiche circostanze del caso di specie, infatti, il deposito reiterato effettuato dalla ricorrente mirava segnatamente, per sua stessa ammissione, a non dover provare l’uso del marchio contestato, prolungando di conseguenza, per i marchi anteriori, il periodo di tolleranza di cinque anni previsto dall’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009.

72      Si deve pertanto necessariamente rilevare che la strategia di deposito praticata dalla ricorrente, diretta ad eludere la norma relativa alla prova dell’uso, non solo non è conforme agli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 207/2009, ma anche ricorda la figura dell’abuso di diritto, caratterizzata dal fatto che, in primo luogo, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è raggiunto e che, in secondo luogo, sussiste una volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa stessa mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2005, Eichsfelder Schlachtbetrieb, C‑515/03, EU:C:2005:491, punto 39 e giurisprudenza ivi citata)>>.

per il T. poi è irrilevante che i) se ne sia o meno tratto vantaggio, § 79 ss , e ii) che si tratti di pratica commerciale diffusa, § 94 (comunque non provata in causa)

Sulla decadenza per non uso di marchio celebre

La Corte di Giustizia UE (poi: CG) risponde ad alcune questioni pregiudiziali sulla decadenza per non uso di marchio celebre (il TESTAROSSA di Ferrari) proposte da giudice di secondo grado di Dusseldorf.

Si tratta di GC 22.10.2020, C-720/18 e 721/18 cause riunite, Ferrari spa c. DU.

Il diritto pertinente è l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/95/CE.

Il marchio è:

Vi si leggono utili precisazioni su un istituto che appare sempre più utilizzato e dunque importante per motivi pratici.

Sulle questioni 1 e 3: è uso effettivo di un marchio, registrato per molti prodotti e per relativi pezzi di ricambio, anche l’uso solamente per alcuni di tali prodotti (auto sportive di alta gamma) e per i ricambi, § 53.

Sulla questione 2: è uso effettivo anche la rivendita di prodotto usato, se da parte del titolare e col marchio sub iudice, § 60.

Sulla questione 4: è uso effettivo del marchio per i prodotti registrati anche l’uso dello stesso nella prestazione di servizi , se direttamente relativi a tali prodotti, § 61-64 (punto impoorrtante perchè talora fonte di incertezze applicative).

Sulla questione 6:  l’onere della prova dell’uso effettivo grava sul titolare della registrazione. La dir. 2008/95 non contiene disposizione ad hoc, se non il cons. 6 che afferma la libertà nazionale circa le << disposizioni procedurali relative alla registrazione, alla decadenza o alla nullità dei marchi>> (la GFermania ha disposizioni specifiche).

Però, dice la CG, la disciplina dell’onere della prova non rientra in tale concetto, § 77: infatti bisogna che esista un regime europeo unitario e che questo gravi il titolare della prova dell’uso uso effettivo, §§ 79-82.

Si anticipa dunque il regime attuale: v. l’art. 121 c. 1  cpi (dopo la modifica apportata dal d. lgs. 15 /2019) , attuativo dell’art. 17  dir. 15/2436 (dal tenore però leggermente diverso, che induce a dubitare dell’esattezza della nostra attuazione).

Bansky perde il marchio (decisione sul deposito in malafede)

Molti giornali anche non specialistici hanno riportato la notizia per cui l’Ufficio Europeo dei marchi ha dichiarato nullo il marchio di Bansky riproducente il suo celebre disegno <Flower thrower>:

Flower thrower (dal database EUIPO)

Si tratta della decisione 14.09.2020 sul marchio n° 012575155 , depositato il 07/02/2014.

La decisione può essere letta nel database dell’ufficio. Purtroppo non è divisa in §§ brevi per cui il resoconto può essere meno agevole del solito (mi riferirò dunque solo al numero di pagina)

Era stato chiesto per molte classi merceologiche.

La domanda di annullamento era fondata sia sull’art. 59.1.b (deposito in malafede) sia sull’art. 59.1.a riferito all’art. 7.1.b-c del reg. 2017/1001 c.d EUTMR. Viene accolta solo sul primo punto (malafade al momento del deposito), assorbita sul secondo.

In generale sulla buona fede l’Ufficio dice che ricorre <<where it is apparent from relevant and consistent indicia that the proprietor of an EU trade mark filed its application for registration without any intention of using the contested EUTM, or withoutthe aim of engaging fairly in competition, but with the intention of undermining the interests of third parties, in a manner inconsistent with honest practices, or with the intention of obtaining, without even targeting a specific third party, an exclusive right for purposes otherthan those falling within the functions of a trade mark, in particular the essential function of indicating origin>>, p. 9.

L’onere della prova <of the existence of bad faith lieswith the invalidity applicant; good faith is presumed until the opposite is proven>, p. 8.

Bansky (nome d’arte, l’artista è ancora anonimo) non commercializzava alcun bene al momento del deposito: anzi dichiarava che la cosa non lo interessava.

Iniziò ad operare commercialmente solo dopo aver ricevuto notifica della domanda di annullamento, aprendo un negozio (una mera vetrina, senza possibilità di acquisto) per indurre ad acquisti on line.

Ma anche questa attività, il punto è interessante a livello teorico, la pose in essere, dichiarando che non vi era interessato e che lo faceva solo per non decadere dal diritto di marchio : <From the evidence submitted Banksy had not manufactured, sold or provided any goods or services under the contested sign or sought to create a commercial market for his goods until after the filing of the present application for a declaration of invalidity. Only then, in October of 2019, he opened an online store (and had a physical shop but which was not opened to the public) but by his own words,reported in a number of different publications in the UK, he was not trying to carve out a portion of the commercial market by selling his goods, he was merely trying to fulfil the trade mark class categories to show use for these goods to circumvent the non-use of the sign requirement under EU law. Both Banksy and Mr. M.S, who is a Director of the proprietor, made statements that the goods were created and being sold solely for this cause>>, p. 11

Va notato che il registrante non era Bansky (allo scopo di restare anonimo) ma un suo rappresentante (the proprietor)

Il succo della decisione è qui: <<The EUTM was filed on 07/02/2014. The evidence shows that the proprietor did not sell any goods or provide any services under the sign until after the initiation of the present proceedings. In fact the evidence shows that Banksy repeatedly made statements that he was not making or selling any of these goods and that the third parties were doing this without his permission. The evidence also shows that from the time of filing of the EUTM until after the filing of the present application this position did not change. It was only during the course of the present proceedings (after the grace period had ended and after the present invalidity proceedings had been initiated) that Banksy started to sell goods but specifically stated that they were only being sold to overcome non-use for trade mark proceedings and not to commercialise the goods. Banksy by his own admission is clearly against intellectual property laws, but this does not mean that he is not afforded the same protection under these laws as everybody else. However, there are restrictions to the right to register a trade mark and that would be in the case where the mark is filed in bad faith>>

L’ufficio dice che la mala fede può ricorrere <if it transpires that the EUTM proprietor never had any intention to use the contested EUTM, for example, a trade mark application made without any intention to use the trade mark in relation to the goods and services covered by the registration constitutes bad faith if the applicant for registration of that mark had the intention either of undermining, in a manner inconsistent with honest practices, the interests of third parties, or of obtaining, without even targeting a specific third party, an exclusive right for purposes other than those falling within the functions of a trade mark>, p. 12.

Il dilemma di Bansky è chiaro, dice l’ufficio: <To protect the right under copyright law would require him to lose his anonymity which would undermine his persona. Moreover, there are a number of legal issues which might even result in it being very difficult for him to actually claim copyright over the work although this can be left open for the present purposes. It is clear that when the proprietor filed the EUTM he did not have any intention of using the sign to commercialise goods or provide services. The use, which was only made after the initiation of the present proceedings, was identified as use to circumvent the requirements of trade mark law and thus there was no intention to genuinely use the sign as a trade mark. Banksy was trying to use the sign only to show that he had an intention of using the sign, but his own words and those of his legal representative, unfortunately undermined this effort. Thus it must be concluded that there was no intention to genuinely use the sign as a trade mark and the only eventual use made of the sign was made with the intention of obtaining an exclusive right to the sign for purposes other than those falling within the functions of a trade mark>, p. 12

Bisognerebbe però distinguere bene il caso della mancanza di uso da quello di uso presente ma finalizzato solo alla conservazione del diritto e nulla più: sul secondo si può discutere , costituendo il vero interesse teorico di questa vicenda. Va ricordato infatti che il registrante ha cinque anni a disposizione per iniziare l’uso, prima di decadere per non uso.

E’ noto che oggi in Italia non è necessario che il depositante sia già un imprenditore (art. 19 c.1 cpi) o che abbia da subito progetti di cessione a terzi che lo usino imprenditorialmente. C’è dottrina divergente sul punto (in Italia).

Potrebbe infatti parlarsi di uso <simulato>, che non vale l’uso <effettivo> chiesto dalla norma per evitare la decadenza.

Altro profilo interessante è quello dell’applicazione della malafede al caso in esame e cioè di chi lo chiede senza intenzione di usarlo ma al tempo stesso senza intenzione di ledere uno specifo concorrente. Il concetto di malafede infatti è di solito usato con riferimento a casi di intento lesivo verso soggetti determinati: il che non pare ricorresse nel caso Bansky o comunque bisognerebbe ragionarci.

Potrebbe in sintesi considerarsi una altra soluzione: attendere il quinquennio, ravvisandosi un uso solo simulato, invece che applicare subito la nullità per deposito in malafede (oppure -nel diritto italiano- dichiarare la nullità per violazione dell’art. 19 c.1: solo che nell’elenco di cause di nullità di cui all’art. 25 cpi, probabilmente tassativo, non è prevista, essendo prevista solo quella riferita al c.2 dell’art. 19  -malafade appunto- , per cui questa via pare preclusa)

Decadenza per non uso: altro grande marchio che vi incappa

anche la Ferrari non evita nua decadenza per non uso per uno de isuo imarchi, come era già successo per il marchio Big Mac su cui v. mio post 17.01.2019.

Nel caso de quo si trattava del marchio di forma rappresentante quella che poi sarà chiamata Ferrari 250 GTO.

Il marchio era il seguente:

(rappresentazione del marchio tratta dal database EUIPO)

La domanda di regitrazione era stata presentata il 24.12.2007 e accolta il 29.9.2008 (marchio N. 6 543 301). Il contestante osserva però che questo marchio è stato usato solo tramite 36 modelli di Ferrari 250 GTo prodotti tra il 1960 e il 1962.

L’ufficio europeo però accoglie la domanda di decadezna (dcisione 29.05.2020 della Cancellation division, proc. direvoca n° C 30 743,  leggibile nel data base EUIPO).

La norma pertinente è l’art. 58.1.a dell’ EUTMR (p. 4), reg. 2017/1001, v. la pag. sui testi normativi  nel sito dell’EUIPO),  secondo cui <<Il titolare del marchio UE è dichiarato decaduto dai suoi diritti su domanda presentata all’Ufficio o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione:

a) se il marchio, per un periodo ininterrotto di cinque anni, non ha formato oggetto di un uso effettivo nell’Unione per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione; tuttavia, nessuno può far valere che il titolare è decaduto dai suoi diritti se, tra la scadenza di detto periodo e la presentazione della domanda o della domanda riconvenzionale, è iniziata o ripresa l’utilizzazione effettiva del marchio; peraltro, l’inizio o la ripresa dell’utilizzazione del marchio, qualora si collochi nei tre mesi precedenti la presentazione della domanda o della domanda riconvenzionale, a condizione che il periodo di tre mesi cominci non prima dello scadere del periodo ininterrotto di cinque anni di mancata utilizzazione, non vengono presi in considerazione qualora si effettuino preparativi per l’inizio o la ripresa dell’utilizzazione del marchio solo dopo che il titolare abbia appreso che la domanda o la domanda riconvenzionale potrà essere presentata; (..)>>

La decisione è interessante per i dettagliati profili fattual-probatori  e in particolare per i disperati tentativi di Ferrari di dare prova dell’uso. Però l’esito  è sfavorevole almeno per classe 12 , relativa a veicoli.

Il punto più rilevante è il paragrafo Class 12 della sezione Assessment of genuin use-Factors, p. 17/18

E’  vero che era stata ammessa la possibilità di uso salvifico avvenuto anche in una sola occasione: <In the Minimax judgment, the Court held that, in certain circumstances, use of the mark may be considered genuine also for ‘registered’ goods that had been sold at one time and were no longer available (11/03/2003, C-40/01, Minimax, EU:C:2003:145, § 40 et seq.).

This may apply where the proprietor of the trade mark under which such goods had been put on the market sells parts that are integral to the make-up or structure of the goods previously sold. The same may apply where the trade mark proprietor makes actual use of the mark for after-sales services, such as the sale of accessories or related parts, or the supply of maintenance and repair services>.

Tuttavia nel caso su iudice <the EUTM proprietor did not prove use of the mark in the course of trade for any of the goods in Class 12. The evidence demonstrates that a vehicle model in the shape of the mark used to be built between 1962 and 1964, but there is no evidence of use for these goods, or any of the other goods covered in Class 12, by the proprietor in the relevant period of time.

In this regard, it should be noted that reputation or goodwill of the contested EUTM on the part of the public, as attested by affidavit and confirmed by the press articles, are irrelevant in the case at hand.

As claimed by the EUTM proprietor, the evidence shows that a few vintage (second-hand) models of ‘Ferrari 250 GTOs’, the shape of which corresponds to the contested EUTM, have changed owners at auctions, private transactions, and some through specialist dealers. Furthermore, considering the nature of the goods concerned, which are very rare and highly expensive sports cars, as well as the structure of the relevant market, it is true that the number of vehicles sold under the mark does not, in principle, have to be extensive. However, such sales do not constitute genuine use attributable to the EUTM proprietor, because the latter does not have any influence on these resales.>

Si badi: le rivendite da parte degli acquirenti (cioè il mercato dell’usato) non valgono uso per il gruppo Ferrari. Ineccepibile: si tratta di condotte di terzi e non del titolare del marchio.

Inoltre l’assistenza postvendita era stata effettuate sotto il marchio Ferrari, non con quello contestato, p.  17/18.

Perciò <an overall assessment must be made taking account of all the relevant factors in the particular case. That assessment implies a certain interdependence between the factors taken into account. Thus, a low volume of goods marketed under that trade mark may be compensated for by high intensity of use or a certain constancy regarding the time of use of that trade mark or vice versa (08/07/2004, T-334/01, Hipoviton, EU:T:2004:223, § 36).
In the present case, the Cancellation Division considers that genuine use of the contested EUTM has been sufficiently demonstrated for the relevant factors in relation to toy vehicles, scale-model vehicles, whereas no use of the mark or proper reasons for non-use have been demonstrated in relation to any of the other goods for which it is registered.> p. 18.

Vedremo se Ferrari accetterà o meno la decisione .

Su marchi collettivi e “uso effettivo” ai fini del giudizio di decadenza (un caso un pò particolare: l’uso per imballaggi vale pure come uso per i prodotti imballati?)

Laa Corte di Giustizia UE (sentenza 12.12.2019, C-143/19 P, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland GmbH c. EUIPO ), affronta un caso un pò particolare di decadenza di marchio collettivo.

Le norme rilevanti soni l’art. 15 e l’art. 66 del reg. 207/2009.

Il noto marchio Grune Punkt, riferito ad imballaggi ecologici, era stato registrato anche per quasi tutte le altre classi merceologiche. A seguito di istanza di parte, però, era stato dichiarato decaduto per non uso per tutte le classi tranne che per i prodotti consistenti in imballaggi (§ 16).

I successivi tentativi del titolare di invalidare la decisione in via amministrativa e poi avanti il Trib. Ue sono andati male. La perseveranza però è stata premiata dato che la Corte ne ha accolto le ragioni.

La questione centrale è sottile e non semplice: si tratta di capire se l’uso del segno sugli imballaggi costituisca uso solo per il prodotto “imballaggio” oppure anche per gli svariati tipi di prodotti che sono presenti dentro l’imballaggio stesso. Nelle prime istanze era stato risposto nel primo modo; la Corte risponde invece nel secondo modo (o meglio non esclude il secondo modo e obbliga a valutare tale possibilità).

Vediamo i passi centrali del ragionamento del Tribunale, secondo il resoconto dela Corte .

<<Il pubblico di riferimento è perfettamente in grado di distinguere tra un marchio che indica l’origine commerciale del prodotto e un marchio che indica il recupero dei rifiuti di imballaggio. Inoltre, occorre tener conto del fatto che «i prodotti stessi sono di regola designati dai marchi che appartengono a società differenti»>> (§ 31).  Ne segue che <<«l’uso del marchio [in questione] in quanto marchio collettivo che designa i prodotti dei membri dell’associazione distinguendoli dai prodotti che provengono da imprese che non fanno parte di tale associazione sarà percepito dal pubblico di riferimento come un uso relativo agli imballaggi. (…) ]l comportamento ecologico dell’impresa, grazie alla sua affiliazione al sistema di accordo di licenza della [DGP], sarà attribuito dal pubblico di riferimento alla possibilità del trattamento ecologico dell’imballaggio e non ad un simile trattamento del prodotto imballato medesimo, che può rivelarsi inadeguato ad un trattamento ecologico»>> (§ 32).

Infine, <<l’uso del marchio in questione non aveva per obiettivo neppure di creare o di conservare uno sbocco per i prodotti. Detto marchio sarebbe conosciuto dal consumatore solo come l’indicazione che l’imballaggio, grazie al contributo del fabbricante o del distributore del prodotto, sarà smaltito e recuperato ove il consumatore porti l’imballaggio in un punto di raccolta locale. Pertanto, l’apposizione del suddetto marchio sull’imballaggio esprimerebbe semplicemente il fatto che il fabbricante o il distributore di questo prodotto opera nel rispetto del requisito fissato dalla normativa dell’Unione, secondo la quale l’obbligo di recupero dei rifiuti di imballaggio spetta a tutte le imprese. Secondo il Tribunale, nel caso, poco probabile, in cui il consumatore optasse per l’acquisto di un prodotto basandosi unicamente sulla qualità dell’imballaggio, resterebbe sempre il fatto che detto marchio crea o conserva uno sbocco non già rispetto a tale prodotto, ma esclusivamente per quanto riguarda l’imballaggio di quest’ultimo>> (§ 33).

Secondo il Tribunale infatti il presupposto è che <<«un marchio forma oggetto di un uso effettivo allorché assolve alla sua funzione essenziale, che è di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, al fine di trovare o mantenere per essi uno sbocco>> (§ 26). Si tratta dell’affermazione centrale, perno di tutto il ragionamento, ratio decidendi anche delle Corte (pur se con esito opposto). Questa infatti lo estende ai marchi collettivi laddove dice che: <<questi marchi fanno parte, come i marchi individuali, dell’ambito del commercio. Per poter essere qualificato come «effettivo» ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, il loro uso deve pertanto perseguire concretamente l’obiettivo delle imprese interessate di creare o di conservare uno sbocco per i loro prodotti e servizi. Ne consegue che un marchio collettivo dell’Unione europea è oggetto di un uso effettivo quando viene utilizzato conformemente alla sua funzione essenziale, che è quella di distinguere i prodotti o i servizi dei membri dell’associazione che ne è titolare da quelli di altre imprese, al fine di creare o di conservare uno sbocco per detti prodotti e servizi>> (§§ 56-57).

Peraltro <<ai fini della valutazione dell’esistenza di tale requisito, era necessario, secondo la costante giurisprudenza della Corte, esaminare se il marchio in questione fosse effettivamente utilizzato «sul mercato» dei prodotti o dei servizi interessati. Detto esame doveva essere realizzato valutando, in particolare, gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per conservare o creare quote di mercato per i prodotti o servizi contrassegnati dal marchio, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato, nonché l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio>> (§ 62).

Il Tribunale doveva << –prima di pervenire a tale conclusione e di pronunciarsi quindi sulla decadenza del titolare dai diritti dal medesimo detenuti sul marchio in questione per la quasi totalità dei prodotti per i quali esso è registrato – (…)  esaminare se l’uso debitamente dimostrato nel caso di specie, vale a dire l’apposizione del marchio in questione sulle confezioni dei prodotti delle imprese affiliate al sistema della DGP, fosse considerato, nei settori economici interessati, giustificato per conservare o creare quote di mercato per taluni prodotti. Un siffatto esame, che doveva anche riguardare la natura dei prodotti interessati e delle caratteristiche dei mercati sui quali essi sono immessi in commercio, è assente nella sentenza impugnata. Il Tribunale ha sì ritenuto che il consumatore comprende che il sistema della DGP riguarda la raccolta locale e il recupero degli imballaggi dei prodotti e non la raccolta o il recupero dei prodotti in sé, però non ha debitamente considerato se l’indicazione al consumatore, al momento dell’immissione in commercio dei prodotti, della messa a disposizione di un simile sistema di raccolta locale e di smaltimento ecologico dei rifiuti di imballaggio apparisse giustificata, nei settori economici interessati o in alcuni di essi, per conservare o creare quote di mercato per taluni prodotti>> (§§ 67-68).

Si potrebbe pensare che tale valutazione, per ciascun tipo di prodotto domandato in registrazione, fosse eccessiva. Se anche fosse così, <<era tuttavia opportuno, stante la diversità dei prodotti interessati da un simile marchio, fornire un esame che distinguesse diverse categorie di prodotti in funzione della loro natura e delle caratteristiche dei mercati e che valutasse, per ciascuna di tali categorie di prodotti, se l’uso del marchio in questione perseguisse effettivamente l’obiettivo di conservare o di creare quote di mercato>> (§ 69). Infatti <<alcuni dei settori economici interessati riguardano prodotti di consumo quotidiano, come alimenti, bevande, prodotti per l’igiene personale e per la pulizia della casa, idonei a generare quotidianamente rifiuti di imballaggio che i consumatori devono gettare via. Non si può pertanto escludere che l’indicazione sull’imballaggio di prodotti di questo tipo, da parte del fabbricante o del distributore, dell’affiliazione a un sistema di raccolta locale e di trattamento ecologico dei rifiuti di imballaggio possa influenzare le decisioni di acquisto dei consumatori e, in tal modo, contribuire alla conservazione o alla creazione di quote di mercato relative a tali prodotti>> (§ 70).

Il Tribunale si era ben chiesto se il marchio servisse a creare/conservare uno sbocco commerciale: ma aveva concluso che ciò avveniva solo per il prodotto <<imballaggio>> e mai per i prodotti presenti dentro l’imballaggio: con ciò però violando il tipo di analisi richiesto e che la Corte aveva prima indicato al § 62 (§ 71).

Questa è dunque la ratio decidendi. Il marchio apposto sull’imballaggio può valere come uso anche del marchio sui prodotti in esso contenuti, quando l’imballaggio costituisca (in tutto o in parte, direi: la Corte genericamente dice “possa influenzare le decisioni di acquisto”) motivo di acquisto dei prodotti stessi: cioè quando conferisca loro appeal e ne incrementi l’apprezzamento del pubblico.

Il punto è complesso e servirebbe un’indagine specifica, toccando profili apicali del diritto dei marchi. Ad una primissima riflessione la posizione della Corte non persuade: il che invece accade per quella del Tribunale. L’uso nel commercio di un componente di un prodotto finale (tale è l’imballaggio) è distinta dall’uso del prodotto stesso: quindi l’uso dei rispettivi segni resta pure distinto. Altrimenti si avrebbe che il prodotto recherebbe due marchi, i quali indicherebbero due provenienze aziendali diverse. Invece il segno proprio dell’imballaggio (come di qualunque componente) indica solo la provenienza del componente medesimo.

Infine seguono un paio di considerazioni giustificative a posteriori o comunque generiche, di scarso ausilio per le scelte pratiche.

La necessità di questa analisi (id est l’applicazione del concetto “contributo a creare o conservare uno sbocco commerciale”, in cui si sostanzia l’uso effettivo ai fini del giudzio di decadenza),  <<che tenga debitamente conto della natura dei prodotti o dei servizi interessati nonché delle caratteristiche dei rispettivi mercati e che distingua, di conseguenza, fra vari tipi di prodotti o servizi, laddove questi ultimi siano molto diversificati, riflette adeguatamente la delicatezza della posta in gioco di tale valutazione. Tale valutazione stabilisce, infatti, se il titolare di un marchio sia decaduto dai diritti su quest’ultimo e, in caso affermativo, per quali prodotti o servizi viene dichiarata la decadenza>> (§ 72). E’ infatti certamente importante <<assicurare il rispetto del requisito di un uso che concretamente persegua l’obiettivo di creare o di conservare uno sbocco per i prodotti e i servizi per i quali il marchio è stato registrato, affinché il titolare di quest’ultimo non resti indebitamente protetto con riferimento a prodotti o servizi la cui commercializzazione non sia veramente promossa da tale marchio. Ciò nondimeno, è altrettanto importante che i titolari dei marchi e, nel caso di un marchio collettivo, i loro membri possano, in modo debitamente protetto, sfruttare il proprio segno nell’ambito del commercio>>, § 73. E’ una sorte di hysteron proteron dato che, se si tratti di sfruttamento del segno rientrante nella privativa di legge, è proprio il quid demonstrandum.

Avendo uil Tribunale omesso di effettuare tale esame, la sua sentenza va annullata.

Questioni in tema di decadenza di marchio per non uso quinquennale (art. 24 C.p.i.): la guerra commerciale tra Mediaset-RTI e ITV

Il Tribunale di Torino con sentenza n. 19/2019 del 04.01.2019, RG 4851/2017, affronta il caso di decadenza dei marchi dennominativi/figurativi “Passaparola” per non uso quinquennale, relativamente a servizi media e televisivi principalmente, ma anche a beni e servizi di altro tipo.

i fatti in breve.

La società ITV GLOBAL ENTERTAINMENT LTD (di seguito solo “ITV”) cita RETI TELEVISIVE ITALIANE – R.T.I. – S.p.A.,(di seguito solo “RTI” davanti al Tribunale di Torino per sentire dichiarare la decadenza dei marchi <<Passaparola>>, in titolarità alla convenuta, per non uso quinquennale, registrati non solo per telecomunicazioni ma anche per settori molto diversi, evidentemente allo scopo di valorizzarli tramite merchandising.

ITV , appartenente ad uno dei pricipali gruppi di produttori e emittenti televisive del Regno Unito, aveva creato un format, chiamato <<The Alphabet Game>>,  che aveva concesso in licenza per l’Italia alla società Einstein Multimedia SRL , la quale lo aveva sublicenziato a RTI ( realizzando per questa anche la produzione esecutiva di varie edizioni del relativo programma). La versione italiana di <<The Alphabet Game>> era stata trasmessa su Canale 5 a partire dall’ 11 gennaio 1999 col titolo “Passaparola”. Il medesimo format era stato concesso in licenza da ITV anche in altri paesi, tra cui ad esempio in quelli di lingua spagnola col titolo “Pasapalabra”.  Successivamente Einstein Multimedia non aveva rinnovato la licenza a RTI e lo show “Passaparola” venne interrotto, dopo la realizzazione di un’edizione speciale tra il 2007 e l’inizio del 2008 (l’ultima delle quali esattamente il 27 gennaio 2008 sempre su Canale 5).

Il 20 maggio 2009 ITV deposita domanda di marchio UE <<Pasapalabra>> per servizi  televisivi e di intrattenimento (classi 38 e 41), domanda accolta dall’EUIPO il 28 gennaio 2016.

Il 26 ottobre 2016 però RTI propone all’EUIPO stesso domanda di nullità di tale  marchio di ITV , perché richiesto in malafede (secondo ITV, come reazione ad un’azione giudiziaria promossa in Spagna da ITV c. Mediaset Espana che avrebbe usato il marchio <<Pasalabra>>: p. 9).

In diritto

Alla luce di tali fatti, segnalo quattro passaggi della sentenza (il secondo di diritto processuale generale):

1)   Sull’interesse ad agire per proporre la domanda di decadenza –

Tra le altre difese, RTI eccepisce la mancanza di interesse di ITV (art. 122 .c.2 c.p.i.) per le classi merceologiche relative al merchandising e cioè per quelle diverse dai servizi televisivi. RTI basa l’eccezione sul fatto che: <<1…. il marchio UE di controparte copre unicamente le classi mediatiche 38 e 41; 2. in relazione a tale marchio, quest’ultima è attiva unicamente nel settore televisivo e mediatico; 3. la giurisprudenza (costante) è preclara nell’interpretare l’art. 122 CPI2, affermando che esso interesse consta unicamente in presenza di un ostacolo (anche solo potenziale) alla propria attività dall’esistenza del titolo altrui, cosa che, nella specie, è evidentemente da escludere in relazione ai prodotti e servizi non mediatici (prodotti e servizi che non siano nelle classi 38 e 41), visto che non sono oggetto delle attività imprenditoriali riferibili a parte attrice, né sono in alcun modo rivendicati dalla medesima>>.

In breve, la mancanza di interesse deriverebbe dal fatto che ITV non è presente attualmente in quei settori merceologici.

[RTI per vero afferma la mancanza di tale interesse anche per i servizi televisivi, affermando che la “caduta” dei marchi di RTI non era necessaria a ITV per difendersi presso ‘EUIPO: RTI aveva infatti ivi chiesto la nullità del marchio <<Pasapalabra>> di ITV perchè domandato in mala fede, non  per carenza di novità (p. 11-12)]

La Corte Torinese respinge l’eccezione, dicendo che <<che la legittimazione e l’interesse ad agire competono a tutti gli operatori economici del settore cui si riferisce la privativa e, in particolare, a qualsiasi imprenditore concorrente, anche in via potenziale e futura, del titolare sulla sola base dell’affermazione che egli trova nella presenza della stessa un ostacolo all’esercizio della propria attività e senza che debba essere richiesta anche la dimostrazione di un interesse di tipo più specifico. In particolare, l’interesse ad agire della parte attrice deve ritenersi sussistente anche con riferimento alle classi di registrazione dei Marchi RTI n. 9, n. 14, n. 16, n. 18, n. 35, n. 39 e n. 42. Invero, la parte attrice, essendo concorrente di RTI, è ovviamente interessata a operare nei medesimi settori di attività, anche collaterali a quello televisivo.>> (p. 12-13, § 3.3).

Il principio è importante: la decadenza può essere chiesta da qualunque imprenditore concorrente, anche se attualmente non operante in questi settori merceologici: non si chiede altro. Quindi si potrebbe anche riformulare affermando che, per aversi interesse ad agire ex art,. 122 c. 2 cpi, basta che l’istante sia concorrente del titolare del marchio impugnato in qualunque settore merceologico, anche se diverso da quelli per il quale chiede la decadenza.

2) Sull’onere di contestazione ex art. 115 c. 1 c.p.c.

Secondo la Corte, l’allegazione di ITV sulla data finale di uso del segno distintivo “passaparola” da parte di RTI, contenuta nell’atto di citazione, non è stata specificamente contestata da RTI in comparsa di costituzione e risposta: ne segue che deve considerarsi pacifica in causa in base alla’rt. 115 c. 1 cpc.

L’affermazione della Corte lascia perplessi. E’ vero che secondo l’articolo 167 CPC il convenuto deve propore le sue difese <<prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda>>.

E’ però anche vero che ciò non è previsto a pena di decadenza, a differenza di quanto previsto nel seg. c. 2 per riconvenzionali ed eccezioni non rilevabili di ufficio.

Secondo la dottrina, infatti, la contestazione ex art. 115 c. 1 cpc può  avvenire fino alle memorie ex art. 183 c. 6 cpc.

3) Sulla ripresa dell’uso del segno, secondo l’articolo 24 c. 3 c.p.i.

Secondo RTI, la domanda di decadenza va respinta poichè , a prescindere dal non uso quinquennale, essa aveva comunque ripreso l’uso effettivo dei marchi contestati (sia pure solo per le classi 38 e 41) tramite repliche del programma sul canale Mediaset Extra dal 9 dicembre 2013 ai primi mesi del 2014.

La Corte accoglie l’eccezione, poichè tali repliche configurano infatti l’ “uso effettivo” richiesto dalla citata norma. I fatti valorizzati per giungere a questa conclusione sono: << – Mediaset Extra è un importante canale tematico specificamente dedicato alle repliche dei programmi Mediaset nella fascia assegnata nel palinsesto e, dunque, è uno dei canali tramite il quale RTI esercita la propria consistente attività imprenditoriale; – gli ascolti totalizzati da Passaparola su Mediaset Extra, risultano comparabili a molti dei principali canali tematici italiani; – in particolare, nel mese di dicembre 2013, Passaparola ha avuto un’audience comparabile ai risultati di canali come Boing, Italia 2, Sky Cinema 1, Focus, Giallo, Frisbee, TV2000 e superiori a canali notissimi come TG24, La7d, Rai 5, Rai News, Rai Sport, MTV Music, Alice, Arturo, Leonardo e Marco Polo; – inoltre, nel gennaio 2014, Passaparola ha avuto un’audience comparabile ai risultati di canali come Rai News e TV 2000 e superiori a canali come Italia 2, TG 24, Rai Storia, 7Gold; – infine, nel febbraio 2014, Passaparola ha avuto un’audience comparabile ai risultati di canali come Rai News, L2 e TV 2000 e superiore a canali come 7 Gold, Rai 5, Rai Sport, Rai Storia, Italia 2, TG Com 24 e La7D>>.

La Corte conclude sul punto osservando: <<del resto, come chiarito da autorevole dottrina, non è possibile pretendere di predefinire delle soglie quantitative minime di uso del segno, dovendosi invece stabilire di volta in volta, in relazione alle variabili del caso concreto, se l’uso possa ritenersi sufficiente ed essendo sufficiente l’uso, quando (come nel caso di specie) il marchio conserva, in relazione alla natura del prodotto che ne è contraddistinto e al consumo che di questo si vuole fare, la sua individualità e testimonia la persistente presenza dell’impresa sul mercato>> (p. 15-16, § 3.6)

La Corte però salva il segno solo per le classi 38 e 41, le sole per le quali è stato documentata la rispresa dell’uso; per le altre la decadenza non è evitata.

4) Sulla salvezza per il caso di “diritti acquisiti sul marchio da terzi col deposito o con l’uso” (incipit dell’art. 24 c. 3 c.p.i.)

ITV fa presente che la sanatoria della decadenza (il non uso è stato accertato tra il 27 gennaio 2008 e il 9 dicembre 2013: v. sub 3.5, p. 15) non può operare, dato che il 20 maggio 2009 essa ha depositato domanda di marchio europeo <<Pasapalabra>>, del tutto confondibile con <<Passaparola>> (di cui è anzi la traduzuione in lingua spagnola). Diverrebbe quindi invocabile la clausola di salvezza, posta all’inizio dell’articolo 24 comma 3 cpi, ostativa alla sanatoria del marchio.

La Corte rigetta la controeccezione di ITV: e ciò a prescindere dalla sovrapponibilità di “Pasapalabra” a “Passaparola” e quindi dalla astratta idoneità  del primo a dar luogo a diritti sul secondo.

Il marchio “Pasapalabra” di ITV, infatti,  pur depositato nel 2009, è stato però registrato solo nel 2016: dunque successivamente agli utilizzi del marchio <<Passaparola>> in Italia, che lo hanno  sanato, evitandone la decadenza.

Per stabilire detto rapporto cronologico di anteriorità/posteriorità per i marchi UE, infatti, ciò che conta è la data di registrazione e non quella di deposito. Infatti, da un lato, secondo l’art. 9 c. 1 del reg. UE 2017/1001, è la registrazione a conferire il diritto esclusivo; dall’altro, secondo l’art. 11 c. 1 del medesimo Reg., tale  diritto <<è opponibile ai terzi solo a decorrere dalla data della pubblicazione della registrazione del marchio>>.

Pertanto l’acquisto del diritto sul marchio UE da parte di ITV ex art. 24 c. 3 cpi  ha avuto luogo solo con l’avvenuta registrazione (cioè nel 2016).

Quindi non può trovare applicazione il riferimento al deposito, presente nell’incipit dell’art. 24 c. 3 c.p.i., che sarà semmai riferibile ai depositi nazionali: per questi infatti l’art. 15 c. 2 CPI fa retroagire gli effetti della registrazione alla data della domanda.

In sintesi, dunque, la registrazione retroagisce alla data della domanda solo per i marchi nazionali, non per quelli UE (pag. 17-18, sub 3.8).

Decadenza dal marchio farmaceutico per non uso e suo utilizzo nelle sperimentazioni cliniche (per l’autorizzazione alla immissione in commercio)

Secondo gli articolo 15 co. 1-58 co.1 lett. a) reg. 207/2009 (poi artt.18 co.1-58 co.1 lett. a reg. 2017/1001), il mancato <<uso effettivo>> del marchio per cinque anni comporta la decadenza dal diritto, “salvo motivo legittimo per il mancato uso” (o, nel reg. 2017/1001, “se non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione”).

Ebbene, le domande arrivate alla giustizia UE nella causa C‑668/17 P, Viridis Pharmaceutical Ltd c. EUIPO, sono le seguenti:

1°) L’uso di un marchio per prodotti farmaceutici, limitato alla fase delle sperimentazioni cliniche (clinical trials) per ottenere l’autorizzazione alla immissione in commercio (AIC),  vale “uso effettivo” ai sensi della predetta normativa?

2° ) [In subordine,] può dirsi che il divieto di commercializzazione, prima dell’ottenimento dell’AIC, costituisca “motivo legittimo” del mancato uso?

Ad entrambe le domande hanno risposto negativamente sia l’EUIPO che il Tribunale UE. Ora il soccombente ricorre alla Corte di Giustizia.

Pure l’avvocato generale Szpunar , però, risponde negativamente: v. le sue Conclusioni del 09.01.2019.

Aspettiamo ora la decisione della Corte

Il marchio “BIG MAC” di McDonald’s è stato annullato per mancato uso quinquennale

Su istanza della irlandese Supermac’s di Galway,  titolare -sembra- di una catena di fast food dislocati per l’intera Irlanda, l’ufficio europeo EUIPO ha annullato (rectius: ha dichiarato decaduto: v. dopo; in inglese revoked) per mancato uso quinquennale il marchio denominativo << BIG MAC >> , di cui era titolare il gigante statunitense McDonald’s.

La norma applicata è stata quella di cui all’art. 58 del reg. (UE) 2017/1001 del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione europea (la nostra norma nazionale corrispondente è l’art. 24 co. 1  cod. propr. ind. , d. lgs. 30 / 2005).

Il marchio era stato inizialmente registrato il 22 dicembre 1998 e l’istanza di annullamento era stata depositata l’11 aprile 2017: quindi McDonald’s avrebbe dovuto il provare l’uso effettivo (genuine, in inglese) nei 5 anni anteriori e cioè dall’ 11 aprile 2012 fino al 10 aprile 2017.

L’istanza dell’impresa irlandese ha riguiardato tutti i prodotti e servizi coperti dalla registrazione:

<< Class 29: Foods prepared from meat, pork, fish and poultry products, meat sandwiches, fish sandwiches, pork sandwiches, chicken sandwiches, preserved and cooked fruits and vegetables, eggs, cheese, milk, milk preparations, pickles, desserts.

Class 30: Edible sandwiches, meat sandwiches, pork sandwiches, fish sandwiches, chicken sandwiches, biscuits, bread, cakes, cookies, chocolate, coffee, coffee substitutes, tea, mustard, oatmeal, pastries, sauces, seasonings, sugar.

Class 42: Services rendered or associated with operating and franchising restaurants and other establishments or facilities engaged in providing food and drink prepared for consumption and for drive- through facilities; preparation of carry-out foods; the designing of such restaurants, establishments and facilities for others; construction planning and construction consulting for restaurants for others.>>

La parte più interessante della decisione è quella inerente la qualità del materiale istruttorio offerto da McDonald’s: è opportuno che imprese e  loro  consulenti la tengano ben presente.

A dispetto della grandissima notorietà del segno distintivo, l’Ufficio (Cancellation Division) ha ritenuto il materiale probatorio/documentale insufficiente a provare l’uso effettivo in quanto o di provenienza interna a McDonald’s, e quindi poco persuasivo, oppure non comprovante l’uso effettivo in termini di dimensioni dell’uso stesso (quante vendite, a chi, dove …). 

Altro aspetto interessante è stato il cenno alla presenza su Wikipedia. Le  voci ivi presenti non sono state considerata fonte affidabile di informazione, poiché, potendo essere corrette dagli utenti di Wikipedia,  vanno considerate rilevanti solo se sostenute da altre prove indipendenti .

La decadenza ha effetto a partire dalla data dell’istanza e cioè dal 11 aprile 2017 e concerne il marchio per intero (in its entirety).

Il provvedimento di decadenza, titolato Cancellation No 14 788 C, è stato emesso dalla Sezione di Annullamento (Cancellation Division) in data 11.01.2019  e riguarda il marchio n° 62638; è leggibile quiqui oppure può essere cercato nel database dei cases dell’EUIPO, che porta alla seguente scheda.

McDonalds ha ora due mesi di tempo per ricorrere, ai sensi dell’art. 68 del reg. medesimo (sempre in via amministrativa) , per poi eventualmente adire il Tribunale della Corte di Giustizia UE (art. 72)

Infine, può essere di interesse vedere, da un lato, quanti marchi esistono contenenti  le parole Big Mac (o solo Mac, che non è detto abbia il medesimo valore distintivo) e, dall’altro, di quanti ne sia titolare McDonald’s: basta una ricerca in altro data base dell’EUIPO.