Cass. n° 30.455 del 17.10.2022 , sez. 1, rel Lamorgese, Hermes c. Buti sas sull’oggetto.
Hermes agisce per contraffazione ma nei gradi di merito è accolta la riconvenzionale di nullità
H. allora ricorre in Cass. e ottiene ragione con rinvio ad appello Firenze-
<<4.1.1.- E’ principio generale che la forma tridimensionale di un prodotto, sebbene presenti un design di qualità o esteticamente apprezzabile, non è suscettibile di privativa, in quanto, almeno di regola, non idonea di per sé a identificare il produttore, a meno che non vi sia un legame esplicito che leghi il prodotto alla sua origine (ad esempio, mediante apposizione del nome o di un segno riferibile al produttore). (…. ).
E’ quindi centrale la verifica della capacità distintiva del marchio, questione esaminata nella giurisprudenza eurounitaria anche con riferimento al marchio di forma e risolta nel senso che “solo un marchio che si discosti in maniera significativa dalla norma o dagli usi del settore e che, di conseguenza, assolva la sua funzione essenziale d’indicatore d’origine, non è privo di carattere distintivo nel senso della detta disposizione (art. 7, n. 1, lett. b, Regolamento del Consiglio sui marchi comunitari n. 40 del 1994, analogamente i Regolamenti n. 207 del 2009 e n. 1001 del 2017)” (Corte giustizia UE, 29 aprile 2004, C-468-472/01, p. 36-37). La “maniera significativa” in cui deve consistere lo scostamento della forma da quella usuale del prodotto, secondo le pertinenti prassi di settore, dev’essere agevolmente rilevabile dai consumatori, a prescindere dalla “mera novità” della forma che “non è sufficiente per concludere che tale carattere (distintivo) esiste, in quanto il criterio determinante è la capacità di tale forma di svolgere la funzione di indicazione dell’origine commerciale” (Tribunale UE, 5 febbraio 2020, T-573/18).
La giurisprudenza Europea ha osservato che “non si può tuttavia escludere che l’aspetto estetico di un marchio (…) che assume (una determinata) forma (…) possa essere tenuto in considerazione, tra gli altri elementi, per accertare uno scostamento dalla norma e dagli usi del settore, purché tale aspetto estetico sia inteso come richiamante l’effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto (sentenza del 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32)” (Tribunale UE, 14 luglio 2021, T488/20, p. 43 e 44); di conseguenza, “la presa in considerazione dell’aspetto estetico del marchio (…) mira a verificare (…) se tale aspetto è idoneo a suscitare un effetto visivo oggettivo e inusuale presso il pubblico di riferimento” (Tribunale UE 14 luglio 2021 cit., p. 44, che ha annullato la decisione di rigetto per mancanza di distintività della registrazione di un rossetto come marchio di forma). Tale pronuncia ha precisato che, se è vero che una semplice variante di una delle forme abituali di un tipo di prodotti “non è sufficiente a stabilire che detta forma non è priva di carattere distintivo”, tuttavia ciò non esclude la possibilità che una “nuova forma” possa avere capacità distintiva (p. 50)>>.
sentenza impugnata e critica della SC:
<<4.1.2.- La sentenza impugnata è motivata nel senso che la nutrita documentazione, non solo pubblicitaria, prodotta dalle appellanti a dimostrazione della fama conseguita dal prodotto (di lusso) e, per quanto qui interessa, dalla sua forma, riconducibile alla Herme’s, è “non probante” “in quanto, in sostanza, di provenienza della produttrice e non espressione della considerazione dei consumatori e della riconducibilità, da parte dei medesimi, della forma della produttrice” (pag. 11); in altri termini, non sarebbe indicativa del valore che i consumatori attribuiscono al prodotto, trattandosi di messaggi veicolati o filtrati dal produttore stesso (pag. 12).
Si tratta di affermazioni poco comprensibili laddove rilevano la non terzietà della documentazione prodotta dalle appellanti, diligentemente indicata nel motivo di ricorso e genericamente richiamata nella sentenza impugnata senza sottoporla a un esame specifico, al cospetto della vastità della stessa.
Inoltre, la possibilità di registrare come marchio anche “la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche” quando aventi capacità distintiva (art. 7 c.p.i.), può avvenire anche attraverso investimenti pubblicitari che consentono una vasta commercializzazione del prodotto, con l’effetto di favorirne la diffusione nel pubblico e la generalizzata riconducibilità di quella forma del prodotto a una determinata impresa, consentendo l’acquisto (tramite secondary meaning) di capacità distintiva del marchio che ne sia originariamente privo. Se ne ha conferma nella giurisprudenza Europea, la quale ha costantemente ribadito che “ai fini della valutazione dell’acquisizione di un carattere distintivo mediante l’uso, occorre tener conto di fattori come, fra l’altro, la quota di mercato detenuta dal marchio, la frequenza, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo e la percentuale degli ambienti interessati che identifica, grazie al marchio, il prodotto come proveniente da una determinata impresa. Mezzi di prova adeguati in proposito sono, in particolare, le dichiarazioni delle camere di commercio e d’industria o di altre associazioni professionali” (Tribunale I grado CE, 14 giugno 2007, T-207/06).
La sentenza impugnata, laddove ha affermato che le borse (Omissis) “rispettano nel loro insieme i parametri canonici delle borse normalmente in commercio” e, in altri termini, che le loro forme sono “standardizzate”, risulta quindi apodittica, non essendosi fatta carico di spiegare le ragioni del difetto dell’autonoma capacità distintiva di quelle forme sia originariamente sia alla luce dell’uso e della fama acquisita nel tempo (cfr. Cass. n. 7254 del 2008).
Tale esito non supera il vaglio di legittimità relativo al parametro normativo di cui all’art. 9 c.p.i., alla luce del quale i giudici di merito avrebbero dovuto accertare la sussistenza delle specifiche e autonome ipotesi di non registrabilità dei marchi di forma ivi previste, mediante esame separato, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 22929 del 2009, con riferimento all’analoga previsione di cui al R.D. n. 929 del 1942, art. 18, lett. c, come sostituito dal D.Lgs. n. 480 del 1992, art. 18)>>.
Indagini demoscopiche ai fini del secondary meaning (la parte più interessnte):
< Si osserva che, ai fini dell’accertamento del secondary meaning, cioè della prova del conseguimento del carattere distintivo in seguito all’uso del marchio, i dati risultanti dalle indagini demoscopiche costituiscono indizi, di per sé non decisivi, che devono essere ponderati quanto al valore dei risultati dei sondaggi di opinione, in relazione alla percentuale e al grado complessivo di attendibilità tecnico-scientifica degli stessi (non richiedendosi che la funzione identificativa acquisita dal segno, che può essere costituito anche dalla forma del prodotto, sia accertata sulla totalità o sulla quasi-totalità del pubblico destinatario), nonché accompagnati da altri indizi gravi, precisi e concordanti.
Tanto premesso, le indagini demoscopiche possono essere compiute (e prodotte in giudizio) dalla parte interessata, ma possono anche essere acquisite dal giudice di merito d’ufficio mediante una c.t.u., al quale l’art. 121, comma 5, c.p.i. consente di ricevere nuovi documenti ancora non prodotti in causa per favorire l’efficienza delle operazioni peritali, anche in deroga alla disciplina generale dettata per il deposito dei documenti sia in primo grado che in appello (Cass. n. 31182 del 2018). Analogamente è possibile trarre elementi probatori del carattere distintivo (della forma) del marchio nel pubblico dei consumatori da fonti (documentali e non) diverse (sempreché “almeno una frazione significativa del pubblico destinatario identifichi grazie al marchio i prodotti o servizi di cui trattasi come provenienti da un’impresa determinata” (cfr. Trib. I gr. CE, 2 luglio 2009, T-414/07; analogamente Corte Giust. CE, 4 maggio 1999, C-108/97)>>.