Ingannevolezza e malafede in un marchio denominativo/figurativo davanti all’EUIPO

La Commissione di Ricorso allargata dell’EUIPO il 2 marzo 2020 (procedimento R1499/2016-G, marchio n° 012043436) ha deciso su un’istanza di nullità relativa al marchio <<La Irlandesa 1943> qui riprodotto

I motivi di nullità sono due : ingannevoleezza del segno e malafede al momento del deposito. Ciò secondo l’articolo 59 Paragrafo 1 , lett .a-b, del reg. 1001 del 2017 (naturalmente per l’ingannevolazza il riferimento è poi all’art. 7 lett. g) del medesimo reg.)

L’ingannevolezza

Per la commissione tale nullità presuppone <<l’accertamento di un inganno effettivo o di un rischio sufficientemente grave di inganno del consumatore>> § 25

La commissione poi richiama la Direttiva sulle pratiche commerciali sleali e la definizione Ivi presente di ingannevolezza, paragrafo 26. Non è però spiegato il motivo del richiamo, probabilmente per recepire questa nozione nel diritto dei marchi. Sarebbe stato meglio però un passaggio argomentativo specifico.

la Commissione poi precisa che, una volta accertato un inganno effettivo o un rischio sufficientemente grave di inganno del consumatore, <<diventa irrilevante che il marchio richiesto possa essere percepito in un modo che non sia ingannevole. In effetti, in seguito, il marchio può indurre in ogni caso in errore il pubblico e non è pertanto in grado di assolvere il proprio ruolo, ossia quello di garantire la provenienza dei prodotti e dei servizi cui esso fa riferimento. (..) Come confermato dal Tribunale, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera g), RMUE, può applicarsi anche quando è possibile un uso non ingannevole del marchio in questione>> § 27-28

Nel caso specifico si trattava di latticini di provenienza dell’Irlanda e venduti in Spagna. Il rapporto di distribuzione commerciale era proseguito per molti anni ma era poi cessato. Nonostante ciò, l’ex distributore spagnolo aveva chiesto la registrazione del marchio europeo in questione.

Il marchio è descritto ai paragrafi 29-33 (v. anche la foto riprodotta sopra) e la commissione conclude al paragrafo 33 che c’è un richiamo diretto tra il marchio e l’origine geografica (difficilmente contestabile).

 La Corte conclude che il marchio è ingannevole e che lo era già al momento del deposito, paragrafo 34.

La prova sta nel fatto che le merci non provengono dall’Irlanda, come si desume dal fatto che nel catalogo complessivo dell’imprenditore spagnolo non c’è alcun prodotto di origine irlandese, paragrafo 36/39

La commissione aggiunge che il titolare del marchio contestato poteva utilizzare i prodotti in modo ingannevole (probabilmente si riferisce la dichiarazione integrative), ma che però non ha compiuto alcuno sforzo in tal senso (paragrafo 42).

A nulla del resto vale invocare precedenti dell’ufficio, paragrafo 46. Da un lato infatti bisogna che siano pertinenti e, dall’altro, <<l’applicazione dei principi della parità di trattamento e di buona amministrazione deve, però, essere conciliata con il rispetto del principio di legalità. Pertanto, la persona che chiede la registrazione di un segno come marchio non può invocare a suo vantaggio un’eventuale disparità commessa a suo favore o a beneficio altrui al fine di ottenere una decisione identica>>, § 46. In breve, eventuali errori passati non possono essere invocati per ottenerne la ripetizione.

Il marchio è quindi ingannevole e va dichiarato Nullo, paragrafo 48

Per curiosità si possono vedere le difese del titolare ai paragrafo 5 e 9.

La malafede

L’art. 59 § 1 recita così: <<Su domanda presentata all’Ufficio o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, il marchio UE è dichiarato nullo allorché: a) …….; b) al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente ha agito in malafede>>

La commissione ricorda che la legge non definisce il concetto e dunque va ricostruito dal decidente. Malafede va allora ravvisata <<laddove emerga da indizi pertinenti e concordanti che il titolare di un marchio dell’Unione europea ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio, non con l’obiettivo di partecipare in maniera leale al gioco della concorrenza, ma con l’intenzione di pregiudicare, in modo non conforme alle consuetudini di lealtà, gli interessi di terzi, o con l’intenzione di ottenere, senza neppur mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio, in particolare la funzione essenziale di indicare l’origine»>>Paragrafo 51

Si noti che, sebbene la malafede consista nel precedere il titolare del diritto alla registrazione e quindi costituisca illecito nei confronti di un soggetto determinato,  si tratta però di nullità assoluta, paragrafo 50 (v. anche in fine).

Inoltre <<l’intenzione del richiedente al momento pertinente è un elemento soggettivo che deve essere determinato con riferimento alle circostanze oggettive del caso di specie>>Paragrafo 51 e 55

Il giudizio richiesto sulla malafede prevede che si debbano valutare <<tutti i fattori pertinenti propri del caso di specie esistenti al momento del deposito della domanda di registrazione di un RMUE, in particolare: i) il fatto che il richiedente sapeva o avrebbe dovuto sapere che un terzo utilizzava, in almeno uno Stato membro, un segno identico o simile per un prodotto o servizio identico o simile e confondibile con il segno di cui è stata chiesta la registrazione; ii) l’intenzione del richiedente di impedire a detto terzo di continuare a utilizzare un siffatto segno e iii) il grado di tutela giuridica di cui godevano il segno del terzo ed il segno di cui veniva chiesta la registrazione>>, § 52 .

Inoltre si può anche tenere conto <<dell’origine del segno contestato e del suo utilizzo a partire dalla sua creazione, della logica commerciale nella quale si inserisce il deposito della domanda di registrazione del segno come marchio dell’UE nonché della cronologia degli avvenimenti che hanno caratterizzato la sopravvenienza di detto deposito>>, paragrafo 54

L’intenzione del richiedente può dedursi anche dalla situazione oggettiva di conflitto di interessi in cui la richiedente il marchio si è trovata adoperare paragrafo 56. Nel caso specifico può infatti essere dedotta dal concreto operato del titolare del marchio prima del deposito dalle relazioni contrattuali precontrattuali o postcontrattuali in vigore con la controparte oppure da altri doveri di lealtà scaturenti dall’aver ricoperto cariche particolari all’interno dei rapporti commerciali , paragrafo 56

In sintesi la malafede <<è connessa … ad una motivazione soggettiva della persona che presenta una domanda di registrazione di marchio, vale a dire a un’intenzione fraudolenta o ad altro motivo ingannevole. Essa implica un comportamento che si discosta dai principi riconosciuti come caratterizzanti un comportamento etico o dalle leali consuetudini in materia industriale o commerciale>>Paragrafo 57

Il richiedente sapeva bene che il Marchio era ingannevole, avendo subito già decisioni sfavorevoli all’inizio degli anni 2000 per marchi sostanzialmente uguali a quello sub judice, paragrafo 63. Inoltre gioca anche il fatto che c’è stato un rapporto di distribuzione commerciale per oltre 30 anni, paragrafo 65.

Pertanto <<in considerazione della summenzionata cronologia degli eventi, è chiaro che il primo marchio (spagnolo) «LA IRLANDESA» della titolare del MUE ha avuto origine dal rapporto contrattuale tra le parti. Non si tratta di un marchio che nasce indipendentemente da questa relazione commerciale, ma è direttamente associato all’origine irlandese dei prodotti che la titolare del MUE era stata autorizzata a vendere in Spagna dalla seconda richiedente la nullità. Si può pertanto concludere, come sostenuto dalle richiedenti la nullità, che il marchio contestato è stato inizialmente creato e depositato dalla titolare del MUE nell’ambito della relazione commerciale tra le parti e che il suo scopo iniziale era pertanto quello di distinguere gli alimenti venduti dalla titolare del MUE aventi origine irlandese>>, paragrafo 67

Le prove hanno evidenziato che non c’è più legame con l’origine irlandese § 68: per cui era irragionevole commercialmente depositare il marchio sub-judice paragrafo 69

Visto poi che la richiedente non ha giustificato sotto il profilo economico commerciale quel tipo di marchio, emerge dagli atti <<che la titolare del MUE abbia intenzionalmente chiesto la registrazione del marchio contestato per generare un’associazione con l’Irlanda e continuare a beneficiare dall’attività svolta durante la loro relazione commerciale, con l’intenzione e allo scopo di ottenere un indebito vantaggio dall’immagine di cui godono i prodotti irlandesi>>Paragrafo 70.

E dunque, ricordando che l’intenzione di Malafede va desunto anche da Fattori oggettivi, nella fattispecie i fattori oggettivi <<derivano dall’utilizzo, in modo ingannevole, del marchio contestato e dalle decisioni pronunciate in precedenza dalla corte spagnola e dall’EUIPO, nonché dalla pregressa relazione commerciale, ora conclusa, con la seconda richiedente la nullità. In considerazione di queste circostanze particolari, è possibile concludere che la titolare del MUE, nel depositare il MUE contestato, intendeva continuare a ingannare il pubblico circa l’origine geografica dei prodotti e trarre vantaggio dalla buona immagine dei prodotti irlandesi, così come faceva quando la relazione con la seconda richiedente la nullità era ancora in corso>> § 72.

Una siffatta condotta falsa misura rilevante il comportamento economico dei consumatori paragrafo 73.

In conclusione dunque <<è possibile accertare l’intenzione fraudolenta della titolare del MUE al momento del deposito del marchio contestato, ossia che esso è stato depositato deliberatamente allo scopo di generare un’associazione con l’Irlanda e, quindi, è stato depositato in malafede >> § 74

Il punto più interessante di questa decisione riguarda il rapporto tra malafede ingannevolezza. Il motivo della malafede, pur essendo sostanzialmente direzionato verso un concorrente determinato, è causa come detto di nullità assoluta e quindi dovrebbe trovare la sua ragione nella tutela dell’interesse generale (soprattutto dei consumatori).

Tuttavia di per sé la malafede (l’intenzione prava) non può essere semplicemente il voler frodare il pubblico, dal momento che questa fattispecie è meglio è governata da dal motivo di nullità della ingannevolezza. L’intenzione prava/malafede sembra proprio quella direzionata verso uno o più soggetti determinati, poer cui dovrebbeessere sanzionata da nullità relativa: ma il dato testuale è inequivoco.

La commissione accenna implicitametne a questo aspetto nel passaggio appena riportato: <<l’intenzione di pregiudicare (…) gli interessi di terzi, o con l’intenzione di ottenere, senza neppur mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo>> (§ 51). Se ne desume che la mala fede copre ogni caso di intenzione “fraudolenta”, sia che pregiudichi in via diretta un concorrente determinato (anzi, forse non necessariamente un concorrente: a ben vedere è un’appropriazione di pregi), sia che non ne pregiuridichi alcuno in via diretta.  Certo che nel secondo caso pare avere la medesima area concettuale dell’ingannevolezza.

La Corte di Giustizia su domanda di marchio, indicante in modo impreciso i beni o servizi, e su domanda depositata in malafede

La Corte europea interviene su una importante questione in tema di marchi, relativa alla possibilità di qualificare come causa di invalidità la troppo generica o imprecisa descrizione dei prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione.

Si tratta di Corte di Giustizia 29.01.2020, C-371/18, Sky c. SkyKick .

La lite era nata tra Sky e SkyKick relativamente ad un marchio figurativo e denominativo (ma per lo più denominativo): lo si vede bene nella decisione del giudice inglese a quo, la High Court (Chancery Division) del 06.02.2018, [2018] EWHC 155 (Ch),  del giudice Arnold (§ 2).

La sentenza applica ratione temporis la disciplina di cui al regolamento 40 del 1994

Il primo punto importante era la cit. questione attinente al se l’indicazione dei beni o servizi non sia sufficientemente chiara e precisa.

La corte, dicendo che i motivi di nullità sono solo quelli espressamente indicati, risponde negativamente:  <<58   Ne consegue che, al pari dell’articolo 3 della prima direttiva 89/104, l’articolo 7, paragrafo 1, e l’articolo 51, paragrafo 1, del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che essi forniscono un elenco esaustivo delle cause di nullità assoluta di un marchio comunitario.   59 Orbene, né l’articolo 3 della prima direttiva 89/104 né le summenzionate disposizioni del regolamento n. 40/94 prevedono, tra i motivi ivi elencati, la mancanza di chiarezza e precisione dei termini utilizzati per designare i prodotti o i servizi coperti dalla registrazione di un marchio comunitario.  60 Dalle considerazioni che precedono risulta che la mancanza di chiarezza e precisione dei termini utilizzati per designare i prodotti o i servizi coperti dalla registrazione di un marchio nazionale o di un marchio comunitario non può essere considerata come un motivo o una causa di nullità del marchio nazionale o comunitario di cui trattasi, ai sensi dell’articolo 3 della prima direttiva 89/104 o degli articoli 7 e 51 del regolamento n. 40/94>>

Nè è possibile far rientrare la fattispecie in un’altra in una causa espressamente prevista (§§ 62 ss.) .

Da ultimo nemmeno è possibile ritenere la mancanza di chiarezza e precisione come domanda disegno contraria all’ordine pubblico (§ 65 ss).  Su questo punto era stato di opposto avviso l’avvocato generale Tanchev nelle sue conclusioni 16.10.2019, §§ 60-79 (v. poi al §§ 82-86 i criteri per stabilire se ricorra la chiarezza e precisione).

La Corte affronta poi un altro aspetto non meno importante, relativo al se una domanda di registrazione fatta senza intenzione di usare il marchio costituisca domande in malafede secondo l’articolo 51.1.b del reg. 40 del 1994

In caso positivo, chiede se sia possibile la nullità solo parziale qualora l’intenzione di non usare riguardi solo alcuni prodotti o servizi tra quelli richiesti.

Il concetto di domanda in malafede  è indicato nel § 75 e cioè ricorre quando : <<emerga da indizi rilevanti e concordanti che il titolare di un marchio ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio non con l’obiettivo di partecipare in maniera leale alle vicende della concorrenza, ma con l’intenzione di pregiudicare, in modo non conforme alla correttezza professionale, gli interessi di terzi, o con l’intenzione di ottenere, senza neppur mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio, in particolare la funzione essenziale di indicare l’origine, rammentata al punto precedente della presente sentenza (sentenza del 12 settembre 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO, C‑104/18 P, EU:C:2019:724, punto 46)>> (§ 75).

Pertanto il richiedente non è tenuto a indicare e nemmeno a sapere esattamente <<alla data di deposito della propria domanda di registrazione o dell’esame della stessa, l’uso che farà del marchio richiesto ed esso dispone di un termine di cinque anni per dare inizio ad un uso effettivo conforme alla funzione essenziale del suddetto marchio [v., in tal senso, sentenza del 12 settembre 2019, Deutsches Patent- und Markenamt (#darferdas?), C‑541/18, EU:C:2019:725, punto 22]>>, § 76.

La Corte ricorda che secondo l’avvocato generale <<la registrazione di un marchio senza che il richiedente abbia intenzione di utilizzarlo per i prodotti e servizi oggetto di tale registrazione può costituire malafede, una volta che la domanda di marchio è priva di giustificazione rispetto agli obiettivi previsti dal regolamento n. 40/94 e dalla prima direttiva 89/104. Una siffatta malafede può tuttavia essere ravvisata solo se sussistono indizi oggettivi, rilevanti e concordanti volti a dimostrare che, alla data di deposito della domanda di registrazione del marchio interessato, il richiedente quest’ultimo aveva l’intenzione o di pregiudicare gli interessi di terzi in modo non conforme alla correttezza professionale o di ottenere, senza neppure mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio. >> , § 77.

Era stato in realtà  più lasco nel concedere la causa di nullità l’A. G., dicendo che << qualora non abbia intenzione di utilizzare il marchio, è irrilevante se il ricorrente ha intenzione di impedire l’utilizzo del marchio ad un determinato terzo o a tutti i terzi. Nelle circostanze in parola, il richiedente sta illegittimamente tentando di ottenere un monopolio per impedire a potenziali concorrenti di utilizzare il segno che egli non ha intenzione di utilizzare. Ciò equivale ad un abuso del sistema dei marchi>>, § 114 .   Non rileva dunque per lui lo scopo dell’intenzione di non uso: basta l’intenzione in sè (purchè provata -anche qui- da indizi).

Servono dunque <<indizi oggettivi, rilevanti e concordanti>> della predetta intenzione di non uso.  Pertanto la malafede <<non può … essere presunta sulla base della mera constatazione che, al momento del deposito della sua domanda di registrazione, tale richiedente non aveva un’attività economica corrispondente ai prodotti e servizi indicati nella suddetta domanda.>>, § 78

In fine, se l’intenzione di non usare esiste solo per alcuni beni o servizi La nullità sarà dichiarata solo per questi (§ 80).

Marchio di forma (o di colore) violato da (calzatura indossata da) personaggio di un film?

Le note suole rosse delle calzature Louboutin, sulla  cui esclusiva lo stilista francese ha ingaggiato liti giudiziarie in diversi Stati e su cui ha pure ottenuto ragione presso la Corte di Giustizia UE (C‑163/16 del 12.06.2018), sono ora forse riprodotte da una protagonista del recente film di Disney titolato Frozen 2.

Ne riferisce worldtrademarkreview.com  del 10. 12.2019 a firma di T. Lince.

Si considerino le due calzature (foto presa dall’articolo appena cit.):

(a sinistra quella di Frozen 2  e a destra quella di Louoboutin).

Qui sotto il marchio registrato (dalla sentenza C.G. cit.):

Il segno, usato nel film, costituisce riproduzione vietata del marchio di Louboutin? Direi che Louboutin avrebbe buone frecce nel suo arco, vista la norma europea armonizzata che da noi è stata recepita nel  novellato art. 21.1.c)  del cod. propr. ind.

Probabilmente lo stilista francese ci sta già pensando, visto l’impegno che mette nel tutelare il suo marchio.