Denominazioni di origine, genericità del segno e sua volgarizzazione: sul caso statunitense

Un Tribunale della Virginia (Alexnadria) affronta il caso del se il termine <Gruyere>, protetto in UE come denominazione di origine protetta, sia divenuto nome di genere (volgarizzato): si tratta di East. dist. of Virginia, Alexandria division, 15.12.2021, No. 1:20-cv-1174, INTERPROFESSION DU GRUYÈRE e altri v. UJSAdairy export council e altri.

In particolare la lite nasce da un ‘opposizione da parte di un grosso produttore caseario alla registrazione di Gruyere come marchio d icertificazione, il quale sostiene la genericità del termine (da noi anche per le DOP: art. reg. ue 1151/2021, art. 10.1.d).

La corte riconosce la volgarizzazione (o meglio: la sua genericità, trattandosi della fase della domanda di registrazione ed essendo irrilevanti le DOP-IGP nell’Unione Europea) presso il pubblico sulla base di tre tipi di prova:

(1) existing U.S. regulations permitting the use of the term GRUYERE on cheese regardless of where the cheese is produced;

(2) commercial and government data showing the widespread sale and import of GRUYERE cheese produced outside the Gruyère region of Switzerland and France [elemento altamente provante, dice il giudice, p. 19; aggiugne pure che molti formaggi prodotti in USA sono etichettati col nome de quo, p. 23 ss]; and

(3) evidence showing that the term GRUYERE is  commonly used in dictionaries, media communications, and cheese industry events and materials to refer to a type of cheese without respect to where the cheese is produced.

Pertabnto <<he record evidence of common usage and industry practice points clearly to the conclusion that while some individuals understand GRUYERE to have an association with Switzerland (and, to a lesser degree, France), the term GRUYERE has come to have a well-accepted generic meaning through the process of genericide and is no longer universally understood to indicate cheese produced in the Gruyère region.>>

Nessuna delle  parti aveva presentato come prova sondaggi presso i consumatori, ma questo non ha impedito al giduice d idecidere.

Ci si potrebbe chiedere se anche da noi il pubblica percepisca Gruyer come marchio/DOP oppure come termine genrico: però la questione è probabilmetne irrilevante poichè la DOP non è soggetta a volgarizzazione (art. 13.2 reg. _Ue 1151/2012)

Marchio di forma e rossetti (brevissime sulla decisione Guerlain)

Trib. UE 14.07.2021, T-488/20, Guerlain c. EUIPO, decide favorevolmente alla impresa francese la domanda di registrabilità del (contenitore del) suo rossetto.

La fase amministrativa le era stata sfavorevole ma il Tribunale riforma.

La sentenza è disponibile solo in francese e le riproduzioni grafiche ivi presenti del contenitore sono scadenti (v.le in sentenza).

Riporto alcuni passaggi della sintesi fornita dal sito web della Corte:

1: <<il Tribunale ricorda che la valutazione del carattere distintivo non si basa sull’originalità o sul mancato uso del marchio richiesto nel settore cui appartengono i prodotti e i servizi interessati Infatti un marchio tridimensionale costituito dalla forma del prodotto deve necessariamente discostarsi significativamente dalla norma o dagli usi del settore interessato. Pertanto la mera novità di tale forma non è sufficiente per concludere che esiste un carattere distintivo. Tuttavia il fatto che un settore sia caratterizzato da una considerevole varietà di forme di prodotti non implica che un’eventuale nuova forma sia necessariamente percepita come una di esse>>:              idee pacifiche.

2:  <<secondo il Tribunale, la circostanza che taluni prodotti presentino un design di qualità non implica necessariamente che un marchio costituito dalla forma tridimensionale di tali prodotti possa distinguere i prodotti medesimi da quelli di altre imprese. Il Tribunale rileva che la presa in considerazione dell’aspetto estetico del marchio richiesto non equivale ad una valutazione sulla bellezza del prodotto di cui trattasi, bensì mira a verificare se tale aspetto sia idoneo a suscitare un effetto visivo oggettivo e inusuale nella percezione del pubblico di riferimento>>:             pacifico: l’aspetto estetico è considerato solo per vedere se il segno è <distintivo> (v. nota 1, ivi: <<dire che un marchio ha carattere distintivo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), equivale a dire che tale marchio permette di identificare il prodotto, per il quale è chiesta la registrazione, come proveniente da un’impresa determinata e, dunque, di distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese>>)

3: <<il Tribunale constata che la forma in questione è inusuale per un rossetto e differisce da qualsiasi altra forma presente sul mercato. Infatti il Tribunale osserva innanzitutto che tale forma ricorda quella dello scafo di un battello o di un paniere. Orbene, una forma siffatta differisce significativamente dalle immagini considerate dalla commissione di ricorso, le quali rappresentavano per lo più rossetti di forme cilindriche e parallelepipede. Inoltre la presenza di una piccola forma ovale in rilievo è insolita e contribuisce alla parvenza inconsueta del marchio richiesto. Infine il fatto che il rossetto rappresentato da tale marchio non possa essere posizionato in modo verticale accentua l’aspetto visivo inconsueto della sua forma>>:            il giudizio è fattual-estetico ma è difficile pronunciarsi su di esso, data la menzionata sfocatura delle riproduzioni.

4: pertanto <<il pubblico di riferimento rimarrà sorpreso da tale forma facilmente memorizzabile e la percepirà come significativamente diversa dalla norma o dagli usi del settore dei rossetti ed idonea ad indicare l’origine dei prodotti interessati. Il marchio richiesto è quindi dotato di un carattere distintivo che ne consente la registrazione>> : applicazione del ragionamento di cui al numero preced.

Sentenza milanese sul marchio c.d. di posizione

il portale giurisprudenzadelleimprese.it dà notizia di una interessante sentenza 2020 sul marchio di posizione, definente la lite in primo grado  tra due note imprese dell’abbigliamento (sent. 29.12.2020 sez. spec. impresa, n° 8845/2020, Rg 15722/2018, Diesel c. Calvin Klein).

Il segno de quo è costituito da una striscia posta sulla quinta tasca anteriore destra di un jeans (quella piccolina, porta-monete in origine): Diesel l’ha collocata in obliquo, mentre CK in orizzontale (cioè parallela alla c.d. cintura del jeans, ove sono attaccati i passanti).

Per il collegio il marchio di posizionamento è valido, perchè astrattamente distintivo e perchè non infrange esigenze collettive di disponibilità del segno : <<Trattasi dunque di marchio di posizionamento, posto che nella sua descrizione particolare evidenza risulta essere conferita sia alla specifica apposzione di esso sulla quinta tasca anteriore di un paio di jeans – indipendentemente dalla configurazione di tale indumento – sia nella particolare posizione della striscia di tessuto rilevabile nell’immagine che appare inclinata rispetto al borso superiore della tascasulla quale è apposta .     Ritiene il Collegio che un siffatto segno possa essere oggetto di un uso e di una registrazione come marchio, posto che tale etichetta costituisce un aspetto “capriccioso” ed inessenziale, essendo tutelata non la striscia che compone un’etichetta tout court, bensì una sua specifica configurazione indicata sostanzialmente nella posizione sull’indumento e nella sua inclinazione.    Tale tipologia di etichetta per il suo posizionamento può dunque integrare in sé un segno valido poiché non costituito esclusivamente dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto (art. 9, comma 1,lett. c) c.p.i.) in quanto esso non investe in alcun modo l’aspetto esteriore del prodotto né ne condizionala forma sotto il profilo ornamentale. D’altra parte è pacifico che tale striscia di tessuto è stata sempreutilizzata nell’ambito del marchio più complesso comprendente la denominazione Diesel .  In tale contesto dunque il segno rivendicato non può costituire il motivo per cui il consumatore decidedi acquistare quel tipo di pantalone jeans. Esso dunque rispetta in sé il principio di estraneità delmarchio al prodotto, la cui violazione renderebbe invece insuscettibili di tutela come marchio i disegniornamentali del prodotto quando abbiano carattere meramente estetico – tutelabili quindi come modelli- ossia quando attribuiscano allo stesso solo un “valore sostanziale”, divenendo elemento influente sullascelta d’acquisto (cfr. caso Burberry Check, Cass., n. 5243/1999, cfr. CG C-299/99, “Philips”; CG C-205/13, “Stokke”, cfr. Trib. UE, T-508/08, “Bang & Olufsen”)>>.

Inoltre, il segno non solo è in astratto ammissibile alla privativa, ma anche in concreto distintivo di una certa azienda (di Diesel), § 2.1-2.2 (distinzione concettuale fondata sul dettato normativo ma di dubbia esattezza).

Nè ricorre la funzione ornametnale e nemmeno la standardizzazione, § 2.3.

La tutela perà non viene concessa poichè il segno avversario orizzontale è sufficientemente diverso da scongiurare il rischio di confondibilità, p. 15.

Interessante infine è l’affermazione per cui conta il segno come chiesto in registrazione e non come viene percepito a seguito dell’uso , che eliminerebbe o ridurrebbe la caratteristica della obliquità/inclinazione nella percezione del pubblico: <<Né vale opporre a tale considerazione come hanno sostenuto le attrici il fatto che nell’uso quotidiano in realtà la caratteristica dell’inclinazione dell’etichetta andrebbe persa per effettto dei vari movimenti di chi indossa il pantalone. Tale rilievo che in sé pare contraddire le stesse tesi delle attrici quanto alla validità del loro segno rispetto a segni anteriori non può essere considerato nella valutazione di interferenza, dovendosi procedere ad un confronto tra i segni così come apposti sui prodotti e come registrati rispetto a quelli in contestazione. Diversamente l’ambito di tutela del segno in questione risulterebbe indebitamente allargato fino a coprire di fatto quei segni che la stessa titolare del marchio considera non interferenti>>

La corte milanese richiama il precedente europeo Corte Giustizia 18 aprile 2013, C-12/12, Colloseum Holding AG/Levi Strauss & Co.

La sentenza pare sostanzialmente esatta. Solo che non precisa la base normativa della tutela da  marchio di fatto (azionato assieme alla registrazione): la quale consiste nell’art. 2598 cc. (disposizione mai invocata in motivazione) e non nella disciplina posta dal cod. propr. ind.

“Luxy” non è confondibile con “Luxury”: quasi un caso di keyword advertising

Il tribunale del Central District of California, 3 ottobre 2021, Case 2:20-cv-00423-RGK-KS, Reflex media c. Luxy decide una domanda di violazione di marchio e concorrenza sleale.

Il marchio azionato era <Luxy> scritto con una certa paricolarità grafica.

Il resistente aveva fatto un’inserzione in Google Search: digitando <luxy> compariva -tra quattro- il suo annuncio a pagamento con titolo <Luxury dating site. For elite relatgionship> (v. riproduzione sotto).

La corte nega che tale titolo violi il diritto sul marchio predetto: <<Plaintiffs’ advertisement does not contain the word “Luxy” or appear to cause any more confusion than the other three advertisements. Even so, Defendant alleges that the title of Plaintiffs’ advertisement — “Luxury Dating Site – For Elite Relationships”—causes confusion because SeekingElite.com and OnLuxy.com offer the same services and because the word “Luxury” is similar to Defendant’s trademark. However, the word “Luxury” and Defendant’s trademark are not alike….the dissimilarity between the marks suggests that Plaintiffs did not intend to deceive the public by incorporating the word “Luxury” into the title of their advertisement.>>

La corte poi nega la genericità di termini  <seeking> <seeking millionaire> etc. per siti di incontri.

(notizia e link alla sentenza , come pure l’immagine di cui sotto, tratti dal blog di Eric Goldman)

https://blog.ericgoldman.org/wp-content/uploads/2021/12/luxy.jpg

Il Trib. UE sui marchi di forma (i rossetti per labbra Guerlain)

Nella lite tra l’Ufficio e Guerlain per la registrazione come marchio di forma costituto da  stick portanti rossetto per labbra (e non costituiti direttamente dal rossetto),  il Tribunale ribalta le decisioni negative del’luifficio e mne aferma la validità.

Si trata di Trib. UE 14.07.2021, T-488/20, che decide in base al reg. 1001 del 2017

qualche indicazione realistica sulla loro forma  nei disegni e immagini in sentenza (§§ 2 e 7; solo in francese).

Nella scheda di sintesi in italiano leggiamo che:

<< In primo luogo, il Tribunale ricorda che la valutazione del carattere distintivo non si basa sull’originalità o sul mancato uso del marchio richiesto nel settore cui appartengono i prodotti e i servizi interessati Infatti un marchio tridimensionale costituito dalla forma del prodotto deve necessariamente discostarsi significativamente dalla norma o dagli usi del settore interessato. Pertanto la mera novità di tale forma non è sufficiente per concludere che esiste un carattere distintivo. Tuttavia il fatto che un settore sia caratterizzato da una considerevole varietà di forme di prodotti non implica che un’eventuale nuova forma sia necessariamente percepita come una di esse

In secondo luogo, secondo il Tribunale, la circostanza che taluni prodotti presentino un design di qualità non implica necessariamente che un marchio costituito dalla forma tridimensionale di tali prodotti possa distinguere i prodotti medesimi da quelli di altre imprese. Il Tribunale rileva che la presa in considerazione dell’aspetto estetico del marchio richiesto non equivale ad una valutazione sulla bellezza del prodotto di cui trattasi, bensì mira a verificare se tale aspetto sia idoneo a suscitare un effetto visivo oggettivo e inusuale nella percezione del pubblico di riferimento.

In terzo ed ultimo luogo, tenendo conto delle immagini considerate dalla commissione di ricorso come rappresentative della norma e degli usi del settore interessato, il Tribunale constata che la forma in questione è inusuale per un rossetto e differisce da qualsiasi altra forma presente sul mercato. Infatti il Tribunale osserva innanzitutto che tale forma ricorda quella dello scafo di un battello o di un paniere. Orbene, una forma siffatta differisce significativamente dalle immagini considerate dalla commissione di ricorso, le quali rappresentavano per lo più rossetti di forme cilindriche e parallelepipede. Inoltre la presenza di una piccola forma ovale in rilievo è insolita e contribuisce alla parvenza inconsueta del marchio richiesto. Infine il fatto che il rossetto rappresentato da tale marchio non possa essere posizionato in modo verticale accentua l’aspetto visivo inconsueto della sua forma.

Il Tribunale pertanto ritiene che il pubblico di riferimento rimarrà sorpreso da tale forma facilmente memorizzabile e la percepirà come significativamente diversa dalla norma o dagli usi del settore dei rossetti ed idonea ad indicare l’origine dei prodotti interessati. Il marchio richiesto è quindi dotato di un carattere distintivo che ne consente la registrazione >>.

Precedente di cui tener buona nota nelle (quasi mai semplici) vertenze in tema di marchio tridimensinale

Marchio “Borro” (o “il Borro”) per vini: valido, invalido o valido ma debole?

Altra lite sul marchio <Borro> per vini: la SC conferma che è segno debole e rigetta il ricorso .

Così Cass. 26.872 del 04.10.2021, rel. Terrusi, Il Borro Agricola srl c. Il Sapito srl +1.

La corte di appello fiorentina aveva confermato la decisione del tribunale della stessa città <che aveva ravvisato il carattere debole del marchio “Il Borro”, registrato dall’attrice Il Borro soc. Agricola s.r.l., in quanto corrispondente a un sostantivo comune e a toponimo diffuso in ambiente toscano, peraltro dotato di una certa capacità distintiva, ed escluso l’illiceità della condotta di contraffazione e concorrenza sleale ascritta alla convenuta Omnibus s.r.l. (incorporante la Animar Tognetti s.r.l.) e alle chiamate in causa R.S. (titolare della ditta Podere La Casetta) e Il Sapito s.r.l. in conseguenza della commercializzazione di vini da parte loro con marchio in parte riproducente il termine “borro”;

la corte d’appello ha ritenuto il marchio debole perché non svincolato dai caratteri dell’azienda e del prodotto, né assurto a chiara fama, essendo corrispondente a un termine che, nell’idioma toscano, indica una particolare conformazione orografica del terreno, non di rado associata al posizionamento di vigne, che si rinviene in molte indicazioni toponomastiche di poderi, tenute e borghi sì da esser divenuta di uso comune nell’ambiente;

ha dunque osservato che legittimamente il termine poteva essere utilizzato da altri imprenditori vinicoli con varianti idonee, come nella specie, a evitare confusione, mediante adozione di accorgimenti distintivi collaterali di tipo estetico/grafico e con indicazione della specifica casa produttrice, che non potevano sfuggire all’attenzione del consumatore del prodotto vinicolo di qualità;>>

La SC è della stessa idea: <nella specie la sentenza impugnata ha infine comunque specificato in qual senso il marchio “il Borro” dovesse esser intendersi come marchio debole, essendo incentrato per l’appunto su un termine (“borro”) indicativo di un elemento morfologico e naturalistico del terreno; e questa Corte, in separate controversie tutte riferibili alla tutela del citato marchio, ne ha confermato la conclusione in base al fatto che l’uso di un vocabolo indicativo di una determinata conformazione del territorio, sovente tipica proprio dei luoghi di produzione del vino, è a tal punto di uso comune da appartenere, in pratica, al linguaggio quotidiano (Cass. n. 4254-19, Cass. n. 10980-21);>, sub III (si notino le altre pronuncie della SC sul medesiumo marchio).

La Sc però rettifica la decisione diappello negando che si tratti di marchio geografico: <va detto, a parziale correzione di quanto sostenuto nella sentenza d’appello, che non è propriamente un marchio geografico quello che indica una semplice caratteristica morfologica di un elemento naturale, come la conformazione del terreno, trattandosi in tal caso di una mera indicazione di comune linguaggio>, sub II.

<Borro> nel Grande Dizionario dell’Uso di T. De Mauro, è così spiegato:

“borro /’borro/ (bor•ro) s.m. (RE) sett., tosc.
1 stretto avvallamento, canale in declivio scavato dall’erosione delle acque | fosso che raccoglie le acque di scolo dei campi | canale di scarico delle paludi
2 (LE) burrone”.

I giudici europei sul marchio sonoro

Il suono dell’apertura di una lattina per bevande (di vario tipo) è registrabile? No, secondo Trib. 07.07.2021, T-668/19, Ardagh Metal Beverage Holdings GmbH & Co. KG c. EUIPO.

 Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è un segno sonoro che ricorda il suono che si produce all’apertura di una lattina di bevanda, seguito da un silenzio di circa un secondo e da un gorgoglio di circa nove secondi. Un file audio è stato prodotto dalla ricorrente al momento del deposito della domanda di registrazione, § 2.

E’ importante ricordare le classi domandate: v. § 3.

La fase amministrativa è andata male per l’istante e così pure ora in Tribunale UE.

il T. critica la decisione della Commissione dei ricorsi di avvalersi del criterio per la distntività proprio dei marchi di forma : <<solo un marchio che si discosti in modo significativo dalla norma o dagli usi del settore e che, di conseguenza, assolva la sua funzione essenziale d’indicatore d’origine non è privo di carattere distintivo ai sensi di detta disposizione (sentenza del 7 ottobre 2004, Mag Instrument/UAMI, C‑136/02 P, EU:C:2004:592, punto 31).>>,  § 29.

Infatti non  è trasportabile nemmeno per analogia ai marchi non di forma (§ 33; su questo punto, immotivato, ci sarebbe  però molto da dire). Si tratta comunque  l’errore che viziatur se non viziat , dato che la decisione aveva anche altre basi motivatorie, § 34

Quanto al merito della distintività, nonostante non si tratti solo di bevande gassate (in primis richaimate dal tipo di suono) , la distinvità  è ugualmente carente per tutte le classi:

<<Infatti, da un lato, il suono emesso al momento dell’apertura di una lattina sarà considerato, alla luce del tipo di prodotti di cui trattasi, come un elemento puramente tecnico e funzionale, dato che l’apertura di una lattina o di una bottiglia è intrinseca ad una soluzione tecnica determinata nell’ambito della manipolazione di bevande ai fini del loro consumo, indipendentemente dal fatto che siffatti prodotti contengano gas carbonico o meno.

41      Orbene, qualora un elemento sia percepito dal pubblico di riferimento come elemento che soddisfa principalmente un ruolo tecnico e funzionale, esso non sarà percepito come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti interessati [v., per analogia, sentenza del 18 gennaio 2013, FunFactory/UAMI (Vibratore), T‑137/12, non pubblicata EU:T:2013:26, punto 27 e giurisprudenza ivi citata].

42      D’altro lato, il suono del gorgoglio delle bollicine sarà immediatamente percepito dal pubblico di riferimento come richiamo a bevande.

43      Inoltre, gli elementi sonori e il silenzio di circa un secondo che compongono il marchio richiesto, considerati nel loro insieme, non possiedono alcuna caratteristica intrinseca che consenta di ritenere che, oltre alla loro percezione come indicazione di funzionalità e come richiamo ai prodotti di cui trattasi per il pubblico di riferimento, questi potrebbero anche essere percepiti da tale pubblico come un’indicazione dell’origine commerciale.

44      È vero che il marchio richiesto presenta due caratteristiche, vale a dire il fatto che il silenzio duri circa un secondo e che il suono del gorgoglio delle bollicine ne duri circa nove.

45      Tuttavia, tali sfumature, rispetto ai suoni tipici prodotti dalle bevande all’apertura, nel caso di specie non possono essere sufficienti per respingere l’obiezione fondata sull’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, in quanto esse saranno percepite dal pubblico di riferimento, come indicato ai precedenti punti 19 e 21, solo come una variante dei suoni abitualmente emessi da bevande al momento dell’apertura del loro contenitore, e non conferiscono quindi al marchio sonoro richiesto alcuna facoltà di identificazione tale da renderlo riconoscibile come marchio.

46      Pertanto, come giustamente rilevato dall’EUIPO, il silenzio dopo il suono di apertura di una lattina e la lunghezza del suono del gorgoglio, di circa nove secondi, non sono abbastanza pregnanti per distinguersi dai suoni comparabili nel settore delle bevande. La mera circostanza che un gorgoglio di breve durata immediatamente successivo all’apertura di una lattina sia più usuale nel settore delle bevande rispetto a un silenzio di circa un secondo seguito da un lungo gorgoglio non è sufficiente affinché il pubblico di riferimento attribuisca a tali suoni un qualsiasi significato che gli consenta di identificare l’origine commerciale dei prodotti di cui trattasi.

47      Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la combinazione degli elementi sonori e dell’elemento silenzioso non è quindi inusuale nella sua struttura, in quanto i suoni di apertura di una lattina, di un silenzio e di un gorgoglio corrispondono agli elementi prevedibili e usuali sul mercato delle bevande.

48      Tale combinazione non consente quindi al pubblico di riferimento di identificare detti prodotti come provenienti da una determinata impresa e di distinguerli da quelli di un’altra impresa.

49      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso ha correttamente concluso che il marchio richiesto era privo di carattere distintivo per tutti i prodotti compresi nelle classi 29, 30, 32 e 33>>.

Il T. richiama come precedente per marchio sonoro la propria sentenza 13.09.2016, T-408/15, Globo Comunicação e Participações S/A c. EUIPO, che aveva negato la retgistraezione per carenza di distintività (banalità del suono).

Il marchio “Heartfulness” per servizi di spiritualità è confermato generico

Era stato chiesto in registrazione il marchio denominativo (dice però figurativo, il T.) “Heartfulness” per servizi educativi e di spiritualità. Il richeidente è una fondazione che si occupava appunto di questo.

IN sede amministrativa la domanda è stata responta perchè segno descrittivo

In sede giuiziaoe il Tribunale UE (T.) con sentenza 03.03.2021, T-48/20, Sahaj Marg Spirituality Foundation c. EUIPO , conferma la decisione ammnistrativa.

Il nome era stato creato dal ricorrente “in order to designate a particular relaxation and meditation technique and that, therefore, consumers identify the applicant with the mark applied for“, § 13. Nell’Oxford Dicionary online Lexico, però, risulta di origine settecentesca

La domanda viene esaminata ex art. 7.1.b-c (spt. lettera c) del reg. 2017/1001 , che regola le indicazioni descrittive, sanzionandole con nullità-.

Ebbene il T. trova il termine descrittivo e conferma il rigetto del Board of Appeal: <<As the Board of Appeal was right to consider in paragraphs 15 and 16 of the contested decision, the mark applied for will be understood, without the need for further reflection on the part of the consumer, as containing direct information on the nature and subject matter of the goods and services concerned, namely goods or services having as their subject matter a particular meditation and relaxation method or technique>>, § 28.

Non era decisione difficile.

Viene solo da pensare alla vecchia questione del marchio, costituito dal nome di  prodotto nuovo (volendo ravvisare nello specifico servizio di spiritualità un nuovo servizio): si v. Di Cataldo, I segni distintivi, Giuffrè, 1985, pp. 87-89.

Solo che qui da un lato non c’è brevettazione (nè potrebbe esserci), come avviene di solito in relazione a detta questione. Dall’altro, il termine scelto ha già (di per sè) nella percezione dei consumatori un riferimento al tipo di servizio offerto. Quindi il riferimento probabilmente non è calzante.

Validità di marchio costituito da lettera “W” e sua confondibilità col successivo marchio in cui la lettera è inserita in marchio complesso

La Starwood Hotels & Resorts Wordlwide, grande catena titolare di strutture alberghiere in tutto il mondo,  è titolare di svariati marchi rappresentanti la lettera dell’alfabeto <W>.

Si accorge che altra azienda usa marchio simile pur se complesso , facendola precedere dalla parola <La Bottega>, in caratere più piccolo e con sovrapposizione merceologica.

Il Trib. di Roma con sent. 203/2021 del 07.01.2021, RG 36301/2016 accerta la validità del marchio attoreo, confemando un orientamento ormai consolidato (c’erano state opinioni opposte in passato): la lettera singola è tutelabile , almeno astrattametne (cioè tipologicamente).  E ciò anche senza particolari specifiche grafiche . Del resto la legge non è equivoca sul punto (art. 7/1 prima parte, cpi).

Anzi, è marchio forte, dice il Trib..

Nello stesso senso ricorda altri precedenti, anche propri (Trib. Roma sez. spec. sent. 9294/2012), cui si può aggiungere Trib. Roma  IX sez. 19.01.2015, G.A.D.I., 2016-XLV, § 6354, p. 171, massime 2 e 4 (sempre concernente il medesimo attore e il medesimo marchio <W>).

Trascura però di osservare che ciò non sottrae il marchio al giudizio sulla sua distintività in concreto.

Anzi è dubbio se si possa parlare di accertamento di validità in proposito, visto che il convenuto non ne ha contestato la validità (probabilmente è però esatto , se lo si ritiene un presupposto logico dei capi di sentenza accertativi della nullità e contraffazione del marchio del convenuto, quindi anche esso coperto da giudicato).

L’attrice aveva chiesto la dichiarazione sia di nullità che di contraffazione, la prima con inibitoria ex art. 21.3 cpi.  Quest’ultima è domanda non fondata , dato che la disposizione parla di nullità che comporti <<illiceità dell’uso>> e cioè ex art. 14/1.a-b (forse anche lettere c.bis segg., ma non la lettera c).

Un’inibitoria specifica poi non aggiunge nulla alla dichiarazione di nullità in termini di doverosità, dato che il divieto è già posto dal cit. art .21/3 cpi: però serve per agganciarla ad un’astreinte.

Nega il danno da lucro cessante (l’attrice aveva chiesto royalties al 10% come prezzo del consenso) dato che anche la condanna ex art. 125/2 cpu presuppone che un qualche danno sia provato. Liquida invece <<in via equitativa un risarcimento del danno emergente correlata all’incidenza negativa della contraffazione sulla unicità e sulla capacità distintiva del marchio ‘W’ contraffatto dalle convenute, che si quantifica in euro 10.000,00 alla data della decisione>> (motivazione un pò vaga).

Da notare che viene negato il rapporto di concorrnzialità (v. § 15). Se ne deduce che la violazione di un marchio altrui è possibile anche da parte di chi tecnicamente (e al momento) non ne è concorrente: cosa non strana, dato che solo il non uso per cinque anni penalizza chi non utilizzi il marchio per i prodotti per cui lo ha registrato.

Sulla genericità (apparente) di marchio denominativo

Interessante decisione sul marchio denominativo “IT’S LIKE MILK BUT MADE FOR HUMANS” per  Classi 18, 25, 29, 30 and 32  della classificazione di Nizza, emessa  da Trib. UE 20.01.2021, T-253/20, Oatly AB c. EUIPO. (di seguito solo : T.). Presente soprattutto due profili di interesse.

Era stata negata la registrazione per prodotti in classe 29 (caseari …), 30 (dolci biscotti etc.) e  32 bevande etc., § 6, sulla base dell’art. 7.1.b in connessione all’art. 7.2 del reg. 2017/1001 (carenza di distintività).

Il T. ricorda che la funzione protetta  è quella distintiva, § 20.

Basta anche un minimo grado di distintività, § 22.

I criteri per il giudizio di distintività sono uguali per ogni clase merceologica,  anche se la percezione nel pubblico può variare , § 25.

Il contenuto elogiativo non per questo priva il marchio di distintività , potendola mantenere assieme alla sua valenza promozionale (da noi : art. 13.1.a c.p.i.). E’ il primo profilo di interesse : la possibilità di convivenza dei due aspetti. Osserva il T.: <<consequently, a trade mark consisting of an advertising slogan must be regarded as being devoid of any distinctive character if it is liable to be perceived by the relevant public only as a mere promotional formula. By contrast, and according to settled case-law, such a mark must be recognised as having distinctive character if, apart from its promotional function, it may be perceived immediately by the relevant public as an indication of the commercial origin of the goods and services concerned >, § 28

Circa l’individuazione del parametro soggettivo (consumatore di riferimento)  si tratta della english speaking people: e cioè solo quella degli stati ove  tale lingua è lingua ufficiale e non di quelli ove, pur non essendolo, è tuattavia lingua largamente conosciuta, § 35

Infine (l’altro profilo di interesse) il messaggio veicolato dal marchio denominativo (sostituto del latte ma privo degli effetti nocivi talora prodotti dal latte) è sufficientemente distintivo.  Infatti la contrappoitzione tra la prima parte (è come il latte) e la seconda (ma non ne ha gli svantaggi) porta a tale conclusione. In altra parole il marchio de quo <<conveys a message which is capable of setting off a cognitive process in the minds of the relevant public making it easy to remember and which is consequently capable of distinguishing the applicant’s goods from goods which have another commercial origin. The mark applied for therefore has the minimum degree of distinctive character required by Article 7(1)(b) of Regulation 2017/1001>>, §§ 46 e 48.

Affermazione di una certa importanza e foriero di sviluppi futuri: se si genera un processo cognitivo facilitante la  memorizzazione, si genera anche distintività ai sensi delle disposizioni de quibus.