Marchio di servizio e sua apposizione diffusa sui beni usati per il servizio

Dai giudici svedesi giunge alla Corte di giustizia (CG) un caso interessante sui marchi tridimensionali, nella modalità di marchi che vanno a ricoprire il prodotto (cioè ne costituiscono il rivestimento). Nulla sposta che si tratti di marchio apposto non su prodotti realizzati dall’imprenditore ma su beni usati per la prestazione di servizi.

Si tratta di Corte di Giustizia 8 ottobre 2020, C-456/19, Aktiebolaget Östgötatrafiken contro Patent – och registreringsverket.

Nel caso specifico si trattava di marchio apposto su mezzi di trasporto usati per la prestazione di servizi appunto di trasporto (v. le numerose figure in sentenza).

La domanda posta dai giudici verte in sostanza sul se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 [cioè la norma che richiede la distintività del segno chiesto in registrazione] debba essere interpretato nel senso che <il carattere distintivo di un segno per il quale venga richiesta la registrazione come marchio relativo ad un servizio, consistente in motivi colorati e destinato ad essere apposto esclusivamente e sistematicamente in un determinato modo ricoprendo gran parte dei beni utilizzati ai fini della prestazione del servizio medesimo debba essere valutato in relazione ai beni medesimi, esaminando se tale segno si discosti in modo significativo dalla norma o dalle consuetudini del settore economico interessato>, § 31.

In particolare, come noto a chi si occupa di marchi, conta l’ultima parte del quesito e cioè se debba distaccarsi dalle consuetudini del settore.

Il giudice ricorda che è essenziale la percezione del pubblico di riferimento circa l’apposizione del segno sui beni, secondo le regole generali, dato che il marchio verrà  apposto sistematicamente e sempre in un certo modo, §§ 31 e 34.

Ed allora il requisito di distintività sarà soddisfatto <qualora da tale esame risulterà che le combinazioni di colori, apposte sui veicoli da trasporto della ricorrente nel procedimento principale, consentano al consumatore medio di distinguere, senza possibilità di confusione, tra i servizi di trasporto forniti da tale impresa e quelli forniti da altre imprese>, § 37.

Ma a questo proposito -ecco il punto più interssante-  <non occorrerà esaminare se i segni richiesti ai fini della registrazione come marchio differiscano in modo significativo dalla norma o dalle consuetudini del settore economico interessato>, § 39.

Infatti il criterio di valutazione, relativo all’esistenza di una significativa divergenza dalla norma o dalle abitudini del settore economico interessato, <si applica ai casi in cui il segno sia costituito dall’aspetto del prodotto per il quale la registrazione come marchio venga richiesta, dato che il consumatore medio non ha l’abitudine di immaginare quale sia l’origine dei prodotti basandosi, in assenza di qualsiasi elemento grafico o testuale, sulla loro forma o su quella del loro confezionamento> § 40; oppure anche <qualora il segno sia costituito dalla rappresentazione dell’allestimento di uno spazio fisico in cui siano forniti i servizi per i quali la registrazione come marchio venga richiesta>, § 41 (il noto caso degli interni dei negozi Apple, citato dalla CG).

Situazioni, che non ricorrono nel caso delle colorazioni apposte su autobus o treni: <se è pur vero che i beni utilizzati per la fornitura dei servizi oggetto del procedimento principale, ossia veicoli da trasporto, compaiono tratteggiati nelle domande di registrazione, al fine di indicare sia le parti in cui i marchi richiesti sono destinati ad essere apposti sia i loro contorni, i segni di cui viene richiesta la registrazione come marchi non si confondono tuttavia con la forma o l’imballaggio dei beni medesimi, né sono volti a rappresentare lo spazio fisico in cui i servizi vengono forniti. I segni de quibus consistono, infatti, in composizioni di colori disposte sistematicamente e circoscritte nello spazio. Le domande di registrazione riguardano quindi elementi grafici ben determinati che, contrariamente ai segni contemplati dalla giurisprudenza richiamata supra ai punti 40 e 41, non sono diretti a rappresentare un prodotto o uno spazio di prestazione di servizi mediante la semplice riproduzione delle sue linee e dei suoi contorni>, § 43.

La risposta al questito interpretativo è allora la seguente: <l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 dev’essere interpretato nel senso che il carattere distintivo di un segno, del quale sia richiesta la registrazione come marchio relativo ad un servizio, composto da motivi colorati e destinato ad essere apposto esclusivamente e sistematicamente in un determinato modo su gran parte dei beni utilizzati ai fini della prestazione del servizio medesimo, dev’essere valutato tenendo conto della percezione da parte del pubblico interessato dell’apposizione sui beni stessi del segno in questione, senza che occorra esaminare se tale segno si discosti in modo significativo dalla norma o dagli usi del settore economico interessato>, § 44.

Resta da vedere se veramente la colorazione quasi per intero degli automezzi (impiegati da un prestatore di servizi) differisca ai nostri fini dall’imballaggio dei prodotti (immessi sul mercato da un prestatore di beni).

La Corte Suprema degli Stati Uniti si pronuncia sulla genericità del marchio “Booking.com”

E’ arrivata alla Corte Suprema la questione della distintività del marchio <booking.com> dell’omonima compagnia olandese, nota in tutto il mondo per i servizi di prenotazione on-line di alberghi e simili: è la sentenza 30 giugno 2020 n. 19-46, United States Patent and Trademark Office e altri c. Booking.com B.V.

Lo United States Patent and Trademark Office (USPTO) aveva agito davanti alla Corte Suprema dopo due sconfitte nei gradi inferiori, pp. 5-6: in particolare proponeva alla C.S. l’accoglimento della regola per cui un termine generico rimane generico anche se unito al top level domain <.com>.

La Corte rigetta però la domanda

A p. 6 ricorda le regole principali in materia, secondo cui: i) è generico il termine che indica una classe di beni e servizi anziché alcune specifiche caratteristiche o esempi della classe; ii) Il giudizio di distintività riguarda l’intero segno e non una parte isolata; iii) è e decisivo il significato presso i consumatori.

Visto che le prove hanno dimostrato che<booking.com> non è percepito come generico dei consumatori, ciò basta per non ritenerlo generico, p. 7.

La Suprema Corte rigetta poi la forza del precedente Goodyear’s India Rubber Glove Mfg. Co. v. Goodyear Rubber Co., 128 U. S. 598 (addirittura del 1888!), secondo cui Goodyear Rubber Company non è suscettibile di appropriazione esclusiva: <<Standing alone, the term “Goodyear Rubber” could not serve as a trademark because it referred, in those days, to “well-known classes of goods produced by the process known as Goodyear’s invention.” (…) “[A]ddition of the word ‘Company’” supplied no protectable meaning, the Court concluded, because adding “Company” “only indicates that parties have formed an association or partnership to deal in such goods.” Ibid. Permitting exclusive rights in “Goodyear Rubber Company” (or “Wine Company, Cotton Company, or Grain Company”), the Court explained, would tread on the right of all persons “to deal in such articles, and to publish the fact to the world.”>>, p. 8.

Non si può invocare questo precedente, dice la SC, poichè il sistema dei nomi di dominio un’entità sola può avere un certo nome di dominio (ad es. <booking.com>),  sì che questa non può che essere un entità determinata e non un nome di genere. Ne segue che i consumatori, quando vedono <booking.com> pensano ad una specifica entità imprenditoriale e non ad un tipo generico di servizio, p. 9.

Infatti l’unico criterio è la percezione nel mercato: <<whether any given “generic.com” term is generic, we hold, depends on whether consumers in fact perceive that term as the name of a class or, instead, as a term capable of distinguishing among members of the class>>, p. 11.

Al § B la Corte affronta i profili di riduzione della concorrenza, che la registrazione comporterebbe: sono pure molto interessanti ma qui non possono essere affrontati perché richiederebbero esame specifico (v. sul punto l’opposta posizione del giudice Breyer, infra).

A parte la concurring opinion del giudice Sotomayor su profili secondari, è invece interessante l’opinione dissenziente del giudice Breyer, secondo il quale invece il segno <booking.com> è generico. Secondo lui, aggiungere il suffisso <.com> ad un termine generico, in linea di massima non aggiunge significato a quello proprio delle singole componenti . Infatti <<when a website uses an inherently distinctive secondlevel domain, it is obvious that adding “.com” merely denotes a website associated with that term. Any reasonably well-informed consumer would understand that “postit.com” is the website associated with Post-its. (…) Likewise, “plannedparenthood.com” is obviously just the website of Planned Parenthood (…) . Recognizing this feature of domain names, courts generally ignore the top-level domain when analyzing likelihood of confusion.(…) . Generic second-level domains are no different. The meaning conveyed by “Booking.com” is no more and no less than a website associated with its generic second-level domain, “booking.” This will ordinarily be true of any generic term plus “.com” combination. The term as a whole is just as generic as its constituent parts>>

Il punto più interessante dell’opinione dissenziente è quello relativo alla unicità del nome di dominio. Come detto sopra, questo punto è stato ritenuto decisivo dalla maggioranza per giudicare il segno “non generico” e per rigettare l’autorità della sentenza Goodyear.

La pensa all’opposto il giudice Breyer. Scondo lui (p. 7/8) questo  aspetto di funzionamento tecnico del sistema dei domain names non permette di differenziare dalla fattispecie esaminata in Goodyear.

infatti ad esempio <Wine Incorporated> implica l’esistenza di una specifica ed un’unica società incorporata secondo la legge di qualche Stato _USA. Analogamente i consumatori che si imbattessero in <The Wine Company> penserebbero ad una specifica compagnia e non al genere.  L’aggiunta  <<of the definite article “the” obviously does not transform the generic nature of that term>>, p.7. E’ irrilevante dire che i consumatori non lo usino come termine di genere e cioè che non direbbero mai <travelocity> [concorrente di Booking] è un booking.com intendo il genere, p. 7.

La questione non è semplice da dipanare ma alla fine è preferibile l’opinione del giudice Breyer. Del resto l’aggiunta di <Spa> o <srl> corrisponde  abbastanza sotto il profilo funzionale della comunicazione commerciale all’aggiunta di un top level domain. Anche da noi non può esistere una società con una denominazione identica ad un’altra (artt. 2564 e 2567 c.c.) e il fatto che ciò sia imposto dalla legge, anziché dalla dal profilo tecnico informatico, non permette di giungere a conclusioni diverse.

Quindi il marchio sub iudice doveva essere ritenuto generico, tranne l’effetto salvifico di un secondary meaning (da noi, ex art. 13 comma 3 CPI).

Sul grado di conoscenza del marchio nel mercato, Booking.com aveva portato gli esiti di sondaggi secondo cui <<74.8% of participants thought that “Booking.com” is a brand name, whereas 23.8% believed it was a generic name. App. 66. At the same time, 33% believed that “Washingmachine.com”— which does not correspond to any company—is a brand, and 60.8% thought it was generic>> p. 9.     Tuttavia questo sondaggio non induce il giudice Breyer a cambiare opinione: egli sembra anzi sostenere che l’imprecisione di questi sondaggi impedisca sempre di basarsi su di essi per affermare la distintività del segno. Qui la questione diventa probatoria: bisogna cioè capire se il sondaggio costituisca prova sufficiente di distintività oppure no.  Si tratta di una questione fattuale che può essere decisa solo caso per caso: e potrebbe anche essere decisa nel senso che un sondaggio è sufficiente a dare questa prova qualora secondo le regole della scienza statistica sia fatto molto bene e cioè sia  altamente rappresentativo.

E’ interessante la parte finale dell’opinione di Breyer sui profili anticoncorrenziali della registrazione di termini generici, pp. 10-11. Egli individua i seguenti: – il titolare di brevi e generici nome di dominio sono facili da ricordare;  – possono poi creare l’impressione di una maggiore autorevolezza e affidabilità ; – può comportare vantaggi specifici per la presenza in internet (profilo non chiaro); –  stante il sistema del nome di dominio, attribuisce  una automatica esclusività; – sono più facili da trovare per i consumatori i termini generici; – impediscono l’uso di termini simili (profilo non chiaro poiché se il marchio è assai debole, dobvrà sopportare un avvicinamento notevole dei segni dei concorrenti)

Sulla distintività di un marchio tridimensionale il caso degli stivali da neve Moon Boot

La Commissione di ricorso dell’EUIPO (di seguito solo: la Commissione) ha dato torto alla società italiana, produttrice dei notissimi stivali da neve Moon Boot, che pretendeva di proteggerli come marchio di forma. Si tratta della decisione 18 maggio 2020 nel proc. R 1093/2019-1, Tecnica Group SPA contro Zeitneu GmBH, (leggibile nel database EUIPO https://euipo.europa.eu/eSearchCLW/#basic/*///number/1093%2F2019-1 )

Moon Boot richiesti in registrazione come marchio 3D (foto tratta dal database eSearch, EUIPO)

Nel 2011 veniva depositata domanda di marchio tridimensionale del noto stivale (vedi foto sopra) e la domanda veniva accolta con registrazione nell’anno successivo. Nel 2017 ne veniva però richiesto da società svizzera l’annullamento per mancanza di distintività; nel 2019 veniva accolta l’istanza dichiarandosi la nullità del marchio per i motivi indicati al § 6.

La Commissione precisa che la normativa di riferimento è costituita dal reg. 2017/1001, § 11.

Al § 26 la Commissione ricorda la giurisprudenza a cui intende attenersi in materia di marchi tridimensionali.

Particolarmente importanti sono gli ultimi tre trattini che qui riporto

<< –  However, the perception of the average consumer is not necessarily the same in relation to a three-dimensional mark consisting of the appearance of the product itself as it is in relation to a word or figurative mark consisting of a sign which is independent of the appearance of the products it designates. Average consumers are not in the habit of making assumptions about the origin of products on the basis of their shape in the absence of any graphic or textual element, and it could therefore prove more difficult to establish distinctive character in relation to such a three-dimensional mark than in relation to a word or figurative mark (20/10/2011, C-344/10 P and C-345/10 P, Botella esmerilada II, EU:C:2011:680, § 46;    –    Only a mark which departs significantly from the norm or customs of the sector and thereby fulfils its essential function of indicating origin is not devoid of any distinctive character for the purposes of Article 7(1)(b) EUTMR (20/10/2011, C-344/10 P and C-345/10 P, Botella esmerilada II, EU:C:2011:680, § 47);   –    Therefore, where a three-dimensional mark consists of the shape of the product in respect of which registration is sought, the mere fact that that shape is a ‘variant’ of a common shape of that type of product is not sufficient to establish that the mark is not devoid of any distinctive character for the purposes of Article 7(1)(b) EUTMR. It must always be determined whether such a mark permits the average consumer of that product, who is reasonably well informed and reasonably observant and circumspect, to distinguish the product concerned from those of other undertakings without conducting an analytical examination and without paying particular attention (see, to that effect, judgment of 07/10/2004, C-136/02 P, Torches, EU:C:2004:592, § 32)>>

Ne segue che <<the shape of the sign must diverge appreciably from the shape that is expected by the consumer – as stated above it must depart significantly from the norm or customs of the sector (19/09/2001, T-30/00, red-white squared washing tablet (fig.), EU:T:2001:223; 04/10/2007, C-144/06 P, Tabs (3D), EU:C:2007:577) – in other words, the shape must be so materially different from basic, common or expected shapes that it enables a consumer to identify the goods just by their appearance. The more closely the shape for which registration is sought resembles the shape most likely to be taken by the product in question, the greater the likelihood of the shape being devoid of any distinctive character for the purposes of Article 7(1)(b) EUTMR  >>, § 27

Dopo una disamina fattuale su altri prodotti concorrenti, la Commisisone affronta il profilo del consumatore d riferimento: è quello di tutta l’UE , non essendo legato a fattori linguistici, § 44. Inoltre si tratta del pubblico medio, dato che il marchio <<was registered in particular for footwear which are common goods for which the attentiveness of the relevant public is considered to be average, as their price is not exorbitant and they are not considered items that last a lifetime>>, ivi.

Poi rirpende quanto detto prima e cioè che the <<the perception of the relevant public is not necessarily the same in relation to a threedimensional mark consisting of the appearance of the goods themselves as it is in relation to a word or figurative mark consisting of a sign which is independent of the appearance of the goods it designates. Average consumers are not in the habit of making assumptions about the origin of goods on the basis of their shape or the shape of their packaging in the absence of any graphic or word element, and it could therefore prove more difficult to establish distinctive character in relation to such a three-dimensional mark than in relation to a word or figurative mark>>, § 45

Le caratteristiche distintive dello stivale o meglio della sua forme, secondo il titolare, sono quelle indicate al § 47: molte però hanno valenza technica o funzionale, § 48.

Inoltre molte sono usate dai concorrenti § 50 e segg. e ciò spt. per il laccio esterno,  § 51.

(si noti poi il profilo procedurale della utilizzabilità dei documenti presenti nei siti puntati da  link indicati dalle parti: ed anche se autonomamente ivi reperiti dall’Ufficio, parrebbe: § 54)

In breve ci sono molti altri concorrenti che offrono prodotti analoghi (per cui non c’è stato il distanziametno dalle prassi commerciali di settore, sopra ricordato) nè c’è stata prova che si tratti di licenziatari del titolare o comunque di prodotti a lui riconducibili, § 55.

La forma sub iudice, del resto, è tipica del c.d. doposci, § 56.

Bisogna insomma capire se <<such a mark permits the average consumer of that product, who is reasonably well informed and reasonably observant and circumspect, to distinguish the product concerned from those of other undertakings without conducting an analytical examination and without paying particular attention>>, § 59

Per cui ciò che alla fine conta è vedere se <<the shape as a whole departs significantly from the norms and customs of the sector. Therefore, although it is relevant, it is not necessarily fatal that some (perhaps even, all) of the features of a shape are not unique to the mark at issue or unusual in the sector concerned. Equally, the presence of one or more features which are  unique to the shape at issue, or at least unusual in the sector concerned, does not automatically mean that the shape as a whole departs significantly from the norms and customs of the sector. This may be a factor when, considered by itself, the unique or unusual feature(s) in question makes only a small contribution to the overall impression created by the shape>> § 61

Nel caso specifico la Commisione conclude che l’associazione, che può fare l’utente tra segno e titolare del marchio, essite ma non è univoca, § 63: infatti <<the design is a recognisable shape that is, and always has, subsisted in the fabric of the skiing industry>> § 65.

Nè serve allegare le molte imitazioni: queste, come la giurisprudenza insegna, provano semmai la mancanza di distintività, § 68 (punto teoricamente interessante e forse un pò frettolosamente trattato)

Del resto la forma ad <<L>>  è tipica degli stivali nè hanno distintività le altre caratteristiche dello stivale (suola antiscivolo, rivestimenti per tener caldo, etc.), § 72. Anche i lacci esterni son diffusi nel mercato, § 74.

In sintesi, <<the constituent elements of the contested mark taken individually and the shape created taken as a whole will be perceived by the relevant consumers as possible — or even common — variants of the presentation and decoration of those goods. It is clear from the above that the contested mark is sufficiently similar to other common shapes which are, thus, likely to be used for the goods at issue>> § 75.

Decisione priva di importanti considerazioni  in diritto ed interessante soprattutto per l’applicazione fattuale ad un prodotto che ebbe grandissimo successo commerciale in Italia.

Marchi di colore nel diritto statunitense

La United States Court of Appeals per il circuito federale si pronuncia su un caso di marchio di colore: si tratta della sentenza 8 aprile 2020, in re: Forney OIndustries , Inc., caso n° 2019-1073: testo della sentenza qui e database della Corte qui .

Il segno era costituito da una fascia superiore nera e da una inferiore gialla, che scandeva degradando verso il rosso. Era applicato sul packaging di prodotti per la saldatura.

La descrizione fatta da Forney in sede di domanda è stata dapprima la seguente: <<“[t]he mark consists of a solid black stripe at the top. Below the solid black stripe is the color yellow which fades into the color red. These colors are located on the packaging and or labels.”>>, p. 2; successivamente questa : <<“The mark consists of the colors red into yellow with a black banner located near the top as applied to pack-aging for the goods. The dotted lines merely depict place-ment of the mark on the packing backer card.”>>, p. 3

In sede amministrativa era andata male a Forney, sia in prima che in seconda  istanza, p. 3.

La Corte di Appello federale ritiene che l’Appeal Board dell’United States Patent and Trademark Office (USPTO) abbia sbagliato sotto due profili nel negare la registrazione: <<we find that the Board erred in two ways: (1) by con-cluding that a color-based trade dress mark can never be inherently distinctive without differentiating between product design and product packaging marks; and (2) by concluding (presumably in the alternative) that product packaging marks that employ color cannot be inherently distinctive in the absence of an association with a well-defined peripheral shape or border>>, p. 6 (colore rosso aggiunto).

Circa (1)

La Corte ritiene che il marchio possa essere distintivo quando usato sul packaging: quello che conta, secondo la giurisprudenza della corte suprema, è verficare se il pubblico ricolleghi o meno un messaggio di indicazione d’origine, pagina 6

Nelle pagine seguenti La Corte dice che non ci sono precedenti specifici, ma ciononostante ne indica alcuni che possono essere utili

Tornando al caso specifico, ritiene che il marchio di Forney <<comprises the color red fading into yellow in a gradient, with a horizontal black bar at the end of the gradient. It is possible that such a mark can be perceived by consumers to suggest the source of the goods in that type of packaging. Accordingly, rather than blanketly holding that “[c]olors>>, p. 9.

Pertanto l’ufficio avrebbe dovueto accertare <<whether Forney’s mark satisfies this court’s cri-teria for inherent distinctiveness>>, p. 9.

Le disposizioni rilevanti sono il § 1051, § 1052 e § 1127 del 15 US Code (section 1, 2 e 43 del Lanham Act), p. 3.

Si tratta di aspetto pacifico nel diritto europeo, art. 4 reg. 2017/1001 e art. 3 dir. 2015/2436 (è più preciso il nostro art. 7 c.p.i.).

Circa (2)

Poi la corte passa al secondo profilo (necessità di localizzazione del segno sul prodotto) e ritiene che questa statuizione non sia compatibile con il precedente insegnamento.

Infatti, il cosiddetto trade dress (istituto paragonabile al nostro marchio di forma),<<“involves the total image of a product and may include fea-tures such as size, shape, color or color combinations, texture, graphics, or even particular sales techniques.”>>, p. 5. E’ registrabile <<if it serves the same source-identifying function as a trademark. Marks are entitled to protection if they are inherently distinctive, i.e., “their intrinsic nature serves to identify a particular source of a product.”>>, p. 5/6.

Ebbene, per il trade dress le questioni da valutare per concedere tutela sono le seguenti : <<(1) whether the trade dress is a “common” basic shape or design; (2) whether it is unique or unusual in the particular field; (3) whether it is a mere refinement of a commonly-adopted and well-known form of ornamentation for a par-ticular class of goods viewed by the public as a dress or or-namentation for the goods; or, inapplicable here, (4) whether it is capable of creating a commercial impression distinct from the accompanying words. Id. (collecting cases)>> (riferendosi alla sentenza Seabrook Foods del 1977).

Il giudice/l’ufficio deve valutare se il trade dress venga percepito come indicatore di origine, pagina 10 11

Pertanto , anche nella seconda questione, ciò che il Board deve valutare è semplicemente <<whether, as used on its product packaging, the combination of colors and the design those colors create are sufficiently indicative of the source of the goods contained in that packaging. And the Board must assess that question based on the overall impression created by both the colors employed and the pattern created by those colors>>Pagina 11.

Il Board ha allora sbagliato  nell’affermare <<that a multi-color product packaging mark can never be inher-ently distinctive. To the extent the Board’s decision sug-gests that a multi-color mark must be associated with a specific peripheral shape in order to be inherently distinctive, that too, was error>>  pagina 11

Di conseguenza viene annullata la sua decisione amministrativa e gli viene rimandata  affinché accerti in relazione agli usi proposti se <<Forney’s proposed mark is inherently distinctive under the Seabrook factors, considering the impression cre-ated by an overall view of the elements claimed>>, p.11

In sintesi , entrambe le questioni ( se il marchio di colore sia intrinsecamente non distintivo; se -presumibilmente, in caso di risposta negativa alla prcedente-  debba essere localizzato su una porzione specifica del packaging)  trovano risposta negativa: nel senso che l’unico criterio è quello di accertare se vengano percepiti come distintivi cioè come portatori di un indicazione d’origine dal pubblico (dai consumatori, diremmo noi) secondo i quattro fattori della sentenza Seabrook cit..

Distintività del marchio denominativo, costituito da termine riferito ad un’attività un tempo illegale ma ora legale

Con sentenza 19 dicembre 2019, causa/501/18, Currency One S.A. c. EUIPO,  il tribunale Ue ha deciso una lite in cui era in questione la distintività del segno denominativo (in lingua polacca) CINKCIARZ.

La normativa di riferimento invocata dalla ricorrente è costituita dall’articolo 7 paragrafo 1 lettera C (<<Sono esclusi dalla registrazione: … c) i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;>>), da un lato, e dall’articolo 7 paragrafo 1 lettera B (<<Sono esclusi dalla registrazione: …  b) i marchi privi di carattere distintivo;>>), dall’altro, del regolamento 2017/1001. Si tratta di norme relative al requisito di distintività.

La registrazione era avvenuta per le classi 9 (software etc),  36 (affari bancari, operazioni di cambio, cambiavalute etc.) e 41 (pubblicazione di testi eccetera).

Sul significato del  termine in questione nella lingua polacca, così dice il Trib.: <<23 le definizioni ricavate dai dizionari (allegati da E.1 a E.15) sono ambigue. Infatti, sebbene indichino tutte che il sostantivo «cinkciarz» è un termine familiare che designa un trafficante di valute, le citazioni sembrano corrispondere al significato storico di tale termine. Tuttavia, alcuni articoli pubblicati su Internet attestano che detto termine ha continuato ad essere utilizzato e inteso per designare una persona che si dedica attualmente al cambio di valute in modo clandestino e fraudolento, e pertanto illegale, al pari dei «cinkciarz» esistiti all’epoca della Repubblica popolare di Polonia (allegati E.32 e E.33) e, per connessione, ad una qualsiasi attività avente natura fraudolenta, irregolare o disonesta, o considerata tale (allegato E.31).>>) e poi << 32  In conclusione sul punto in esame, due accezioni del termine «cinkciarz» sembrano collegate ai servizi di cambio di valute. In primo luogo, si tratta di un’accezione storica, in cui esso designa una persona che esercitava clandestinamente e illegalmente il cambio di valute all’epoca della Repubblica popolare di Polonia. In secondo luogo, detto termine ha un’accezione contemporanea, in cui è utilizzato in senso derivato, generale, come sinonimo di truffatore o di frodatore, ma anche, in un senso che si avvicina all’accezione storica, per designare una persona che ancora oggi pratica il commercio clandestino e fraudolento, e quindi illegale, di valute. Per contro, come correttamente rilevato dalla commissione di ricorso, non è stato dimostrato che il termine «cinkciarz» designi attualmente, in modo neutro, una persona o un’impresa che fornisce servizi di cambio di valute.>>).

Il tribunale  doveva dunque decidere se in tale contesto fattuale il segno violasse l’articolo 7 paragrafo 1 lettera C. La risposta è stata negativa poichè oggi  l’attività  di cambia valute è legale, per cui il riferimento ad una figura di operatore illegale/truffatore oggi è inteso in senso ironico e per gioco mentale . Il ragionamento, più precisamente, è stato il seguente.

Il Collegio inizia ricordando che il segno è distintivo <<quando rende necessario uno sforzo interpretativo da parte del pubblico di riferimento e presenta una certa originalità e ricchezza di significato che lo rendono facilmente memorizzabile (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2010, Audi/UAMI, C‑398/08 P, EU:C:2010:29, punto 59).>> § 17.

Poi il Trib. ricorda che <<affinché la registrazione di un segno sia rifiutata sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, non è necessario che i segni e le indicazioni che compongono il marchio previsti da detto articolo siano effettivamente utilizzati, al momento della domanda di registrazione, a fini descrittivi di prodotti o di servizi come quelli oggetto della domanda ovvero di caratteristiche dei medesimi. È sufficiente, come emerge dal testo stesso di detta disposizione, che questi segni e indicazioni possano essere utilizzati a tal fine (sentenza del 23 ottobre 2003, UAMI/Wrigley, C‑191/01 P, EU:C:2003:579, punto 32).>>, § 43.

Ricorda ancora che la descrittività ricorre <<solo se, tenendo conto della percezione che il pubblico di riferimento ha del segno contestato, quest’ultimo presenta con il servizio di cui trattasi un nesso sufficientemente diretto e concreto tale da consentire a tale pubblico di percepire immediatamente e senza ulteriore riflessione una descrizione di detto servizio o di una sua caratteristica.>>, § 48.

Precisa che il consumatore medio si presume sia consapevole che il diritto dei marchi tutela solo prodotti relativi ad attività lecite , <<quantomeno perché sa che l’Unione si fonda sui valori dello Stato di diritto, come emerge dall’articolo 2 TUE, e che è insito in uno Stato di diritto che l’obiettivo della legge non può essere quello di proteggere o di favorire atti illegali, considerato che tale caratteristica di uno Stato di diritto è di pubblica notorietà. Va sottolineato, in proposito, che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, non si può ritenere che il termine «cinkciarz» designi una «professione» quando è riferito esclusivamente al compimento di atti illegali.  52 Pertanto, nel caso di specie, il pubblico di riferimento è consapevole del fatto che i servizi contrassegnati dal marchio contestato non possono essere attività clandestine e illegali di cambio di valute>>.

Ne segue che il termine «cinkciarz», che costituisce tale marchio e che designa siffatte attività clandestine e illegali, <<53 …. non può essere utilizzato, nell’ambito di un uso normale dal punto di vista del pubblico di riferimento, per designare i servizi di cambio di valute leciti. Al riguardo, è possibile effettuare un confronto con la giurisprudenza secondo cui, per quanto riguarda i segni o le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica del prodotto o del servizio per il quale è chiesta la registrazione, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001 non osta alla registrazione di nomi geografici per i quali, date le caratteristiche del luogo designato, non è verosimile che gli ambienti interessati possano ritenere che la categoria di prodotti di cui trattasi provenga da tale luogo (v. sentenza del 6 settembre 2018, Bundesverband Souvenir – Geschenke – Ehrenpreise/EUIPO, C‑488/16 P, EU:C:2018:673, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). [NB : punto non chiarissimi, per vero, sia nel primo periodo sia nel riferimento ai segni geografici, poco pertinente].

54    Di conseguenza, il termine «cinkciarz» non consente al pubblico di riferimento di percepire immediatamente e senza ulteriore riflessione una descrizione dei servizi di cambio di valute leciti o di un’entità che fornisce servizi del genere. Infatti, poiché una caratteristica intrinseca a detto termine, ossia il fatto che faccia riferimento ad attività clandestine e illegali, è in totale contrasto con una caratteristica di tali servizi, vale a dire la loro natura intrinsecamente lecita, il pubblico di riferimento potrà stabilire un collegamento tra il marchio contestato e i servizi leciti di cambio di valute solo superando tale contraddizione, per giungere alla conclusione che, per ironia e per effetto di un gioco mentale, il marchio contestato, contrariamente al suo significato, copre i servizi di cambio di valute forniti legalmente.  55      Pertanto, il marchio contestato non presenta un nesso sufficientemente diretto e concreto con i servizi di cambio di valute da esso designati.>>

Il Trib. precisa poi che, se è vero che i segni descrittivi non ammessi sono non solo quelli “attualmente usati” ma anche quelli che “potrebbero venire usati” , <<tuttavia, tale possibilità di utilizzo può essere presa in considerazione solo se si può ragionevolmente presumere che il segno di cui trattasi costituisca in futuro, agli occhi degli ambienti interessati, una descrizione delle caratteristiche dei prodotti o dei servizi in questione (v., per analogia, sentenza del 12 febbraio 2004, Koninklijke KPN Nederland, C‑363/99, EU:C:2004:86, punto 56 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, detta possibilità non può basarsi su mere speculazioni, ma, al contrario, deve essere suffragata da alcuni elementi che la rendono, in particolare, ragionevolmente plausibile [v., in tal senso, sentenza del 12 marzo 2008, Compagnie générale de diététique/UAMI (GARUM), T‑341/06, non pubblicata, EU:T:2008:70, punto 43]. 61      Orbene, costituisce tale speculazione l’eventualità, prevista dalla ricorrente, che il termine «cinkciarz» perda in futuro la connotazione negativa connessa alla natura clandestina e illegale dell’attività cui fa riferimento, che costituisce una delle sue caratteristiche essenziali, e, di conseguenza, designi in modo neutro l’esercizio di un’attività di cambio di valute>>, §§ 60-61.

La questione non è semplice da risolvere. Può infatti astrattamente dirsi che, anche se i consumatori sanno che oggi si tratta di attività lecite e quindi il marchio ha una valenza ironica, pur tuttavia una certa aderenza concettuale ai servizi offerti (descrittività) esiste; cioè che l’estraneità del segno rispetto ai prodotti/servizi marcati è evanescente. La questione andrebbe approfondita, in particolare circa la forza del richiamo mentale che la legge richiede per  applicare la norma de qua.

Il Trib. in conclusione conferma la decisione dell’Ufficio, secondo cui l’art. 7 § 1 lett. c) non è invocabile (per i servizi di cambia valute, § 64 ; nei §§ segg. -secondo motivo- è esaminata la questione relativa alle altre categorie merceologiche, sempre però giungendo alla stessa conclusione)