Registrazione di marchio SUSSEX ROYAL e successiva perdita del titolo reale

La vicenda di Harry e Maghan d’Inghilterra ha anche interessante risvolto  di proprietà industriale (o intellettuale che dir si voglia).

La giovane coppia aveva Infatti chiesto la registrazione nel Regno Unito  del marchio denominativo SUSSEX ROYAL (n° UK00003408516) nonchè SUSSEX ROYAL THE FOUNDATION OF THE DUKE AND DUCHESS OF SUSSEX (n° UK00003408521), domande depositate il 21.06.2019. Le domande erano state presentate a nome di <<Sussex Royal The Foundation Of The Duke And Duchess Of Sussex>>

Notizia appresa da Nedim Malovic su IPKat del 3 gennaio 2020.

I due hanno anche aperto <<the official website of the Duke   § Duchess of Sussex>> sotto il dominio https://sussexroyal.com/  : risulta creato il 15 marzo 2019 nel database Whois di register.it .  Hanno aperto pure un account Instagram.

I media (v. ad es. CNN del 20.01.2020) hanno dato notizia dell’accordo raggiunto tra i due e i rimanenti familiari, a seguito della scelta di vivere in modo indipendnete.

Qualche blog di proprietà itntellttuale ha ricordato che son già fiorite iniziative commerciali che hanno cercato di registrare segni distintivi uguali o analoghi: v. Bonadio-De Cristofaro su Kluwer Trademark blog del 20.01.2020.

Una delle conseguenze (dei patti?) dell’accordo tra la giovane coppia e gli altri familari prevede la perdita del titolo reale, evidentemente secondo l’ordinamento nobiliare a cui appartengono (ora si legge che la Regina starebbe per vietare l’uso del ‘Sussex Royal’ label: così il Telegraph dl 19.02.2020). Il che genera qualche riflessione di proprietà intellettuale.

Avendo i due inserito nella domanda di marchio il titolo nobiliare , ci si può chiedere se la perdita del (rinuncia al) diritto al titolo abbia conseguenze sulla concedibilità del marchio stesso. Non si può rispondere con precisione, non conoscendosi l’esatta ampiezza di tale perdita : tuttavia ragiono come se fosse totale.

Se fosse applicabile il diritto italiano, si potrebbe ipotizzare un motivo di decettività oppure una mancanza di diritto su un segno che ha una notorietà extracommerciale ex art. 8/3 C.P.I..

Se poi fosse comunque concesso, si potrebbe ipotizzare una rivendica ex art. 118 c.p.i.

Non parrebbe invece ipotizzabile una domanda in malafede ex art. 19 comma 2: a meno -forse- che il soggetto interessato (e legittimato: chi sarà nell’ordinamento nobiliare?) provi che la registrazione era stata chiesta, quando già la questione della perdita del titolo era stata discussa o comunque era già emersa.

La decettività sarebbe da escludere, dal momento che dell’accordo citato e della perdita del titolo reale hanno dato ampia notizia i mass media di tutto il mondo. Tuttavia potrebbe sempre sostenersi che servisse la dichiarazione di decadenza per fare ulteriore totale chiarezza

Circa la rivendica,  si presuppone che il diritto di registrare spetti a qualcun altro: anche qui evidentemente secondo l’ordinamento nobiliare. Se questo avviene, il legittimato può ottenere i provvedimenti indicati dal comma 2 oppure dal comma 3. A meno che -ad esempio- l’ordinamento nobiliare escluda in radice l’utilizzo commerciale del titolo reale. E sempre che lo Stato dia riconoscimento a questo ordinamento particolare (nobiliare), che in tal modo influirebbe sull’ordinamento statale (il che sarà probabile, trattandosi di monarchia).

Il motivo principale di opposizione  parrebbe l’art. 8 c.3 cod. propr. ind. (o norma corrispondente). Sebbene il titolo reale, stando al dettato della disposizione, non vi rientri, un’intepretazione estensiva potrebbe riuscire a farlo rientrare nella sua area applicativa.

Lo sfruttamento della notorietà altrui: il caso napoletano Maradona contro Dolce § Gabbana

Il tribunale di Napoli  con sentenza n. 11374/2019  del 9 dicembre 2019, RG 41088/2017, decide la lite tra Diego Armando Maradona eDolce§Gabbana. I fatti risultano i seguenti (testo della sentenza preso da Elenora Rosati su IPKat che ringrazio).

Dolce§Gabbana in un evento mondano del luglio del 2009  (citazione notificata nel luglio 2017!) per clienti illustri o istituzionali, consistente in una sfilata di presentazione di simboli della città partenopea, aveva fatto sfilare una modella con una maglia del numero dieci, storica posizione calcistica di Maradona (sembra di capire: modella indossante la maglia del Napoli Calcio recante sul retro il n. 10, probabilmente quella a strisce bianche e azzurre verticali).

Sembra di capire -anche se non è detto in modo esplicito- che si trattasse di una maglia col numero 10 creata o ricreata dagli stilisti: altrimenti non si spiega la successiva affermazione per cui, dopo la diffida, D§G hanno omesso di mettere in produzione il capo di abbigliamento..

Maradona lamentava l’indebita utilizzazione e sfruttamento commerciale del proprio  nome e/o marchio.

il Tribunale accoglie la domanda affermando la violazione del diritto sul nome.

In realtà l’affermazione non è chiarissima, dal momento che il segno riprodotto abusivametne pare fosse un segno distintivo diverso dal nome: precisamente pare si fosse trattato della divisa ufficiale usata in partita e che l’ha reso famoso in tutto il mondo durante la sua esperienza italiana. La fattispecie ricorda la violazione -sempre di un segno distintivo personale  diverso dal nome che riguardò il cantante Lucio Dalla, del quale vennero abusivamente riprodotte le caratteristiche -anche qui assai note-  degli occhialetti tondi e del berrettino a zucchetto. A meno di pensare (allora il riferimento al diritto sul nome sarebbe esatto, anche se avrebbe dovuto essere esplicitato) che sul retro della maglia, oltre al numero, comparisse il nome “Maradona”, come spesso avveniva.

La domanda è accolta sotto il profilo dell’ articolo 8 codice di proprietà industriale: Dolce e Gabbana avrebbero mirato “ad appropriarsi delle componenti attrattive insite nel richiamo alla prestigiosa storia sportiva del mitico calciatore”.

La quantificazione del danno viene operata tramite il riferimento al criterio del cosiddetto prezzo del consenso.

l’attore aveva chiesto l’importo di € 1.000.000,00 e prodotto a sostegno , oltre a altri materiali irrilevanti, quattro contratti precedenti. Il tribunale, valutata  la modestia di uso del segno altrui (limitata ad una sfilata) ha invece liquidato € 70.000,00  più accessori

Il caso è interessante per l’anomalia consistente nel fatto che lo sfruttamento non autorizzato del segno distintivo altrui avviene da parte di due imprenditori della moda i quali pure sono provvisti di notorietà mondiale. Ci si può dunque chiedere se non fosse stato opportuno per il giudice accertare se veramente c’era stato uno sfruttamento della notorietà altrui: ma forse tale accettamento sarebbe stato superfluo ai fini del’art. 8 cpi.

Anzi a monte sarebbe stato necessario accertare che la maglia del Napoli col numero 10 fosse veramente qualificabile come segno distintivo di Maradona su cui questi avesse un diritto esclusivo: ad esempio potendo rilevare la regolazione pattizia di Maradona con la società del Napoli (a meno che contenesse il suo nome, come sopra ipotizzato)