L’onere della prova dell’esaurimento el marcjhio

Interessante segnalazione da aprte di Marcel Pemsel in IPKat di Corte di Giustizia C-367/21 del 18.01.2024, Hewlette Packard v. Senetic sulll’oggetto.

L’onere delle prova (poi: odp) spetterà in linea di principio al convenuto, non al titolare del marchio.

Solo che il primo può avere serie difficoltà pratiche nel dare la prova che i prodotti de quibus erano già stato immessi in commercio in altro stato UE (anzi SEE).

La CG dice che allora la regola sull’odp va adattata : in particolare quando cì’è il rischi di compartimentazione dei mercati, cioè quiando cioè la condotta del titolare compromette la libertà di circolazine delle merci sancita dai Trattati UE.

Il che succede quando il titolare tiene condotte particolarmente omertose come nel caso sde quo: i prodotti erano privi di marchio sull’origine o sulla prima immissione e addirittura , interpellato onestamente e apertamente dal terzo convenuto, il titolare si era  rifiutati di dare chiarimenti sull’origine dei prodotti alla base dell’interpello (silenzio informativo pure dal soggetto dal quale il terzo aveVA acquistato) .

Si tratta tecnicamente di un abuso del diritto (ma la Corte non lo menziona se non indirettamente al § 13 , dove riporta l’art. 3.2 della dir. 2004/48) che ne impedisce l’esercizio: diniego di effetti, cioè,  che un ordinamento serio non può non prevedere in tale caso (resta da vedere quale sia la base normativa UE, da noi essendo la buona fede nel caso di contratto e la solidarietà costituzionale ex art. 2 Cost. in caso di pretesa violazione aquiliana).

<<55  Per quanto riguarda la questione di quale sia la parte su cui grava l’onere della prova dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio dell’Unione europea, occorre rilevare, da un lato, che tale questione non è disciplinata né dall’articolo 13 del regolamento n. 207/2009, né dall’articolo 15 del regolamento 2017/1001, né da alcuna altra disposizione di questi due regolamenti.

56      D’altro lato, sebbene gli aspetti procedurali del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, compreso il diritto esclusivo previsto dall’articolo 9 del regolamento n. 207/2009, divenuto articolo 9 del regolamento 2017/1001, siano disciplinati, in linea di principio, dal diritto nazionale, quale armonizzato dalla direttiva 2004/48, che, come risulta in particolare dagli articoli da 1 a 3, riguarda le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari per garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (v., in tal senso, sentenza del 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, EU:C:2022:895, punto 56), occorre necessariamente constatare che tale direttiva, in particolare i suoi articoli 6 e 7, che rientrano nel capo II, sezione 2, della stessa direttiva, intitolata «Elementi di prova», non disciplina la questione dell’onere della prova dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio.

57      Tuttavia, la Corte ha ripetutamente affermato che un operatore che detiene prodotti immessi sul mercato del SEE con un marchio dell’Unione europea dal titolare di tale marchio o con il suo consenso trae diritti dalla libera circolazione delle merci, garantita dagli articoli 34 e 36 TFUE, nonché dall’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, che i giudici nazionali devono salvaguardare (sentenza del 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, EU:C:2022:895, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

58      A tal riguardo, sebbene la Corte abbia dichiarato, in linea di principio, compatibile con il diritto dell’Unione una norma di diritto nazionale di uno Stato membro in forza della quale l’esaurimento del diritto conferito da un marchio costituisce un mezzo di difesa, di modo che l’onere della prova incomba al convenuto che deduce tale motivo, essa ha altresì precisato che le prescrizioni derivanti dalla tutela della libera circolazione delle merci possono richiedere che tale regola probatoria subisca adattamenti (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punti da 35 a 37).

59      Così, le modalità nazionali di assunzione e di valutazione della prova dell’esaurimento del diritto conferito da un marchio devono rispettare le prescrizioni derivanti dal principio della libera circolazione delle merci e, pertanto, devono essere adattate qualora siano tali da consentire al titolare di tale marchio di compartimentare i mercati nazionali, favorendo in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo esistenti fra gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, EU:C:2022:895, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

60      Di conseguenza, quando il convenuto nell’azione di contraffazione riesce a dimostrare che sussiste un rischio reale di compartimentazione dei mercati nazionali qualora egli stesso dovesse sostenere l’onere di provare che i prodotti sono stati immessi in commercio nell’Unione o nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, spetta al giudice nazionale adito regolare la ripartizione dell’onere di provare l’esaurimento del diritto conferito dal marchio (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 39).

61      Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il titolare dei marchi dell’Unione europea di cui trattasi gestisce un sistema di distribuzione selettiva nell’ambito del quale i prodotti contrassegnati da tali marchi non recano alcuna marcatura che consenta ai terzi di identificare il mercato sul quale sono destinati ad essere commercializzati, che il titolare rifiuta di comunicare tale informazione ai terzi e che i fornitori della parte convenuta non sono inclini a rivelare le proprie fonti di approvvigionamento.

62      A quest’ultimo proposito, occorre rilevare che, in un siffatto sistema di distribuzione, il fornitore si impegna generalmente a vendere i beni o i servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri definiti, mentre tali distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a distributori non autorizzati nel territorio delimitato dal fornitore per l’attuazione di siffatto sistema di distribuzione.

63      In simili circostanze, far gravare sul convenuto nell’azione per contraffazione l’onere della prova del luogo in cui i prodotti contrassegnati dal marchio da esso commercializzati sono stati immessi in commercio per la prima volta dal titolare di tale marchio, o con il suo consenso, potrebbe consentire a detto titolare di contrastare le importazioni parallele dei prodotti contrassegnati da detto marchio, anche se la restrizione della libera circolazione delle merci che ne deriverebbe non sarebbe giustificata dalla tutela del diritto conferito da questo stesso marchio.

64      Infatti, il convenuto nell’azione per contraffazione incontrerebbe notevoli difficoltà a fornire una prova del genere, a causa della comprensibile riluttanza dei suoi fornitori a rivelare la loro fonte di approvvigionamento all’interno della rete di distribuzione del titolare dei marchi dell’Unione europea di cui trattasi.

65      Inoltre, anche qualora il convenuto nell’azione di contraffazione riuscisse a dimostrare che i prodotti recanti i marchi dell’Unione europea di cui trattasi provengono dalla rete di distribuzione selettiva del titolare di tali marchi nell’Unione europea o nel SEE, detto titolare sarebbe in grado di impedire qualsiasi futura possibilità di approvvigionamento da parte del membro della sua rete di distribuzione che ha violato i suoi obblighi contrattuali (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 40).

66      Pertanto, in circostanze come quelle descritte al punto 61 della presente sentenza, spetterà al giudice nazionale adito procedere ad un adeguamento della ripartizione dell’onere della prova dell’esaurimento dei diritti conferiti dai marchi dell’Unione europea di cui trattasi facendo gravare sul titolare di questi ultimi l’onere di dimostrare di aver realizzato o autorizzato la prima messa in circolazione degli esemplari dei prodotti di cui trattasi al di fuori del territorio dell’Unione o di quello del SEE. Qualora sia fornita tale prova, spetterà al convenuto nell’azione per contraffazione dimostrare che i medesimi esemplari sono stati successivamente importati nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).>>

Interessante è anche la questione sulla competenza a regolare l’odp: europea, rientrando nel diritto dei marchi armonizzato, o nazionale, rientrando nella ‘area processuale? Propenderei per la seconda.

L’esaurimento di marchio opera anche in presenza di distribuzione selettiva, se non ne è adeguatamente provata la sua attuazione oltre progettaizone

Cass. sez. 1 del 14.03.2023 n. 7378, rel. Fidanzia, circa il legittimo motivo che osta all’esarimento del marchio (art. 5 cod. propr. ind.) costituito da distribuzione selettiva di prodotti di lusso.

<<La Corte d’Appello si è limitata a dare atto che Chantecler aveva ben “indicato”, già nel procedimento di primo grado, quali caratteristiche dovevano possedere i rivenditori della sua rete, ritenendo, tuttavia, all’esito dell’esame del materiale probatorio – difformemente rispetto alle conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado – che non vi era prova che i criteri elencati dalla Chantecler (ubicazione in capoluoghi di provincia o importanti comuni di provincia o zone di rilevante interesse turistico commerciale, posizione centrale dell’esercizio commerciale; tradizione consolidata nel tempo dell’esercizio; alta professionalità dell’esercente ed elevata qualità del servizio offerto ai clienti; stigliature ed arredi presenti nell’esercizio eleganti e di alta qualità; commercializzazione autorizzata di importanti marchi di gioielleria quali a titolo esemplificativo: Bulgari, Pomellato, Buccellati, Cartier, Chopard, etc) fossero stati dalla stessa effettivamente applicati nell’individuazione dei distributori.

In particolare, ha precisato la Corte di merito che, nei contratti di distribuzione (valorizzati dal Tribunale in senso favorevole alla ricorrente), non era, in realtà, indicato alcun criterio in forza del quale il singolo distributore era stato selezionato, né che, nel corso del rapporto, il distributore dovesse continuare a mantenere il possesso dei requisiti richiesti. Neanche i contratti di agenzia prodotti in causa (valorizzati difformemente dal Tribunale) erano idonei a fornire la prova dell’esistenza di un sistema di distribuzione selettiva e comunque risultavano conclusi dopo quelli con i distributori, non consentendo quindi di affermare che i distributori fossero stati in precedenza selezionati sulla base dei criteri previsti dai contratti di agenzia….

Infine, la Corte d’Appello, nell’esaminare i diversi criteri indicati da Chantecler per la selezione dei distributori, ha comunque accertato che ben venticinque esercizi su novantanove presenti nell’elenco non erano ubicati né in capoluoghi di provincia, né in zone di interesse turistico.

Alla luce delle soprariportate osservazioni, la Corte territoriale ha concluso che difettava la prova che i distributori autorizzati fossero stati selezionati sulla base del possesso di determinati requisiti prestabiliti.

Come già anticipato, trattasi di valutazione di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, essendo stata articolatamente congruamente con una motivazione immune da vizi logici>>.

Segue importante precisazione processuale su come vada fatta valere l’eccezione:

<<In ogni caso, se era pur vero che la Chantecler aveva richiesto di provare, anche per testimoni, la circostanza che i distributori erano stati selezionati in base ai criteri sopra indicati, tuttavia, dopo che il Tribunale aveva ritenuto superflua la prova, la Chantecler s.p.a. non aveva proposto l’istanza, in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, con la conseguenza che la stessa doveva ritenersi rinunciata, e non poteva essere presa in considerazione nel giudizio d’appello, pur se in quella sede era stata riproposta>>.

La distruzione di merci è invocabile anche quando provenienti dal titolare del marchio , qualora non ne avesser autorizzato l’immissione in commercio

condivisibile posizione espressa da corte di giustizia 13.10.2022, C-355/21, Perfumesco c. Procter & Gamble International Operations SA, .

Si tratta di interpretare l’art. 10 dir. 48 del 2004:

<< Sezione 5  Misure adottate a seguito di decisione sul merito
Articolo 10 Misure correttive
1. Salvo il risarcimento dei danni dovuto al titolare del diritto a causa della violazione, e senza indennizzo di alcun tipo, gli Stati membri assicurano che la competente autorità giudiziaria possa ordinare, su richiesta dell’attore, le misure adeguate da adottarsi per le merci riguardo alle quali esse ha accertato che violino un diritto di proprietà intellettuale e, nei casi opportuni, per i materiali e gli strumenti principalmente utilizzati per la realizzazione o la fabbricazione di tali merci. Siffatte misure comprendono:
a) il ritiro dai circuiti commerciali,
b) l’esclusione definitiva dai circuiti commerciali, oppure
c) la distruzione.
>>

Nel caso spefico erano state messe in vendita da Perfumesco dei campioncini di profumo  Hugo Boss, creati però solo come c.d. tester cioè flaconcini di prova (Procter and Gamble unico licenziatario, legittimato ad agire).

Si trattava allora di interpretare il concetto di <violazione di diritto di proprietà intellettuale>

Un prodotto immesso solo come tester non è  immesso anche come vendita e quindi non opera l’esaurimento.  Quindi pare esatto ravvisare violazione (sopratutto se si accetta la tesi -ancora persuasiva- di Sarti  per cui il succo della privativa sta nel potere di determinare il numero di esemplari presenti nel mercato).

La rimozione del marchio (“smarchiatura”) da un giaccone in occasione di evento pubblico costituisce violazione del marchio?

Risponde di si Trib. Torino 11.03.2022, sent. n. 1102/2022 – RG 25850/2019, rel. La Manna, nell’interessnte caso K-Way.

Al cantente Nicky Jam fu fatto offuscare il marchio K-Way sul suo giubbotto in occasine del video ufficiale della Fifa World Cup 2018.

Norme azionate e usate dal giudice per accogliere la domanda: ART. 5 E 20 .C 2 CPI

La parte motivatoria più rilevante è la seguente:

<< 2.3) Né può affermarsi quanto sostenuto dalla convenuta in merito alla insussistenza dei presupposti
per l’applicazione delle citate disposizioni in quanto non vi sarebbe stata alcuna immissione in
commercio del giubbotto essendo lo stesso stato acquistato dal cantante ai fini del proprio personale
godimento. L’eccezione non è pertinente in quanto se è vero non risulta contestata l’appartenenza del
giubbotto al cantante vero anche è che proprio con l’utilizzo di quel giubbotto e all’alterazione del
marchio che lo contraddistingue che
il video è stato girato e diffuso a livello mondiale, vista la
risonanza dell’evento, con tutte le conseguenti ricadute commerciali a vantaggio, anche delle
convenute.    Appare evidente, quindi, che nel caso di specie non vi è stata alcun esaurimento del marchio
atteso che il giubbotto, pur appartenendo al cantante, non è stato utilizzato a scopo di mero godimento
o nell’ambito della fisiologica immissione nel circuito economico ma
specificamente al fine di
realizzare un video destinato alla promozione di un evento di rilevanza mondiale
quale il
Mondiale di calcio Russia 2018. Realizzazione e diffusione di tale video che sono avvenute proprio ad
opera delle parti convenute.
Né può trovare ancora accoglimento la tesi secondo cui gli illeciti commessi difetterebbero
dell’elemento soggettivo laddove dalla stessa narrazione dei fatti operata dalla parte convenuta emerge
inequivocabilmente come la stessa fosse ben consapevole del comportamento tenuto essendo
l’oscuramento stato eseguito proprio dalla Sony al fine di aggirare i divieti di utilizzo di prodotti non
riferibili agli sponsor ufficiali della manifestazione.
La posizione della parte attrice è, pertanto, da riconoscersi meritevole di tutela non sotto il profilo di un
suo diritto a vedere accostato il suo marchio alla manifestazione sportiva in oggetto, diritto peraltro
neppure reclamato dalla stessa attrice, bensì sotto il profilo del diritto della stessa a non vedersi alterare
il logo del proprio prodotto e, conseguentemente, a non vedersene ledere il prestigio e il valore
promozionale.
Sotto tale profilo, pertanto, la condotta posta in essere dalle parti convenute è da ritenersi contrastante
con i principi di cui agli artt. 5 Cpi e 13 Rmue nonché di cui allo stesso art. 20 Cpi, rappresentando
l’oscuramento del logo una ipotesi di contraffazione. Il comportamento rileva, inoltre, anche sotto il
profilo della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. in quanto è pacifico che Basicnet operi anche sul
mercato della promozione di video pubblicitari dei propri prodotti e la diffusione di un video
contenente un prodotto Basicnet modificato senza il suo consenso in modo da alterarne la capacità
distintiva rappresenta un’ipotesi di comportamento non conforme alla correttezza professionale
rilevante ai sensi dell’art. 2598 co. 3 cpc.
>>

L’esattezza del passaggio però è dubbia: non pare rientrare nella privativa il diritto di impedire all’utilizzatore di usare il prodotto senza il marchio inizialmente apposto, anche se ciò avvenga in sede commerciale.

Interessante è anche la determinazione del danno ai sensi della royalty raginevole ex 125.2 cpi