I non fungible tokens rientrano nell’ambito della privativa di marchio , secondo il Tribunale di roma

Grazie ad  Eleonora Rosati in IPKat che fornisce il link al testo della ordinanza cautelare, già notiziataci dai media, ove  protagonsta attrice è Juventus Football Club (Trib. Roma 19/20.07.2022 ord., RG 32072/2022, repert. 14994/2022, giudice Lando Alfredo).

Niente di nuovo. Sono questioni classiche di diritto industriale, tranne che per l’attività contraffattoria che nel caso è costituita da un qujd tecnologicamente nuovo: card in formato digitale (NFT).

Non c’è dubbio che la loro commercializzazione rientri nel concetto di “uso nell’attività economica” ex art. 21/1 c. propr. ind. (mai citato peraltro dal giudice!): è poco comprensibile quindi il clamore suscitato negli ambienti giuridici.

La cessata attività da parte del convenuto non farebbe venir meno il  periculum in mora, secondo il G.,  perchè potrebbe essere sempre reiterato l’illecito , anche considerato che il contretto di sfruttamento della notoreità in essere non è ancora scaduto.    Punto importante anche se il motivo è quasi tautologico.

Dei NFT non si dice che erano conservati su blockchain, come di solito avviene.

Nedim Malovic sempre su IPKat pone l’interessante questione delle modalità esecutive dell’ordine di distruzione quando i tokens siano su una blockchain, i cui dati dovrebbero essere immodificabili. Dà un paio di soluzioni possibili.

Lotta tra marchi figurativi (complessi): il caso Polo Club

Questi i due marchi in competizione:

Marchio anteriore
marchio successivo

Sovrapponibilità merceologica totale.

Decide Tribunale UE sentenz a19.10.2022 , T-437/21, Greenwich Polo Club, Inc. c. EUIPO + Lifestyle Equities CV interv.

Sentenza interessante che riassume il modo di condurre il giudizio nel caso di marchio figurativi rectius complessi.

Il Tribunale cofnerma l’ufficio mnel sensp cjhe c’è  il rischio di confondibilitò

<< 89   In the present case, it must be borne in mind, first, as is clear from paragraphs 45 to 51 above, that the Board of Appeal did not make any error of assessment in finding that the goods at issue were, in part, identical and, in part, similar to a normal to high degree.

90      Secondly, as has been stated in paragraph 60 above, since the goods at issue are not directly connected with polo playing, the signs at issue have a normal to enhanced degree of distinctiveness with regard to those goods.

91      Thirdly, as is clear from paragraphs 36, 68 and 81 above, the signs at issue are characterised by an average degree of visual similarity, a low degree of phonetic similarity and a high degree of conceptual similarity. The Board of Appeal was therefore right in finding that the signs at issue were similar overall to an average degree.

92      Accordingly, given that the factors relevant to the assessment of whether there is a likelihood of confusion are interdependent, as has been stated in paragraph 82 above, the identity of the goods, coupled with the high degree of conceptual similarity between the signs at issue, is sufficient to conclude, in the present case, that there is a likelihood of confusion with regard to the goods at issue which have been held to be identical (see, to that effect, judgment of 18 February 2004, Koubi v OHIM – Flabesa (CONFORFLEX), T‑10/03, EU:T:2004:46, paragraph 58).

93      As regards the goods which have been held to be similar to an average to high degree, that factor, combined with the signs’ similarity – above all their conceptual similarity – and with the average degree of distinctiveness of the signs with regard to those goods, is sufficient to conclude, as the Board of Appeal found, that a likelihood of confusion cannot be excluded (see, to that effect, judgment of 10 November 2016, POLO CLUB SAINT-TROPEZ HARAS DE GASSIN, T‑67/15, not published, EU:T:2016:657, paragraph 88).>>

Violazione di marchio e copyright circa il celeberrimo marchio di Patagonia da parte di un venditore su Walmart

Si consideri il seguente logo di Patagonia:

(immagine presa dal web: https://www.bergfreunde.it/patagonia-p-6-logo-responsibili-tee-t-shirt/)

e questo:

(immagine presa dal web: https://bluequillangler.com/patagonia-logo/?s=)

Ebbene, Patagonia lamenta che i suoi diritti di marchio e copyright siano violati dal segno grafico presente nelle magliette prodotte da Robin Ruth e distribuite da WalMart: si v. l’immagine a p. 2 della citazione in giudizio di cui appresso e già qui riprodotta:

Il segno è simile quanto all’elemento non denominativo, ma assai diverso rispetto a quello denominativo.

La prof. Alexandra Roberts offre il link all’atto di citaizone in giudizo presso la corte di Los Angeles.

La difesa non ragiona su questa differenza: si limita a dare per scontata l’associazione tra le due imprese:

<< In blatant disregard of Patagonia’s rights in the PATAGONIA
trademarks—and without authorization from Patagonia—Defendants have
promoted, offered for sale, and sold shirts bearing designs and logos that are nearly identical to the P-6 Trout logo and P-6 logo, only replacing Patagonia’s
PATAGONIA word mark with the word “Montana,” which inevitably will imply to
consumers that Patagonia has endorsed or authorized these products
>>.

Il caso non è semplice e bisogna distinguere tra i due marchi di Patagonia.

Ferma la uguaglianza merceologica, i segni differiscono in toto quanto alla componente denominativa , la quale ha un ruolo quantomeno coessenziale a quella a figurativa nel marchio attoreo. I nomi poi son scritti diversamente:  carattere assai peculiare nell’attore, banale nel covnenuto.

Ma può essere che alla fine il consumatore associ il marchio del secondo all’impresa del primo. E visto che basta il rischio di ciò (art. 20.1.b, cod. propr. ind.) , da noi la domanda potrebbe essere accolta .

Conclusione direi quasi certa per il secondo marchio (a forma di pesce), più difficile per il primo (solo montagna, concettualmente altro dal pesce).

Vedremo.

Il Tribunale UE su una lite tra marhci denomainativo-figurativ (Tigercat v. Cat)

Trib. UE 13.07.2022, T-251/21, Tigercat International Inc., e c. EUIPO + Caterpillar interv.,  decide la lite sulla registrabilità del marchio denominativo TIGERCAT ala luce dell’anterità costituita da

marchio anteriore

I prodotti erano  uguali (‘Specialised power-operated forestry equipment, namely, purpose built four wheel drive-to-tree and track type log bunchers, log loading machines, skidders and other forestry industry equipment, namely, bunching saws, bunching shears and components parts thereof’).

Il pubblico è molto attento, essendo professionale, § 23 ss

Predominanti nel secondo son entrambi gli elementi, alla pari. Nel primo, poi,  la figura non oscura la parola, § 59.

Conferma che ricorre la visual similarity, § 64.

Ricorre anche quella fonetica, §§ 69-74. Qui l’interesse sta nel fatto che quello posteriore è composto e comprende quello anteriore.

Esatta è anche la stima di confondibilità concettuale (richiamo CAT), § 84.

In breve c’è rischio di confusione, § 94 e 97

Il Tribunale dunque conferma le decisioni amministrative

Precisazioni sui marchi: convalidazine, distintività e rapporto tra disciplina ad hoc e concorrenza sleale

Uili precisaizoni da Trib. Bologna n. 1782/2021, Rg 12664/2017, Montedil srl c. Mon.Edil srl, rel. Romagnoli, su questioni frequenti in tema di marchi:

1) << L’istituto della convalidazione può valere, però, solo per il marchio successivo registrato (cfr. Cass. civ.
Sez. I, n. 26498 del 2013) o al massimo per la denominazione sociale e il nome a dominio (che sono
comunque segni distintivi in qualche modo “registrati”) quindi non per il marchio di fatto, quale è quello
(o meglio, quelli) della convenuta (MONT.EDIL IMPRESA EDILE, MONTEDIL COSTRUZIONI
EDILI e MONTEDIL SRL con la raffigurazione dell’escavatore, cfr. docc. 2, 2 ter, 2 bis, 3, 4, 5 e 14);
d’altronde, l’eventuale tolleranza dell’uso della ditta o dominazione sociale MONT.EDIL, non significa
tolleranza nell’uso dello stesso segno come marchio (cfr. Cass .civ. Sez. I, 20.4.2017 n. 9966): dunque in
nessun modo potrebbe esservi convalidazione del marchio
>>, p. 5;

Del resto il tenore della disposizione (art. 28 cpi) è inequivoco.

2) << Va altresì disattesa ogni prospettazione di nullità dei marchi attorei per assenza di capacità distintiva ai
sensi dell’art. 13 CPI: il termine “edil” è senz’altro evocativo del servizio edile, ma è un tutt’uno non
distinguibile nel marchio MONTEDIL che con l’anteposizione del termine “mont” conferisce al segno
nella sua unitarietà una capacità distintiva avulsa dalla natura del servizio prestato; per altro verso, la
circostanza che il termine “montedil” sia utilizzato da diverse imprese nella propria denominazione
sociale non fa di esso un segno divenuto di uso comune nel commercio ai sensi della lett. a art. 13 cit.,
che invece fa riferimento alla parola del linguaggio comune che si pretenda di utilizzare come marchio
>> e poi, superrata la questione della validità di quello aizonaot, affronta quella della legittimità di quello conveuto: << Se ciò è vero, appare chiaro che anche a considerare la natura “debole” del marchio “montedil”
l’introduzione di un punto fra “mont” ed “edil” non è variazione sufficiente ad escludere la confondibilità
fra i servizi richiamati dal segno; d’altronde, pur riconoscendosi che il marchio MONT.EDIL è stato
utilizzato assieme ad altri elementi (terminologici o figurativi) reputa il collegio che tali elementi
aggiuntivi non riescano a controbilanciare la somiglianza (quasi identità) fonetica e morofologicolessicale.
Va dunque riconosciuto che l’uso del segno “montedil” comunque scritto (con l’inserimento del punto
fra “mont” ed “edil” ovvero con l’aggiunta di ulteriori termini come “impresa edile” o “costruzioni edili”
o di elementi figurativi come l’escavatore stilizzato) da parte della convenuta è in violazione dei marchi
registrati attorei ex art. 20/1° co. lett. b) CPI, e conseguentemente ne va disposta l’inibitoria da ogni
utilizzo, anche quale denominazione sociale e nome a dominio.
Quanto specificamente al nome a dominio
www.montedilparma.com il collegio apprezza che l’aggiunta
del termine “parma” neppure valga a differenziare adeguatamente il segno rispetto ai marchi dell’attrice,
perché l’indicazione territoriale associata alla denominazione sociale semmai induce il mercato a ritenere
che il segno sia riconducibile ad unità territoriale dell’impresa piuttosto che a diversa impresa avente la
stessa denominazione, sicchè non consiste in idoneo elemento qualificante a designare la convenuta e ad
escludere il rischio associativo fra imprese
>>, p. 6

3) << Va disattesa la domanda concernente la concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n. 1 c.c.) sulla quale
domanda il collegio osserva quanto segue.
Sebbene siano astrattamente compatibili e cumulabili la tutela dei segni distintivi prevista dal codice
della proprietà industriale e quella prevista dal codice civile in tema di concorrenza sleale (in tal senso è
chiaramente l’
incipit dell’art. 2598 c.c.), va condiviso il principio per cui la medesima condotta può integrare sia la contraffazione della privativa industriale sia la concorrenza sleale per l’uso confusorio di
segni distintivi solo se la condotta contraffattoria integri anche una delle fattispecie rilevanti ai sensi
dell’art. 2598 c.c., cioè a dire che va esclusa la concorrenza sleale se il titolare della privativa industriale
si sia limitato a dedurre la sua contraffazione (cfr. Cass. sez. I, 02/12/2016, n. 24658 in materia di
brevetto), se – in altre parole ancora – le due condotte consistano nel medesimo addebito integrante la
violazione del segno (o del brevetto).
In buona sostanza, dall’illecito contraffattorio non discende automaticamente la concorrenza sleale, che – dunque – deve constare di un
quid pluris rispetto alla pura violazione del segno o del brevetto, cioè di una modalità ulteriore afferente il fatto illecito >> p. 6/7

Marchio complesso, look alike e risarcimento del danno

Trib. Torino con sent. 3930/2021 del 10.08.2021, RG 13800/2019, rel. La Manna, si sofferma su una contraffazione di marchio della nota azienda dolciaria CHOCOLADEFABRIKEN LINDT & SPRÙNGLI AG .
Si v. a p. 9 i marchi a confronto con fotografia a colori.

Giudizio sulla riprodiuzione dell’elemento figurativo principale (un drago) : <<Sulla base di tali criteri ritiene il Collegio che l’elemento figurativo utilizzato da Maja nelle proprie
confezioni relative ai prodotti per cui è causa sia contraffattivo del marchio attoreo attesa l’evidente
similitudine tra il drago contenuto nell’elemento circolare con la scritta facente riferimento alla casa
produttrice e alla data da cui la stessa sarebbe operativa. L’utilizzo del colore nero anzichè di quello oro
e la diversa configurazione del drago Maja rispetto a quello Lindt, nell’ottica di una valutazione
complessiva e globale, proprio in ragione della citata particolare capacità distintiva del marchio in
esame, non sono sufficienti, al fine di escludere che il consumatore medio della tipologia di prodotti per
cui è causa possa essere indotto in confusione nel raffronto tra i due elementi. La raffigurazione di un
drago, pur se disegnato diversamente da quello del marchio Lindt, inserito in un elemento circolare con
la scritta inserita è, di per sé solo, un elemento di significativo richiamo al marchio attoreo e di
conseguente possibilità di confusione tra i due elementi.
Per tali ragioni, quindi, la domanda di contraffazione deve essere ritenuta fondata con riferimento al
marchio complesso citato.
>>

Quanto al look alike, lo qualifica come imitazione servile e lo ravvisa nel caso de quo:

<<Ciò premesso in termini di principi generali si evidenzia che nella fattispecie in esame, come già
rilevato in sede cautelare, è ravvisabile un’ipotesi di
look alike. Risulta, infatti, evidente la forte
somiglianza tra le confezioni oggetto di causa, anche con riferimento alla confezione della variante
Pistacchio. Come chiaramente desumibile dalle immagini riportate, infatti, la somiglianza attiene tutti
gli elementi delle confezioni in esame, ovvero la forma della confezione a parallelepipedo con i lati
corti curvilinei, il cordino bianco posto come una maniglia nella parte superiore della scatola
trasversalmente tra il lato anteriore e quello posteriore della confezione, l’apertura a finestra con i
contorni curvilinei profilati in oro da cui si intravede l’uovo ricoperto di nocciole (nei prodotti
Nocciolato) protetto da una pellicola trasparente e avvolto in un nastro con un grande fiocco centrale, le
immagini sulle pareti laterali della scatola, la scritta Nocciolato di cui già si è detto, la figura del drago
inserita nell’elemento circolare con la scritta circostante. A proposito di tale ultimo elemento appare
chiaro, quindi, come la violazione del marchio complesso di cui sopra si è trattato si inserisce nel più
ampio contesto di imitazione dell’intera confezione relativa ai prodotti per cui è causa. E’, inoltre,
pacificamente emerso che le confezioni in esame venivano vendute in un mercato di Napoli a fianco a
quelle dell’attrice e che nello spaccio della convenuta Brusa venivano anche vendute le uova di Pasqua
a marchio Caffarel sempre prodotte dal Lindt, circostanze, queste, significative nella valutazione del
look alike in quanto costituiscono un’ulteriore circostanza da cui desumere la possibilità di
associazione tra i due prodotti da parte del consumatore.
Né vale affermare che tale rischio di associazione potrebbe essere scongiurato dalla differenza di
prezzo tra i due prodotti avendo la giurisprudenza già chiarito l’irrilevanza, ai fini della confondibilità
tra due prodotti, delle differenze di prezzo (in tal senso Tribunale Milano 14.7.2006, Tribunale Milano
17.7.2006)
>>

La retroversione degli utili: << Infine, ai sensi dell’art. 125 c.p.i., comma 3, il titolare danneggiato può chiedere il risarcimento del danno nella forma alternativa della restituzione degli utili del contraffattore. La retroversione degli utili può cumularsi al danno emergente e può essere chiesta o in via alternativa
al risarcimento del mancato guadagno o nella misura in cui gli utili del contraffattore superino il suddetto pregiudizio subito
>>. Errore: la restituzione degli utili non è una forma di risarcimento del danno: è pena privata.

Ma il g. lo  intuisce subito sotto: << La retroversione degli utili ha una causa petendi diversa, autonoma e alternativa rispetto alle fattispecie
risarcitorie di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 125. Ci si trova di fronte non ad una mera e tradizionale
funzione esclusivamente riparatoria o compensativa del risarcimento del danno, nei limiti del
pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, ma ad una funzione, se non propriamente sanzionatoria,
diretta, quantomeno, ad impedire che il contraffattore possa arricchirsi mediante l’illecito consistito
nell’indebito sfruttamento del diritto di proprietà intellettuale altrui
>>

L’avatar può essere riprodotto in giocattoli fisici, senza consenso del suo creatore?

La piattaforma Roblox (v. sito web), creatrice di mondi virtuali e avatar, cita in giudizio l’impresa di HonkKong WowWee per aver messo in vendita giocattoli riproducenti (quasi in toto) gli avatar della propria piattaforma.

Aziona copyright, marchio, concorrenza sleale (anche il c.d. trade dress) e  violazioni contrattuali.

E’ disponibile in rete (post di NeerMcd su Twitter) l’atto introduttivo in cui la domanda giudiziale è spiegata in dettaglio e quindi pure il funzionamento della piattaforma Roblox : si presenta dunque di un certo interesse.

Il punto allora è non tanto  se il personaggio solo digitale sia tutelabile con marchio e/o diritto di autore (certamente si), quanto se lo sia solo contro riproduzioni nel medesimo contesto digitale oppure anche nel mondo fisico.

La risposta dovrebbe essere anche qui positiva: il mondo digitale è solo un mercato dal punto di vista ordinamentale, in nulla diverso da quello fisico, per cui l’esclusiva anche in esso opera. Con poche differenze, a ben vedere, da ogni creazione letteraria che -magari in modalità seriale- può riuscire e creare un proprio “mondo”, che però non sfugge alle regole giuridiche generali. Semplicemente oggi questo mondo ideal-fantastico può essere più variegato , anche grazie all’interazione con i clienti/utenti resa possibile da digitalizzazione e internet.

Confondibilità tra marchi nel settore dei cosmetici (Rejeneusse v. Revanesse)

Secondo il  Tribunale UE con sentenza 13.07.2022, T-543/21, Purasac v. EUIPO-Prommenium, i due termini, per i medesimi prodotti, hanno notevole somiglianza visiva e fonetica.

Ecco il marchio posteriore (l’anteriore REVANESSE  era solo denominativo):

Il TRib. non dà importanza alla differenza (presente nella parte centrale delle parole) ma alla uguaglianza della parte iniziale e finale.

Nè da importanza al logo stilizzato che accompagna il marchio posteriore, ritenendolo privo di distintività e rivestente un ruolo solo decorativo (§§ 36 e 45)

Conclude nel senso che il rischio di confusione c’è.

Il caso della confondibilità del marchio CAVA per spumanti

La Commissione di ricorso dell’EUIPO con decisione 22.04.2022, proc. R 981/2021-1, Conmsejo regulador del Cava c. Covides, decide una lite su marchio contenente (anche) il termine CAVA.

Prodotti identici,  solo che l’anteriorità era stata riprodotta con visibilità minima all’interno di un marchio tridimensionale costiotuito da una bottiglia ed etichetta colorata (non è chairo se pure la stessa bottiholia, § 1)

Si vb. la riproduizone grafica dei marchi a paragone a p. 2 e spt. al § 18.

Laconclusione quasi scontata (un’impugnazione al Tribubale UE sarebbe assai azzardati) è che non c’è confondibilità: << Tenuto conto delle considerazioni che precedono e nonostante l’identità dei prodotti dei marchi in conflitto, la tenue somiglianza visiva e concettuale tra i segni e l’assenza di somiglianza fonetica permettono al pubblico di riferimento di
differenziarli senza creare un rischio di confusione. Come argomentato, i marchi
in conflitto coincidono solo nel termine “CAVA”, che è un elemento dotato di
limitata capacità distintiva e, inoltre, non è il termine dominante del marchio
richiesto, che è “CHENINE”. La Commissione reitera l’osservazione della
Divisione di Opposizione secondo la quale i consumatori sono a conoscenza del
fatto che il termine “CAVA” designa un tipo di vino spumante proveniente dalla
Spagna e sono abituati a vedere questo elemento in combinazione con altri
elementi denominativi e diverse caratteristiche grafiche. Per questa ragione, il
pubblico di riferimento si concentrerà sul termine dominante del marchio
contestato “CHENINE” come identificativo dell’origine imprenditoriale dei
prodotti in questione — nonostante la possibile associazione tra parte del
pubblico di riferimento e una tipologia di ualità — rispetto al termine dominante
del marchio anteriore “CAVA”, la cui capacità distintiva è limitata per gli stessi
prodotti
>>, § 33.

(trad. automatica nel database dell’ufficio dell’originale spagnolo).

Sulla distintività del termine CAVA v. il § 28.

Keyword advertising: il paragone tra i marchi in conflitto va fatto col marchio reale dell’inserzionista, non con quello del competitor da lui utilizzato

Nellla sempre attuale fattispecie di keyword advertising (k.a.) , su cui c’è ampia giurisprudenza anche nazionale, interviene il Trib. del distretto sud di New York, 27 giugno 2022, Case 1:21-cv-06966-PKC , 1-800 Contacts inc. c. JAND, INC. d/b/a WARBY PARKER.

Il secondo usa nel k.a. il nome “1800 contacts” (sono aziende nel setore delle lenti a contatto) e il primo tenta di censurarlo, anche perchè la landing page del’inserzionista sarebbe confusoria.

La corte rigetta con decisione interessante,  data la buona analisi dei fattori da considerare per emettere il giudizio di confondibilità per il diritto usa.

Le parti non contestano che l’uso nel k.a. costituisca “uso” secondo il Lanham Act, p. 7.

Qui iunteressa il punto logicamente seguente, quello della confondiblità. Infatti è forse non scontato quanto afferma la corte e cioè che  il paragone tra marchi va fatto col marchio reale dell’inserzionista, non con quello del competitor (attore in causa) che egli usa nel keyword advertising: per cui i marchi sono confondibilissimi, essendo sostanzialmente uguali. <<Second, as to the similarity of the marks, the Court concludes that the marks at issue are substantially different. Although 1-800 Contacts submits that “the marks used by the parties are identical” because Warby Parker and 1-800 Contacts are both using the 1-800 Contacts Marks, this is not the relevant analysis for determining the likelihood of consumer confusion in the context of search term advertising. While Warby Parker “uses” the 1-800 Contacts Marks by bidding on search results for the marks, the crux of 1-800 Contacts’s claims here is that after the search results for the 1-800 Contacts Marks are displayed to the consumer, there is an appreciable number of consumers who cannot discern, either before or after clicking Case 1:21-cv-06966-PKC Document 40 Filed 06/27/22 Page 10 of 18 on the paid links to Warby Parker’s website, that the contacts being sold by Warby Parker on their website are actually unrelated to 1-800 Contacts or the 1800contacts.com website.
In this context, the marks to be compared are the 1-800 Contacts Marks and the “Warby Parker” mark. In so comparing, the Court notes that the 1-800 Contacts Marks at issue are all variants of “1-800 Contacts,” presented in the format of a toll-free number emphasizing one specific product: contact lenses. In contrast, “Warby Parker” lacks any references to a phone number (or numbers generally) or a specific product. Finally, as the parties themselves note, 1-800 Contacts is strongly associated with only contact lenses, while Warby Parker is strongly associated with eyewear, such as eyeglasses and sunglasses. The “History” page of the Warby Parker website, cited in the Complaint also emphasizes Warby Parker’s sale of eyewear. (Compl. ¶ 49.)
>>

La corte nega poi la confondibilità nella landing page del convenuto, ove il suo marchio sarebbe apposto in modo sufficientemente visibile.