Confondibilità di marchi calcistici presso l’EUIPO

Nella lite (amministrativa, per ora) tra l’allenatore (ex calciatore) Klinsmann (poi solo K.) e Panini spa (poi solo: P.),  l’EUIPO in appello dà ragione al primo.

Si tratta della decisione della 4° commissione di appello 28.09.2020 , Klinsmann c. Panini spa, caso R 640/2020-4, leggibile tramite il link offerto in ipkat.com, post di N. Malovic del 12.10.

P. fa opposizione alla registrazione di marchio depositato da K.

Il marchio di K. è

marchio Klinsmann

P. oppone anteriorità costitituite da una serie di marchi italiani ed europei (v. § 3, p. 2-3). Si veda nella decisione linkata la loro rappresentazione grafica

Il primo grado amministrativo  è favorevole a P., l’appello  invece a K.

Per il Board di 2° grado i marchi a-b-c-edi P.  non sono confondibili con quello di K. Quanto ai marchi d)-f), l’opposizione è respinta perchè non è stato provato l’uso , avendone K. fatta richiesta ex art. 47/2 reg. 2017/1001.

Ebbene, quanto ai marchi di P. indicati come a)-b)-c), l’Ufficio dice che non sono confondibili con quello di K., dato che quest’ultimo -in sostanza- non si capisce cosa rappresenti:

<< 31  Due to the black design no human traits are visible from the element inside the circle. It cannot be determined in the first place whether the black circular ele-ment on top is a ball at all and if so, whether or not it is a football. It cannot be determined either whether the upward stroke represents a leg or an arm. Having the leg above one’s body is certainly an unnatural movement for a human being, and would rather be expected from a gymnastic move, if at all. One possible interpretation is that the ball is held or thrown with the hand of the person. Then the scene would represent a movement in a handball game [!!!].
32 Three strokes go rather downwards. These are markedly thinner than the upward stroke. If the upward stroke represented a leg, one would wonder where the sec-ond leg is. One would wonder which of the three downward strokes is ‘the second leg’ (or the ‘second arm’) given that all three are almost as thick as the others. It is only with a very analytical view that one can find out which of the three points represents a hand and which one a shoed foot. One would also wonder where the thorax is. Unlike the earlier remark the younger sign does not offer any three-dimensional perspective. For example it cannot be determined whether what the opponent interprets as the human head is ‘behind’ or on the same level as what, according to the opponent, should be ‘the leg’. So the younger mark looks rather Spiderman-like >.

E ancora: <  41   However no clear concept can be attached to the contested sign. It cannot be said that it unambiguously represents a football player – a handball player, or even a human being at all. Any ‘concept’ to be derived from the younger sign would re-quire an analytical approach, a detailed comparison (side by side with the earlier mark, which is not the proper method) and/or a detailed knowledge about the var-ious movements or techniques possible to shoot a ball. In particular it cannot be said that the younger sign represents the so-called scissors shot.   42  As no clear concept can be attached to the younger sign, there is no conceptual similarity with the earlier marks.>.

Qui mi limito ad esprimere forti perplessità su tale giudizio. A chi ha un minimo di (passata …) pratica calcistica o anche solo di interesse per essa (elemento certamente presente nell’utente medio dei prodotti chiesti in registrazione), pare evidente che si tratti di rovesciata/sforbiciata calcistica. Il giudizio del Board risulta dunque incomprensibile.

la notorietà del titolare incide sul giudizio di confondibilità

La Corte europea si pronuncia nella lite tra Lione Messi e un produttore di prodotti simili  circa i rispettivi marchi, regolata dall’art. 8/1 reg. 207/2009.

Il calciatore depositò il marchio seguente:

marchio di Lionel Messi

L’opponente era titolare del marchio denominativo “MASSI”

la fase amministrativa fu sfavorevole al calciatore, che invece ottenne ragione davanti al Tribunale di 1 grado: il quale ritenne che la sua notorietà compensasse le somiglianze visive e fonetiche.

La C.G. concorda col Tribunale.

La Corte osserva che, al pari della notorietà del marchio anteriore, << l’eventuale notorietà della persona che chiede che il proprio nome sia registrato come marchio è uno degli elementi rilevanti per valutare il rischio di confusione, dal momento che tale notorietà può avere un’influenza sulla percezione del marchio da parte del pubblico di riferimento. Il Tribunale non è pertanto incorso in errore nel considerare che la notorietà del sig. Messi Cuccittini costituiva un elemento rilevante al fine di stabilire una differenza sul piano concettuale tra i termini «messi» e «massi»  >>(così il comunicato stampa 108/20 del 17.09.2020)

Conferma poi che la notorietà del calciatore costituisce <fatto notorio>, autonomamente accertabile dal giudice.

Si tratta della sentenxza Corte Giustizia 17.09.2020, C‑449/18 P et C‑474/18 P, EUIPO c. Messi ed altri, (solo in francese e spagnolo)

lite su marchio tra studi legali e concetto di “uso” in caso di presenza su annuari pubblicitari

Interessante caso tedesco portato all’attenzione delle Corte di Giustizia (CG) che lo decide con sentenza 02.07.2020, C-684/19, mk advokaten GbR contro MBK Rechtsanwälte GbR.

Uno studio legale tedesco (MBK Recthtsanäalte, di seguito solo: Mbk R.) ottiene ragione contro altro studio legale (Mk Advokaten, di seguito solo: mk a.) per l’uso indebito del proprio marchio (acronimo, forse) <<MBK>> per servizi giuricici.

La sentenza passa in giudicato.

In seguito Mbk R. si accorge che su Google, digitando <MBK Recthtsanwälte>, le risposte portano ancora a <mk a.> e apre nuova lite.

<mk a.> si difende dicendo che queste nuove presenze in rete derivano dalla propria risalente presenza sull’annuario Das Örtliche . Nulla però può esserle ora addebitato, avendo esso fatto tutto chò che si poteva pretendere e cioè essendosi  cancellata dall’annuario stesso.

Ne segue , direi, che gli utilizzi da parte di terzi (motori di ricerca o altri annuari o comunque servizi pubblicitari) o avevano preso il marchio prima della cancellazione ma l’avevano usato dopo (o già prima ma i titolari non se ne erano accorti) oppuire l’avevano preso dopo poichè l’annuario non aveva dato applicazione (tempstiva) alla domanda di cancellazione (non è chiarito a quando risalga la ripresa da parte di quesrti terzi del segno presso l’annuario, sempre che sia tecnicamente accertabile).

Pertanto la questione giuridica consiste nel capire se la ripresa da parte di terzi dei segni distintivi altrui, presenti sull’annuario, sia qualificabile come <uso del segno> da parte dell’iniziale inserzionista <mk a.> ex art. 5 dir. 2008/95 Diritti conferiti dal marchio di impresa.

La risposta è intuitivamente negativa: la ripresa da parte dei terzi del segno MBK presente sull’annuario non può essere imputato a <mk a.> (in mancanza di responsabilità vicaria o simili).

La Corte così si esprime: <<infatti, il termine «usare» che figura all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 implica un comportamento attivo e il controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso. Ciò non accade se tale atto viene effettuato da un operatore indipendente senza il consenso dell’inserzionista … n conformità a tale giurisprudenza della Corte, spetterà, nella specie, al giudice del rinvio esaminare se derivi da un comportamento della mk advokaten, nel contesto di una relazione diretta o indiretta tra essa e i gestori dei siti Internet in parola, che tali gestori avessero messo l’annuncio on-line su commissione e per conto della mk advokaten. In assenza di un comportamento siffatto, si dovrebbe concludere che la MBK Rechtsanwälte non è legittimata, in forza del diritto di esclusiva previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, ad agire contro la mk advokaten in conseguenza della pubblicazione on-line dell’inserzione su siti Internet diversi da quello dell’annuario Das Örtliche>> (§§ 23 e 25).

Ciò che non può  essere messo in dubbio.

E’ piuttosto interessante il cenno seguente: <Ciò non pregiudicherebbe, eventualmente, la possibilità per la MBK Rechtsanwälte di reclamare dalla mk advokaten la restituzione di vantaggi economici in base alle norme nazionali né quella di agire contro i gestori dei siti Internet in questione> §26.

Se il riferimetno ai vantaggi è un riferimento all’ingiusto arricchimento, effettivametne la competenza è solo del diritto nazionale.

Se invece il riferimento è al recupero dei profitti illeciti, allora opera l’armonizzazione prodotta dalla possibilità di introdurlo contemplata dall’art. 13 ult. §, dir. 2004/48.

Molto interessante infine è il cenno alla giurisprudenza tedesca sul dovere non solo di cancellarsi da un sito di annunci pubblicitari , su cui ci si era iscritti, ma anche di <<verificare, con l’aiuto degli usuali motori di ricerca, che i gestori di altri siti Internet non abbiano ripreso l’annuncio stesso e, se ciò accade, intraprendere un serio tentativo per far cancellare detti successivi referenziamenti. Tale giurisprudenza sarebbe fondata sulla considerazione che ogni presentazione dell’annuncio va a beneficio della persona i cui prodotti e servizi vengono in tal modo promossi. Spetterebbe di conseguenza a tale persona svolgere, in caso di pregiudizio di un altrui diritto, le attività necessarie affinché tutte le occorrenze su Internet dell’annuncio di cui trattasi siano soppresse.>>, §§ 13-14.

Sarebbe interessante ragionare sul se l’omissione di tale verifica costituisse culpa pure secondo il nostro art. 2043 e/o secondo il (complesso tema del) profilo soggettivo della violazione di marchio.

In sentenza è abbondantamente citato il precedente CG 03.03.2016, C-179/15, Daimler AG contro Együd Garage Gépjárműjavító és Értékesítő Kft., di provenienza ungherese ove però i) l’iniziale presenza in internet era stata autorizzata dal titolare in base a contratto poi risolto, ii) l’inserzionista aveva chiesto a vari siti internet di cessare l’abbinamento del proprio nome al segno <Mercedez Benz>. La massima pertinente dice: << L’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che un terzo, indicato in un annuncio pubblicato su un sito Internet che contiene un segno identico o simile a un marchio di impresa tale da dare l’impressione che sussista un rapporto commerciale tra quest’ultimo e il titolare del marchio, non fa un uso di tale segno che può essere vietato da detto titolare in forza della citata disposizione qualora la pubblicazione di tale annuncio non sia stata eseguita o commissionata da tale terzo, o anche nel caso in cui la pubblicazione dell’annuncio sia stata eseguita o commissionata da tale terzo con il consenso del titolare, qualora detto terzo abbia espressamente preteso dal gestore di tale sito Internet, al quale aveva commissionato l’annuncio, di cancellare quest’ultimo o la dicitura del marchio che vi figura.                  Infatti, se la messa in rete, su un sito Internet di ricerca, di un annuncio pubblicitario che menziona un marchio altrui è imputabile all’inserzionista che ha commissionato tale annuncio e su istruzione del quale il gestore di tale sito, in qualità di prestatore di servizio, ha agito, non si possono, invece, imputare a tale inserzionista atti o omissioni di un tale prestatore che, deliberatamente o per negligenza, non tiene conto delle istruzioni espressamente fornite da detto inserzionista volte, precisamente, a evitare tale uso del marchio. Pertanto, qualora detto prestatore si astenga dal dar seguito alla richiesta dell’inserzionista di cancellare l’annuncio in questione o la dicitura del marchio che vi figura, la comparsa di tale dicitura sul sito Internet di ricerca non può più essere considerata un uso del marchio da parte dell’inserzionista>>

Sulla qualità di contraffattore del mero depositario di merci contraffatte: la lite Coty contro Amazon (il caso Davidoff)

la Corte di Giustizia (poi: CG) con sentenza 2 aprile 2020, C-567/18, Coty Germany contro Amazon Services Europe ed altre soc. del gruppo , decide la nota lite promossa da in sede Europea da Coty contro il gruppo  Amazon.

Coty è titolare di licenza sul marchio Ue Davidoff, per profumi

Nel 2014 Coty scopriva che su internet veniva venduto un profumo in contraffazione.

Sembra di capire -ma non è detto in modo chiaro- che tali flaconi provenissero dalla nota casa profumiera, ma che avessero  avuto un’iniziale destinazione extraeuropea: per cui su di essi non era si era verificato il c.d. esaurimento del diritto, paragrafo 10.

La non applicazione dell’esaurimento alle merci provenienti dal di fuori della UE costitusice ormai diritto vivente, anche se privo di fondamento sicuro.

La CG  precisa che venditore era un soggetto a terzo, non Amazon stesso: il quale aveva il mero ruolo di depositario e poi di spedizioniere  per conto della venditrice, paragrafo 10

Coty invitava Amazon a rimetterle tutti i flaconi di profumo. Scopriva poi che una parte di questi erano di proprietà di un diverso venditore e chiedeva ad Amazon di indicarglielo. Amazon rispondeva di non essere in grado di fare ciò, paragrafo 11 (non è detto se perchè priva di informazioni o perchè impedita giuridicamente dal fornirle).

La società che gestiva il deposito era Amazon FC graben, paragrafo 9.

Coty cita dunque in giudizio sia Amazon Service Europe che Amazon FC Graben, ritenendo che avessero violato il diritto sul marchio controverso. In particolare chiedeva che fossero condannate ad astenersi dallo stoccaggio dallo spedire o a farsi toccare o a far spedire in Germania nel commercio profumi recanti il marchio Davidoff Hot Water, qualora non fossero stati immessi in commercio nell’Unione con il suo consenso (paragrafo 12)

Il quesito sollevato dal BGH Bundesgerichtshof è il seguente : <<Se una persona che conserva per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, effettui lo stoccaggio di tali prodotti ai fini dell’offerta o dell’immissione in commercio, nel caso in cui solo il terzo, e non anche essa stessa, intenda offrire o immettere in commercio detti prodotti».>>,  paragrafo 18

Le norme applicabili sono l’articolo 9 paragrafo 2 lettera B del regolamento 207 2009 (corrispondente all’articolo 9 paragrafo 3 lettera B del regolamento 2017/1001)

Dagli atti dunque risulta che Amazon si limitasse al magazzinaggio senza averli offerti in vendita o averli messi in commercio essa stessa e nemmeno intendesse farlo in futuro, paragrafo 34

Bisogna allora capire se questa operazione costituisca un <uso> ai sensi dell’articolo 9 paragrafo 1 regolamento 207: in particolare se configuri uno <<stoccaggio>> ai sensi del 9 paragrafo 2 lettera B.

La risposta è negativa: non costitusice stoccaggio.

La Corte dice che il verbo <usare> implica un comportamento attivo e un controllo sull’atto che costituirebbe <uso>. Del resto nell’elenco il § 2 fa uso di comportamenti attivi da parte del terzo, paragrafo 37: solo un terzo, che ha il controllo diretto e indiretto sull’atto che costituisce l’uso, è in grado di cessare tale uso e quindi conformarsi al divieto , paragrafo 38.

La corte ha anche precisato che l’uso vietato implica che l’uso avvenga nell’ambito della comunicazione commerciale del soggetto accusato, paragrafo 39

Ne consegue che <<affinché il magazzinaggio di prodotti rivestiti di segni identici o simili a marchi possa essere qualificato come «uso» di tali segni, occorre pure, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, che l’operatore economico che effettua tale magazzinaggio persegua in prima persona le finalità cui si riferiscono tali disposizioni, che consistono nell’offerta dei prodotti o nella loro immissione in commercio>> , paragrafo 45

A dire il vero il tenore letterale dell’articolo 9 paragrafo 2  in particolare lettera B del regolamento 207 non dice questo: nè parrebbe n prima battuta desumibile.

Astrattamente potrebbe ritenersi che l’esclusiva si estendesse anche alla condotta di chi, pur non sapendo, pone in essere atti strumentali all’atto successivo, che veramente è più significativamente lede gli interessi economici del titolare del marchio (la vendita)..

Tuttavia le altre  condotte elencate nel medesimo paragrafo 2  lasciano forse intendere che giuridicamente risponde delle stesse solo chi ne fruirà e cioè chi hai il potere di deciderle:  questi due aspetti di solito vanno assieme, anche se la realtà potrebbe essere meno semplice dell’ipotesi teorica.

Nel caso sub iudice il giudice del rinvio aveva indicato <<senza ambiguità che non hanno esse stesse offerto in vendita i prodotti di cui trattasi né li hanno immessi in commercio, precisando, anzi, nel testo della sua questione, che è solo il terzo che intende offrire i prodotti o immetterli in commercio. Ne consegue che esse non fanno, di per sé, uso del segno nell’ambito della loro comunicazione commerciale>>, p .47.

Sì badi però che il quesito sottoposto alla CG prevedeva l’ipotesi in cui il depositario non fosse a conoscenza della violazione.

Le cose possono dunque cambiare se il depositario è invece a conoscenza della violazione:  in questo caso è difficile evitare la qualificazione giuridica di <<compartecipe nell’illecito>>.

Tale evenienza è al confine tra diritto nazionale e diritto europeo, dal momento che la responsabilità civile generale non è armonizzata, ma solo quella derivante dal diritto dei marchi. Allora sorge il problema del se un depositario, consapevole della natura contraffattoria delle merci ricevute in deposito, sia responsabile e se lo sia solo in base alle norme nazionali di responsabilità civile (da noi art. 2055) oppure direttamente in base alle tutele previste  nella disciplina del marchio (armonizzata).

Del resto nella disciplina degli internet service provider, si dice che , quanto alla soggezione ad injunctions/ininibitoria, siano responsibile anche se non liable.

Cioè il concorso in materia armonizzata è di competenza della UE o del diritto statale? O ancora, quale è il profilo soggettivo della violazione di marchio (o design, o dirito d’autore)? rileva solo per il risarcimento del danno o per qualunque misura (anche per l’inibitoria)?

la Corte accenna a qualcosa del genere al paragrafo 49

Coty poi aveva chiesto alla CG di dire se un tale depositario potesse fruire del Safe Harbor previsto dall’articolo 14 paragrafo 1 della direttiva sul commercio elettronico numero 31 del 2000 paragrafo 50: la risposta sarebbe stata in astratto positiva, ricorrendone i requisiti.

Ma tale domanda non rientrava in quella pregiudiziale sollevata dal BGH e dunque non viene esaminato dalla CG.

In sintesi e operativamente  i depositari possono stare tranquilli qualora nulla sappiano della liceità o meno a delle merci ricevute in deposito. Entrano invece in acque incerte quando abbiano conoscenza certa o presunta dell’iliceità.

Ancora la Corte di Giustizia sul marchio rinomato: il caso Burlington

Con la sentenza 4 marzo 2020 nelle cause riunite da C-155/18 P fino a C-158/18 P la CG interviene su alcuni aspetti sostanziali e procedurali del diritto dei marchi.

La normativa applicata ratione temporis è per alcune registrazioni il regolamento UE 40/94 e per un’altra il regolamento UE 207 del 2009.

Sappiamo che l’articolo 8/5  del regolamento 207/2009 dice: <<In seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore registrato ai sensi del paragrafo 2, la registrazione del marchio depositato è altresì esclusa se il marchio è identico o simile al marchio anteriore, a prescindere dal fatto che i prodotti o i servizi per i quali si chiede la registrazione siano identici, simili o non simili a quelli per i quali è registrato il marchio anteriore, qualora, nel caso di un marchio UE anteriore, quest’ultimo sia il marchio che gode di notorietà nell’Unione o, nel caso di un marchio nazionale anteriore, quest’ultimo sia un marchio che gode di notorietà nello Stato membro in questione e l’uso senza giusto motivo del marchio depositato possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi.>>

I marchi a confronto sono quelli anteriori di Burlington Arcade da una parte e quelli posteriori di Burlington (figurativi e denominativi), dall’altra: si vedano rispettivamente i punti 21 e 19 della sentenza.

I prodotti per i quali sono stati registrati , come sempre nel diritto dei marchi, sono essenziali: a prima vista sotto il profilo merceologico però non c’è sovrapposizione o meglio affinità.

Qui mi fermo solo sul profilo della tutela e in particolare sulla fattispecie astratta di cui all’articolo 8 paragrafo 5 regolamento 207 cit. (la norma è del tutto simile anche nel regolamento 40 del 94). La Corte interviene pure su altri aspetti soprattutto procedurali, dei quali qui non mi occupo.

Le messe a punto della CG non sono particolarmente innovative ma ma vale la pena di ripassarle

La Corte ricorda gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 8 paragrafo 5 regolamento 207, paragrafo 73 e ricorda che una sola di queste tre violazioni è sufficiente, paragrafo 74

Ricorda poi che <<sebbene il titolare del marchio anteriore non sia tenuto a dimostrare l’esistenza di una violazione effettiva e attuale del suo marchio ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, egli deve, tuttavia, dimostrare l’esistenza di elementi che permettano di concludere per un rischio serio che la violazione abbia luogo in futuro>>, paragraph 75

Come al solito, ricorda pure che la valutazione va eseguita complessivamente <<tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, fra i quali compaiono, in particolare, il livello di notorietà e il grado di distintività del marchio anteriore, il grado di somiglianza fra i marchi in conflitto, nonché la natura e il grado di prossimità dei prodotti o dei servizi interessati (sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 68)>> paragrafo 76

 in particolare circa il pregiudizio <<arrecato al carattere distintivo del marchio anteriore, detto anche «diluizione», «corrosione» o «offuscamento», esso si manifesta quando risulta indebolita l’idoneità di tale marchio ad identificare come provenienti dal suo titolare i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato e viene utilizzato, per il fatto che l’uso del marchio posteriore fa disperdere l’identità del marchio anteriore e la sua capacità di far presa nella mente del pubblico. Ciò si verifica, in particolare, quando il marchio anteriore non è più in grado di suscitare un’associazione immediata con i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato (sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07,EU:C:2008:655, punto 29).>>, § 77

Sotto il profilo probatorio, <<la prova che l’uso del marchio posteriore rechi o possa recare pregiudizio al carattere distintivo del marchio anteriore richiede che siano dimostrati una modifica del comportamento economico del consumatore medio dei prodotti e dei servizi per i quali il marchio anteriore è registrato, dovuta all’uso del marchio posteriore o un rischio serio che una tale modifica si produca in futuro (sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 77).>>, § 78.    E’ forse l’indicazione più utile per la pratica.

Il Tribunale UE sul giudizio di confondibilità tra marchi denominativi

Il Tribunale UE 27.06.2019, T-268/18 (leggibile in italiano solo per estratti), Luciano Sandrone c. EUIPO, affina alcune regole sul giudizio di confondibilità tra marchi denominativi (quello posteriore patronimico , impregiudicata la questione su quello anteriore).

Il conflitto riguardava il marchio anteriore “don Luciano” e il marchio posteriore “Luciano Sandrone” (chiesto dal titolare del’omonima ditta individuale di Barolo, Italia). Entrambi erano stato chiesti per prodotti alcolici ed entrambe paiono essere imprese vitivinicole.

Rovesciando la decisione della Commissione di Ricorso, il Tribunale afferma alcuni principi sul giudizio di confusione tra marchi denominativi:

  • nel marchio “don Luciano” prevale “Luciano”, anche se non al punto da rendere “don” trascurabile (§§ 66- 67);
  • il marchio “Luciano Sandrone” è percepito come combinazione di nome e cognome da parte del pubblico dell’intera unione. inoltre “Luciano” è meno distintivo di “Sandrone”: quest’ultimo è cognome raro, sicchè ha un <<valore intrinseco superiore>> (§ 68, riportando la decisione della commissione).
  • invece il nome “Luciano” non è da considerare raro, nonostante che in alcuni paesi  non sia molto comune (Germania e Finlandia).Quest’ultima circostanza infatti non fa venir meno la circostanza che in questi stessi paesi si sappia (o meglio che il pubblico di riferimento di tali paesi sappia) che il nome è molto diffuso in altri paesi (Italia Spagna Portogallo Francia) , i quali costituiscono “parte sostanziale”  dell’UE ( §§ 73-74).
  • Pertanto si può dire che nel suo insieme il pubblico dell’Unione considera elemento più distintivo l’elemento <<Sandrone>> rispetto al nome, essendo meno comune, anche anche se <<Luciano>> non è trascurabile (§ 75).
  • Questo per il confronto fonetico e visivo. Circa il confronto concettuale (ove si valuta la concordanza semantica: CG caso SAbel, 11.11.1997, C-251-95, ricordata al § 84), nel caso specifico non lo si può fare: ciò perché i nomi di persona -a meno che siano riferiti ad esempio persone famose- non hanno un concetto corrispondente (§§ 85-86). Quindi censura la decisione della Commissione di Ricorso sul punto (§ 91).

Infine, sulla valutazione globale del rischio di confusione, ribadisce alcune regole note tra cui:

  • è sufficiente che l’impedimento alla registrazione esista anche solamente per una parte dell’unione (§  92).
  • la interdipendenza tra i fattori (cioè somiglianza tra segni e affinità tra prodotti/servizi) comporta che si compensano reciprocamente, sicchè <<un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa>>  (§ 93)
  • <<nel settore vitivinicolo i nomi sono molto importanti, sia che si tratti di cognomi o di nomi di tenute, in quanto essi servono a contraddistinguere e a designare i vini. In generale, occorre ricordare che i consumatori sono abituati a designare e a riconoscere il vino in funzione dell’elemento denominativo che serve a identificarlo e che tale elemento designa in particolare il viticoltore o la proprietà su cui il vino è prodotto (…)>>. Ne segue che è l’elemento distintivo “sandrone” che <<servirà a identificare i vini del ricorrente, ovvero la denominazione nel suo insieme, vale a dire “luciano sandrone”, ma non unicamente l’elemento “luciano”>> (§ 99).
  • <<nel settore dei vini, in cui è molto frequente l’uso di segni costituiti da nomi o cognomi, è inverosimile che il consumatore medio possa credere nell’esistenza di un collegamento economico tra i titolari dei segni in conflitto per il solo fatto che essi condividono il nome italiano Luciano, percepito come molto diffuso, secondo il punto 47 della decisione impugnata, in Spagna, in Francia, in Italia e in Portogallo, e per il quale non è stato dimostrato che potrebbe essere percepito come raro in altri paesi dell’Unione. Questo semplice fatto non consente quindi di concludere, per quanto riguarda i marchi relativi a vini, nel senso della sussistenza di un rischio di confusione, poiché il pubblico di riferimento non si aspetta che detto nome, di comune diffusione, sia utilizzato da un solo produttore quale elemento di un marchio>> (§ 101).
  • Soprattutto (dico io), <<la commissione di ricorso non ha neppure preso in considerazione il debole grado di carattere distintivo dell’elemento comune ai due marchi, ossia «luciano», derivante dal fatto che tale nome può designare un numero potenzialmente indeterminato di persone e che, pertanto, l’insieme del pubblico di riferimento sarà in grado di distinguere il marchio anteriore dal marchio di cui si chiede la registrazione, poiché quest’ultimo contiene, inoltre, l’elemento «sandrone», un cognome dotato di un valore intrinseco superiore>> (§ 102);
  • il punto precedente è corroborato <<dalla giurisprudenza della Corte, secondo la quale non si può ammettere che qualsiasi cognome che costituisce un marchio anteriore possa essere opposto con successo alla registrazione di un marchio composto da un nome e dal cognome in questione (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2010, Becker/Harman International Industries, C‑51/09 P, EU:C:2010:368, punto 39). Non esiste quindi alcun automatismo che consenta di concludere nel senso dell’esistenza di un rischio di confusione quando un marchio anteriore consistente in un cognome è ripreso in un altro marchio, aggiungendovi un nome. Tale considerazione vale altresì quando il marchio anteriore consiste, in particolare, in un nome proprio e il segno di cui si chiede la registrazione è una combinazione di tale nome e di un cognome>> (§ 103) [non “vale altresì”, direi, ma “a maggior ragione”, quando il primo è un nome e il secondo un cognome+nome]