Insufficiente affinità merceologica tra abbigliamento ed orologi di lusso: non raggiuntra la prova dell’abuso di notorietà o del danno ad essa

Trib. UE 18.01.2023, T-726/21, Rolex SA c. EUIPO-PWT A/S  nell’opposizione di Rolex (alta orologeria)  contro marchio simile per abbigliamento.

marchio dell’istante
anteriorità 1 dell’opponente Rolex

e

anteriorità 2 dell’opponente ROlex

<< it has already been held that jewellery and watches, even precious stones, one the one hand, and items of clothing, on the other, could not be regarded as similar (see, to that effect, judgments of 24 March 2010, 2nine v OHIM – Pacific Sunwear of California (nollie), T‑364/08, not published, EU:T:2010:115, paragraph 33 and the case-law cited, and of 10 October 2018, Cuervo y Sobrinos 1882 v EUIPO – A. Salgado Nespereira (Cuervo y Sobrinos LA HABANA 1882), T‑374/17, not published, EU:T:2018:669, paragraph 35 and the case-law cited). (…)

In addition, it must be pointed out that the fact that the goods at issue may be sold in the same commercial establishments, such as department stores, is not particularly significant, since very different kinds of goods may be found in such shops, without consumers automatically believing that they have the same origin (see, to that effect, judgment of 2 July 2015, BH Stores v OHIM – Alex Toys (ALEX), T‑657/13, EU:T:2015:449, paragraph 83 and the case-law cited).>>, §§ 25 E 31.

Sullo sfruttamento della e/o sul danno alla rinomanza:

<< 42   In order to benefit from the protection introduced by the provisions of Article 8(5) of Regulation No 207/2009, the proprietor of the earlier mark must, first of all, adduce proof, either that the use of the mark applied for would take unfair advantage of the distinctive character or the repute of the earlier mark, or that it would be detrimental to that distinctive character or that repute (see, by analogy, judgment of 27 November 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, paragraph 37).

43      In that regard, although the proprietor of the earlier trade mark is not required to demonstrate actual and present injury to its mark for the purposes of Article 8(5) of Regulation No 207/2009, it must, however, prove that there is a serious risk that such an injury will occur in the future (judgment of 4 March 2020, Tulliallan Burlington v EUIPO, C‑155/18 P to C‑158/18 P, EU:C:2020:151, paragraph 75; see also, by analogy, judgment of 27 November 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, paragraph 38).

44      The Board of Appeal noted that, in order to demonstrate the existence of one of the types of injury referred to in Article 8(5) of Regulation No 207/2009, the applicant had not submitted observations to it, but that, before the Opposition Division, it had argued that the intervener could take unfair advantage of the degree of recognition of the earlier composite mark on account of the fact that the signs at issue were almost identical and the immense reputation acquired by the earlier marks, which allegedly convey images of prestige, luxury and an active lifestyle. It found that, by those arguments, the applicant had in fact merely referred to the wording of Article 8(5) of Regulation No 207/2009, without submitting any coherent arguments as to why one of such injuries would occur. The Board of Appeal inferred from this that no injury referred to in that provision was established>>.

Un caso di rigetto di domanda del titolare di marchio rinomato verso prodotti merceologicamente lontani dai propri

Qualche volta anche ai titolari di marchi assai rinomati non va bene: provbabilmente si può dire che ciò capita quando la rinomanza è molto settoriale.

E’ questo il caso di Trib. Ue T-4/22 del 21.12.2022, Puma SE v. EUIPO + DN solutions co ltd.

Nonostante i segnia  parafone fossero quasi identici (

marchio del richiedente

e

 

marchio [rinomato] dell’opponente
) e nonostante il secondo fosse certamente rinomato, tuttavia l’opposizione è rigettata: troppa lontananza merceologica (Lathes; CNC (computer numerical control) lathes; machining centers; turning center; electric discharge machine’ versus abbigliamento)!

La Cassazione sulla parodia nel diritto di autore (con un cenno alla tutela del marchio rinomato verso usi non distintivi)

La pubblicità dell’acqua Brio Blu con l’evocazine (precis) di Zorro (su youtube è reperibile il video)  non è statga accettata dal titolare dei diritti, che ha agito in giudizio (nel 2007).

Dopo una sentenza di Cassazione 32 del 2007, la causa  vi ritorna e viene decisa da Cass. ord. 38.165 del 30.12.2022, sez. 1, rel. Falabella, CO.GE.DI. spa c. Zorro Productions inc..

Contiene una importante messa a punto della teoria giuridica della parodia e una precisazione pure utile sul marchio rinomato.

Vediamo i passaggi principali:

  •  § 2.2. sulla parodia in generale: <<Ciò posto, è anzitutto pacifica, in dottrina come in giurisprudenza, la tutelabilità del personaggio di fantasia: tutelabilità che è indipendente dalla protezione accordata all’opera (quale quella letteraria, teatrale, cinematografica, televisiva, radiofonica, musicale, ma anche fumettistica o del videogioco) in cui il personaggio stesso si colloca. Basterà ricordare, in proposto, il risalente arresto di questa Corte che pone i personaggi di Walt Disney, realizzati originariamente nel campo dei disegni, tra le creazioni intellettive dotate di caratteristiche figurative e normative che li rendono riconoscibili come creazioni tipiche: ciò che è stato ritenuto sufficiente perché esse siano protette come tali nelle varie forme di utilizzazione economica rese possibili dalla riproduzione in qualunque modalità figurativa contro ogni atto che, per via di identità o affinità espressiva, e avuto riguardo all’ordinaria capacita critica del pubblico, realizzi una ripetizione dell’idea dell’autore (Cass. 20 febbraio 1978, n. 810)>>.

<<La parodia di un’opera altro non è che una rielaborazione attuata attraverso una imitazione caricaturale attuata con finalità satiriche, umoristiche, comunque critiche; tale può considerarsi anche la parodia di un personaggio della fantasia. Il connotato proprio della parodia riposa nell’assunzione, quale fondamentale suo riferimento, di un’opera o di un personaggio originali, da cui poi ci si discosta allo scopo di trasmettere un messaggio diverso da quello avuto di mira dall’autore dell’opera o del personaggio in questione. Evidente e’, pertanto, la differenza tra chi attua un’attività di mera riproduzione – nelle diverse forme del mero plagio, quale pedissequa imitazione, e della contraffazione, quale copiatura attuata con differenze di semplice dettaglio – e chi, con la parodia, reinterpreta l’opera o il personaggio e ne declina altrimenti il senso, veicolando, in tal modo, un messaggio nuovo. La parodia è quindi opera dell’ingegno autonoma rispetto all’originale, ponendosi essa in antinomia con quanto oggetto del travestimento. (…). Di qui la differenza tra contraffazione e parodia, magistralmente scolpita in queste poche parole: “o si tratta di riproduzione più o meno larvata dell’opera seria nella stessa serietà di tratti caratteristici, e si ha contraffazione più o meno volgare; o vi è una qualsiasi surrogazione del comico al tragico nella sostanza dell’opera primitiva, e si è in presenza di una parodia”. Ed è proprio in questa chiave che debbono leggersi gli arresti della nostra giurisprudenza di merito, che ha qualificato come parodia interventi, muniti di una qualche creatività, che, senza discostarsi dalla forma espressiva dell’originale, si sono rivelati capaci di stravolgere il significato di quest’ultimo: come nel caso della sostituzione di parole o lettere dei passi estratti dall’opera di riferimento, del mutamento degli elementi sintattici di un testo letterario, della derisoria interpretazione di un brano musicale. Per realizzare tale risultato l’autore della parodia deve necessariamente accostare l’utente all’originale e reimpiegarne i contenuti. Come è stato ben sottolineato dalla giurisprudenza di merito, la parodia “implica un ineliminabile carattere di parassitismo rispetto all’opera parodiata, nel senso che essa trova fondamento proprio nella preesistenza di un’opera di riferimento cui operare ripetuti rimandi in chiave deformante”>>.

  • § 2.4 sul fondamento della eccezione di parodia, reperito nell’eccezione di citazione ex art. 70 c.1 l. aut, quindi invocabile già ora e cioè anche senza espresso recepimento della possibilità prevista dalla dir. 29/2001, art. 5 lett. k). (è stata poi inserita nella disciplina della resposnabilità delle piattaforme, art. 102 nonies.2.b ex d. lgs.  177 del 2021 di recepimento della dir. 790/2019):

<<La L. n. 633 del 1941, art. 70, comma 1, consente il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico, se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera. Ora, il diritto di critica e di discussione può essere speso con diverse modalità, tra cui è ricompreso il registro ironico, utilizzato nella satira, e quello comico e burlesco, impiegato nella parodia, ove, attraverso l’uso della provocazione grottesca, si ridicolizzano elementi caratterizzanti di un’opera: attività, questa, che può lecitamente compiersi anche con riferimento a un personaggio di fantasia, di cui si deridano aspetti che lo contraddistinguono, come le fattezze fisiche, le qualità, gli atteggiamenti, con chiaro intento di rovesciare comuni stereotipi associati a quella identità letteraria o artistica. Può osservarsi, infatti, che la citazione dell’opera, di cui è parola nel cit. art. 70, comma 1, è anche quella costruita intorno a un personaggio dell’opera stessa (il quale è in sé è suscettibile di tutela, come si è visto): e il mascheramento dell’eroe in pagliaccio – per venire alla fattispecie che qui viene in esame – è una delle forme più comuni di parodia del personaggio.                       La liceità della parodia dell’opera o del personaggio creati da altri trova quindi il proprio fondamento nell’utilizzazione libera di cui alla L. n. 633 del 1942, cit. art. 70, comma 1. Non contraddice tale ricostruzione l’art. 5, comma 3, dir. 2001/29/CE (sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione), che accorda agli Stati membri la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni ai diritti di riproduzione e di comunicazione di opere al pubblico, di cui rispettivamente agli artt. 2 e 3 della direttiva stessa anche nel caso, previsto dalla lett. k) del predetto articolo, quando “l’utilizzo avvenga a scopo di caricatura, parodia o pastiche”. Se è vero che non esiste, tra le norme nazionali che regolamentano le utilizzazioni libere atte a circoscrivere il diritto esclusivo dell’autore, una disposizione che puntualmente recepisca espressamente l’ipotesi di cui alla lett. k) cit. – e che quindi espressamente faccia rientrare l’utilizzo dell’opera tra le eccezioni e le limitazioni ai suddetti diritti di riproduzione e comunicazione -, è altrettanto vero che l’assenza di un intervento normativo nel senso indicato è da ascrivere al fatto che l’art. 70 già ricomprende l’eccezione di parodia, intesa come espressione del dritto di critica e discussione dell’opera protetta.>>

Il giudizio è esatto, anche se ancor più lo sarebbe stato il rifeirmento al diritto costituzonale di di parola e manifestazione del pensiero (cit. poco sopra dalla SC).

  •    § 2.5 la SC ricorda l’interpretazione della parodia nel diritto UIe operata da  Corte di giustizia nella sentenza Deckmyn del 2014, C-210/13.
  •  § 2.6. la disciplina dell’eccezione di critica (e di parodia) non confligge con quella europea della parodia .
  •  § 2.8 Principi di diritto:  “In tema di diritto di autore, la parodia costituisce un atto umoristico o canzonatorio che si caratterizza per evocare un’opera, o anche un personaggio di fantasia e non richiede un proprio carattere originale, diverso dalla presenza di percettibili differenze rispetto all’opera o al personaggio che sono parodiati.

“In tema di diritto di autore, la parodia deve rispettare un giusto equilibrio tra i diritti del soggetto che abbia titolo allo sfruttamento dell’opera, o del personaggio, e la libertà di espressione dell’autore della parodia stessa; in tal senso, la ripresa dei contenuti protetti può giustificarsi nei limiti connaturati al fine parodistico e sempre che la parodia non rechi pregiudizio agli interessi del titolare dell’opera o del personaggio originali, come accade quando entri in concorrenza con l’utilizzazione economica dei medesimi”.

Competerà al giudice del rinvio verificare  se nel caso specifico ricorra l’eccezione di parodia, così ricostruita

  •  Poi la SC passa al marchio rinomato esaminando il ricorso incidentale del titolare dei diritti (che l’aveva azionato assieme al copyright).

E dice che esso può essere fatto valere anche contro utilizzi  non distintivi (come nel caso de quo), §  5.6:  “In tema di marchi d’impresa, avendo riguardo alla disciplina anteriore alla modifica dell’art. 20 c.p.i. attuatasi con il D.Lgs. n. 15 del 2019, art. 9, comma 1, lett. a), lo sfruttamento del marchio altrui, se notorio, è da considerarsi vietato ove l’uso del segno senza giusto motivo, posto in essere nell’attività economica, consenta di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o rechi pregiudizio agli stessi, a nulla rilevando che il marchio non sia utilizzato per contraddistinguere i prodotti o i servizi dell’autore dell’uso, come può avvenire nel caso della rappresentazione parodistica del marchio in questione“.

Aggiungo qui sotto alcune definizini di <paerodia>:

1) GRANDE DIZIONARIO ITALIANO DELL’USO  DeMAURO : <composizione che ripropone uno stile, un’opera letteraria, un film e sim., accentuandone i caratteri in  modo caricaturale o satirico: fare la p. di una poesia, di una canzone, p. dello stile tragico, mettere in p.>

2) Grande dizionario della lingua italiana (BATTAGLIA):

<Parodìa,  sf.  Opera  letteraria,  testo  teatrale  (o parte  anche  minima  di  esso)  composto  modifi­ cando  in  modo  più  o  meno  radicale  uno  scritto preesistente,  uno  stile,  un  genere  costituito  at­traverso   l’introduzione,   con   intenzioni  comiche,

burlesche,  satiriche  o  anche  critiche,  di  varia zioni  di  lessico,  di  tono,  di  struttura,  di  livello  stilistico  o  la  trasposizione  della  narrazione  in età,   situazioni   e   contesti   differenti   da   quelli originali.  –  Anche:  il  genere  letterario  a  cui appartengono tali opere>

3) TOMMASEOONLINE  https://www.tommaseobellini.it/#/

< f. Gr. Παρῳδία. (Lett.) Centone di versi, ed Arte di comporre versi con l’uso de’ versi altrui, recando il serio a ridicolo. (Fanf.) In Ascon. – Salvin. Fier. Buon. 1. 1. 5. (M.) Parodía tratta del verso del Petrarca: Non a caso è virute… E lett. ill. ital. 41. (Man.) L’adattare poi questi medesimi pensieri e frasi a altri argomenti sarebbe fare una parodía difficile. T. Parodía dell’Eneide. – Parodía fatta dello stil dell’Alfieri, per canzonare la sua ricercata durezza e brevità: La morte di Socrate con tre personaggi. – Parodía dello stile ossianesco: Dammi gli occhiali miei, figli del naso. – Farse francesi, parodía d’altri drammi>.

4) OXFORD ENGLISH DICTIONARY -OED :

  1. A literary composition modelled on and imitating another work, esp. a composition in which the characteristic style and themes of a particular author or genre are satirized by being applied to inappropriate or unlikely subjects, or are otherwise exaggerated for comic effect. In later use extended to similar imitations in other artistic fields, as music, painting, film, etc.

Ferrari perde la lite in Cassazione circa la proteggibilità del suo marchio nel caso di riproduzione su modellini

Cass. sez. 1 del 3 novembre 2022 n° 32.408, rel. Fidanzia, Ferrari spa c. Brumm snc [per incidens: ragione sociale “leggermente” descrittiva e per nulla distintiva, come però presupposto dall’art. 2567 cc], conferma la sentenza di appello bolognese, secondo la quale  è lecita la riproduizione del mrchi Ferrari sui modellini di automobile.

Non ci sono ragionamenti giuridici di rilievo, limitandosi la SC a censurare i motivi di ricorso perchè non atti a scalfire l’argomentazione della sentenza di secondo grado.

L’unico spunto è quello del dover dare pedisequa attuazione ai comandi presenti nel precedente europeo della corte di giustizia nell’analoga lite promossa da Opel contro un produttore tedesco di modellini (CG 25.01.2007, C-48/05, Adam Opel aG c. Autec AG).

Riporto solo questo passo:

<<In sostanza, la Corte di Giustizia, nell’escludere che l’uso del segno sui modellini in miniatura di autoveicoli abbia natura descrittiva e sia quindi, come tale, sempre lecito (purché comunque conforme ai principi della correttezza professionale), non ha, d’altra parte, ritenuto che lo stesso uso, effettuato in funzione chiaramente non distintiva (ma ornamentale), sia illecito solo perché non scriminato a norma dell’art. 6 n. 1 lett b) n. 89/104: dovrà essere il giudice di merito a valutare in concreto se l’uso in oggetto sia stato “privo di giusta causa” tale da consentire all’utilizzatore di trarre “indebitamente” vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, in quanto marchio registrato per autoveicoli, ovvero abbia arrecato pregiudizio a tali caratteristiche del marchio.

L’accertamento della sussistenza o meno della contraffazione del marchio che gode di rinomanza non può quindi che avvenire sulla base dei parametri di cui all’art. 5 n. 2 della direttiva, che corrispondono a quelli del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 20, lett. c).

Orbene, la Corte d’Appello di Bologna, facendo corretto uso dei principi di diritto sopra enunciati, con argomentazioni idonee che non sono state minimamente censurate sotto il profilo del vizio di motivazione di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come interpretato dalle S.U. di questa Corte con sentenza n. 8053/2014), ha, in primo luogo, osservato che le fedeli riproduzioni della autovetture Ferrari realizzate dalla Brumm non hanno arrecato alcun pregiudizio neppure potenziale alle funzioni dei marchi Ferrari, essendo, anzi, emersa in giudizio la prova contraria.

In particolare, il giudice di secondo grado, sul rilievo che alcuni modellini Brumm di autovetture Ferrari d’epoca sono addirittura esposti nella stessa galleria Ferrari a (Omissis), e che recensioni di automodelli Ferrari prodotti a Brumm sono rinvenibili in varie riviste di settore, inclusa la “Ferrari Wordl”, ha tratto la coerente conclusione che l’uso del segno Ferrari da parte della Brumm non ha abbia in alcun modo danneggiato il marchio celebre della società ricorrente.

Inoltre, se è pur vero che la Corte d’Appello ha, in modo impreciso, affermato la natura descrittiva dell’uso, da parte della Brumm, del segno Ferrari sui modellini in oggetto – sul punto la motivazione della Corte territoriale deve essere corretta a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c. – tuttavia, il giudice d’appello, oltre ad escludere per tale uso l’effetto confusorio sul consumatore medio finale (sul punto, le censure della ricorrente si appalesano chiaramente inammissibili) ha, altresì, escluso che l’indicazione del marchio “Cavallino Rampante” sulle confezioni contenenti i modellini, in quanto apposta accanto al marchio Brumm, non avesse una funzione evocativa del marchio e della qualità del prodotto Ferrari (vedi pagg. 5 e 8 sentenza impugnata)>>.

Interesse ad agire in una azione di accerttamento negativo di concorrenza sleale

Cass. 10.10.2022 n. 29.479, rel. Lamorgese, sull’oggetto:

<<Nella giurisprudenza di legittimità è principio consolidato quello per cui sussiste l’interesse ad agire nella proposizione di un’azione di mero accertamento negativo della propria condotta di contraffazione di un brevetto (o anche di un marchio) altrui, posto che tale azione mira a conseguire, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva, un risultato utile giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice (cfr. Cass. n. 3885 del 2014); analogo principio vale per l’azione di accertamento negativo dell’illiceità (ovvero di accertamento positivo della liceità) della condotta di concorrenza sleale. L’interesse ad agire nell’azione di mero accertamento sussiste anche in assenza di un’espressa iniziativa assunta dal titolare del diritto di privativa tramite l’invio (o la ricezione) di una diffida o di un suo coinvolgimento in giudizi o procedimenti, non implicando necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo (cfr. Cass. n. 16262 del 2015)>>.

Applicato al caso sub iudice::

<Nella specie, come correttamente rilevato in diritto nella sentenza impugnata, certamente sussisteva l’interesse di Publinord ad agire per l’accertamento negativo dell’attività contraffattiva e di concorrenza sleale posta in essere con la registrazione e l’utilizzo del nome a dominio (Omissis), al fine di rimuovere lo stato di incertezza giuridica circa la liceità della propria condotta. Ed infatti, la Publinord, che nel giugno 2004 aveva ottenuto la registrazione del dominio (Omissis), si era vista recapitare da Menage una missiva in data 24 settembre 2010 che le intimava “l’immediata cancellazione del sito… entro cinque giorni” con l’avviso che, in mancanza, avrebbe adito l’autorità giudiziaria, non assumendo rilievo il fatto che la Menage non avesse percorso la via giurisdizionale. Successivamente, non avendo le parti raggiunto l’accordo sulla cessione del dominio, la Menage aveva introdotto la procedura di riassegnazione del dominio, a dimostrazione della volontà di non rinunciare alle proprie pretese, confermandosi la permanenza dello stato di incertezza circa il legittimo uso del dominio da parte di Publinord che il Tribunale ha eliminato accertando la legittimità della condotta della stessa Publinord con statuizione non impugnata in appello e, quindi, divenuta definitiva.

Infondata è la doglianza di esercizio abusivo dell’azione giurisdizionale da parte dell’originaria attrice, per essere, in tesi, meramente strumentale all’estinzione della procedura di riassegnazione del dominio, trattandosi di un esito previsto dal regolamento per la “Risoluzione delle dispute” (art. 3.3) nel caso di proposizione del giudizio ordinario di accertamento negativo che, nella specie, è stato (fondatamente) introdotto da Publinord in pendenza della suddetta procedura proposta dalla stessa Menage.

La tesi della ricorrente circa la fondatezza della propria istanza di riassegnazione del dominio in considerazione della malafede della condotta di Publinord, da un lato, introduce una questione nuova perché estranea (o solo indirettamente connessa) all’oggetto della controversia svoltasi nel giudizio di merito (che non è l’accertamento del diritto di Menage alla riassegnazione del dominio in via amministrativa, ma l’accertamento negativo delle violazioni imputate a Publinord), come dimostrato anche dall’affermazione della Corte territoriale secondo cui “Manage avrebbe potuto comunque riattivare (la procedura di riassegnazione)”; dall’altro, la tesi confligge con l’ulteriore affermazione della Corte (non censurata specificamente) che, come già il Tribunale, ha escluso rischi di confusione e di sviamento di clientela imputabili a Publinord a norma del medesimo regolamento per la “Risoluzione delle dispute” (art. 3.6)>.

Decisione semplice.

Ancora sul giudizio di confondibilità tra marchio denominativo e successivo marchio complessio (figurativo-denominativo)

Il Trib. UE 12.10.2022, T-222/21, Shopify c. EUIPO, interv. Rossi e altri, decide sul se l’anteriorità del marchio denominativo SHOPIFY impedisca la registrazione del seguente

(marchio posteriore)

La sentenza rieprcorre il solito iter logico per il giudizio di confondibilità e conferma la decisione di reclamo amminstrativo per cui non c’è confonbililità.-

Tra i punti più interessanti:

The relevant public for the assessment of the likelihood of confusion is composed of users likely to use both the goods or services covered by the earlier mark and those covered by the contested mark. Thus, as a general rule, where the wording of the goods or services of one mark is wider than the wording of the other, the relevant public is generally defined by the narrower wording (see judgment of 24 May 2011, ancotel v OHIM – Acotel (ancotel.), T‑408/09, not published, EU:T:2011:241, paragraphs 38 and 39 and the case-law cited), § 23.

— Assessment of the similarity between two marks means more than taking just one component of a composite trade mark and comparing it with another mark. On the contrary, the comparison must be made by examining each of the marks in question as a whole, which does not mean that the overall impression conveyed to the relevant public by a composite trade mark may not, in certain circumstances, be dominated by one or more of its components. It is only if all the other components of the mark are negligible that the assessment of the similarity can be carried out solely on the basis of the dominant element. That could be the case, in particular, where that component is capable on its own of dominating the image of that mark which members of the relevant public retain, with the result that all the other components are negligible in the overall impression created by that mark (judgments of 12 June 2007, OHIM v Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, paragraphs 41 and 42, and of 20 September 2007, Nestlé v OHIM, C‑193/06 P, not published, EU:C:2007:539, paragraphs 42 and 43). § 40.

41      In the present case, before assessing the similarity of the signs at issue, it is necessary to examine the distinctive and dominant elements of those signs.

– gli elementi descrittivi non son dominanti  nella impressione complessiva, § 45.

— “shop” è dominante? è IL punto centralE: il Trib. dice di no :

49  In the second place, it is necessary to examine, in the light of the case-law cited in paragraph 40 above, whether or not the element ‘shop’ has a dominant role in the marks at issue.

50      So far as concerns the earlier mark, the other word component of it is the suffix ‘ify’, which, for the English-speaking public, will evoke the concept of transformation, and thus, together with the word ‘shop’, that of ‘making something become a shop’. Therefore, it is without committing an error of assessment that the Board of Appeal could find that the earlier mark, taken as a whole, was highly allusive to the goods and services aimed at creating e-commerce platforms or shopping sites that it designated for the English-speaking public. By contrast, for the non-English-speaking public, the suffix ‘ify’ has no meaning and therefore has an average distinctive character. In both cases, that additional element ‘ify’ is not negligible, within the meaning of the case-law cited in paragraph 40 above, in the earlier mark, and the element ‘shop’, which is moreover descriptive, cannot be regarded as dominant in that mark, contrary to what the applicant claims.

— bassa distinvitità del marchio anteriore, §§ 82/86

—  SHOPIFY non ha acwuisito una particlare distinvitità col tempo, § 87 ss

— infine sul giudizio finale: in the present case, the Board of Appeal considered, in essence, that, despite the identity or similarity of the goods and services concerned, given the descriptive nature of the element common to the two marks at issue, namely ‘shop’, the attention of the relevant public focused on the differentiating elements, in particular, on the ‘ify’ and ‘pi’ endings of the two signs, meaning that the coincidence between the signs resulting from the presence of the said common element was not decisive and that the similarity was weak overall. Furthermore, in view of the high level of attention for professionals and higher than average level of attention for the general public as well as the weak distinctive character of the earlier mark, there was no likelihood of confusion., § 121

e poi

Moreover, as the Board of Appeal pointed out in paragraph 93 of the contested decision, although, in accordance with the case-law of the Court of Justice, the more distinctive the earlier mark, the greater will be the likelihood of confusion, the opposite is also true. With regard to a trade mark with a weak distinctive character, and which thus has a lesser capacity to identify the goods or services for which it has been registered as coming from a particular undertaking, the degree of similarity between the signs should, in principle, be high to justify a likelihood of confusion, or this would risk granting excessive protection to that trade mark and its proprietor (see, to that effect, judgment of 5 October 2020, NATURANOVE, T‑602/19, not published, EU:T:2020:463, paragraph 56)., § 125

(Broad) keyword adverstising

il blog del prof. Goldman Eric  dà notizia di altra sentenza che accerta violazione di marchio tramite inserzione keyword advertising: per la precisione “broad match keyword” cioè una frase più ampia e non la singola parola di interesse.

Nel caso Allied Modular building system, violando il marchio del concorrente Porta-Fab corporation, scelse la frase “Buy Portafab Today– WeManufacture/Install Direct”.

Qui la violazione è palese dato che c’è pure la frase di contorno che crea confuxione.

Così ha deciso la Dist. court of central district do california CASE NO. 8:20-cv-01778-JLS-JDE del 24 luglio 2022, Porta-Fab c. Allied Modular etc .,

violazione di marchio e di DOP

Il consorzio del prosciutto di Parma fa valere la violazione della DOP e del marchio .

Decide con sentenza di buona fattura Trib. Torino  del 17.11.2021, sent n° 5034/2021 – RG 3587/2020, rel. Martinat.

la domanda è accolta (la vioalzione è consistita nell’immettere nel circuito DOP suini non conformi al disciplinare).

Ci sono diversi punti di notevole interesse teorico e pratico:

  • non è mutatio liberlli cambiare la domanda di danno da DOP a marchio
  •  la curiosa eccezione di carenza di legittimazione attiva per non essere il consorzio titolare della DOP: rigettata.
  • essendo un marchio comunitario, il Trib. giudic anche come Trib. dei marchi comunitari.
  • il marchio è valido anche se contrastante con la DOP: ci pare per l’esenziale ragione che è del medesimo titolare, mente il divieto vale in caso di diversità soggettiva (c’è poi una disposizione specifica del reg. UE 1151/2012, applicata dal Trib.)
  • l’utilizzabiità in civile delle prove nel procedumento penale (vari reati, definiti con patteggiamento)
  • la VIOLAZIOne: il Trib. non distingue tra DOP e marchio, dando per scontato -salvo  errore mio- che i fatti costituiscano violazione della prima e automaticamene pure del secondo
  • il danno chiesto: lesione della immagine e reputazione. E’ il punto più interessante. Per la determinazione il parametro è diffusione + notorietà dell’illecito (planetaria)
  • la traduzione economica (chiesta ed accolta) è stata quella del  5 % delle spese pubblicatarie di riparazione e dunque di euro 1.253.000,00
  • il danno morale è stato liquidato non a parte ma come parametro della precedente voce: <<A ciò si aggiunga il danno morale ex art. 125 c.p.i., che il Consorzio chiede venga liquidato separatamente in via puramente equitativa, ma che il Collegio invece ritiene di valutare quale ulteriore parametro per la quantificazione del danno all’immagine ed alla reputazione commerciale.
    Infatti, il danno morale patito direttamente dal Consorzio di per sé considerato, pur se astrattamente distinguibile dal danno all’immagine della DOP e del marchio, in concreto è fondato sulle stesse circostanze fattuali e giuridiche del danno cagionato alla DOP ed al marchio, non potendosi in effetti distinguerlo dalla lesione alla reputazione della DOP e del marchio, posto che la funzione primaria del Consorzio è proprio quella di tutelare DOP e marchio.
    Nel caso di specie, pertanto, in considerazione del fatto che le condotte delle convenute costituiscono fattispecie di reato ed in considerazione del fatto che l’art. 125 c.p.i. espressamente consente la liquidazione del danno non patrimoniale “nei casi appropriati”, ritiene il Collegio che il danno morale indubbiamente patito dal Consorzio alla luce della tipologia degli illeciti commessi dalle controparti (posto che essi hanno intaccato la credibilità dell’attore) debba essere utilizzato a conforto del danno all’immagine ed alla reputazione complessivamente domandati.
    L’art. 125 c.p.i., infatti, prevede che “la sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano”, il tutto, “tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione”>>(il danno morale, o meglio non patrimoniale, degli enti -massime di quelli lucrativi- è questione spinosa)

I non fungible tokens rientrano nell’ambito della privativa di marchio , secondo il Tribunale di roma

Grazie ad  Eleonora Rosati in IPKat che fornisce il link al testo della ordinanza cautelare, già notiziataci dai media, ove  protagonsta attrice è Juventus Football Club (Trib. Roma 19/20.07.2022 ord., RG 32072/2022, repert. 14994/2022, giudice Lando Alfredo).

Niente di nuovo. Sono questioni classiche di diritto industriale, tranne che per l’attività contraffattoria che nel caso è costituita da un qujd tecnologicamente nuovo: card in formato digitale (NFT).

Non c’è dubbio che la loro commercializzazione rientri nel concetto di “uso nell’attività economica” ex art. 21/1 c. propr. ind. (mai citato peraltro dal giudice!): è poco comprensibile quindi il clamore suscitato negli ambienti giuridici.

La cessata attività da parte del convenuto non farebbe venir meno il  periculum in mora, secondo il G.,  perchè potrebbe essere sempre reiterato l’illecito , anche considerato che il contretto di sfruttamento della notoreità in essere non è ancora scaduto.    Punto importante anche se il motivo è quasi tautologico.

Dei NFT non si dice che erano conservati su blockchain, come di solito avviene.

Nedim Malovic sempre su IPKat pone l’interessante questione delle modalità esecutive dell’ordine di distruzione quando i tokens siano su una blockchain, i cui dati dovrebbero essere immodificabili. Dà un paio di soluzioni possibili.

Lotta tra marchi figurativi (complessi): il caso Polo Club

Questi i due marchi in competizione:

Marchio anteriore
marchio successivo

Sovrapponibilità merceologica totale.

Decide Tribunale UE sentenz a19.10.2022 , T-437/21, Greenwich Polo Club, Inc. c. EUIPO + Lifestyle Equities CV interv.

Sentenza interessante che riassume il modo di condurre il giudizio nel caso di marchio figurativi rectius complessi.

Il Tribunale cofnerma l’ufficio mnel sensp cjhe c’è  il rischio di confondibilitò

<< 89   In the present case, it must be borne in mind, first, as is clear from paragraphs 45 to 51 above, that the Board of Appeal did not make any error of assessment in finding that the goods at issue were, in part, identical and, in part, similar to a normal to high degree.

90      Secondly, as has been stated in paragraph 60 above, since the goods at issue are not directly connected with polo playing, the signs at issue have a normal to enhanced degree of distinctiveness with regard to those goods.

91      Thirdly, as is clear from paragraphs 36, 68 and 81 above, the signs at issue are characterised by an average degree of visual similarity, a low degree of phonetic similarity and a high degree of conceptual similarity. The Board of Appeal was therefore right in finding that the signs at issue were similar overall to an average degree.

92      Accordingly, given that the factors relevant to the assessment of whether there is a likelihood of confusion are interdependent, as has been stated in paragraph 82 above, the identity of the goods, coupled with the high degree of conceptual similarity between the signs at issue, is sufficient to conclude, in the present case, that there is a likelihood of confusion with regard to the goods at issue which have been held to be identical (see, to that effect, judgment of 18 February 2004, Koubi v OHIM – Flabesa (CONFORFLEX), T‑10/03, EU:T:2004:46, paragraph 58).

93      As regards the goods which have been held to be similar to an average to high degree, that factor, combined with the signs’ similarity – above all their conceptual similarity – and with the average degree of distinctiveness of the signs with regard to those goods, is sufficient to conclude, as the Board of Appeal found, that a likelihood of confusion cannot be excluded (see, to that effect, judgment of 10 November 2016, POLO CLUB SAINT-TROPEZ HARAS DE GASSIN, T‑67/15, not published, EU:T:2016:657, paragraph 88).>>