Lotta tra marchi figurativi (complessi): il caso Polo Club

Questi i due marchi in competizione:

Marchio anteriore
marchio successivo

Sovrapponibilità merceologica totale.

Decide Tribunale UE sentenz a19.10.2022 , T-437/21, Greenwich Polo Club, Inc. c. EUIPO + Lifestyle Equities CV interv.

Sentenza interessante che riassume il modo di condurre il giudizio nel caso di marchio figurativi rectius complessi.

Il Tribunale cofnerma l’ufficio mnel sensp cjhe c’è  il rischio di confondibilitò

<< 89   In the present case, it must be borne in mind, first, as is clear from paragraphs 45 to 51 above, that the Board of Appeal did not make any error of assessment in finding that the goods at issue were, in part, identical and, in part, similar to a normal to high degree.

90      Secondly, as has been stated in paragraph 60 above, since the goods at issue are not directly connected with polo playing, the signs at issue have a normal to enhanced degree of distinctiveness with regard to those goods.

91      Thirdly, as is clear from paragraphs 36, 68 and 81 above, the signs at issue are characterised by an average degree of visual similarity, a low degree of phonetic similarity and a high degree of conceptual similarity. The Board of Appeal was therefore right in finding that the signs at issue were similar overall to an average degree.

92      Accordingly, given that the factors relevant to the assessment of whether there is a likelihood of confusion are interdependent, as has been stated in paragraph 82 above, the identity of the goods, coupled with the high degree of conceptual similarity between the signs at issue, is sufficient to conclude, in the present case, that there is a likelihood of confusion with regard to the goods at issue which have been held to be identical (see, to that effect, judgment of 18 February 2004, Koubi v OHIM – Flabesa (CONFORFLEX), T‑10/03, EU:T:2004:46, paragraph 58).

93      As regards the goods which have been held to be similar to an average to high degree, that factor, combined with the signs’ similarity – above all their conceptual similarity – and with the average degree of distinctiveness of the signs with regard to those goods, is sufficient to conclude, as the Board of Appeal found, that a likelihood of confusion cannot be excluded (see, to that effect, judgment of 10 November 2016, POLO CLUB SAINT-TROPEZ HARAS DE GASSIN, T‑67/15, not published, EU:T:2016:657, paragraph 88).>>

La distruzione di merci è invocabile anche quando provenienti dal titolare del marchio , qualora non ne avesser autorizzato l’immissione in commercio

condivisibile posizione espressa da corte di giustizia 13.10.2022, C-355/21, Perfumesco c. Procter & Gamble International Operations SA, .

Si tratta di interpretare l’art. 10 dir. 48 del 2004:

<< Sezione 5  Misure adottate a seguito di decisione sul merito
Articolo 10 Misure correttive
1. Salvo il risarcimento dei danni dovuto al titolare del diritto a causa della violazione, e senza indennizzo di alcun tipo, gli Stati membri assicurano che la competente autorità giudiziaria possa ordinare, su richiesta dell’attore, le misure adeguate da adottarsi per le merci riguardo alle quali esse ha accertato che violino un diritto di proprietà intellettuale e, nei casi opportuni, per i materiali e gli strumenti principalmente utilizzati per la realizzazione o la fabbricazione di tali merci. Siffatte misure comprendono:
a) il ritiro dai circuiti commerciali,
b) l’esclusione definitiva dai circuiti commerciali, oppure
c) la distruzione.
>>

Nel caso spefico erano state messe in vendita da Perfumesco dei campioncini di profumo  Hugo Boss, creati però solo come c.d. tester cioè flaconcini di prova (Procter and Gamble unico licenziatario, legittimato ad agire).

Si trattava allora di interpretare il concetto di <violazione di diritto di proprietà intellettuale>

Un prodotto immesso solo come tester non è  immesso anche come vendita e quindi non opera l’esaurimento.  Quindi pare esatto ravvisare violazione (sopratutto se si accetta la tesi -ancora persuasiva- di Sarti  per cui il succo della privativa sta nel potere di determinare il numero di esemplari presenti nel mercato).

Diritto di marchio bloccato dal diritto di espressione (Primo Emendamento)

Saber è licenzitario esclusvii di diritto di IP su un trattore, che usa nei videgiochi da lui prodotti. Si accorge che un concorrente (Oovee) usa il medesimo trattore nei suoi videogiochi (e sulla medesima piattaforma)  : agisce  allora in corte.

Questione assi interessante a livello teorico.

La West. D.C. of Washingotn at Seattle 6 ottobre 2022 Case 2:21-cv-01201-JHC Saber INteractive c. Oovee + 3 , tuttavia, rigetta perchè i videogiochi del convenuto costituiscono expressive speech protetto dal Primo Emendamento.

<<Generally, courts apply the “likelihood-of-confusion test” when evaluating an
infringement claim under the Lanham Act.
Gordon v. Drape Creative, Inc., 909 F.3d 257, 264
(9th Cir. 2018) (citation omitted). But when “artistic expression is at issue,” the likelihood-ofconfusion test “fails to account for the full weight of the public’s interest in free expression.”
VIP Prod. LLC v. Jack Daniel’s Properties, Inc., 953 F.3d 1170, 1174 (9th Cir. 2020) (quoting
id.). “Section 43(a) protects the public’s interest in being free from consumer confusion about
affiliations and endorsements, but this protection is limited by the First Amendment, particularly
if the product involved is an expressive work.”
>>

Se l’uso del marchio altrui costituisca artistic expression, è giudicato in base alle regole poste da Rogers v. Grimaldi del 1989: precedente importante, invocato ad es. di recente anche dal giudice newyorkese nel decidere il caso sugli NFTs Hermes v. Rotschild,  su cui mio post ).

La Corte ritiene che il videogioco sia un expressive work: < Saber’s complaint states that “Spintires is an off-roading simulation that allows users to
navigate a wilderness environment in particular vehicles,” that “
Spintires allows a user to pick a
vehicle and then drive it around in the simulated world,” and that it tries to “duplicate the realworld experience of driving a particular vehicle.”
Id. at 9–10. Users interact with the virtual
world by selecting a vehicle (which is like a character) and by navigating the virtual environment
(which is like a plot). These features render the work expressive, like the video games in Brown
and VIRAG. See also Novalogic, Inc. v. Activision Blizzard, 41 F. Supp. 3d 885, 898 (C.D. Cal.
2013) (holding that the video game
Call of Duty
is an expressive work because the game features
“distinctive characters,” requires that the players “interact with the virtual environment as they
complete a series of combat missions,” and allows players to “control the fate of characters and
the world they inhabit”)>>.

Passaggi successivi: l’attore non dimosra che la artisticità prodotta dal trattore altrui è inconsistente, p. 11, nè che l’inserimento del medesimo nel videogioco è  “esplicitly misleading”, p. 11 ss.

Quindi la domanda è rigettata.

E’ poi rigettata anche quella basata su trade dress (imitazione servile, suppergiù)

Da noi in un caso analogo potrebbe forse essere pertinente l’art. 21  cod. propr. ind. (spt. c.2 oppure c.1 n. 3) , che vieta al titolare del marchio di usarlo in modo da ledere altrui diritti esclusivi di terzi, o la tutela costituzionale della libertà artistica.

Si trata della scivolosa questiopne degli usi c.d referenziali del marchio altrui.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Violazione di marchio e copyright circa il celeberrimo marchio di Patagonia da parte di un venditore su Walmart

Si consideri il seguente logo di Patagonia:

(immagine presa dal web: https://www.bergfreunde.it/patagonia-p-6-logo-responsibili-tee-t-shirt/)

e questo:

(immagine presa dal web: https://bluequillangler.com/patagonia-logo/?s=)

Ebbene, Patagonia lamenta che i suoi diritti di marchio e copyright siano violati dal segno grafico presente nelle magliette prodotte da Robin Ruth e distribuite da WalMart: si v. l’immagine a p. 2 della citazione in giudizio di cui appresso e già qui riprodotta:

Il segno è simile quanto all’elemento non denominativo, ma assai diverso rispetto a quello denominativo.

La prof. Alexandra Roberts offre il link all’atto di citaizone in giudizo presso la corte di Los Angeles.

La difesa non ragiona su questa differenza: si limita a dare per scontata l’associazione tra le due imprese:

<< In blatant disregard of Patagonia’s rights in the PATAGONIA
trademarks—and without authorization from Patagonia—Defendants have
promoted, offered for sale, and sold shirts bearing designs and logos that are nearly identical to the P-6 Trout logo and P-6 logo, only replacing Patagonia’s
PATAGONIA word mark with the word “Montana,” which inevitably will imply to
consumers that Patagonia has endorsed or authorized these products
>>.

Il caso non è semplice e bisogna distinguere tra i due marchi di Patagonia.

Ferma la uguaglianza merceologica, i segni differiscono in toto quanto alla componente denominativa , la quale ha un ruolo quantomeno coessenziale a quella a figurativa nel marchio attoreo. I nomi poi son scritti diversamente:  carattere assai peculiare nell’attore, banale nel covnenuto.

Ma può essere che alla fine il consumatore associ il marchio del secondo all’impresa del primo. E visto che basta il rischio di ciò (art. 20.1.b, cod. propr. ind.) , da noi la domanda potrebbe essere accolta .

Conclusione direi quasi certa per il secondo marchio (a forma di pesce), più difficile per il primo (solo montagna, concettualmente altro dal pesce).

Vedremo.

Uso di marchio altrui in NFTs (non-fungible tokens): respinta l’eccezione artistica e quella da diritto di parola

Il distretto sud di New York decide (per ora) la lite Hermes Int’l v. Rothschild con sentenza 18 maggio 2022, caso n 22-CV-384 (JSR) , rigettando l’istanza di dismissal del convenuto.

L’attore è la nota casa di moda Hermes (H.) . Convenuto è l’artista digitale Mason Rotschild (R., proveniente dal mondo della moda) che ha creato e diffuso in commercio NFTs riproducenti le esclusive borse Hermes “Birkin”, chiamandole “MetaBirkins” (anche se con qualche modifica: sfuocatura + copertura di pelliccia).

H. aziona il diritto di marchio. R. si difende in primis eccependo l’artisticità e invocando il Primo Emendamento sulla base del precedente Rogers v. Grimaldi del 1989 (effettivamente abbastanza simile , relativo al film Ginger e Fred di Fellini).

La corte concede che si applichi il test ideato dal precedente cit. ma non lo ritiene soddisfatto perchè: 1) l’uso del marchio è artisticamente non necessitato (è un pretesto), 2) è anche misleading circa l’origine del prodotto.

L’uso nel commercio di segni distintivi iconici altrui (sopratutto dell’alta moda) sta diventando un tema importante e di non facile soluzione.

IN linea di principio, essendo forte il rischio di approfittamento della notorietà altrui, l’eccezione di esercizio di un diritto fondamentale (libertà di critica o di espressione) sarà da accogliere solo in pochi e evidenti casi.

DA un lato si potrebbe dire che anche chi sta nel commercio -seppur da artista; o anche non da artista, caso ancora più complicato- ha diritto di esprimersi sui temi socioculturali; dall’altro però potrebbe replicarsi che lo dovrebbe fare non nella sede commerciale ma come privato (perchè mai non in sede artistica, si potrebbe controreplicare, trattandosi di artista) e/o che vi sia un minimo di elaborazione culturale nella proposta artistica che poi cade sub iudice.

Il nostro art. 21.1 cpi  pone si il criterio genrale della correttezza professionale ma poi non menziona il diritto di artista e/o di parola.  Forse con molto sforzo lo si potrebbe ravvisare nella lettera c).

Riporto solo il passagggio in sentenza su concetto e pratica di NFTs, che non tutti ancora conoscono:

<<FTs, or “non-fungible tokens,” are units of data stored on a blockchain that are created to transfer ownership of either physical things or digital media. Id. ¶ 4. When NFTs are created, or “minted,” they are listed on an NFT marketplace where NFTs can be sold, traded, etc., in accordance with “smart contracts” that govern the transfers. Id. ¶¶ 61, 63. Because NFTs can be easily sold and resold with a transaction history securely stored on the blockchain, NFTs can function as investments that can store value and increase value over time. Id. ¶ 69.

When an NFT is linked to digital media, the NFT and corresponding smart contract are stored on the blockchain and are linked to digital media files (e.g., JPEG images, .mp4 video files, or .mp3 music files) to create a uniquely identifiable digital media file. Id. ¶ 60. The NFTs and smart contracts are stored on the blockchain (so that they can be traced), but the digital media files to which the NFTs point are stored separately, usually on either a single central server or a decentralized network. Id. ¶ 62.

This means that an NFT could link to a digital media file that is just an image of a handbag or could link to a different kind of digital media file that is a virtual handbag that can be worn in a virtual world. Fashion companies are just starting to branch out into offering virtual fashion items that can be worn in virtual worlds online (most commonly, for now, in the context of videogames, but with potential to expand into other virtual worlds and platforms as those develop), and NFTs can be used to create and sell such virtual fashion items. However, while Hermes calls what Rothschild sells “digital handbags,” they do not dispute that what Rothschild sells are digital images of (faux fur, not leather) Birkin bags, and not virtually wearable Birkin bags.

Fashion brands are beginning to create and offer digital replicas of their real-life products to put in digital fashion shows or otherwise use in the metaverse. Am. Compl. ¶ 66. NFTs can link to any kind of digital media, including virtual fashion items that can be worn in virtual worlds online. Id. Brands sometimes partner with collaborators in offering co-branded virtual fashion products. Id. ¶ 67.>>

Decisione confermata da US DISTRICT COURT- SOUTHERN DISTRICT OF NEW YORK, caso 22-cv-384 (JSR), del 5 ottobre 2022 , che rigetta la domanda di interlocutory review..

Anzi si legge (ad es in reuters.com)  che l’8 febbraio 2023 sarebbe stato emesso il rigetto definitivo dell’appello.

V. ora il saggio di Rebecca Tushnet, Bad Spaniels, Counterfeit Methodists, and Lying Birds: How Trademark Law Reinvented Strict Scrutiny (March 13, 2023) : approfondita rassegna in vista della decisione della Corte Suprema nel caso Bad Spaniels v. Jack Daniel’s relativo alla parodia del primo verso il secondo.

La rimozione del marchio (“smarchiatura”) da un giaccone in occasione di evento pubblico costituisce violazione del marchio?

Risponde di si Trib. Torino 11.03.2022, sent. n. 1102/2022 – RG 25850/2019, rel. La Manna, nell’interessnte caso K-Way.

Al cantente Nicky Jam fu fatto offuscare il marchio K-Way sul suo giubbotto in occasine del video ufficiale della Fifa World Cup 2018.

Norme azionate e usate dal giudice per accogliere la domanda: ART. 5 E 20 .C 2 CPI

La parte motivatoria più rilevante è la seguente:

<< 2.3) Né può affermarsi quanto sostenuto dalla convenuta in merito alla insussistenza dei presupposti
per l’applicazione delle citate disposizioni in quanto non vi sarebbe stata alcuna immissione in
commercio del giubbotto essendo lo stesso stato acquistato dal cantante ai fini del proprio personale
godimento. L’eccezione non è pertinente in quanto se è vero non risulta contestata l’appartenenza del
giubbotto al cantante vero anche è che proprio con l’utilizzo di quel giubbotto e all’alterazione del
marchio che lo contraddistingue che
il video è stato girato e diffuso a livello mondiale, vista la
risonanza dell’evento, con tutte le conseguenti ricadute commerciali a vantaggio, anche delle
convenute.    Appare evidente, quindi, che nel caso di specie non vi è stata alcun esaurimento del marchio
atteso che il giubbotto, pur appartenendo al cantante, non è stato utilizzato a scopo di mero godimento
o nell’ambito della fisiologica immissione nel circuito economico ma
specificamente al fine di
realizzare un video destinato alla promozione di un evento di rilevanza mondiale
quale il
Mondiale di calcio Russia 2018. Realizzazione e diffusione di tale video che sono avvenute proprio ad
opera delle parti convenute.
Né può trovare ancora accoglimento la tesi secondo cui gli illeciti commessi difetterebbero
dell’elemento soggettivo laddove dalla stessa narrazione dei fatti operata dalla parte convenuta emerge
inequivocabilmente come la stessa fosse ben consapevole del comportamento tenuto essendo
l’oscuramento stato eseguito proprio dalla Sony al fine di aggirare i divieti di utilizzo di prodotti non
riferibili agli sponsor ufficiali della manifestazione.
La posizione della parte attrice è, pertanto, da riconoscersi meritevole di tutela non sotto il profilo di un
suo diritto a vedere accostato il suo marchio alla manifestazione sportiva in oggetto, diritto peraltro
neppure reclamato dalla stessa attrice, bensì sotto il profilo del diritto della stessa a non vedersi alterare
il logo del proprio prodotto e, conseguentemente, a non vedersene ledere il prestigio e il valore
promozionale.
Sotto tale profilo, pertanto, la condotta posta in essere dalle parti convenute è da ritenersi contrastante
con i principi di cui agli artt. 5 Cpi e 13 Rmue nonché di cui allo stesso art. 20 Cpi, rappresentando
l’oscuramento del logo una ipotesi di contraffazione. Il comportamento rileva, inoltre, anche sotto il
profilo della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. in quanto è pacifico che Basicnet operi anche sul
mercato della promozione di video pubblicitari dei propri prodotti e la diffusione di un video
contenente un prodotto Basicnet modificato senza il suo consenso in modo da alterarne la capacità
distintiva rappresenta un’ipotesi di comportamento non conforme alla correttezza professionale
rilevante ai sensi dell’art. 2598 co. 3 cpc.
>>

L’esattezza del passaggio però è dubbia: non pare rientrare nella privativa il diritto di impedire all’utilizzatore di usare il prodotto senza il marchio inizialmente apposto, anche se ciò avvenga in sede commerciale.

Interessante è anche la determinazione del danno ai sensi della royalty raginevole ex 125.2 cpi

Il post di addio sui social, indirattamente o velartamente critici verso l’ex datore di lavoro, non costitujice uso del marchio di quest’ultimo

Un allenatore di baseball, prima di sciogliere il rapporto di lavoro col college, carica cinque post su Twitter di saluto, dando ntizia della cessazione .

L’ultimo dice < “Per the threat of legal action from my former university this Twitter account will be deleted or taken over by the university. My affiliation with this account will end Monday. Thank you all again for your support.”  >

Il college lo cita azionando alcune disposizioni della legge sui segni distintivi (Section 43(a) of the Lanham Act, 15 U.S.C. § 1125(a), i )

Serve però che ricorra l’ “uso nel commercio” (da noi art. 20.c.1. prima parte, cpi).

Da quanto è ivi esposto, è evidente che tale uso non ricorre.

La corte  NORTHERN DISTRICT OF ILLINOIS EASTERN DIVISION 16 settembre 2022, St. Xavier University b. Rocco Mossuto, caso, caso  No. 20-cv-05206 , pure la pensa così:

<< Next, as to the merits of the motion, Mossuto argues that he is entitled to summary judgment on SXU’s trademark infringement claim because SXU has not met the commercial use
requirement of the Lanham Act—that is, that the alleged infringement was “in connection with any
goods or services.” 15 U.S.C. § 1125(a). While the Seventh Circuit has not yet squarely opined on
this issue, the opinions of several other circuit courts are persuasive.
See Bosley, 403 F.3d at 680
(holding that plaintiff could not use the Lanham Act as a sword to silence noncompetitor
defendant’s criticism because defendant’s use of plaintiff’s trademark was not “in connection with
the sale of goods”);
Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1053 (affirming summary judgment for
defendants where defendants’ use of plaintiff’s trademark was not in connection with any goods or
services);
Radiance Found., Inc. v. N.A.A.C.P., 786 F.3d 316 (4th Cir. 2015) (holding that the “‘in
connection with’ language must denote a real nexus with goods or services…”);
Taubman Co. v.
Webfeats
, 319 F.3d 770 (6th Cir. 2003) (“If [defendant’s] use is commercial, then, and only then, do we analyze his use for a likelihood of confusion.”).

SXU responds, without support, that Mossuto’s allegedly infringing conduct satisfies the commercial use requirement because “posting information on a social media service in connection
with a trademark is commercial speech subject to the Lanham Act.” (Dkt. 69 at 5.) The Court agrees with the Tenth Circuit that not every use of the internet is commercial for purposes of the
Lanham Act.    See Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1054. Such a holding would “greatly expand
the scope of the Lanham Act to encompass objectively noncommercial speech.”
Id. In addition,
that the Patent and Trademark Office allows registration of trademarks for the purpose of providing
information via the internet, SXU argues, is evidence that such a restriction does not exist.

A plain reading of the Lanham Act is evidence to the contrary. 15 U.S.C. § 1125(a)(1) (“Any person who,
on or in connection with any goods or services…”). SXU must show something more to connect Mossuto’s actions to goods or services sufficient to sustain a Lanham Act claim.
The undisputed evidence shows that Mossuto’s use of SXU’s trademark was not
commercial. Though SXU readily admits that Mossuto did not use the Twitter Account for any
monetary purpose, it nevertheless brings this claim under the Lanham Act for an alleged trademark
infringement that lasted a few hours. (Dkt. 73, ¶ 47–48.) The real issue seems to be that Mossuto
used the Twitter Account as a platform to criticize SXU’s reasons for terminating his employment.
Such a use is not actionable under the Lanham Act.
See Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1053
(“In our view, the defendant… must use the mark in connection with the goods or services of a
competing producer, not merely to make a comment on the trademark owner’s goods or services.”)
>>

Lo scontato esito imporrebbe, da noi, la condanna attorea per responsabilità aggravata ex art. 96 cpc

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

“Trump too small”: incostituzionale il rifiuto di registrazione di marchio denominativo evocante l’ex presidente Trump

La domanda di registrazione del marchio denominativo <TRUMP TOO SMALL> per magliette era stata respinta dall’USPTO, perchè non c’era il consenso del titolare del nome e perchè indicava falsamente un’associazione con lui.

La frase si riferisce al noto scambio di battute “fisico-dimensionali” tra Trump e Marc Rubio, di qualche anno fa.

L’impugnazione fondata sulla violazione del diritto di parola venne respinta dal Board amministrativo.

Ma la corte di appello federale 24.02.2022, n° 2020-2205, in re: Steve Elster, rifroma: il rifiuto di registrazione è incostituzionale perchè contrastante appunto col diritto di parola del Primo Emendamento.

Irrilevanti sono sia l’eccezione di privacy (assente per un personagigo pubblico, sub IV, p. 11),  che di right of publicity , non essendoci nè uno sfruttamento della notorietà di Trump (qui è però difficile veder quale legittimazione abbia il Governo) nè un’induzione del pubblico a pensare che egli abbia dato il suo endorsement al prodotto (su cui avrebbe legittimazione il Governo: sub V, p. 12/4).

Del resto la domanda di marchio e il suo uso costituiscono private speech, p. 5, che può invocare il 1° Emend., anche se per uso commerciale, p. 9.

In conclusione il rifuto di registrazione è annullato.

Mi pare in realtà trattarsi di uso parodistico o meglio satirico.

In UE è discusso se possa invocarsi l’uso parodistico di un marchio altrui, magari rinomato.

In prima battuta potrebbe rispondersi positivamente sulla base di un diritto di parola o di critica (da un lato l’art. 21 cpi e .art. 14 dir. UE 2015/2436 sono muti sul punto ; dall’altro il diritto di manifestazione del pensiero,  se ravvisato nel caso specifico, non sarebbe inibito dalla mancanza di espressa sua previsione).

A ben riflettere, però,  la cosa non è semplice, potendo l’operazione nascondere uno sfruttamento abusivo della notorietà altrui.

Il Tribunale UE su una lite tra marhci denomainativo-figurativ (Tigercat v. Cat)

Trib. UE 13.07.2022, T-251/21, Tigercat International Inc., e c. EUIPO + Caterpillar interv.,  decide la lite sulla registrabilità del marchio denominativo TIGERCAT ala luce dell’anterità costituita da

marchio anteriore

I prodotti erano  uguali (‘Specialised power-operated forestry equipment, namely, purpose built four wheel drive-to-tree and track type log bunchers, log loading machines, skidders and other forestry industry equipment, namely, bunching saws, bunching shears and components parts thereof’).

Il pubblico è molto attento, essendo professionale, § 23 ss

Predominanti nel secondo son entrambi gli elementi, alla pari. Nel primo, poi,  la figura non oscura la parola, § 59.

Conferma che ricorre la visual similarity, § 64.

Ricorre anche quella fonetica, §§ 69-74. Qui l’interesse sta nel fatto che quello posteriore è composto e comprende quello anteriore.

Esatta è anche la stima di confondibilità concettuale (richiamo CAT), § 84.

In breve c’è rischio di confusione, § 94 e 97

Il Tribunale dunque conferma le decisioni amministrative

Precisazioni sui marchi: convalidazine, distintività e rapporto tra disciplina ad hoc e concorrenza sleale

Uili precisaizoni da Trib. Bologna n. 1782/2021, Rg 12664/2017, Montedil srl c. Mon.Edil srl, rel. Romagnoli, su questioni frequenti in tema di marchi:

1) << L’istituto della convalidazione può valere, però, solo per il marchio successivo registrato (cfr. Cass. civ.
Sez. I, n. 26498 del 2013) o al massimo per la denominazione sociale e il nome a dominio (che sono
comunque segni distintivi in qualche modo “registrati”) quindi non per il marchio di fatto, quale è quello
(o meglio, quelli) della convenuta (MONT.EDIL IMPRESA EDILE, MONTEDIL COSTRUZIONI
EDILI e MONTEDIL SRL con la raffigurazione dell’escavatore, cfr. docc. 2, 2 ter, 2 bis, 3, 4, 5 e 14);
d’altronde, l’eventuale tolleranza dell’uso della ditta o dominazione sociale MONT.EDIL, non significa
tolleranza nell’uso dello stesso segno come marchio (cfr. Cass .civ. Sez. I, 20.4.2017 n. 9966): dunque in
nessun modo potrebbe esservi convalidazione del marchio
>>, p. 5;

Del resto il tenore della disposizione (art. 28 cpi) è inequivoco.

2) << Va altresì disattesa ogni prospettazione di nullità dei marchi attorei per assenza di capacità distintiva ai
sensi dell’art. 13 CPI: il termine “edil” è senz’altro evocativo del servizio edile, ma è un tutt’uno non
distinguibile nel marchio MONTEDIL che con l’anteposizione del termine “mont” conferisce al segno
nella sua unitarietà una capacità distintiva avulsa dalla natura del servizio prestato; per altro verso, la
circostanza che il termine “montedil” sia utilizzato da diverse imprese nella propria denominazione
sociale non fa di esso un segno divenuto di uso comune nel commercio ai sensi della lett. a art. 13 cit.,
che invece fa riferimento alla parola del linguaggio comune che si pretenda di utilizzare come marchio
>> e poi, superrata la questione della validità di quello aizonaot, affronta quella della legittimità di quello conveuto: << Se ciò è vero, appare chiaro che anche a considerare la natura “debole” del marchio “montedil”
l’introduzione di un punto fra “mont” ed “edil” non è variazione sufficiente ad escludere la confondibilità
fra i servizi richiamati dal segno; d’altronde, pur riconoscendosi che il marchio MONT.EDIL è stato
utilizzato assieme ad altri elementi (terminologici o figurativi) reputa il collegio che tali elementi
aggiuntivi non riescano a controbilanciare la somiglianza (quasi identità) fonetica e morofologicolessicale.
Va dunque riconosciuto che l’uso del segno “montedil” comunque scritto (con l’inserimento del punto
fra “mont” ed “edil” ovvero con l’aggiunta di ulteriori termini come “impresa edile” o “costruzioni edili”
o di elementi figurativi come l’escavatore stilizzato) da parte della convenuta è in violazione dei marchi
registrati attorei ex art. 20/1° co. lett. b) CPI, e conseguentemente ne va disposta l’inibitoria da ogni
utilizzo, anche quale denominazione sociale e nome a dominio.
Quanto specificamente al nome a dominio
www.montedilparma.com il collegio apprezza che l’aggiunta
del termine “parma” neppure valga a differenziare adeguatamente il segno rispetto ai marchi dell’attrice,
perché l’indicazione territoriale associata alla denominazione sociale semmai induce il mercato a ritenere
che il segno sia riconducibile ad unità territoriale dell’impresa piuttosto che a diversa impresa avente la
stessa denominazione, sicchè non consiste in idoneo elemento qualificante a designare la convenuta e ad
escludere il rischio associativo fra imprese
>>, p. 6

3) << Va disattesa la domanda concernente la concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n. 1 c.c.) sulla quale
domanda il collegio osserva quanto segue.
Sebbene siano astrattamente compatibili e cumulabili la tutela dei segni distintivi prevista dal codice
della proprietà industriale e quella prevista dal codice civile in tema di concorrenza sleale (in tal senso è
chiaramente l’
incipit dell’art. 2598 c.c.), va condiviso il principio per cui la medesima condotta può integrare sia la contraffazione della privativa industriale sia la concorrenza sleale per l’uso confusorio di
segni distintivi solo se la condotta contraffattoria integri anche una delle fattispecie rilevanti ai sensi
dell’art. 2598 c.c., cioè a dire che va esclusa la concorrenza sleale se il titolare della privativa industriale
si sia limitato a dedurre la sua contraffazione (cfr. Cass. sez. I, 02/12/2016, n. 24658 in materia di
brevetto), se – in altre parole ancora – le due condotte consistano nel medesimo addebito integrante la
violazione del segno (o del brevetto).
In buona sostanza, dall’illecito contraffattorio non discende automaticamente la concorrenza sleale, che – dunque – deve constare di un
quid pluris rispetto alla pura violazione del segno o del brevetto, cioè di una modalità ulteriore afferente il fatto illecito >> p. 6/7