“Luxy” non è confondibile con “Luxury”: quasi un caso di keyword advertising

Il tribunale del Central District of California, 3 ottobre 2021, Case 2:20-cv-00423-RGK-KS, Reflex media c. Luxy decide una domanda di violazione di marchio e concorrenza sleale.

Il marchio azionato era <Luxy> scritto con una certa paricolarità grafica.

Il resistente aveva fatto un’inserzione in Google Search: digitando <luxy> compariva -tra quattro- il suo annuncio a pagamento con titolo <Luxury dating site. For elite relatgionship> (v. riproduzione sotto).

La corte nega che tale titolo violi il diritto sul marchio predetto: <<Plaintiffs’ advertisement does not contain the word “Luxy” or appear to cause any more confusion than the other three advertisements. Even so, Defendant alleges that the title of Plaintiffs’ advertisement — “Luxury Dating Site – For Elite Relationships”—causes confusion because SeekingElite.com and OnLuxy.com offer the same services and because the word “Luxury” is similar to Defendant’s trademark. However, the word “Luxury” and Defendant’s trademark are not alike….the dissimilarity between the marks suggests that Plaintiffs did not intend to deceive the public by incorporating the word “Luxury” into the title of their advertisement.>>

La corte poi nega la genericità di termini  <seeking> <seeking millionaire> etc. per siti di incontri.

(notizia e link alla sentenza , come pure l’immagine di cui sotto, tratti dal blog di Eric Goldman)

https://blog.ericgoldman.org/wp-content/uploads/2021/12/luxy.jpg

Altra Cassazione sulla confondibilità tra marchi

Purtroppo permane la bizzarria  tutta italiana di omettere nelle decisioni su marchi (figurativi) la loro rappresentazione grafico, invece essenziale per capire la fattispecie concreta (nel caso de quo li ho individuati in rete).

Parliamo di Cass. 13.12.2021 n. 39.764, Permasteelisa c. Bluesteel, rel. U. Scotti, che contiene anche molti snodi processuali, assai rilevanti per il pratico (ricordo solo quello -condivisibilissimo- sulla non contestazione ex art. 115 cpc, spesso superficialmente applicata: l’istituto riguarda solo fatti storici, non affermazioni diverse come le difese, § 2.5: ne segue che la disposizione non si applica all’affermazione di rinomanza del marchio, fatta dall’attore)

Passando al merito , va rimarcata l’affermazine per cui la rinomanza non va provata con <<l’internazionalità e notorietà della sua azienda; fatturato annuo; utilizzo costante del marchio; estensione del marchio in ventuno Paesi) >>. Sono invece <<fattori essenziali il grado di conoscenza da parte del pubblico e semmai il volume di investimenti pubblicitari, quale fatto presuntiva mente capace di generare a sua volta una presunzione di conoscenza collettiva>, § 2.6.

Su marchio debole/forte al § 3.7: <<Se il collegamento logico è intenso, si parla di marchio debole, se il collegamento logico si fa sempre più evanescente, si parla di marchio sempre più forte.

La ratio evidentemente sottesa a tale principio vuol impedire che attraverso la privativa sul segno si venga a precostituire un monopolio sullo stesso prodotto o servizio contraddistinto.

Inoltre il grado di tutela accordata al marchio muta, in termini di intensità, a seconda della sua qualificazione di esso quale marchio “forte” (e cioè costituito da elementi frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti e, quindi, senza capacità descrittiva rispetto alla tipologia di prodotto contrassegnata) o “debole” (ossia costituito da un elemento avente una evidente aderenza concettuale rispetto al prodotto contraddistinto).

La distinzione fra i due tipi di marchio, debole e forte, si riverbera poi sulla loro tutela di fronte alle varianti: nel senso che, per il marchio debole, anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escludere la confondibilità, mentre, al contrario, per il marchio forte devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandolo in modo individualizzante.

Questi principi ispirano il costante orientamento di questa Corte in tema di marchi d’impresa, secondo cui la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte (Sez. 1, n. 8942 del 14.5.2020, Rv. 657905 – 01; Sez. 1, n. 10205 del 11.4.2019, Rv. 653877 – 03; Sez. 1, n. 15927 del 18.6.2018, Rv. 649528 – 01; Sez. 1, n. 9769 del 19.4.2018, Rv. 648121 – 01; Sez. 1, Numero di raceolta gendale 39764/2021 Rv. 637809 – 01)>>.

Sul giudizio di confondibilità, si leggono affermazioni comunemente ricevute: <Ancora recentemente (Sez.6.1, n. 12566 del 12.5.2021) questa Corte ha riepilogato la propria giurisprudenza ferma nel ritenere che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Sez. 1, n. 8577 del 6.4.2018, Rv. 647769 – 01; Sez. 1, n. 1906 del 28.1.2010, Rv. 611399 – 01; Sez. 1, n. 6193 del 7.3.2008, Rv. 602620 – 01); tale accertamento va condotto con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro (cfr. quanto evidenziato in motivazione da Cass. 17.10.2018, n. 26001, attraverso il richiamo a Sez. 1, n. 4405 del 28.2.2006, Rv. 589976 – 01).

Il principio inoltre è conforme all’insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie: valutazione che deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (Corte Giust. CE 11.11.1997, C-251.95, Sabel, 22 e 23; Corte Giust. CE 22.6.1999, C-342.97, Lloyd, 25, la quale precisa, al punto 26, che, il consumatore medio di una data categoria di prodotti, per quanto sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria).>

Su marchi di insieme e marchio complesso: <<Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il marchio complesso consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile (Sez. 1, n. 12368 del 18.05.2018, Rv. 648933 – 01; Sez. 1, n. 12860 del 15.06.2005, Rv. 583122 – 01).

Il marchio d’insieme si distingue dal marchio complesso: mentre quest’ultimo è riconoscibile nel segno risultante da una composizione di più elementi ciascuno dotato di capacità caratterizzante, la cui forza distintiva è tuttavia affidata ad uno di essi costituente il c.d. cuore, assolutamente protetto per la sua originalità, nel marchio d’insieme, invece, si ha la mancanza di un elemento caratterizzante (il c.d. cuore), essendo i vari elementi tutti singolarmente mancanti di distintività, ed essendo soltanto la combinazione cui tali elementi danno vita, ovvero appunto il loro insieme, che può avere, per come viene percepito dal mercato, un valore distintivo più o meno accentuato (Sez. 1, n. 7488 del 20.04.2004, Rv. 572177 – 01)>>, § 3.11.

Ancora, il giudizio sulla confondibilità è di merito, non censurabile presso la SC, § 3.12. Sul punto non concordo: i fatti riservati ai giudici di merito sono solo i fatti storici: quello di confondibilità tale non eè, dato che presuppne accertati  i fatti storici ed è un giudizio di diritto.

Principio di diritto : “In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità dei segni nel caso di affinità dei prodotti – apprezzamento che costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici – non deve essere compiuto in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione d’impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro; il predetto giudizio deve essere motivato e corredato dall’indicazione, concisa e sintetica, delle ragioni che lo hanno orientato e degli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore“.

violazione di marchio RISE per bibite in lattina: Pepsi perde la lite (per ora)

La corte del southern district di Ney York decide  una domanda dui contraffazione a carico del colosso Pepsi: sentenza 3 novembre 2021, caso 21 Civ 6324 LGS, RISEANDSHINE CORPORATION- RISE BREWING c. Pepsico inc. (link preso da Reuters.com ).

Si v. le foto lattine a confronto e poi il marchio anteriore ingrandito.

La corte ravvis confondibilità-

L’azione è quella di reverse confuision: The reverse confusion theory protects the mark of a [senior] user from being overwhelmed by a [junior] user, typically where the [junior] user is larger and better known and consumers might conclude that the senior user is the infringer., p. 10.

I fattori esaminati sono i soliti dal caso Polaroid:

(1) the strength of the trademark;

(2) the degree of similarity between the plaintiff’s mark and the defendant’s allegedly imitative use;

(3) the proximity of the products and their competitiveness with each other;

(4) the likelihood that the plaintiff will “bridge the gap” by developing a product for sale in the defendant’s market;

(5) evidence of actual consumer confusion;

(6) evidence that the defendant adopted the imitative term in bad faith;

(7) the respective quality of the products;

and (8) the sophistication of the relevant population of consumers.

In conclusione, dice la corte, << given the degree of similarity between Plaintiff’s and Defendant’s marks, the proximity of their areas of commerce, and credible testimony of actual confusion, Plaintiff has met its burden of showing a sufficient likelihood of success on the merits to warrant a preliminary injunction, regardless of whether the relevant standard is a clear or substantial likelihood, a simple likelihood, or serious questions on the merits. See generally Guthrie, 826 F.3d at 46; Virgin Enters. Ltd., 335 F.3d at 142. Plaintiff has shown that the risk of reverse  confusion is probable — i.e., that without an injunction, Plaintiff is at risk of “being overwhelmed by a subsequent user [PepsiCo], where the subsequent user is larger and better known.” LVL XIII Brands, Inc., 209 F. Supp. 3d at 666>>, p. 20

Difficile dar torto alla corte.

 

Marchio rinomato cede a marchio anteriore non rinomato

il Trib UE decide l’opposiizone alla registazione di mrachio da prate del Ac Milan: Trib. Ue 10.11.2021, T-353/20, aC Milan spa c. EUIPO. L’oppositore è titolare di marchio denominativo <Milan> del 1984, § 53, mentre il deposito di marchio figurativo (§ 2) dell’AC Milano è del 2o17.

I prodotti o servizi sono quasi identici (penne, carte, quaderni e materiali di cancelleria) , per cui la lite si giuoca sulla somiglianza tra marchi.

Centrale è , comprensibilmente, il giudizio sulla preminenza o meno del segno figurativo nei due marchi. Contraraumetne a quanto di solito si ritiene, qui non lo è per il marhcio anteriore, date laa sua ridotta evidenza, § 57 ss.

Analoga preminenza anche per il segno del depositante AC Milan, § 84 ss.

Pertanto la somiglianza tra segni è quasi scontata.

La soc. del team calcistico perde dunque sia la fase amminsitrativa sia il primo grado giudiziale.

Ricordo solo due aspetti:

  1. le iniziali considerazioni generali, slegate dal (ma poi applicate al) caso de quo:

    << In interpreting the concept of genuine use, account must be taken of the fact that the ratio legis for the requirement that the earlier mark must have been put to genuine use is not intended to assess the commercial success or control the economic strategy of an undertaking or to restrict the protection of marks only to their quantitatively significant commercial exploitation (judgments of 8 July 2004, T‑203/02, Sunrider v OHIM – Espadafor Caba(VITAFRUIT), T‑203/02, EU:T:2004:225, paragraph 38, and of 2 February 2016, Benelli Q. J. v OHMI – Demharter (MOTOBI B PESARO), T‑171/13, EU:T:2016:54, paragraph 68). A trade mark is put to genuine use when it is used, in accordance with its essential function of guaranteeing the identity of origin of the goods or services for which it is registered, in order to create or maintain an outlet for those goods or services, to the exclusion of uses of a symbolic nature the sole purpose of which is to maintain the rights conferred by the trade mark (see judgment of 8 June 2017, W. F. Gözze Frottierweberei and Gözze, C‑689/15, EU:C:2017:434, paragraph 37 and the case-law cited).

    24      In order to examine, in a particular case, the genuineness of the use of an earlier mark, an overall assessment must be made, taking into account all the relevant factors of the case. That assessment implies a certain interdependence between the factors taken into account. Therefore, a low volume of goods marketed under that mark may be offset by a high intensity or consistency of use of that mark over time, and vice versa. Furthermore, the turnover achieved and the quantity of sales of goods under the earlier mark cannot be assessed in absolute terms, but must be assessed in relation to other relevant factors, such as the volume of commercial activity, the production or marketing capacities or the degree of diversification of the undertaking exploiting the mark and the characteristics of the goods or services on the market concerned (see judgment of 8 July 2004, VITAFRUIT, T‑203/02, EU:T:2004:225, paragraph 42 and the case-law cited).

    25      Moreover, genuine use of a trade mark cannot be demonstrated by probabilities or presumptions, but must be based on concrete and objective elements which prove actual and sufficient use of the trade mark on the relevant market (see judgments of 16 June 2015, Polytetra v OHIM – EI du Pont de Nemours (POLYTETRAFLON), T‑660/11, EU:T:2015:387, paragraph 47 and the case-law cited, and of 9 September 2015, Inditex v OHIM – Ansell (ZARA), T‑584/14, not published, EU:T:2015:604, paragraph 19 and the case-law cited).

    26      Genuine use of the trade mark presupposes that it is used publicly and externally, and not only within the undertaking concerned (see, to that effect, judgment of 11 March 2003, Ansul, C‑40/01, EU:C:2003:145, paragraph 37). However, external use of a trade mark is not necessarily equivalent to use directed towards final consumers. Actual use of the mark relates to the market in which the proprietor of the mark carries on business and in which he or she hopes to exploit his or her mark. Thus, to consider that the external use of a trade mark, within the meaning of the case-law, necessarily consists of use directed towards final consumers would be tantamount to excluding trade marks used solely in business-to-business relationships from the protection of Regulation No 207/2009. The relevant public to which trade marks are intended to be directed does not include only final consumers, but also specialists, industrial customers and other professional users (see judgment of 7 July 2016, Fruit of the Loom v EUIPO – Takko (FRUIT), T‑431/15, not published, EU:T:2016:395, paragraph 49 and the case-law cited)>>.

  2. i fatti dedotti dallopponente per provare il suo <uso effettivo>, § 29:

    –     an undated affidavit from its Managing Director certifying annual turnover figures for the period 2010 to 2016;

    –        advertising material in German (numerous copies of catalogues and leaflets) dating from 2009 to 2014 for goods bearing the earlier mark;

    –        a copy of 43 invoices issued in the period between 2008 and 2014, addressed to various customers in Germany;

    –        documents concerning turnover and sales figures, dating from the years 2008 to 2016;

    –        price lists from 2008 to 2014 showing the suppliers of the products of the other party to the proceedings before the Board of Appeal.

Non si discute della validità del marchio anteriore, che potrebbe a sua volta essere stato anticipato dall’uso di fatto (non dalla registrazione, suppontgo, interventua appunto nel 2017) del segno da aprte del team calcistico.

Probabilmente difettava l’affinità merceologica, essendo assai discutibile che possa essere superata dalla rinomanza qualora non vi sia registrazione ma appunto solo uso di fatto.

Giudizio di confondibilità tra marchi denominativi : altro intervento europeo

Il Trib. UE 27.10.2021, T-356/20, Václav Jiruš, c. EUIPO, si pronuncia sull’oggetto confermando il giudizio di confondibilità già emesso dall’Ufficio.

I marchi a confronto sono SYNDICATE, e RAcing Syndicate (scritto con particolarità grafiche: v. sentenza linkata).

I generi merceologici sono vicini anche se non  sovrapponibili, §§ 3 e 6 (basso grado di affinità, § 53).

Quanto alla somiglianza tra segni, a parte la consueta triade di esame (visual phonetic conceptual) , § 55, il Trib. ricorda che l’assessment of the similarity between two marks means more than taking just one component of a composite trade mark and comparing it with another mark. On the contrary, the comparison must be made by examining each of the marks in question as a whole, which does not mean that the overall impression conveyed to the relevant public by a composite trade mark may not, in certain circumstances, be dominated by one or more of its components (see judgment of 12 June 2007, OHIM v Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, paragraph 41 and the case-law cited). It is only if all the other components of the mark are negligible that the assessment of the similarity can be carried out solely on the basis of the dominant element (judgments of 12 June 2007, OHIM v Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, paragraph 42, and of 20 September 2007, Nestlé v OHIM, C‑193/06 P, not published, EU:C:2007:539, paragraph 43). That could be the case, in particular, where that component is capable on its own of dominating the image of that mark which members of the relevant public retain, with the result that all the other components are negligible in the overall impression created by that mark (judgment of 20 September 2007, Nestlé v OHIM, C‑193/06 P, not published, EU:C:2007:539, paragraph 43), § 56.

Questo in generale.

Nello specifico, poi, the term ‘Racing’ in the contested mark refers in general to the concept of races which take place in the context of sporting events. Consequently, as the Board of Appeal rightly pointed out, so far as concerns the goods in Classes 9 and 28 covered by the contested mark, the term ‘Racing’ refers to a possible use of the protective equipment in question, namely the fact that it is intended or suitable for being used in races which take place in the context of sporting events. It therefore has a weak inherent distinctive character. In view of that finding and, moreover, in the light of the fact that, in the contested sign, the terms ‘Racing’ and ‘Syndicate’ are the same size, the same colour and are stylised in the same way, the term ‘Racing’ cannot, contrary to what the applicant claims, be regarded as dominating the overall impression created by the contested mark. , § 65

Segue applicazione partita per singole classi merceologiche

Si tratta di precisazioni sempre utili al pratico, che vale la pena di rinfrescare .

Il marchio (super)notorio in Cassazione: precisazioni che non sarebbero necessarie

La SC interviene sui marchi rinomati Gucci (deprecabilmente non c’è corredo fotografico in sentenza) per ribadire regole ovvie, alla luce delle disposizioni vigenti (Cass,. 07.10.2021, n. 27.217, rel Fidanzia).

Sembra che la corte di appello toscana avesse centrato il giudizio di rigetto dalla domanda Gucci sulla assenza di confondibilità, quando invece il dettato è limpido nel dire che la tutela del marchio rinomato da essa prescinde. Infatti i  requisiti posti dall’art. 12.e)  (anzi, dall’art. 12.f), secondo la SC, § 4: non è chiaro perchè) non parlano di confondibilità ma solo di indebito vantaggio/pregiuzio.

Non si sa dunque come sia potuta la CdA incappare in tale svarione.

La SC allora si trova obbligata a ricordare, quanto al pregiudizio,  che: <<il pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio che gode di notorietà, indicato anche con il termine di “diluizione”, si manifesta quando risulta indebolita la sua idoneità ad identificare i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, per il fatto che l’uso del segno identico o simile fa disperdere l’identità del marchio e della corrispondente presa nella mente del pubblico.

Tale situazione si verificherà soprattutto qualora il marchio non sia in grado di suscitare un’associazione immediata con i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato.

Il pregiudizio arrecato alla notorietà, designato anche con il termine di “corrosione”, si verifica quando i prodotti o i servizi per i quali il segno identico o simile è usato dal terzo possono essere percepiti dal pubblico in modo tale che il potere di attrazione del marchio ne risulti compromesso (v. sentenza L’Ore’al punti 39 e 40; Cass. n. 26000/2018).

Non vi è dubbio, infatti, che una estesa commercializzazione di prodotti recanti segni identici o simili a marchi rinomati possa fondatamente cambiare le abitudini della clientela cui tali articoli sono normalmente indirizzati, soprattutto di quella che è orientata all’acquisto per il carattere esclusivo del prodotto, per l’elevatissimo target del medesimo, la quale, per non incorrere nel rischio che il suo costoso accessorio di lusso possa essere confuso con uno contraffatto, può dirigersi verso altre marche altrettanto rinomate>> .    Questo è probabilmente il passaggio più interessante.

Quanto al requisito alternativo (indebito vantaggio), ricorda che: <<La nozione di “vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio”, detto anche “parassitismo”, va, invece ricollegato non al pregiudizio subito dal marchio, quanto piuttosto al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile al marchio. Essa comprende, in particolare, il caso in cui, grazie ad un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile, sussista un palese sfruttamento parassitario nella scia del marchio che gode di notorietà (sentenza nella causa C-487/07 cit., punto 41) senza che il titolare del marchio posteriore abbia dovuto operare sforzi propri in proposito e senza qualsivoglia remunerazione economica atta a compensare lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per crearlo e mantenerne l’immagine (v. sempre sentenza nella causa C-487/07 cit., punto 49).

Il titolare del segno posteriore, in sostanza, ponendosi nel solco del marchio notorio, beneficia del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, senza dover sborsare alcun corrispettivo economico.

Dunque, è del tutto irrilevante che coloro i quali sono soliti acquistare prodotti G. possano non essere indotti in errore in ordine alla provenienza del prodotto recante il marchio del contraffattore, potendo tale prodotto indirizzarsi a quei consumatori che lo scelgono in modo consapevole non per le sue caratteristiche, decorative o di materiale, intrinseche, ma solo per la sua forte somiglianza a quello “celebre”, magari per “spacciarlo” come quello originale ai conoscenti meno attenti o meno qualificati nel riconoscere i marchi rinomati.

Esaminati i requisiti previsti dalla normativa sia comunitaria che italiana per accordare la tutela al marchio dotato di rinomanza, secondo la giurisprudenza comunitaria sopra citata (vedi sempre sentenza L’Oreal), al fine di accertare se l’uso del segno tragga indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, occorre effettuare una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, fra i quali compaiono, in particolare, l’intensità della notorietà e il grado del carattere distintivo del marchio, il grado di somiglianza fra i marchi in conflitto, nonché la natura e il grado di prossimità dei prodotti o dei servizi interessati. In particolare, quanto all’intensità della notorietà e del grado di carattere distintivo del marchio, è stato evidenziato che più il carattere distintivo e la notorietà del marchio di cui si tratta sono rilevanti, più facilmente sarà ammessa l’esistenza di una violazione; inoltre, più l’evocazione del marchio ad opera del segno successivo è immediata e forte, più aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o rechi loro pregiudizio (v., in tal senso, anche sentenza 27 novembre 2008, causa C 252/07, Intel Corporation, punti 67-69)>>.  Attenzione però: che la maggior rinomanza aumenti il rischio di vantaggio è direi quasi certo; che aumenti pure quello di pregiudizio, lo è meno (forse dipende dal tipo di rinomanza, ad es. a seconda che sia o meno basata su un’immagine di ricerca qualitativa)

Violazione di marchio e concorrenza sleale tramite metatags illeciti

Una corte californiana decide una causa di marchio basata sul presunto illecito uso di marchio altrui nei metatags del proprio sito (a fini di maggior propria visilità nei risutlati dai search engines, evidentemetne).

Ci stratta di US D.C. central district of California, 13 luglio 2021, Case 2:20-cv-00423-RGK-KS , Reflex media c. Luxy (notizia e link dal blog di Eric Goldman).

Nonostante il maggior motore dica di aver smesso di usare i metatags come criterio per il ranking  (v. voce in wikipedia, sub Origine), è tutto da verificare se ciò sia vero.

In ogni caso il contenzioso non manca,

Nel caso in oggetto la corte ravvisa sufficiente plausibilità di fondatezza della domanda e , rigettando l’istanza to dismiss dei convenuti, la fa prosegjuire nel merito.

Si v. soprattuto i cenni all’initial interest confusion: infatti poi  l’utente arriva nel sito del concorrente , ove i segni distintivi di questo dovrebbero escludere confusione.

Confondibilità tra marchio figurativo e marchio denominativo?

Il Tribunale UE 01.09.2021, T-463/20, Sony c. EUIPO, decide una lite su una complessa fattispecie concreta.

Sony fa opposizione alla domanda di marchio denominativo < GT RACING> per prodotti tipo borse etc. a base di cuoio o materiali imitanti il medesimo. Deduce una serie di anteriorità tra cui alcune contenenti l’espressione <gran turismo> e soprattutto una riproduzione delle lettere <GT> con modalità molto stilizzata (al punto da essere con difficoltà leggibili come tali: v. § 5).

Va male a Sony la fase amministrativa e  pure il primo grado giurisdizionale con la sentenza de qua.

Interessa qui come viene condotto il giudizio relativo al se una espressione denominativa si confonda con un’espressione grafica molto stilizzata

Premessa (consueta)  : <<52.   The global assessment of the likelihood of confusion must, so far as concerns the visual, phonetic or conceptual similarity of the signs at issue, be based on the overall impression given by the signs, bearing in mind, in particular, their distinctive and dominant elements. The perception of the marks by the average consumer of the goods or services in question plays a decisive role in the global assessment of that likelihood of confusion. In this regard, the average consumer normally perceives a mark as a whole and does not engage in an analysis of its various details (see judgment of 12 June 2007, OHIM v Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, paragraph 35 and the case-law cited).

53.     According to settled case-law, two marks are similar when, from the point of view of the relevant public, they are at least partially identical as regards one or more relevant aspects (see judgment of 1 March 2016, BrandGroup v OHIM – Brauerei S. Riegele, Inh. Riegele (SPEZOOMIX), T‑557/14, not published, EU:T:2016:116, paragraph 29 and the case-law cited)>>.

Poi:

<<58   In addition, although the marketing circumstances are a relevant factor in the application of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009, they are to be taken into account at the stage of the global assessment of the likelihood of confusion and not at that of the assessment of the similarity of the signs at issue. That assessment, which is only one of the stages in the examination of the likelihood of confusion within the meaning of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009, involves comparing the signs at issue in order to determine whether those signs are visually, phonetically and conceptually similar. Although that comparison must be based on the overall impression made by those signs on the relevant public, account must nevertheless be taken of the intrinsic qualities of the signs at issue (see, to that effect, judgment of 4 March 2020, EUIPO v Equivalenza Manufactory, C‑328/18 P, EU:C:2020:156, paragraphs 71 and 72 and the case-law cited).

59      Similarly, the reputation of an earlier mark or its particular distinctive character must be taken into consideration for the purposes of assessing the likelihood of confusion, and not for the purposes of assessing the similarity of the marks at issue, which is an assessment made prior to that of the likelihood of confusion (see judgment of 11 December 2014, Coca-Cola v OHIM – Mitico (Master), T‑480/12, EU:T:2014:1062, paragraph 54 and the case-law cited)>>.

Ed eccoci al punto specifico, relativo alla confondibilità tra i segni sub iudice:

<<66  As stated by the Board of Appeal, the earlier EU figurative mark consists of bold curved, vertical and horizontal lines. It contains a curved vertical line on the left, inclined towards the right, followed by two vertical lines, also inclined towards the right, the first smaller than the second, and a horizontal line which is connected by its lower left corner to the upper right corner of the second vertical line. The mark applied for is the word sign GT RACING, composed of the elements ‘GT’ and ‘RACING’.

67      Contrary to what the applicant claims, the mere fact that the earlier EU figurative mark may have been developed on the basis of the abstract concept of the capital letters ‘G’ and ‘T’ is not in itself a sufficient ground for concluding that there is a visual similarity between the signs at issue, given that the very specific graphic design of that mark has the effect of counteracting to a large extent the alleged point of similarity relating to the fact that it may be understood as a reference to the capital letters ‘G’ and ‘T’ by part of the public.

68      The curved line, the vertical lines and the horizontal line comprising the earlier EU figurative mark are configured in such a way as to refer instead to an almost perfect arrangement of elements resting inside each other or next to each other. They thus provide a highly stylised image. In those circumstances, the consumer would have to engage in a highly imaginative cognitive process in order to ‘decipher’ that figurative sign and to perceive it as representing the capital letters ‘G’ and ‘T’. That close interconnection of the lines comprising that figurative sign will lead the relevant consumer to perceive it as an abstract and unitary shape rather than as the capital letters ‘G’ and ‘T’. As the Board of Appeal correctly pointed out, what is alleged to be the capital letter ‘G’ has neither counter nor chin. What is alleged to be the capital letter ‘T’ does not have a complete arm. The earlier EU figurative mark could also be perceived as the sequences of the upper- and lower-case letters ‘C’, ‘l’ and ‘r’ or ‘E’ and ‘r’ or as the sequence of the upper- and lower-case letters ‘C’ and ‘r’ separated by a full stop>>.

Marchi , keyword advertising e confondibilità

Lo studio legale JIM ADLER (che usa chiamarsi The Texas Hammer!) , specialista in risarcimento del danno alla persona, nota che un  centro di liquidazione sinistri ha acquisto il suo nome nel c.d keyword advertising tramite motori di ricerca e gli fa causa, invocando la violazione della legge marchi.

In primo grado non ha successo ma in appello si: v. l’appello del 5 circuito 10.08.2021, Case: 20-10936 , Jim S. Adler PC +1 c. McNeil Consultants, L.L.C ed altri.

Si trattava di un c.d. click to call advertisment (porta ad un call center): <If a user clicks on the advertisement using a mobile phone, the advertisement  causes the user’s phone to make a call rather than visit a website. McNeil’s  representatives answer the telephone using a generic greeting. The complaint alleges that the ads “keep confused consumers, who were specifically searching for Jim Adler and the Adler Firm, on the phone and talking to [McNeil’s] employees as long as possible in a bait-and-switch effort to build rapport with the consumer and ultimately convince [the consumer] to engage lawyers referred through [McNeil] instead.”>.

I requisiti della fattispecie di violazione sono indicati alle pp. 6/7.

Il punto più interessante è che nella fattispecie concreta l’uso del marchio ADLER da parte del convenuto non è visibile ai consumatori, p. 10.

La corte di appello però non ritien tale caratteristica decisiva: la visibilità/riconoscibilità non è necesaria per accogliere la domanda di contraffazione e il precedente invocato non porta l’effetto voluto dai convenuti: <<In support of its conclusion that the use of a trademark must be visible to a consumer, the district court2 relied on 1-800 Contacts, Inc. v. Lens.com,  Inc., 722 F.3d 1229, 1242–49 (10th Cir. 2013). In that case, though, the Tenth  Circuit explicitly avoided deciding whether a Lanham Act claim requires that  the use of a trademark be visible to the consumer. The district court in the  case had observed that a user who sees sponsored advertisements has no way  of knowing whether the defendant reserved a trademark or a generic term.  Id. at 1242–43. The district court explained that “it would be anomalous to  hold a competitor liable simply because it purchased a trademarked keyword  when the advertisement generated by the keyword is the exact same from a  consumer’s perspective as one generated by a generic keyword.” Id. at 1243.

The Tenth Circuit noted that the argument had “some attraction”  but then stated that “if confusion does indeed arise, the advertiser’s choice  of keyword may make a difference to the infringement analysis even if the  consumer cannot discern that choice.” Id. The Tenth Circuit’s reasoning reflects that the absence of the trademark could be one but not the only factor to consider in evaluating the likelihood of confusion. Ultimately, that court concluded that it “need not resolve the matter because 1–800’s directinfringement claim fails for lack of adequate evidence of initial-interest  confusion.” Id. 

We conclude that whether an advertisement incorporates a trademark  that is visible to the consumer is a relevant but not dispositive factor in  determining a likelihood of confusion in search-engine advertising cases>>

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Riproduzione parodistica della statuetta degli Emmy Awards

La South. D. di NY 30 luglio 2021, Case 1:20-cv-07269-VEC-OTW , THE NATIONAL ACADEMY OF TELEVISION ARTS AND SCIENCES, INC. and ACADEMY
OF TELEVISION ARTS & SCIENCES contro MULTIMEDIA SYSTEM DESIGN, INC.-Goodman, decide una lite per illegale riproduizione in vudeo Youtube della Statuetta degli em,y awards.

Si v.la riproduzione di entrambe messe a confronto nella sentenza, p. 4

La domanda è accolta.

E’ rigettata ogni eccezione del convenuto:

  • l’eccezione de minimis contro il copyright,
  • l’eccezione di fair use verso il copyright ,
  • l’eccezione di fair use (parody) contro la dilution del marchio
  • infine, quanto al rischio di confusione da marchio,  <<considering the eight Polaroid factors together, the Court concludes that Plaintiffs have plausibly alleged a probability of confusion. Accordingly, Defendant’s motion to dismiss the trademark infringement claims is denied. >>