Il marchio denominativo EMMENTALER è descrittivo, ed anche come marchio collettivo., dice il Trib. UE

Trib. UE 24.05.2023, T-2/21, Emmentaler Switzerland c. EUIPO

Dal comunicato-stampa odierno della Corte:

<<Da un lato, per quanto riguarda il carattere descrittivo del marchio richiesto, il Tribunale ritiene, alla luce degli indizi presi in considerazione dalla commissione di ricorso, che il pubblico di riferimento tedesco comprenda immediatamente il segno EMMENTALER come designante un tipo di formaggio. Dato che, affinché un segno sia rifiutato alla registrazione, è sufficiente che esso abbia carattere descrittivo in una parte dell’Unione, la quale può essere eventualmente costituita da un solo Stato membro, il Tribunale ha dichiarato che la commissione di ricorso ha giustamente concluso che il marchio richiesto è descrittivo, senza che sia necessario esaminare gli elementi che non riguardano la percezione del pubblico di riferimento tedesco.
Dall’altro lato, per quanto riguarda la tutela del marchio richiesto in quanto marchio collettivo, il Tribunale ricorda che l’articolo 74, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 prevede che, in deroga all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), di tale regolamento, possono costituire marchi collettivi segni o indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi in questione. Tuttavia, tale disposizione deve essere sottoposta ad un’interpretazione restrittiva. In tal senso, la sua portata non può comprendere i segni che sono considerati come un’indicazione della specie, della qualità, della quantità, della destinazione, del valore, dell’epoca di produzione o di un’altra caratteristica dei prodotti di cui trattasi, ma unicamente i segni che saranno considerati come un’indicazione della provenienza geografica di detti prodotti. Poiché il marchio richiesto è descrittivo di un tipo di formaggio per il pubblico di riferimento tedesco e non è percepito come un’indicazione della provenienza geografica di detto formaggio, il Tribunale conclude che esso non gode di una tutela in quanto marchio collettivo>>.

Non è esattissimo parlare di interpretazione “restrittiva”: meglio sarebbe stato “letterale”, alla luce della disposizione cit.

A meno di ricordare che <emmental>, derivando dalla omonima valle svizzera (v. wikipedia), potrebbe essere percepito come indicazione geografica. Ma allora bisognerebbe spiegare che la valenza geografica si è persa nel pubblico , il quale percepisce solo quella delle caratteristiche merceologiche/organolettiche

Marchio anteriore e DOP successiva circa il concetto di “stesso tipo di prodotto” (art. 14 reg. 510/2006): cacio romano vs. pecorino romano

 Cass. n. 7937 del 20.03.2023 , sez. I, rel. Fidanzia, esamina il reg. UE 510/2006 e spt. l’art. 14, per vedere se cacio (da marchio) e pecorino (da marchio e dop) romani siano merceologicamente affini (meglio “lo stesso tipo di prodotto”).

Dice che il paragone non si fa da classificazione di nizza (che proterebbe a sovrapporre i dut tipi di formaggio) ma in base ai risepttiti doc. amminsitartivi e alle domande di privatia (e pure quanto al disciplinare, ovviamente, circa la dop). Ciò per atuare il predetto concetto di “stesso tipo” ex art. 14 c. 1.

C’è però un problama.

Detta norma egola il conflitto tra dop anteriore e domadna di marcjhio posteriore: ” 1.   Qualora una denominazione d’origine o un’indicazione geografica sia registrata conformemente al presente regolamento, la domanda di registrazione di un marchio corrispondente ad una delle situazioni di cui all’articolo 13 e concernente lo stesso tipo di prodotto viene respinta, se la domanda di registrazione del marchio è presentata posteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione presso la Commissione”.

Nel caso sub iudice invece il marchio antagonista pare fosse anteriore alla (domanda di) dop. Quindi la dispoisizione governante il caso dovrebbe essere il c. 2 del’art. 14, il quale non ripropone il detto concetto, ma rinvia all’art. 13, che pure ne è privo (ponendo una sua articolata disciplina).

Ad una prima lettura quindi l’ordinanza lascia perplessi

violazione di marchio e di DOP

Il consorzio del prosciutto di Parma fa valere la violazione della DOP e del marchio .

Decide con sentenza di buona fattura Trib. Torino  del 17.11.2021, sent n° 5034/2021 – RG 3587/2020, rel. Martinat.

la domanda è accolta (la vioalzione è consistita nell’immettere nel circuito DOP suini non conformi al disciplinare).

Ci sono diversi punti di notevole interesse teorico e pratico:

  • non è mutatio liberlli cambiare la domanda di danno da DOP a marchio
  •  la curiosa eccezione di carenza di legittimazione attiva per non essere il consorzio titolare della DOP: rigettata.
  • essendo un marchio comunitario, il Trib. giudic anche come Trib. dei marchi comunitari.
  • il marchio è valido anche se contrastante con la DOP: ci pare per l’esenziale ragione che è del medesimo titolare, mente il divieto vale in caso di diversità soggettiva (c’è poi una disposizione specifica del reg. UE 1151/2012, applicata dal Trib.)
  • l’utilizzabiità in civile delle prove nel procedumento penale (vari reati, definiti con patteggiamento)
  • la VIOLAZIOne: il Trib. non distingue tra DOP e marchio, dando per scontato -salvo  errore mio- che i fatti costituiscano violazione della prima e automaticamene pure del secondo
  • il danno chiesto: lesione della immagine e reputazione. E’ il punto più interessante. Per la determinazione il parametro è diffusione + notorietà dell’illecito (planetaria)
  • la traduzione economica (chiesta ed accolta) è stata quella del  5 % delle spese pubblicatarie di riparazione e dunque di euro 1.253.000,00
  • il danno morale è stato liquidato non a parte ma come parametro della precedente voce: <<A ciò si aggiunga il danno morale ex art. 125 c.p.i., che il Consorzio chiede venga liquidato separatamente in via puramente equitativa, ma che il Collegio invece ritiene di valutare quale ulteriore parametro per la quantificazione del danno all’immagine ed alla reputazione commerciale.
    Infatti, il danno morale patito direttamente dal Consorzio di per sé considerato, pur se astrattamente distinguibile dal danno all’immagine della DOP e del marchio, in concreto è fondato sulle stesse circostanze fattuali e giuridiche del danno cagionato alla DOP ed al marchio, non potendosi in effetti distinguerlo dalla lesione alla reputazione della DOP e del marchio, posto che la funzione primaria del Consorzio è proprio quella di tutelare DOP e marchio.
    Nel caso di specie, pertanto, in considerazione del fatto che le condotte delle convenute costituiscono fattispecie di reato ed in considerazione del fatto che l’art. 125 c.p.i. espressamente consente la liquidazione del danno non patrimoniale “nei casi appropriati”, ritiene il Collegio che il danno morale indubbiamente patito dal Consorzio alla luce della tipologia degli illeciti commessi dalle controparti (posto che essi hanno intaccato la credibilità dell’attore) debba essere utilizzato a conforto del danno all’immagine ed alla reputazione complessivamente domandati.
    L’art. 125 c.p.i., infatti, prevede che “la sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano”, il tutto, “tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione”>>(il danno morale, o meglio non patrimoniale, degli enti -massime di quelli lucrativi- è questione spinosa)

D.O.P. e I.G.P. sono protette anche extra UE oppure solo nel mercato europeo? Sull’ambito territoriale della protezione concessa dagli artt. 12-13 reg. 1151/2012

E’ giusta la prima, secondo Corte di Giustizia 14.07.2022 , C-159/20, Commmissione c. REgno di Danimarca.

Le disposizioni rilevanti  sono l’art. 12 e spt. l’art. 13 del reg. UE 1151/2021.

<< 51   Le DOP e le IGP sono quindi protette dal regolamento n. 1151/2012, e in particolare dall’articolo 13 di quest’ultimo, in quanto diritto di proprietà intellettuale, come confermato dall’articolo 4, lettera b), di tale regolamento, secondo il quale è istituito un sistema di DOP e di IGP al fine di aiutare i produttori di prodotti legati a una zona geografica garantendo una protezione uniforme dei nomi in quanto diritto di proprietà intellettuale sul territorio dell’Unione. Le DOP e le IGP rientrano anch’esse del resto, come osserva la Repubblica di Cipro, nei diritti di proprietà intellettuale ai fini del regolamento n. 608/2013, come risulta dall’articolo 2, punto 1, lettera d), e punto 4, lettera a), dello stesso.

52      Orbene, l’uso di una DOP o di un’IGP per designare un prodotto fabbricato sul territorio dell’Unione che non è conforme al disciplinare applicabile viola nell’Unione il diritto di proprietà intellettuale costituito da tale DOP o da tale IGP, anche se tale prodotto è destinato a essere esportato verso paesi terzi>>.

E poi indettaglio :

<<57   Poiché il Regno di Danimarca sostiene che da tali obiettivi risulta che il regolamento n. 1151/2012 mira a istituire un regime di protezione delle DOP e delle IGP per prodotti immessi in circolazione nel mercato interno, essendo i consumatori interessati quelli dell’Unione, occorre rilevare che sono certamente tali consumatori e non quelli di paesi terzi a essere interessati da tale regolamento. Infatti, quest’ultimo, adottato sulla base dell’articolo 118 TFUE, riguarda il funzionamento del mercato interno e persegue, come osservato da tale Stato membro, l’integrità del mercato interno e l’informazione del consumatore dell’Unione.

58      Occorre altresì osservare che l’obiettivo consistente nell’informare i consumatori e quello consistente nel garantire ai produttori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti presentano un nesso, dato che l’informazione dei consumatori ha segnatamente lo scopo, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al punto 56 della presente sentenza, di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi.

59      Tuttavia, resta il fatto che lo scopo di garantire ai produttori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti costituisce di per sé, come risulta dal considerando 18 e dall’articolo 4, lettera a), del regolamento n. 1151/2012, un obiettivo perseguito da tale regolamento. Lo stesso vale per l’obiettivo consistente nel garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale enunciato all’articolo 1, lettera c), di tale regolamento.

60      Orbene, è evidente che l’impiego della DOP «Feta» per designare prodotti fabbricati sul territorio dell’Unione che non sono conformi al disciplinare di tale DOP pregiudica questi due obiettivi, anche qualora tali prodotti siano destinati a essere esportati verso paesi terzi.

61      Pertanto, tanto dal tenore letterale dell’articolo 13 del regolamento n. 1151/2012 quanto dal contesto di tale disposizione e dagli obiettivi perseguiti da detto regolamento risulta che, come sostiene la Commissione, un siffatto impiego rientra nelle azioni illecite vietate dall’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento>>.

Questione molto importante in pratica e complessa in teoria, che ricorda quella dell’esaurimento solo europeo ovvero anche internazionale del marchio (art. 5 cpi).

Denominazioni di origine, “uso” ed “evocazione”

la Corte europea (poi CG) decide il caso «Champanillo» com sentenza 09.09.2021, C-783/19.

Il 29 aprile u.s. erano state depositate le conclusioni dell’avvocato generale (AG) Pitruzzella.

La norma di riferimento è l’art. 103/2 reg. UE 1308/2012 (l’altra normativa invocata invece non è pertinente: § 30-32) , che recita così:

<<2 .   Le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette e i vini che usano tali denominazioni protette in conformità con il relativo disciplinare sono protette contro:

a) qualsiasi uso commerciale diretto o indiretto del nome protetto:

i) per prodotti comparabili non conformi al disciplinare del nome protetto, o

ii) nella misura in cui tale uso sfrutti la notorietà di una denominazione di origine o di una indicazione geografica;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili;

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi al prodotto vitivinicolo in esame nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sulla sua origine;

d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto>>.

L’esame verte in particolare su lettera a) e lettera b)

Il fatto storico:

<<GB possiede bar di tapas in Spagna e utilizza il segno CHAMPANILLO per designarli e promuoverli sui social network nonché attraverso volantini pubblicitari. Esso associa a tale segno, segnatamente, un supporto grafico raffigurante due coppe, riempite di una bevanda spumante, che si toccano.  16      In due occasioni, nel 2011 e nel 2015, l’Ufficio spagnolo dei brevetti e dei marchi ha accolto l’opposizione proposta dal CIVC, organismo per la tutela degli interessi dei produttori di champagne, alle domande di registrazione del marchio CHAMPANILLO presentate da GB, sulla base del rilievo che la registrazione di detto segno come marchio è incompatibile con la DOP «Champagne», la quale gode di una protezione internazionale. 17      Fino al 2015 GB commercializzava una bevanda spumante denominata Champanillo e ha cessato tale commercializzazione su richiesta del CIVC.  18      Ritenendo che l’uso del segno CHAMPANILLO costituisca una violazione della DOP «Champagne», il CIVC ha proposto ricorso dinanzi allo Juzgado de lo Mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona, Spagna) diretto a ottenere la condanna di GB a cessare l’uso del segno CHAMPANILLO, anche sui social network (Instagram e Facebook), a ritirare dal mercato e da Internet tutte le insegne e i documenti pubblicitari o commerciali su cui appare tale segno e di cancellare il nome di dominio «champanillo.es».>>, §§ 15-18

La CG inizia con considerazioni genrali, ad es. affermando l’interpretazione restrittiva della lett. a): ne segue che  l’uso della denominazione CHAMPANILLO non rientra nella DOP «Champagne», § 41

Sulla prima questione sollevata, la CG osserva che l’uso per servizi, anzichè su prodotti, non costituisce di per sè uso al di fuori della privativa, potendovi rientrare (§§ 51-52).

Sulla seconda più complessa -e meno chiara- questione (se sia corretto interpetare la lett. b)  nel senso che l’«evocazione» di cui a tale disposizione, da un lato, richiede, quale presupposto, che il prodotto che beneficia di una DOP e il prodotto o il servizio contrassegnato dal segno controverso siano identici o simili e, dall’altro, deve essere determinata mediante il ricorso a fattori oggettivi al fine di dimostrare un’incidenza significativa su un consumatore medio.) , così decide:

– << per accertare l’esistenza di un’evocazione è essenziale che il consumatore stabilisca un nesso tra il termine utilizzato per designare il prodotto in questione e l’indicazione geografica protetta. Detto nesso deve essere sufficientemente diretto e univoco>, § 59

la nozione di «evocazione», ai sensi del regolamento n. 1308/2013, non esige che il prodotto protetto dalla DOP e il prodotto o il servizio contrassegnato dalla denominazione contestata siano identici o simili, § 61

deve fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto  , § 62

– la protezione effettiva e uniforme delle denominazioni protette su tutto il territorio esige che non si tenga conto delle circostanze che possano escludere l’esistenza di un’evocazione per i consumatori di un solo Stato membro. Resta comunque il fatto che, per attuare la protezione di cui all’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013, l’esistenza di un’evocazione può essere valutata anche con riferimento ai consumatori di un solo Stato membro, § 64

– che spetta al giudice del rinzio  valutare se nel caso de quo il consumatore stabilisc detto nesso, § 66

Denominazioni di origine ed “evocazione”

Il sempre delicato tema del capire quando ricorra <evocazione> nella disciplina ferrea delle denomanzioni di origine è affrontato dall’AG Pitruzzella nelle sue conclusioni 29.04.2021, C-783/19, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne c. GB .

L’ente francese , titolare della denominazione <Champagne>, aveva agito contro il segno spagnolo CHAMPANILLO, azionando l’art. 103 reg. 1308/2013.

Questioni pregiudiziali al § 12-.

Circa la prima, l’AG risponde che la tutela  è data anche verso servizi evocativi, non solo verso prodotti, §§ 32-33 e 34 ss. Ci pare sensata.

Circa la seconda e terza questione (evocazione) ricorda che <<emerge dalla giurisprudenza della Corte (46) che l’analisi circa l’esistenza di un’evocazione deve tener conto di ogni riferimento implicito o esplicito alla denominazione registrata, che si tratti di elementi verbali o figurativi inclusi nell’etichetta del prodotto convenzionale (47) o figuranti sul suo imballaggio, o di elementi che riguardano la forma o la presentazione al pubblico di tale prodotto (48). Tale analisi deve prendere in considerazione altresì l’identità o il grado di somiglianza tra i prodotti in causa e le modalità di commercializzazione di questi, anche per quanto riguarda i rispettivi canali di vendita, nonché elementi che consentano di accertare l’intenzionalità del richiamo al prodotto coperto dalla denominazione protetta o, viceversa, la sua casualità. L’accertamento dell’esistenza di un’evocazione procede pertanto dalla valutazione di un insieme di indici senza che la presenza o l’assenza di uno di tali indici consenta di per sé sola di affermare o di escludere l’esistenza di un’evocazione.>>, § 54.

Ricorda pure che <<55.  Sulla base di quanto precede ritengo che l’identità o la comparabilità tra il prodotto che beneficia di una DOP o di un’IGP e il prodotto (o il servizio) contraddistinto dal segno controverso o tra il primo e un ingrediente caratterizzante del secondo (49) non costituisca un elemento da valutare in via preliminare al fine di eventualmente escludere a priori un’evocazione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013.  56.      Nondimeno, una tale identità o comparabilità, o la sua assenza, costituisce un elemento che deve essere preso in considerazione al fine di valutare, nel quadro di un esame dell’insieme delle circostanze pertinenti, se ricorrano in concreto gli estremi di una siffatta evocazione. La circostanza che tali prodotti presentino caratteristiche obiettive comuni, che corrispondano a occasioni di consumo identiche, o che abbiano un’apparenza analoga, ma anche che siano concorrenti o complementari (50), è dunque un elemento di valutazione pertinente, così come, nel caso in cui il segno controverso si riferisca a un servizio, il fatto che quest’ultimo sia collegato alla distribuzione del prodotto coperto dalla denominazione registrata o di un prodotto identico o comparabile>> .

Affronta poi il tema del pubblico di riferimento, § 58-59, e della graduabilità dell’evocazione (escludendola), § 60 ss

Applica poi i cocnetti al provedimeot principale, anche se spetterebbe al giudice a quo: << 65.   Nel caso in cui, come nella controversia principale, si tratti di accertare l’esistenza di un’evocazione con riferimento all’uso di una denominazione, il giudice nazionale dovrà, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, tener conto dell’eventuale incorporazione parziale della denominazione registrata nella denominazione controversa, di una similarità fonetica e/o visiva di quest’ultima con la denominazione registrata (59), o ancora di una somiglianza concettuale tra i termini in conflitto, pur se di lingue diverse (60).    66.      Nelle circostanze del procedimento principale, la DOP «Champagne», nella forma in cui è stata registrata, è stata parzialmente incorporata nella denominazione controversa. La traduzione in spagnolo di tale DOP («Champàn») ha fatto invece oggetto di un’incorporazione totale (ad eccezione dell’accento). Ne risulta una rilevante somiglianza sia visiva che fonetica tra le due denominazioni, sia che si tenga conto della forma in cui la DOP «Champagne» è stata registrata sia che si consideri la traduzione in spagnolo di tale denominazione. Dal punto di vista concettuale, come si è già avuto modo di rilevare, parrebbe esistere un nesso diretto con il prodotto coperto dalla DOP «Champagne», se – come sembra, ma come spetta al giudice del rinvio confermare – in spagnolo il termine «Champanillo» significa letteralmente «piccolo champagne».>>

Riprodurre l’aspetto di un formaggio protetto da D.O.P. può violare quest’ultima?

Si , secondo la Corte di Giustizia (CG), 17.12.2020 , C-490/19,  Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier c. Société Fromagère du Livradois SAS, relativo al formaggio <Morbier> prodotto da DOP, il cui aspetto esteriore veniva riprodotto da un concorrente (già legato in passato da rapporti contrattuali-associativi col Syndicat).

Questo il formaggio Morbier:

da www.labasilicadisanformaggio.it

Questa l’analitica descrizione del formaggio nel disciplinare (§ 10) : <<«Il “Morbier” è un formaggio prodotto con latte crudo vaccino, a pasta pressata, non cotta, di forma cilindrica piatta a facce piane e scalzo lievemente convesso, con diametro da 30 a 40 cm, altezza da 5 a 8 cm e peso da 5 a 8 kg.    Esso presenta al centro una striscia nera orizzontale, unita e continua lungo tutto il taglio.          La crosta è naturale, strofinata, di aspetto regolare, ammuffita, segnata dalla trama dello stampo, di un colore che va dal beige all’arancione, con sfumature aranciate tendenti al marrone, al rosso e al rosa. La pasta è omogenea, di un colore che va dall’avorio al giallo pallido e presenta spesso un’occhiatura sparsa del diametro di un ribes o bollicine appiattite. Essa è morbida al tatto, burrosa e tenera, poco collosa al palato, a grana liscia e sottile. Il gusto è schietto, con note lattiche, di caramello, vaniglia e frutta; i sapori sono equilibrati e, con la stagionatura, la gamma aromatica si arricchisce di note tostate, speziate e vegetali. Il contenuto di grassi è di almeno 45 g/100 g dopo completa essiccazione. Il tasso di umidità nel formaggio scremato deve essere compreso tra il 58% e il 67%. La stagionatura del formaggio dura almeno 45 giorni a partire dal giorno di produzione, senza interruzione del ciclo»>>

Nonostante il lemma DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA, la tutela vieta non solo il richiamo del nome, ma qualunque pratica commerciale possa evocare il prodotto protetto.

L’art. 13 del reg.1151/2012 (e prima del reg. 510/2006) ha una portata molto ampia: solo la lettera a) menziona il profilo denominativo; le lettere b-d) invece si riferiscono in sostanza  a qulsiasi altra pratica che generi rischio di confusione.

Inevitabilmente dunque <<non si può escludere che la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione di dette disposizioni. Ciò si verifica quando tale riproduzione può indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi>>, § 38.

Per capire se ciò si verifichi, occorre <<da un lato, fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (…) e, dall’altro, tener conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, ivi comprese le modalità di presentazione al pubblico e di commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, nonché del contesto fattuale (…)>>, § 39.

In particolare, per quanto riguarda, come nel caso de quo,  un elemento dell’aspetto del prodotto oggetto della denominazione registrata, occorre soprattutto valutare <<se tale elemento costituisca una caratteristica di riferimento e particolarmente distintiva di tale prodotto affinché la sua riproduzione possa, unitamente a tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, indurre il consumatore a credere che il prodotto contenente detta riproduzione sia un prodotto oggetto di tale denominazione registrata>>, § 40.

Confondibilità tra marchi “atletici”

Altra sentenza-scuola intorno al giudizio di confondibilità tra due marchi , il primo complesso (denominativo-figurativo) e il secondo solo denominativo.

Si tratta di Trib. UE 15.10.2020, T-349/19, Decathlon c. EUIPO( – Athlon custom sportsewear) .

Quello sub iudice:

Quello anteriore fatto valere dall’opponente:

 – EU word mark DECATHLON

Il Tribunale non ravvisa la confondibilità, confermando il giudizio del Board of Appeal dell’EUIPO.

La parte più interessante è la comparazione tra segni, §§ 28-58, ove i consueti tre profili:  visual [prevalgono gli elementi di differenza, § 46], phonetic [simile, § 48] and conceptual comparison [simili per la parte di pubblico che comprende il significato, anche se il marchio successivo è debole, § 56, pur se la parte figurativa riduce la somigliazna, § 58 e § 78].

Interessante  è la individuazione del pubblico rilevante: dati i prodotti (abbigliamento sportivo), <<it is appropriate to take into account the public with the lowest level of attention, namely the general public, whose level of attention is normal.>>, § 24.

Però il marchio Decathlon è debole e la nota azienda francese cerca di far riconoscere che ha però acquisito distintività sufficiente (enhanced distinctive character): domanda però rigettata (come già presso EUIPO) perchè le prove riguardavano i servizi di distribuzione commerciale, non i prodotti, § 72, e per latre ragioni

Il Board di appello EUIPO aveva ritenuto che, < in the light of the ‘low’ degree of visual similarity between the signs at issue and of the absence of objective and solid evidence showing an enhanced distinctive character of the earlier mark for the goods upon which the opposition was based, there was, in spite of the identity of the goods at issue, no likelihood of confusion between the marks at issue for the relevant public throughout the European Union that perceived the words ‘decathlon’ and ‘athlon’ as having as similar meaning. According to the Board of Appeal, that applies even more so with respect to the relevant public that does not understand those words or only understands the meaning of one of them>> § 79.

Il Tribunale :

<< Next, it is appropriate to refer to the principle that a global assessment of the likelihood of confusion implies some interdependence between the factors taken into account and, in particular, between the similarity of the trade marks and that of the goods or services covered. Accordingly, a low degree of similarity between those goods or services may be offset by a high degree of similarity between the marks, and vice versa (…) .  

Furthermore, in the global assessment of the likelihood of confusion, the visual, aural or conceptual aspects of the opposing signs do not always have the same weight and the extent of the similarity or difference between those signs may depend on their inherent qualities (see judgment of 22 February 2018, International Gaming Projects v EUIPO – Zitro IP (TRIPLE TURBO), T‑210/17, not published, EU:T:2018:91, paragraph 72 and the case-law cited).>>, §§ 87-88.

L’aspetto visuale è predominante nel caso specifico per due ragioni

<<In the first place, it is apparent from the case-law that, where the elements of similarity between two signs are the result of the fact that they have a weakly distinctive component in common, the impact of those elements of similarity on the global assessment of the likelihood of confusion is itself low (see judgment of 22 February 2018, TRIPLE TURBO, T‑210/17, not published, EU:T:2018:91, paragraph 73 and the case-law cited).

In the present case, it was found that the word element ‘athlon’, which was common to the signs at issue, had a weak distinctive character for part of the public and would not therefore be perceived as an indication of commercial origin (see paragraphs 53 to 57 above).

Consequently, the visual differences noted above, which arise primarily from the stylisation of the common word element and of the figurative element in the mark applied for, will dominate in the overall impression on the relevant public created by the signs at issue. Those differences will thus counteract the phonetic similarity and, for part of the public, the conceptual similarity resulting from the common word element ‘athlon’ and the concept to which it refers.

In the second place, the marketing circumstances are a relevant factor in the application of Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001 and are to be taken into account at the stage of the global assessment of the likelihood of confusion and not at that of the assessment of the similarity of the signs at issue (judgment of 4 March 2020, EUIPO v Equivalenza Manufactory, C‑328/18 P, EU:C:2020:156, paragraph 70).

In the present case, the goods at issue, namely athletic clothes and hats, are in a sector in which visual perception of the marks will generally take place prior to purchase. Consequently, the visual aspect is of greater importance in the global assessment of the likelihood of confusion>>, §§ 90-94

Di conseguenza ,<< in the light in particular of the weak distinctive character of the element ‘athlon’, of the dominance of the weak, or even very weak, visual similarity and of the circumstances under which the goods in question are marketed, it follows from all the foregoing that there is no likelihood of confusion.>>, § 95

Sull’evocazione di una D.O.P. tramite segno figurativo anziché denominazione

Nello scorso maggio la Corte di Giustizia si è pronunciata su interessanti questioni teoriche in materia di DOP , di sicura rilevanza pratica: sentenza 2 maggio 2019, C-614/17, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego c. Industrial Quesera Cuquerella SL-Juan Ramón Cuquerella Montagud.

Nel caso specifico si trattava della DOP <<queso manchego>> relativa a formaggi provenienti dalla regione spagnola de La Mancia

Era capitato che un produttore della zona (IQC), commercializzante formaggi non conformi al disciplinare della DOP,  con le sue etichette richiamava non direttamente la DOP bensì la regione spagnola appunto de La Mancia: ciò faceva soprattutto tramite richiami al personaggio letterario di Don Chisciotte della Mancia.

La sentenza (§ 7) menziona i tre tipi sotto ricordati (che potrebbero essere quelli rappresentati nelle fotografie linkate, tratte dalla Rete):

<<Adarga de Oro>>;

<<Super Rocinante>>;

<<Rocinante>>;

La Fondazione riteneva che ciò costituisse evocazione illegittima della DOP sulla base dell’art. 13 lett. b) del reg. 510/2006 (§ 7 sentenza CG). Il testo dell’art. 13 il cui testo è:

<< 1.   Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a)  qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare la reputazione della denominazione protetta;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali «genere», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili;

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sull’origine;

d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti.

Se una denominazione registrata contiene il nome di un prodotto agricolo o alimentare che è considerato generico, l’uso di questo nome generico sui corrispondenti prodotti agricoli o alimentari non è considerato contrario al primo comma, lettera a) o b).>>.

La Fondazione agiva quindi verso IQC ma vedeva respinta la domanda in primo e secondo grado. Successivamente il Tribunal Supremo formulava tre importanti questioni pregiudiziali (§ 14):

<<1 – Se l’evocazione della [DOP], evocazione che è vietata dall’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, debba necessariamente derivare dall’uso di denominazioni che presentano una somiglianza visiva, fonetica o concettuale con la [DOP] o se possa derivare dall’uso di segni figurativi che evocano la [DOP].

2  –   Nel caso di una [DOP] di natura geografica [articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 510/2006] e in presenza degli stessi prodotti o di prodotti simili, se l’uso di segni che evocano la regione cui è associata la [DOP] possa essere considerato un’evocazione della stessa [DOP], ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, che è inaccettabile anche nel caso in cui colui che utilizzi tali segni sia un produttore stabilito nella regione cui è associata la [DOP], ma i cui prodotti non sono protetti da tale [DOP], perché non soddisfano i requisiti, diversi dall’origine geografica, richiesti dal disciplinare.

3 – Se la nozione di consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, alla cui percezione deve fare riferimento il giudice nazionale per determinare se esista un’“evocazione” ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, debba intendersi riferita a un consumatore europeo o possa essere riferita solo al consumatore dello Stato membro in cui si fabbrica il prodotto che dà origine all’evocazione dell’indicazione geografica protetta o cui è associata geograficamente la DOP, e in cui esso si consuma maggiormente>>.

Sulla prima,  la CG risponde che l’evocazione può derivare anche da un’immagine e non solo da un segno denominativo. La risposta è condivisibile, non essendoci alcun limite nella norma in tal senso, né essendo desumibile dalla successiva lettera c) nel senso che solo in questa fattispecie rileverebbe l’evocazione tramite immagine (§§ 23-28).

La seconda questione è meno semplice sotto il profilo teorico. Secondo la CG anche l’evocazione della Regione può costituire evocazione della dop e ciò anche se il produttore risieda nella regione stessa, purchè in tal modo il consumatore sia portato a pensare alla DOP.  Precisamente così dice (§§ 38-40):

<< 38  In tal modo, il giudice nazionale deve sostanzialmente fondarsi sulla presunta reazione del consumatore, essendo essenziale che il consumatore effettui un collegamento tra gli elementi controversi, nel caso di specie segni figurativi che evocano l’area geografica il cui nome fa parte di una denominazione d’origine, e la denominazione registrata (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 22). 

39      A tale riguardo, spetta a tale giudice valutare se il nesso tra tali elementi controversi e la denominazione registrata sia sufficientemente diretto e univoco, di modo che il consumatore, in loro presenza, è indotto ad avere in mente soprattutto tale denominazione (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 53 e 54). 

40      Pertanto, spetterà al giudice del rinvio stabilire se esista una vicinanza concettuale, sufficientemente diretta e univoca, tra i segni figurativi di cui al procedimento principale e la DOP «queso manchego», che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 510/2006, rinvia all’area geografica alla quale essa è collegata, vale a dire la regione La Mancia.>>

La risposta della Corte è un pò frettolosa a fronte della complessità della questione. Infatti il monopolio comunicativo concerne solo il nome della DOP e non il termine amministrativo di un’articolazione statale o substatale , che deve rimanere nella libera disponibilità di tutti. Impedirlo significherebbe impedire di comunicare il pregio della propria regione, che non è detto sia costituito necessariamente e per sempre solo dalla DOP sub iudice. Inibire il richiamo alla regione a terzi , allora, ostacolerebbe altre iniziative imrpenditoriali locali, concorrenziali o meno con la DOP-.  Su questa ragione riposano norme come l’art. 11 c. 4 c.p.i. sul marchio collettivo: dopo aver precisato che <<Qualsiasi soggetto i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione ha diritto sia a fare uso del marchio, sia a diventare membro della associazione di categoria titolare del marchio, purche’ siano soddisfatti tutti i requisiti di cui al regolamento>>, ammette che ciònonostante <<l’Ufficio italiano brevetti e marchi puo’ rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L’Ufficio italiano brevetti e marchi ha facolta’ di chiedere al riguardo l’avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti>>. Che significa <<analoghe>>? in rapporto di concorrenzialità? Del resto l’art. 13 reg. 510/2006 parla di <<prodotti … comparabili>> per cui pare esclusa una tutela extramerceolgica del tipo di quella offerta ai segni rinomati (conf. Grisanti, L’ “evocazione” di elementi figurativi e l’interpretazione della CGUE in relazione alla tutela delle DOP/IGP dei prodotti agricoli ed alimentari: il caso “Queso Manchego”, Il dir. ind., 2019, 5, 439-440, in nota alla sentenza qui esaminata, che ricorda il dibattito sul punto).

Eventualmente si può dire forse che l’evocazione della regione è vietata, se porta ad evocare direttamente, inevitabilmente ed esclusivamente la DOP. Cosa che però sarà difficile da verificarsi e dipenderà dal parametro soggettivo di riferimento, oggetto della terza questione pregiudiziale.

Sulla terza questione pregiudiziale La Corte risponde che il parametro soggettivo di riferimento è il consumatore europeo medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto . Con riferimento poi al modo in cui si deve considerare il consumatore del paese della DOP (certamente più attento di quello  degli altri paesi), la risposta della Corte -non chiarissima- è la seguente

<< Ne risulta che occorre rispondere alla terza questione dichiarando che la nozione di consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, alla cui percezione deve fare riferimento il giudice nazionale per determinare se esista un’«evocazione» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, deve intendersi riferita a un consumatore europeo, compreso un consumatore dello Stato membro in cui si fabbrica e si consuma maggiormente il prodotto che dà luogo all’evocazione della denominazione protetta o a cui tale denominazione è associata geograficamente>>.

Non è chiarissima poichè dire che va riferita <<al consumatore europeo compreso quello dello stato di produzione e consumo>> (ipotizzando che questi ultimi due aspetti coincidono nel medesimo stato)  non chiarisce se debbano considerarsi i più informati (i quali magari proprio per questo non faranno l’associazione mentale unica ed esclusiva alla DOP) o i meno informati

L’I.G.P. protegge la denominazione complessivamente presa o anche le singole componenti?

La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla controversia tra il consorzio tutela Aceto Balsamico di Modena e la Balena GmBH (C.G. 04.12.2019, C-432/18, Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena c. Balema GmbH).

V. mio post 19.08.2019 sulle conclusioni dell’A.G. Hogan.

il Consorzio aveva registratato l’IGP <<Aceto Balsamico di Modena (IGP)>> ma Balema GmBH utilizzava nelle sue etichette il termine <<balsamico>> su prodotti a base di aceto che non rispondono al disciplinare dell’IGP (gli usi della Balema sono indicati al § 11).

La normativa pertinente è il reg. 1151/2012, che aveva abrogato e sostituito il 510/2006 il quale a sua volta aveva sostituito  reg. 2081/92. La norma invocata dal Consorzio, che dispone l’ambito dell’esclusiva, è l’articolo 13 paragrafo 1 e 2, il quale così dispone:

<<1.   I nomi registrati sono protetti contro:    a)     qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di un nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con tale nome o l’uso di tale nome consenta di sfruttare la notorietà del nome protetto, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente;     b)   qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente;      c)   qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nel materiale pubblicitario o sui documenti relativi al prodotto considerato nonché l’impiego, per il confezionamento, di recipienti che possano indurre in errore sulla sua origine;   d)   qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.

Se una denominazione di origine protetta o un’indicazione geografica protetta contiene il nome di un prodotto considerato generico, l’uso di tale nome generico non è considerato contrario al primo comma, lettera a) o b).

  1.  Le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette non diventano generiche>>.

L’ IGP era stata registrata con regolamento della Comm. 503 del 2009

La questione pregiudiziale sollevata dal giudice tedesco al suo massimo livello (BGH) è la seguente: <<«Se la tutela di cui beneficia la denominazione “Aceto Balsamico di Modena” nel suo insieme si estenda anche all’utilizzazione dei singoli termini non geografici che compongono tale denominazione (“Aceto”, “Balsamico”, “Aceto Balsamico”)».>>, §16

La questione dunque era se la protezione riguarda anche le sue singole componenti oppure solo la denominazione complessivamente e unitariamente considerata

La risposta della Corte è stata negativa.

la Corte, dopo aver detto che spetta al giudice nazionale stabilirlo (§ 25), pare ammettere che in certi casi la protezione può riguardare le sue singole componenti quando il regolamento che registra l’IGO così disponga (l’espressione è un pò contorta e lo dice in negativo) : <<Tuttavia, la Corte ha altresì dichiarato che, nel caso di una denominazione «composta» registrata conformemente al regolamento n. 2081/92, il fatto che per quest’ultima non esistano indicazioni sotto forma di note a piè di pagina nel regolamento recante registrazione della stessa, le quali precisino che la registrazione non è stata richiesta per una delle parti di questa denominazione, non implica necessariamente che ogni sua singola parte è protetta.>> (paragrafo 26, primo per.)

Questo però nulla dice per il caso in cui il regolamento di registrazione sia muto sul punto. In tal caso secondo la Corte la protezione potrà riguardare una singola componente denominativa solo <<se tale componente non è né un termine generico né un termine comune (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 1998, Chiciak e Fol, C‑129/97 e C‑130/97, EU:C:1998:274, punti 37 e 39>> (paragrafo 26 in fine)

Pertanto, andando al reg. 583/2009, secondo la Corte <<la protezione conferita a tale denominazione non può estendersi ai singoli termini non geografici della stessa.>>, § 28.

La Corte motiva ciò appoggiandosi al reg. di registrazione, il cit. 583/2009: il quale non solo non esplicita una protezione parziale della denominazione ma anzi offrirebbe argomenti in senso opposto. In particolare la Corte si basa sul suo cons. 10: <<sembra che la Germania e la Grecia, nelle obiezioni sollevate relativamente al carattere generico del nome proposto per la denominazione, non abbiano tenuto conto della suddetta denominazione nel suo complesso, ovvero «Aceto Balsamico di Modena», ma soltanto di alcuni suoi elementi, ossia i termini «aceto», «balsamico» e «aceto balsamico» o le rispettive traduzioni. Ora, la protezione è conferita alla denominazione composta «Aceto Balsamico di Modena». I singoli termini non geografici della denominazione composta, anche utilizzati congiuntamente, nonché la loro traduzione, possono essere adoperati sul territorio comunitario nel rispetto dei principi e delle norme applicabili nell’ordinamento giuridico comunitario.>> (§ 31)

Conseguirebbe <<inequivocabilmente dai considerando del regolamento n. 583/2009 che i termini non geografici dell’IGP di cui trattasi, vale a dire «aceto» e «balsamico», la loro combinazione e le loro traduzioni non possono beneficiare della protezione conferita dal regolamento n. 510/2006 e che è ormai assicurata dal regolamento n. 1151/2012 all’IGP «Aceto Balsamico di Modena»>> (§ 33).

Inoltre il termine <<balsamico>> è descrittivo e privo di connotazione geografica: <<è pacifico che il termine «aceto» è un termine comune, come già constatato dalla Corte (v., in tal senso, sentenza del 9 dicembre 1981, Commissione/Italia, 193/80, EU:C:1981:298, punti 25 e 26). Dall’altro lato, il termine «balsamico» è la traduzione, in lingua italiana, dell’aggettivo «balsamique», che non ha alcuna connotazione geografica e che, per quanto riguarda l’aceto, è comunemente usato per designare un aceto che si caratterizza per un gusto agrodolce. Si tratta quindi, anche in questo caso, di un termine comune ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 26 della presente sentenza.>>, § 34.

Da ultimo,  spinge per la protezione limitata al complesso della denominazione e non alle singole componenti anche la concessione di due  DOP: <<Infine, come parimenti rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 57 e 58 delle sue conclusioni, tale interpretazione della portata della protezione conferita all’IGP in questione si impone alla luce delle registrazioni delle DOP «Aceto balsamico tradizionale di Modena» e «Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia», le quali, come indicano i considerando del regolamento n. 583/2009, sono state peraltro prese in considerazione dalla Commissione al momento dell’adozione del medesimo regolamento. Infatti, non si può ritenere che l’uso nel testo di tali DOP dei termini «aceto» e «balsamico» nonché l’uso delle loro combinazioni e traduzioni possano pregiudicare la protezione conferita all’IGP di cui trattasi.>> (§ 35).  Cioè nel senso, se ben capisco, che, se venisse nel casode quo concessa la protezione anche al solo termine <<Balsamico>>, diverrebbe illecito paradossalmente l’utilizzo delle due DOP citate: il che non sarebbe possibile (i §§ 57-58 delle conclusioni dell’AG, richiamate dalla CG, non confortano in tal senso,  essendo oscure).

Pertanto la risposta è che <<l’articolo 1 del regolamento n. 583/2009 deve essere interpretato nel senso che la protezione della denominazione «Aceto Balsamico di Modena» non si estende all’utilizzo dei termini individuali non geografici della stessa.>> (§ 36).

Tre osservazioni finali sulla scarsa precisione concettuale (o motivazione) della CG.

1 – la protezione non è offerta dal reg. 583/2009, che si limita a registrare la IGP richeista, bensì dal reg. 510/2006 (o da quello applicabile ratione temporis);

2 – lascia sconcertati interpretare la norma di legge (art. 13 del reg. 510/2006 o 1151 del 2012) in base al reg. 583/2009 e cioè tramite regole presenti nel suo atto applicativo: cioè interpretare l’atto normativo in base al suo regolamento esecutivo (tra l’altro , emanato da altra autorità). Ciò in mancanza di norma ad hoc nella legge che sarebbe però del tutto incostituzionale o contraria ai Trattati UE.

A meno di intendere che sia il richiedente stesso a limitare la protezione ad una parte solo della denomunazione che indica. Ipotesi che non pare ricorrere nel caso sub iudice e comunque assai diversa dal se -in assenza di tale limitazione chiesta dall’istante- vada concessa protezione anche su singole componenti di una denomnuiazione complessa.

3 – lascia sconcertati pure determinare l’estensione della protezione in base alla presenza di due precedenti DOP che verrebbero pregiudicate dalla intepretazione respinta: come se la protezione dipendensse non dalla legge ma dall’affollameno del settore.

Parrebbe aver deciso in senso opposto alla C.G. la Corte di Appello di Colonia, 18.01.2019, pubblicata in italiano in Il dir. ind., 2019/5, 457 ss con nota critica di F. Buenger (secondo la traduzione ivi presente): << 72 Inoltre, la Corte di giustizia ritiene che la protezione diuna denominazione d’origine composta non si riferisce necessariamente a tutti i suoi elementi se nel regolamento di registrazione non vi è una nota a piè di pagina in cui si afferma che la protezione non è richiesta per una parte della denominazione (cfr. BGH, GRUR2018, 848 – Deutscher Balsamico, mwN).73 Da quanto precede risulta chiaramente, anche alla luce della giurisprudenza della Corte federale tedesca e della Corte di giustizia sopra citata, che la tutela della denominazione composta può comprendere anche la tutela di singoli elementi di tale denominazione. Ne risulta inoltre che la protezione copre in ogni caso quegli elementi che indicano l’origine geografica, il che è evidente anche dall’eccezione relativa alla denominazione generica. Questi principi sono stati confermati dalla Corte di giustizia nella decisione “Glen Buchenbach” (C-44-17, GRUR2018, 843), riassumendo i presupposti per poter ritenere sussistente un’evocazione nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 16 del regolamento (CE) n. 110/2008 (regolamentosulle bevande spiritose), che è identico nei punti essenziali con il regolamento oggetto della presente decisione (…) 74 Nel complesso, la giurisprudenza della Corte di giustiziae, successivamente, della Corte federale tedesca chiarisceche singoli elementi, in particolare quelli che indicanol’origine geografica, possono essere protetti. Inoltre, lacitata decisione della Corte di giustizia stabilisce anchele norme e le condizioni alle quali un’evocazione ai sensidei regolamenti deve essere assunta a livello europeo.>>

Questa decisione tedesca si segnala, oltre che per alcune interessanti considerazioni sulla giurisdizione, anche perchè ha ritenuto che <<la denominazione “Culatello di Parma” per un prosciutto crudo affettato in confezioni trasparenti è  un’evocazione alla denominazione di origine protetta “Prosciutto di Parma”>> (massima ivi presente). In pratica negando specificità al Culatello, cosa forse ammissibile in Germania ma non in Italia: ma allora bisogna indagare quale sia il parametro soggettivo di riferimento (sul che si sofferma la terza massima)