Sul diritto connesso del produttore fonografico, un’interessante e approfondita sentenza romana

Trib. Roma n. 12.101/2023 del 4 agosto 2023, RG 80798/2018, rel. Basile , nella lite tra il maestro Vessicchio e la RAI, di cui ha dato ampiamentoe conto la stampa oggi.

La sentenza farà testo, dato l’approfondimento del tema e la numerosità delle questioni affrontate. E’  non definitiva  rimetendo sul ruolo ex art. 279 n. 4 cpc per al quantificaizone del credito del maestro Vessicchio in base alle perizie espletate sulle dimensjoni dell’avvenuto utilizzo.

Il dubbio di base era se il maestro consegnando un master a RAI, in esecuzione di contratto, ne fosse anche il produttore ex art. 73 e 73 bis legge aut.

Principali insegnamenti presenti in sentenza:

1) non serve essere imprendutiore del settore, basta organizzare la produzione fonografica ancbe solo in quella ‘occcasione:

<<Partendo da quest’ultima norma, il Collegio rileva in primo luogo l’infondatezza della contestazione di parte convenuta relativa alla non ravvisabilità della qualifica di produttore fonografico in capo al Maestro VESSICCHIO e/o alla società CIAOSETTE, sul presupposto che essi, in spregio a quanto previsto dall’art. 78 L.d.A., non avrebbero agito in qualità di imprenditore, né avrebbero sostenuto gli investimenti necessari per la registrazione.
Difatti, benché nella stragrande maggioranza dei casi il produttore fonografico svolge tale attività in maniera continuativa e professionale con scopo di lucro e, dunque, acquisisce la qualifica di imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c., la norma invocata da RAI e RAI COM non impone affatto la qualifica di imprenditore commerciale in capo al produttore fonografico, ma considera come “produttore di fonogrammi” qualunque persona fisica o giuridica che assume l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni.
Deve pertanto ritenersi che la qualifica di produttore fonografico e il conseguente diritto alla corresponsione dell’equo compenso previsto dagli artt. 73 e 73-bis L.d.A. spetti a chiunque abbia assunto l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni su un supporto fonografico (c.d. master), indipendentemente dal fatto che esso rivesta anche la qualifica di imprenditore commerciale e – come si vedrà meglio appresso – a prescindere dal fatto che la fissazione sia avvenuta nell’ambito di un’attività commerciale finalizzata alla messa in commercio delle copie.
Anche con riguardo all’iniziativa e alla responsabilità della prima fissazione dei suoni, non colgono nel segno le contestazioni di parte convenuta secondo le quali gli attori non avrebbero fornito la prova di aver effettivamente compiuto le attività necessarie alla produzione, duplicazione e commercializzazione dei relativi supporti fonografici, adempiendo alle formalità e agli obblighi facenti carico al produttore fonografico, né avrebbero agito di loro iniziativa, ma su specifico incarico conferito al Maestro VESSICCHIO dalla stessa RAI COM, che lo avrebbe incaricato di produrre le musiche di accompagnamento originali del programma “La prova del cuoco”.
Rimandando la trattazione del profilo della commercializzazione dei supporti fonografici al tema della utilizzazione secondaria dei fonogrammi in contestazione, rileva il Collegio come la documentazione versata in atti dagli attori documenti sufficientemente la circostanza che la prima fissazione su supporto fonografico delle opere musicali utilizzate dalla RAI nel programma La prova del cuoco avvenne nell’anno 2000 su iniziativa del Maestro VESSICHIO, in proprio e quale legale rappresentante di CIAOSETTE, negli Studi di registrazione Plastic Studios (cfr. dichiarazione di Silvio Capitta, legale rappresentante della Plastic Studios, All. 3).
Gli attori provvidero, altresì, a remunerare gli artisti interpreti che avevano preso parte alle registrazioni (cfr. dichiarazioni dei sigg.ri Pino Perris, Maurizio Dei Lazzareti e Renato Pistocchi, All. 4).
Gli altri brani di sottofondo furono invece registrati, sempre su iniziativa del Maestro VESSICCHIO, in proprio e quale legale rappresentante di CIAOSETTE, nell’anno 2006 presso gli studi Meggaride Sound, sostenendone i relativi costi (cfr. dichiarazione del sig. Claudio Ribulet depositata sub All. 5 e dichiarazioni dei sigg.ri Pino Perris e Maurizio Dei Lazzareti, All. 4) (…).

Riguardo al secondo profilo, giova ripetere che né il dato letterale, né l’interpretazione dell’invocato art. 78 L.d.A. pongono condizioni o limiti minimi all’importo dell’investimento economico per l’acquisto della qualifica di produttore fonografico in capo a chi assume l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni.
Dunque, anche investimenti di modesta entità possono essere idonei a realizzare la prima fissazione dei suoni su un supporto fonografico in grado di essere utilizzato da terzi per scopo di lucro o senza scopo di lucro.
L’analisi della fattispecie costitutiva dei diritti sul fonogramma e la definizione di produttore fonografico contenuta nell’art. 78 L.d.A. indicano chiaramente che il titolo d’acquisto originario dei diritti di produttore fonografico di cui agli artt. 72 e ss. L.d.A. è costituito dall’assunzione dell’iniziativa e del rischio economico della realizzazione di una fissazione sonora nuova e originale (la c.d. prima fissazione).
La norma in esame – come si vedrà anche in seguito – neppure condiziona l’acquisto a titolo originario dei diritti sul fonogramma alla “primaria” attività di produzione, duplicazione e commercializzazione dei supporti fonografici.
Sicché, anche nel caso in cui la prima fissazione delle opere musicali destinate al programma RAI “La prova del cuoco” fosse avvenuta al solo fine di consegnare il master all’utilizzatore finale (RAI ), gli odierni attori avrebbero comunque acquistato ab origine la qualifica di produttori fonografici e, di conseguenza, i diritti ad essi spettanti ai sensi degli artt. 72 e 73-bis L.d.A. per ogni utilizzazione del supporto fonografico, indipendentemente dalla sua riproduzione in ulteriori supporti fonografici, distribuzione e commercializzazione.>>.

2) irrilevante la mancata richiesta e apposizione di contrasssegno SIAE:

<<Anche la deduzione relativa alla mancata richiesta dei contrassegni SIAE, con il pagamento dei relativi diritti d’autore, non coglie nel segno.
E’ evidente, infatti, che l’apposizione del contrassegno SIAE su ogni supporto fonografico contenente suoni, voci o immagini in movimento che reca la fissazione di opere dell’ingegno di cui all’art. 1 L.d.A., oltre ad essere finalizzata alla protezione del diritto d’autore degli autori delle opere ivi fissate (questione che, come detto, non viene in alcun rilievo in questa sede), riguarda i supporti fonografici “destinati ad essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro”.
Ne discende, al contrario, che qualora, come nel caso in esame, il supporto fonografico non sia destinato alla vendita e/o al noleggio al pubblico a fine di lucro, non sussiste alcun obbligo di apporre il contrassegno SIAE sul master realizzato e destinato ad essere utilizzato direttamente da un’emittente televisiva, né sussiste l’esigenza di tutelare attraverso tale accorgimento il diritto d’autore>>

3) distinzione concettuale netta tra incarico di creazione dell’opera e produzione del fonogramma, p. 24-25

4) la cessione dei diritto sull’opera non comporta la cessione di quello di produttore, anche ex art. 109/1 l. aut.

5) la proprietà della res è un diritto diverso da quello al compenso come produttore fonografico, p. 28-29

6) non è richiesta una previa utilizzione primaria perchè maturi l’equo compensui ex 73-73 bis l. aut. su quelle secodnarie : quindi il compenso spetta anche su un master di opera mai prima commercializzata , p. 31/4

7) prescrizione 1: si tratta non di fatto illecito ma di violazione di obbligazione ex lege. Quindi opera il termine generale decennale, anzichè la diversa regola per ciò che va pagato ad anno o in termine minore ex art. 2948.4 cc.

8) prescrizione 2:  il termine  allora decorre dalle singole utilizzazioni.

L’embedding sul proprio sito di fotografia altrui, legittimamente presente su altro sito, non è comunicazione al pubblico

l’appello del 9° Circuito afferma quanto sopra (No. 22-15293 del 17 luglio 2023, Hunley e Brauer c. Instagram ; notizia e link da Tyler Ochoa in Eric Goldman blog).

Due fotografi avevano postato loro foto su Instagram e se le vedono poi riprrodotte tramite incorporazione (embedding) da Time e da Buzzfeed.

Agiscono solo verso Instagram per secondary liability (contributory e/o vicarious), non verso le due testate giornalsitiche.

Risposta in 1 e 2 grado: nessuna responsabilità perchè manca la violazione primaria. Infatti l’embedding non è violazione , la quale richiede una riproduzione nella forma di fissazione sul server (c.d. server test).

Precisazioni tecniche:

<<embedding is different from merely providing a hyperlink. Hyperlinking gives the URL address where external content is located directly to a user. To access that content, the user must click on the URL to open the linked website in its entirety. By contrast, embedding provides instructions to the browser, and the browser automatically retrieves and shows the content from the host website in the format specified by the embedding website. Embedding therefore allows users to see the content itself—not merely the address—on the embedding website without navigating away from the site. Courts have generally held that hyperlinking does not constitute direct infringement. See, e.g., Online Pol’y Grp. v. Diebold, Inc., 337 F. Supp. 2d 1195, 1202 n.12 (N.D. Cal. 2004) (“[H]yperlinking per se does not constitute direct infringement because there is no copying, [but] in some instances there may be a tenable claim of contributory infringement or vicarious liability.”); MyPlayCity, Inc. v. Conduit Ltd., 2012 WL 1107648, at *12 (S.D.N.Y. Mar. 20, 2012) (collecting cases), adhered to on reconsideration, 2012 WL 2929392 (S.D.N.Y. July 18, 2012).
From the user’s perspective, embedding is entirely passive: the embedding website directs the user’s own browser to the Instagram account and the Instagram content appears as part of the embedding website’s content. The embedding website appears to the user to have included the copyrighted material in its content. In reality, the embedding website has directed the reader’s browser to retrieve the public Instagram account and juxtapose it on the embedding website. Showing the Instagram content is almost instantaneous>>.

Server test, p. 18:

<<We interpreted the Copyright Act’s fixation requirement and found that an image is “fixed in a tangible medium of expression” when it is “embodied (i.e., stored) in a computer’s server, (or hard disk, or other storage device).” Id. at 1160 (citing MAI Sys. Corp. v. Peak Computer, Inc., 991 F.2d 511, 517–18 (9th Cir. 1993)). Applying that interpretation, we concluded that a “computer owner shows a copy ‘by means of a . . . device or process’ when the owner uses the computer to fill the computer screen with the photographic image stored on that computer.” Id. (quoting 17 U.S.C. § 101. And “a person displays a photographic image by using a computer to fill a computer screen with a copy of the photographic image fixed in the computer’s memory.” Id. This requirement that a copy be “fixed in the computer’s memory” has come to be known as the “Server Test.” See id. at 1159 (“The district court referred to this test as the ‘server test.’”) (quoting Perfect 10 v. Google, Inc., 416 F. Supp. 2d 828, 838–39 (C.D. Cal. 2006)); Free Speech Sys., LLC v. Menzel, 390 F. Supp. 3d 1162, 1171 (N.D. Cal. 2019).>>ù

Sua applicazione al caso, p. 34:

<<Having rejected Hunley’s legal and policy challenges to Perfect 10, we now apply the Server Test to the facts of this case.
By posting photographs to her public Instagram profile, Hunley stored a copy of those images on Instagram’s servers. By displaying Hunley’s images, Instagram did not directly infringe Hunley’s exclusive display right because Instagram had a nonexclusive sublicense to display these photos.
To assert secondary liability claims against Instagram, Hunley must make the threshold showing “that there has been direct infringement by third parties.” Oracle Am., Inc., 971 F.3d at 1050. Time and BuzzFeed wrote the HTML instructions that caused browsers to show Hunley and Brauer’s photographs on Time and BuzzFeed websites. However, under Perfect 10 these instructions did not constitute “display [of] a copy.” See Perfect 10, 508 F.3d at 1160–61. Rather, Instagram displayed a copy of the copyrighted works Hunley posted on its platform, and the web browser formatted and displayed the images alongside additional content from Time and BuzzFeed. Because BuzzFeed and Time embedded—but did not store—the underlying copyrighted photographs, they are not guilty of direct infringement. See Perfect 10, 508 F.3d at 1160–61. Without direct infringement, Hunley cannot prevail on any theory of secondary liability. See Giganews, 847 F.3d at 671. As a result, Instagram is not secondarily liable (under any theory) for the resulting display. The district court did not err in dismissing this case on the basis of the Server Test>>.

Nemmeno il profilo della percezione dell’utente fa cambiare opinione ai giudici di appello, pp. 30-31.

IN UE è importante a questo proposito il caso VG Bild-Kunst / Stiftung Preußischer Kulturbesitz, causa C-392/19 con sentenza C.G. 9 marzo 2021 e spt. conclusioni AG Szpunar 10.09.2020 (nella cui Introduzione v. spiegazioni tecniche in linguaggio meritoriamente accessibile), giunto a conclusioni opposte.

Resta che il contenuto esterno, pur entrando nel sito web incorporante automaticamente, viene ivi pur sempre “riprodotto”: quindi la violazione di quest’ultimo diritto dovrebbe esserci

Violazioni di copyright e vicarious liability di eBay

Il prof. Eric Goldman nel suo blog  dà notizia del Trib. Del Maine Case 2:22-cv-00284-LEW del 28 luglio 2023, Okolita v. Amazon Walmart eBay , su allegata coviolazione da parte di dette piattaforme dei diritti sulle sue fotografie.

La domanda è rigettata tranne che in un punto che sarà approfondito : per la vicarious liability .

Ecco il passaggio:

<<Homing in on eBay’s right and ability to supervise and control infringing activity conducted on its online marketplace, Ms. Okolita alleges in her third claim that eBay is liable to her for failing to stop and/or prevent ongoing incidents of infringement of her copyrights.

To be vicariously liable for infringement, the facts need to demonstrate that eBay profited from the direct infringement of third-party users of its services “while
declining to exercise a right to stop or limit it.” Grokster, 545 U.S. at 930. This final claim satisfies the plausibility standard. It does so because the law suggests the need for consideration of the qualitative nature of eBay’s response to Ms. Okolita’s takedown requests and eBay’s knowledge and understanding of the infringers’ conduct on its online marketplace. In the context of a motion to dismiss, a plausible claim is viable and an examination of the quality of eBay’s response to Ms. Okolita’s takedown requests is suited for a summary judgment record or trial. Moreover, to the extent eBay premises its motion to dismiss on the copyright safe harbor found in § 512(c), that entails a separate inquiry that arises in the context of an affirmative defense. Although the current record establishes that eBay has a § 512(c) policy (on paper) and that eBay did remove content that infringed Ms. Okolita’s copyright(s), I am not persuaded that a review of Ms.
Okolita’s FAC and its attachments makes it obvious that eBay is sheltered by the safe harbor>>.

Da noi una domanda analoga difficilemente avrebbe successo in base all’art. 6.2 del Digital serices act reg.- Ue 2022/2065 (2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore). Almeno in una interpretazione testuale: ma non ne è escluso affatto un esito opposto con interpretazione estensiva

La crowded art riduce il tasso di distintività del marchio azionato

Alessandro Cerri in IPKat ci propone High CourT of Justice inglese 19 luglio 2023, Case No: IL-2018-000115, giudice Mellor, per cui il primo dei due marchi seguenti non è violato dal secondo.

Le differenze sono modeste dato che fantino e cavallo non hanno un ruolo dominante (§ 264) e che il settore delle magliette polo è assi affollato di marchi analoghi.

Il passo più interessante è quello circa la valorizzazione della crowded art: essa conta circa il giudizio di distintività del segno azionato, che si riduce se il settore è pieno di prodotti affini marcati in modo assai simile.

Mi pare esattissimo.

<<66  As far as I could tell, the Ds did not engage with the Cs’ arguments as to context but it seems to me that these submissions confuse two separate but related concepts and involve a non-sequitur between the first two and the last two points. The concepts are related in the sense that they both involve things that impinge on the mind of the average consumer and (may) influence the result.

67. There are sound policy reasons for not taking an over-expansive view of the context of the allegedly infringing use. These can be readily understood in the examples which the Deputy Judge had in mind in [24]. The use of ‘Fake Rolex’ or ‘Imitation Louis Vuitton’ does not escape infringement of the famous marks.

68. Although, as I have indicated, the Cs suggested this case was all about context, the Ds put their case differently. Instead, the Ds submitted the key here was to focus on the nature of the mark, the message it conveys to the consumer and hence on its distinctive character. Implicitly, the Ds therefore agreed with the notion that the relevant context was ‘local’, and so do I.

69. Taking a step back from the detail, if I assume for a moment that RL Polo, USPA and all the other third party ‘polo’ brands had never existed and BHPC was the first ‘polo’ brand which created the market and Sign 3 was freshly launched onto the market (for this purpose, assume UK), the infringement action would look very different – in short, it would be far more likely to succeed.

70. Instinctively, the long-standing presence of RL Polo, USPA and possibly other third party ‘polo’ brands must create a different situation. I agree with the Ds that it is necessary to assess the nature of the Cs mark, what it conveys to the average consumer and its distinctive character in this market which can be characterised as somewhat crowded with ‘polo’ themed brands. This is not a ‘context’ issue, and the distinction is clear: context is concerned with an examination of the use complained of, whereas the Ds are saying that it is the Cs mark which brings to that examination the relevance of other ‘polo’ brands in the market, provided they impinge on the way in which the average consumer views and recalls the Cs’ mark>>

<<.74. Once again, it is apparent that Marcus Smith J. considered that the relevance of other ‘polo’ brands went to distinctiveness or the lack of it. I should make it clear that the point I derive from Greenwich Polo is additional support for the point of law that the relevance of a ‘crowded market’ is to distinctiveness of the registered trade mark in issue. I should also emphasise that, whilst that case involved the same Cs’ registered trade marks as in this case, the Greenwich Signs were very different from those I have to consider. Furthermore and most importantly, I have received different evidence in this case – I have not received any evidence from Mr Durbridge>>.

Momento e modo cui valutare il marchio violato nel giudizio di contraffazione

Cass. sez. I n° 21.738 del 20.07.2023, rel. Falabella (con passaggi non limpidissimi…):

1) il giudizio sulla esistenza o meno della rinomanza va dato alla data del deposito (o di uso, se marchio di fatto) del secondo marchio. Così parrebbe leggendo :  <<l’odierna ricorrente ha agito in giudizio per sentir dichiarare la nullità dei marchi di (Omissis) e l’accertamento della contraffazione posta in essere, ai propri danni, attraverso di essi. Sotto il primo profilo i Giudici del merito dovevano evidentemente verificare se alla registrazione dei marchi si frapponesse l’impedimento di cui all’art. 12, lett. e): a tal fine l’indagine circa la rinomanza dei segni in questione andava condotta avendo riguardo all’epoca del deposito del primo dei marchi “(Omissis)” (anno 1999, come è pacifico), non ad epoca successiva. Simile (ma non esattamente coincidente) conclusione si impone in relazione alla sola domanda relativa all’accertamento dell’illecito contraffattivo. Come insegna la Corte di giustizia, il diritto del titolare alla tutela del suo marchio contro le lesioni di quest’ultimo non sarebbe né effettivo né efficace se non permettesse di prendere in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui si è iniziato l’uso del segno che lede il suddetto marchio: quindi, per determinare la portata della tutela di un marchio regolarmente acquisito in funzione della sua capacità distintiva, il giudice deve prendere in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui il segno, il cui uso lede il suddetto marchio, ha iniziato ad essere oggetto di utilizzazione (Corte giust. CE 27 aprile 2006, C-145/05, Levi Strauss & Co., 17 e 20, pure citata da parte ricorrente)>>.

Affermazione scontata.

2) la contraffazione va accertata rispetto al marchio violato così come depositato, non così come concretamente usato. Così parrebbe da <<è  senz’altro vero che il giudizio quanto al rischio confusorio determinato dalla somiglianza dei marchi, siccome impiegati per prodotti o servizi identici o affini, può riguardare segni che presentino una differente caratterizzazione (per essere l’uno denominativo e l’altro al contempo denominativo e figurativo: per una ipotesi siffatta cfr. ad es. Cass. 18 giugno 2018, n. 15927). E’ altrettanto vero, però, che, ove si tratti di accertare la nullità della registrazione ex art. 12, comma 1, lett. b), o l’uso illecito del segno che sia simile ad altro marchio precedentemente registrato, a norma dell’art. 20 comma 1, lett. b), occorre guardare a tale titolo di privativa, e cioè al segno oggetto di deposito e registrazione, non al modo con cui esso venga utilizzato dall’avente diritto (sull’irrilevanza delle modalità concrete di applicazione dei marchi denominativi ai prodotti, dovendo la valutazione quanto all’impedimento alla registrazione del marchio effettuarsi sulla base dei segni quali registrati o richiesti: Trib. UE 29 febbraio 2012, T-525/10, Azienda Agricola Colsaliz, 37; Trib. UE 9 giugno 2010, T-138/09, Muñoz Arraiza, 50)>>.

Pure affermazione scontata: la diversità rileva solo al fine di eventuale decadenza per non uso

Sull’art. 125 cod. propr. ind.: tra risarcimento del danno e trasterimento dei profitti conseguiti tramite violazione di marchio

Cass. sez. I n° 20.800 del 18 luglio 2023, rel. Caiazzo:

<<Il ricorso incidentale è infondato. Infatti, il titolare del diritto di privativa che lamenti la sua violazione ha facoltà di chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, la restituzione (cd. retroversione”) degli utili realizzati dall’autore della violazione, con apposita domanda ai sensi dell’art. 125 c.p.i., senza che sia necessario allegare specificamente e dimostrare che l’autore della violazione abbia agito con colpa o con dolo (Cass., n. 21832/21).
Al riguardo, il soggetto contraffattore, pur avendo agito in mancanza dell’elemento soggettivo (doloso o colposo), deve comunque restituire al titolare gli utili che ha realizzato nella propria attività di violazione, per effetto del rimedio restitutorio, volto a salvaguardare il titolare di un diritto di privativa che rimarrebbe altrimenti privo di tutela laddove la contraffazione fosse causata in assenza dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa.
Secondo il ribadito orientamento, se un soggetto commette una contraffazione consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne consapevole, il titolare del diritto violato può ottenere il risarcimento del danno, domandando il danno emergente ed il lucro cessante (ovvero, in alternativa a questo, la restituzione degli utili prodotti dal contraffattore); se, invece, fa difetto l’elemento soggettivo in capo al contraffattore, il titolare della privativa può domandare comunque la
retroversione degli utili.
Il terzo comma dell’art. 125 c.p.i., appunto prevede che «in ogni caso» il titolare del diritto leso possa chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione -evidentemente in forza e in conseguenza della stessa – in alternativa al risarcimento del lucro cessante.
La lettera della norma è inequivocabile nel circoscrivere la forma di ristoro al pregiudizio da lucro cessante, ossia ai mancati guadagni, sicché tale voce può sicuramente cumularsi al risarcimento di quelle di danno emergente.
La norma è altrettanto chiara nell’ammettere la richiesta della retroversione degli utili realizzati dal contraffattore nella misura in cui essi superino il risarcimento del lucro cessante. In tal modo il titolare del diritto può chiedere la restituzione di benefici che egli non avrebbe ritratto anche se la violazione non vi fosse stata, per esempio perché, essendo meno attrezzato, meno efficiente o meno dimensionato rispetto allo sleale e illegittimo competitore, non avrebbe avuto la capacità di operare nello stesso modo sul mercato; il caso inoltre si può
verificare nella materia brevettuale, in cui la titolarità del diritto di proprietà industriale può essere svincolata dallo svolgimento di una attività di impresa, quando l’inventore titolare lamenti la violazione da parte di un imprenditore di una privativa che egli non ha ancora provveduto a realizzare o a far realizzare industrialmente. Il tema è stato indagato da autorevole dottrina, che ha posto in luce l’esigenza di impedire che il contraffattore tragga profitti dal proprio illecito e di prevenire la pianificazione di attività contraffattive da parte di operatori economici più efficienti per capacità imprenditoriale del titolare del diritto di proprietà intellettuale; questi infatti potrebbero, anche in presenza di un sistema che garantisca al titolare una piena compensazione del suo mancato profitto, organizzare una attività di contraffazione di per sé vantaggiosa, pur considerando il loro obbligo di risarcire il titolare del mancato guadagno, contando sul lucro costituito dalla differenza tra il mancato guadagno del titolare ed il proprio maggior profitto.
In tali ipotesi, il ricorso a questa forma di liquidazione forfettaria e rigida del danno allontana il risarcimento [no: non è più un risarcimento!!] dalla tradizionale funzione meramente compensativa ad esso assegnata nel nostro ordinamento, preordinata a ristorare il titolare del diritto da una perdita che non avrebbe subito se la violazione non fosse stata perpetrata, o, quantomeno, da tale sola funzione, avvicinandola sensibilmente a una logica preventiva e dissuasiva dall’illecito, sia pur sempre sotto l’egida del collegamento necessario con la violazione di un diritto assoluto potenzialmente capace di una espansione economica.
In questa prospettiva la retroversione, così come delineata dal legislatore, rivela una evidente analogia (seppur non in termini di completa sovrapposizione delle fattispecie) con i principi che governano l’arricchimento senza causa per l’intento di riallocare la distribuzione di ricchezza in tal modo conseguita fra colui che ha
realizzato dei benefici ingiustificati, sfruttando la privativa altrui, e colui il cui diritto assoluto è stato sfruttato per realizzarli, a prescindere dall’accertamento controfattuale circa il conseguimento di quegli stessi benefici da parte sua, in una sequenza di eventi alternativa. Il legislatore del 2006 ha così introdotto uno strumento rimediale sui generis, di tipo restitutorio, ispirato a una logica composita, in parte compensatoria e in parte dissuasiva/deterrente, che si affianca alla tutela risarcitoria classica, sia pur nella sua declinazione speciale
prevista in materia di proprietà industriale con le regole particolari stabilite nei primi due commi dell’art.125 c.p.i. (Cass., n. 21832/21). Questa conclusione è resa evidente già dalla stessa rubrica del novellato art.125, intitolata al «Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell’autore della violazione» e caratterizzata dal riferimento ai due istituti rimediali>>

La corresponsabilità della piattaforma per violazione di marchio nel diritto USA (sulla willful blindness nel contributory infringement)

Il prof. Eric Goldman segnala l’ appello del 9 circuito 24.07.2023, No. 21-56150, Brand Melville c. Redbubble.

Riporto il passo sull’elemento soggettivo in capo alla piattaforma (REdbubble) per ritenerla responsabile:

<Common to these cases is that willful blindness requires the defendant to be aware of specific instances of infringement or specific infringers. Without that knowledge, the defendant need not search for infringement. General knowledge of infringement on the defendant’s platform—even of the plaintiff’s trademarks—is not enough to show willful blindness. See Tiffany, 600 F.3d at 110 (“eBay appears to concede that it knew as a general matter that counterfeit Tiffany products were listed and sold through its website. . . . Without more, however, this knowledge is insufficient to trigger liability.”). We hold that willful blindness for contributory trademark liability requires the defendant to have specific knowledge of infringers or instances of infringement.
As for Brandy Melville’s contention that Redbubble had a duty to look for infringement, persuasive decisions from other circuits hold that the defendant has no such duty until it gains the specific knowledge necessary to trigger liability. “There is no inherent duty to look for infringement by others on one’s property.” Omega SA, 984 F.3d at 255; see also Hard Rock Cafe Licensing Corp. v. Concession Servs., Inc., 955 F.2d 1143, 1149 (7th Cir. 1992) (The willful blindness standard “does not impose any duty to seek out and prevent violations.”). Instead, willful blindness arises when a defendant was “made aware that there was infringement on its site but . . . ignored that fact.” Omega SA, 984 F.3d at 255 (quoting Tiffany, 600 F.3d at 110 n.15).
Once a defendant knows about specific instances of infringement, “bona fide efforts to root out infringement” could “support a verdict finding no liability, even if the defendant was not fully successful in stopping infringement.” Id. The duty to stop (or root out) infringement does not kick in, however, until the defendant has that specific knowledge. And, again, that duty only covers specific instances of infringement the defendant knows or has reason to know about. See Tiffany, 600 F.3d at 109–10 (holding that addressing specific notices of counterfeit Tiffany products was sufficient, even though eBay “knew as a general matter that counterfeit Tiffany products were listed and sold through its website.”) >>.

Ed allora quando ricorrono bona fide efforts?  <<What constitutes bona fide efforts will vary based on the context. For instance, a reasonable response for a flea market might not be reasonable for an online marketplace with millions of listings. Cf. Coach, Inc. v. Goodfellow, 717 F.3d 498, 504 (6th Cir. 2013) (affirming contributory liability where defendant, the owner and operator of a flea market, “had actual knowledge that the infringing activity was occurring” and knew of “particular vendors” that were infringing yet failed to “deny access to offending vendors or take other reasonable measures”). Removing infringing listings and taking appropriate action against repeat infringers in response to specific notices may well be sufficient to show that a large online marketplace was not willfully blind. See Tiffany, 600 F.3d at 109 (“[A]lthough [notices of claimed infringement] and buyer complaints gave eBay reason to know that certain sellers had been selling counterfeits, those sellers’ listings were removed and repeat offenders were suspended from the eBay site.”)>>.

Da noi va rileverebbe la possibilità di qualificare come colposa la condotta che concorre alla causazione del danno (art. 2043 cc): gli esiti, alla fine, non sarebbero molto distanti.

L’ambito oggettivo protetto è delineato dall’art. 20 c. 2 cpi

Il ruolo del colore nei marchi figurativi semplici (chevrons zig-zag, strisce etc.)

Marcel Pemsel in IPKat dà notizia di un interssante ed analitica decisione di appello dell’ufficio di Alicante relativa ad un marchio composto da due freccette (chevrons) che però erano state poi usate a colori invertiti.

marchio depositato

Si tratta di EUIPO 2nd board of appel 10.03.2023,  case R 1422/2022-2, Barry’s Bootcamp Holdings, LLC v. HUMMEL HOLDING A/S .

L’ufficio svaluta il ruolo del colore e dice che l’inversione non altera la distintività (la domanda era di revoca per non uso) , sempre che la figura non sia banale o troppo semoplice.    Il rif. è all’art. 18.1.a) del reg. 1001 del 2017.

” § 53   However, the contested IR in the present appeal is not extremely simple unlike the aforementioned case with three parallel black lines, that did not even have the minimum degree of distinctive character. It is not denied that the distinctiveness of the two-chevron device is somewhat below average. Nevertheless, the sign in question consists of two identical chevrons, which are not basic geometric shapes (by analogy, 07/09/2022, R 615/2022-2, Gelber Strich mit linkem Knick (fig.), § 14). What characterises this sign is the outline of the two chevrons, their equal thickness and width and the equal distance between them. Chevrons or V-shaped marks can be presented in multiple ways showing different characteristics (as shown for instance in the examples of registered EUTMs provided by the IR holder on 18 June 2020: , , , , etc.). In contrast, the thickness of the lines and the space between them are the sole features that set a sign made of three vertical lines apart from others. Consequently, even minor changes are able to change the distinctive character of three vertical lines. Following from the above, the Board is of the opinion that the use of the sign does not alter the distinctive character of the contested IR . This is because the chevrons maintain the same outline, the same distance between them, they have an identical thickness and width”.

La posizione dell’Ufficio è di dubbia esattezza ,  stante l’importanza che il colore riveste nella moda di largo consumo: ma alla fine è forse esatto che il cunsumatore ricolleghi il segno nuovo (con colori invertiti) al precedente ed originario

Prima decisione sulla normativa riformata del diritto di autore: Trib. Roma 1094/2023, RG 2312/2022, segnalata e linkata dal prof. Paolo Cuomo.

Il giudice affronta una questione preliminare di di diritto transitorio e cioè l’applicabilità del novellato art. 110 septies l. aut. ai contratti anteriori: e la risolve in senso negativo.

Del resto il tenore della pertinente norma della  dir. e del ns. d. lgs. 177/2021 (art. 3: <<1. Le disposizioni del presente decreto si applicano anche alle opere e agli altri materiali protetti dalla normativa nazionale in materia di diritto d’autore e diritti connessi vigente alla data del 7 giugno 2021. Sono fatti salvi i contratti conclusi e i diritti acquisiti fino al 6 giugno 2021>>. ) non lascia spazio a dubbi di sorta.  Qualunque contratto anteriore, anche se ancora efficace alla data di entrata in vigore, non è governato dalla novella.

Il giudice poi rigetta la domanda sotto il profilo del diritto comune (risoluzione contrattuale ex art. 1453 ss c.c.) non ravvisando inadempimento . Ma questo attiene alle circostanze del caso .

Piuttosto, non risulta esplorata la possibilità interpretativa di far sorgere/esplicitare un dovere di sfruttamento (rimasto poi eventualmente inadempiuto) sulla base del dovere di eseguire il contratto secondo buona fede.

Trib. Roma sul ruolo di SIAE e sulla “bollinatura” dei supporti digitali

Trib. Roma n° 9315/2023 del 12.06.2023, RG 57860/2018, rel. Garrisi:

<<La funzione del contrassegno è quello di autenticazione del prodotto ai fini della sua commercializzazione, in modo da garantire il consumatore, attraverso
uno strumento di immediata verificabilità, che il prodotto acquistato è legittimo e non un c.d. “prodotto pirata”. Si tratta di una funzione eminentemente pubblica a vantaggio della collettività e  non del richiedente che ne sopporta il costo: il che spiega l’obbligatorietà ex lege del contrassegno
e la sanzione penale per l’ipotesi della mancata apposizione del medesimo sul prodotto (L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), come modificata dal D.Lgs. n. 68 del 2003, art. 26). (…)

A norma dell’art. 180 della legge sul diritto d’autore, l’oggetto principale dell’attività della SIAE, quale Organismo di Gestione Collettiva, è l’intermediazione per l’esercizio dei diritti di rappresentazione, esecuzione, recitazione, radiodiffusione e riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate dalla legge d’autore, connotata dai seguenti tre contenuti:
– la stipulazione, per conto e nell’interesse degli aventi diritto, dei necessari negozi privatistici, che la legge definisce licenze ed autorizzazioni, con i grandi e piccoli utilizzatori delle opere ad essa affidate per la gestione dei vari diritti;
– l’incasso delle royalties versate per l’utilizzazione delle opere;

– la ripartizione dei proventi di cui sopra tra gli aventi diritto.
L’attività della SIAE non pregiudica tuttavia la facoltà dell’autore dell’opera di esercitare direttamente i propri diritti. (…)

Con l’introduzione dell’obbligo di apporre il contrassegno si è, infatti, voluto consentire di effettuare una rapida verifica sulla produzione e sulla commercializzazione dei supporti nel rispetto dei diritti dell’autore dell’opera riprodotta. Il contrassegno consente, inoltre, ai consumatori di accertare la provenienza lecita del prodotto acquistato, tutelando in tal modo anche il consumatore in ordine alla liceità della produzione e della vendita del prodotto
acquistato.(…)

Nel caso di specie, premesso in fatto e diritto quanto sopra, non è configurabile alcun rapporto negoziale tra le parti, atteso che l’attività accertativa da parte della convenuta consistente nella apposizione del contrassegno su ogni supporto su cui viene impressa un’opera tutelata dalla legge sul diritto d’autore discende direttamente dalla legge, segnatamente dal citato articolo 181-bis L.A., senza che possa considerarsi instaurato tra l’attrice e la convenuta alcun contratto da cui far discendere l’obbligo in capo a quest’ultima di apporre i contrassegni su cui si
controverte.
La natura tributaria del contrassegno predicata dalla giurisprudenza prevalente esclude la sinallagmaticità del rapporto inter partes, non essendo quindi configurabile alcun obbligo contrattuale a carico della convenuta.
Quanto alla pretesa risarcitoria, non è ravvisabile la condotta illecita da parte della SIAE.
L’attrice deduce di aver inviato, in data 23/8/2016, le richieste di rilascio dei contrassegni (cfr. doc. 1 allegato all’atto di citazione).
Tuttavia la convenuta ha dato ampia prova documentale del fatto che le richieste inviate erano irregolari in relazione alla compilazione di modelli appositi, con la conseguenza che ciò ha reso necessaria una interlocuzione tra le parti ed il compimento di una ulteriore attività accertativa da parte della convenuta.
L’ampia corrispondenza intercorsa tra le parti dimostra che la convenuta, riscontrata l’irregolarità nella compilazione dei moduli di richiesta di rilascio dei contrassegni – con particolare riferimento alla sottoscrizione mediante scansione anziché in via telematica, all’incompletezza dei moduli e delle varie sezioni – ha sempre e tempestivamente richiesto le necessarie modificazioni o integrazioni (cfr. doc. da 5 a 7 e da 17 a 30 allegati alla comparsa di costituzione)>>.

Da vedere se la non contrattualità vale anche dopo la dir. 26 del 2014 il cui art. 5.2 recita: <<I titolari dei diritti hanno il diritto di autorizzare un organismo di gestione collettiva di loro scelta a gestire i diritti, le categorie di diritti o i tipi di opere e altri materiali protetti di loro scelta, per i territori di loro scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’organismo di gestione collettiva o del titolare dei diritti. A meno che non abbia ragioni oggettivamente giustificate per rifiutare la gestione, l’organismo di gestione collettiva è obbligato a gestire tali diritti, categorie di diritti o tipi di opere e altri materiali protetti, purché la gestione degli stessi rientri nel suo ambito di attività>>.