La crowded art riduce il tasso di distintività del marchio azionato

Alessandro Cerri in IPKat ci propone High CourT of Justice inglese 19 luglio 2023, Case No: IL-2018-000115, giudice Mellor, per cui il primo dei due marchi seguenti non è violato dal secondo.

Le differenze sono modeste dato che fantino e cavallo non hanno un ruolo dominante (§ 264) e che il settore delle magliette polo è assi affollato di marchi analoghi.

Il passo più interessante è quello circa la valorizzazione della crowded art: essa conta circa il giudizio di distintività del segno azionato, che si riduce se il settore è pieno di prodotti affini marcati in modo assai simile.

Mi pare esattissimo.

<<66  As far as I could tell, the Ds did not engage with the Cs’ arguments as to context but it seems to me that these submissions confuse two separate but related concepts and involve a non-sequitur between the first two and the last two points. The concepts are related in the sense that they both involve things that impinge on the mind of the average consumer and (may) influence the result.

67. There are sound policy reasons for not taking an over-expansive view of the context of the allegedly infringing use. These can be readily understood in the examples which the Deputy Judge had in mind in [24]. The use of ‘Fake Rolex’ or ‘Imitation Louis Vuitton’ does not escape infringement of the famous marks.

68. Although, as I have indicated, the Cs suggested this case was all about context, the Ds put their case differently. Instead, the Ds submitted the key here was to focus on the nature of the mark, the message it conveys to the consumer and hence on its distinctive character. Implicitly, the Ds therefore agreed with the notion that the relevant context was ‘local’, and so do I.

69. Taking a step back from the detail, if I assume for a moment that RL Polo, USPA and all the other third party ‘polo’ brands had never existed and BHPC was the first ‘polo’ brand which created the market and Sign 3 was freshly launched onto the market (for this purpose, assume UK), the infringement action would look very different – in short, it would be far more likely to succeed.

70. Instinctively, the long-standing presence of RL Polo, USPA and possibly other third party ‘polo’ brands must create a different situation. I agree with the Ds that it is necessary to assess the nature of the Cs mark, what it conveys to the average consumer and its distinctive character in this market which can be characterised as somewhat crowded with ‘polo’ themed brands. This is not a ‘context’ issue, and the distinction is clear: context is concerned with an examination of the use complained of, whereas the Ds are saying that it is the Cs mark which brings to that examination the relevance of other ‘polo’ brands in the market, provided they impinge on the way in which the average consumer views and recalls the Cs’ mark>>

<<.74. Once again, it is apparent that Marcus Smith J. considered that the relevance of other ‘polo’ brands went to distinctiveness or the lack of it. I should make it clear that the point I derive from Greenwich Polo is additional support for the point of law that the relevance of a ‘crowded market’ is to distinctiveness of the registered trade mark in issue. I should also emphasise that, whilst that case involved the same Cs’ registered trade marks as in this case, the Greenwich Signs were very different from those I have to consider. Furthermore and most importantly, I have received different evidence in this case – I have not received any evidence from Mr Durbridge>>.

Momento e modo cui valutare il marchio violato nel giudizio di contraffazione

Cass. sez. I n° 21.738 del 20.07.2023, rel. Falabella (con passaggi non limpidissimi…):

1) il giudizio sulla esistenza o meno della rinomanza va dato alla data del deposito (o di uso, se marchio di fatto) del secondo marchio. Così parrebbe leggendo :  <<l’odierna ricorrente ha agito in giudizio per sentir dichiarare la nullità dei marchi di (Omissis) e l’accertamento della contraffazione posta in essere, ai propri danni, attraverso di essi. Sotto il primo profilo i Giudici del merito dovevano evidentemente verificare se alla registrazione dei marchi si frapponesse l’impedimento di cui all’art. 12, lett. e): a tal fine l’indagine circa la rinomanza dei segni in questione andava condotta avendo riguardo all’epoca del deposito del primo dei marchi “(Omissis)” (anno 1999, come è pacifico), non ad epoca successiva. Simile (ma non esattamente coincidente) conclusione si impone in relazione alla sola domanda relativa all’accertamento dell’illecito contraffattivo. Come insegna la Corte di giustizia, il diritto del titolare alla tutela del suo marchio contro le lesioni di quest’ultimo non sarebbe né effettivo né efficace se non permettesse di prendere in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui si è iniziato l’uso del segno che lede il suddetto marchio: quindi, per determinare la portata della tutela di un marchio regolarmente acquisito in funzione della sua capacità distintiva, il giudice deve prendere in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui il segno, il cui uso lede il suddetto marchio, ha iniziato ad essere oggetto di utilizzazione (Corte giust. CE 27 aprile 2006, C-145/05, Levi Strauss & Co., 17 e 20, pure citata da parte ricorrente)>>.

Affermazione scontata.

2) la contraffazione va accertata rispetto al marchio violato così come depositato, non così come concretamente usato. Così parrebbe da <<è  senz’altro vero che il giudizio quanto al rischio confusorio determinato dalla somiglianza dei marchi, siccome impiegati per prodotti o servizi identici o affini, può riguardare segni che presentino una differente caratterizzazione (per essere l’uno denominativo e l’altro al contempo denominativo e figurativo: per una ipotesi siffatta cfr. ad es. Cass. 18 giugno 2018, n. 15927). E’ altrettanto vero, però, che, ove si tratti di accertare la nullità della registrazione ex art. 12, comma 1, lett. b), o l’uso illecito del segno che sia simile ad altro marchio precedentemente registrato, a norma dell’art. 20 comma 1, lett. b), occorre guardare a tale titolo di privativa, e cioè al segno oggetto di deposito e registrazione, non al modo con cui esso venga utilizzato dall’avente diritto (sull’irrilevanza delle modalità concrete di applicazione dei marchi denominativi ai prodotti, dovendo la valutazione quanto all’impedimento alla registrazione del marchio effettuarsi sulla base dei segni quali registrati o richiesti: Trib. UE 29 febbraio 2012, T-525/10, Azienda Agricola Colsaliz, 37; Trib. UE 9 giugno 2010, T-138/09, Muñoz Arraiza, 50)>>.

Pure affermazione scontata: la diversità rileva solo al fine di eventuale decadenza per non uso

Sull’art. 125 cod. propr. ind.: tra risarcimento del danno e trasterimento dei profitti conseguiti tramite violazione di marchio

Cass. sez. I n° 20.800 del 18 luglio 2023, rel. Caiazzo:

<<Il ricorso incidentale è infondato. Infatti, il titolare del diritto di privativa che lamenti la sua violazione ha facoltà di chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, la restituzione (cd. retroversione”) degli utili realizzati dall’autore della violazione, con apposita domanda ai sensi dell’art. 125 c.p.i., senza che sia necessario allegare specificamente e dimostrare che l’autore della violazione abbia agito con colpa o con dolo (Cass., n. 21832/21).
Al riguardo, il soggetto contraffattore, pur avendo agito in mancanza dell’elemento soggettivo (doloso o colposo), deve comunque restituire al titolare gli utili che ha realizzato nella propria attività di violazione, per effetto del rimedio restitutorio, volto a salvaguardare il titolare di un diritto di privativa che rimarrebbe altrimenti privo di tutela laddove la contraffazione fosse causata in assenza dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa.
Secondo il ribadito orientamento, se un soggetto commette una contraffazione consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne consapevole, il titolare del diritto violato può ottenere il risarcimento del danno, domandando il danno emergente ed il lucro cessante (ovvero, in alternativa a questo, la restituzione degli utili prodotti dal contraffattore); se, invece, fa difetto l’elemento soggettivo in capo al contraffattore, il titolare della privativa può domandare comunque la
retroversione degli utili.
Il terzo comma dell’art. 125 c.p.i., appunto prevede che «in ogni caso» il titolare del diritto leso possa chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione -evidentemente in forza e in conseguenza della stessa – in alternativa al risarcimento del lucro cessante.
La lettera della norma è inequivocabile nel circoscrivere la forma di ristoro al pregiudizio da lucro cessante, ossia ai mancati guadagni, sicché tale voce può sicuramente cumularsi al risarcimento di quelle di danno emergente.
La norma è altrettanto chiara nell’ammettere la richiesta della retroversione degli utili realizzati dal contraffattore nella misura in cui essi superino il risarcimento del lucro cessante. In tal modo il titolare del diritto può chiedere la restituzione di benefici che egli non avrebbe ritratto anche se la violazione non vi fosse stata, per esempio perché, essendo meno attrezzato, meno efficiente o meno dimensionato rispetto allo sleale e illegittimo competitore, non avrebbe avuto la capacità di operare nello stesso modo sul mercato; il caso inoltre si può
verificare nella materia brevettuale, in cui la titolarità del diritto di proprietà industriale può essere svincolata dallo svolgimento di una attività di impresa, quando l’inventore titolare lamenti la violazione da parte di un imprenditore di una privativa che egli non ha ancora provveduto a realizzare o a far realizzare industrialmente. Il tema è stato indagato da autorevole dottrina, che ha posto in luce l’esigenza di impedire che il contraffattore tragga profitti dal proprio illecito e di prevenire la pianificazione di attività contraffattive da parte di operatori economici più efficienti per capacità imprenditoriale del titolare del diritto di proprietà intellettuale; questi infatti potrebbero, anche in presenza di un sistema che garantisca al titolare una piena compensazione del suo mancato profitto, organizzare una attività di contraffazione di per sé vantaggiosa, pur considerando il loro obbligo di risarcire il titolare del mancato guadagno, contando sul lucro costituito dalla differenza tra il mancato guadagno del titolare ed il proprio maggior profitto.
In tali ipotesi, il ricorso a questa forma di liquidazione forfettaria e rigida del danno allontana il risarcimento [no: non è più un risarcimento!!] dalla tradizionale funzione meramente compensativa ad esso assegnata nel nostro ordinamento, preordinata a ristorare il titolare del diritto da una perdita che non avrebbe subito se la violazione non fosse stata perpetrata, o, quantomeno, da tale sola funzione, avvicinandola sensibilmente a una logica preventiva e dissuasiva dall’illecito, sia pur sempre sotto l’egida del collegamento necessario con la violazione di un diritto assoluto potenzialmente capace di una espansione economica.
In questa prospettiva la retroversione, così come delineata dal legislatore, rivela una evidente analogia (seppur non in termini di completa sovrapposizione delle fattispecie) con i principi che governano l’arricchimento senza causa per l’intento di riallocare la distribuzione di ricchezza in tal modo conseguita fra colui che ha
realizzato dei benefici ingiustificati, sfruttando la privativa altrui, e colui il cui diritto assoluto è stato sfruttato per realizzarli, a prescindere dall’accertamento controfattuale circa il conseguimento di quegli stessi benefici da parte sua, in una sequenza di eventi alternativa. Il legislatore del 2006 ha così introdotto uno strumento rimediale sui generis, di tipo restitutorio, ispirato a una logica composita, in parte compensatoria e in parte dissuasiva/deterrente, che si affianca alla tutela risarcitoria classica, sia pur nella sua declinazione speciale
prevista in materia di proprietà industriale con le regole particolari stabilite nei primi due commi dell’art.125 c.p.i. (Cass., n. 21832/21). Questa conclusione è resa evidente già dalla stessa rubrica del novellato art.125, intitolata al «Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell’autore della violazione» e caratterizzata dal riferimento ai due istituti rimediali>>

La corresponsabilità della piattaforma per violazione di marchio nel diritto USA (sulla willful blindness nel contributory infringement)

Il prof. Eric Goldman segnala l’ appello del 9 circuito 24.07.2023, No. 21-56150, Brand Melville c. Redbubble.

Riporto il passo sull’elemento soggettivo in capo alla piattaforma (REdbubble) per ritenerla responsabile:

<Common to these cases is that willful blindness requires the defendant to be aware of specific instances of infringement or specific infringers. Without that knowledge, the defendant need not search for infringement. General knowledge of infringement on the defendant’s platform—even of the plaintiff’s trademarks—is not enough to show willful blindness. See Tiffany, 600 F.3d at 110 (“eBay appears to concede that it knew as a general matter that counterfeit Tiffany products were listed and sold through its website. . . . Without more, however, this knowledge is insufficient to trigger liability.”). We hold that willful blindness for contributory trademark liability requires the defendant to have specific knowledge of infringers or instances of infringement.
As for Brandy Melville’s contention that Redbubble had a duty to look for infringement, persuasive decisions from other circuits hold that the defendant has no such duty until it gains the specific knowledge necessary to trigger liability. “There is no inherent duty to look for infringement by others on one’s property.” Omega SA, 984 F.3d at 255; see also Hard Rock Cafe Licensing Corp. v. Concession Servs., Inc., 955 F.2d 1143, 1149 (7th Cir. 1992) (The willful blindness standard “does not impose any duty to seek out and prevent violations.”). Instead, willful blindness arises when a defendant was “made aware that there was infringement on its site but . . . ignored that fact.” Omega SA, 984 F.3d at 255 (quoting Tiffany, 600 F.3d at 110 n.15).
Once a defendant knows about specific instances of infringement, “bona fide efforts to root out infringement” could “support a verdict finding no liability, even if the defendant was not fully successful in stopping infringement.” Id. The duty to stop (or root out) infringement does not kick in, however, until the defendant has that specific knowledge. And, again, that duty only covers specific instances of infringement the defendant knows or has reason to know about. See Tiffany, 600 F.3d at 109–10 (holding that addressing specific notices of counterfeit Tiffany products was sufficient, even though eBay “knew as a general matter that counterfeit Tiffany products were listed and sold through its website.”) >>.

Ed allora quando ricorrono bona fide efforts?  <<What constitutes bona fide efforts will vary based on the context. For instance, a reasonable response for a flea market might not be reasonable for an online marketplace with millions of listings. Cf. Coach, Inc. v. Goodfellow, 717 F.3d 498, 504 (6th Cir. 2013) (affirming contributory liability where defendant, the owner and operator of a flea market, “had actual knowledge that the infringing activity was occurring” and knew of “particular vendors” that were infringing yet failed to “deny access to offending vendors or take other reasonable measures”). Removing infringing listings and taking appropriate action against repeat infringers in response to specific notices may well be sufficient to show that a large online marketplace was not willfully blind. See Tiffany, 600 F.3d at 109 (“[A]lthough [notices of claimed infringement] and buyer complaints gave eBay reason to know that certain sellers had been selling counterfeits, those sellers’ listings were removed and repeat offenders were suspended from the eBay site.”)>>.

Da noi va rileverebbe la possibilità di qualificare come colposa la condotta che concorre alla causazione del danno (art. 2043 cc): gli esiti, alla fine, non sarebbero molto distanti.

L’ambito oggettivo protetto è delineato dall’art. 20 c. 2 cpi

Il ruolo del colore nei marchi figurativi semplici (chevrons zig-zag, strisce etc.)

Marcel Pemsel in IPKat dà notizia di un interssante ed analitica decisione di appello dell’ufficio di Alicante relativa ad un marchio composto da due freccette (chevrons) che però erano state poi usate a colori invertiti.

marchio depositato

Si tratta di EUIPO 2nd board of appel 10.03.2023,  case R 1422/2022-2, Barry’s Bootcamp Holdings, LLC v. HUMMEL HOLDING A/S .

L’ufficio svaluta il ruolo del colore e dice che l’inversione non altera la distintività (la domanda era di revoca per non uso) , sempre che la figura non sia banale o troppo semoplice.    Il rif. è all’art. 18.1.a) del reg. 1001 del 2017.

” § 53   However, the contested IR in the present appeal is not extremely simple unlike the aforementioned case with three parallel black lines, that did not even have the minimum degree of distinctive character. It is not denied that the distinctiveness of the two-chevron device is somewhat below average. Nevertheless, the sign in question consists of two identical chevrons, which are not basic geometric shapes (by analogy, 07/09/2022, R 615/2022-2, Gelber Strich mit linkem Knick (fig.), § 14). What characterises this sign is the outline of the two chevrons, their equal thickness and width and the equal distance between them. Chevrons or V-shaped marks can be presented in multiple ways showing different characteristics (as shown for instance in the examples of registered EUTMs provided by the IR holder on 18 June 2020: , , , , etc.). In contrast, the thickness of the lines and the space between them are the sole features that set a sign made of three vertical lines apart from others. Consequently, even minor changes are able to change the distinctive character of three vertical lines. Following from the above, the Board is of the opinion that the use of the sign does not alter the distinctive character of the contested IR . This is because the chevrons maintain the same outline, the same distance between them, they have an identical thickness and width”.

La posizione dell’Ufficio è di dubbia esattezza ,  stante l’importanza che il colore riveste nella moda di largo consumo: ma alla fine è forse esatto che il cunsumatore ricolleghi il segno nuovo (con colori invertiti) al precedente ed originario

Prima decisione sulla normativa riformata del diritto di autore: Trib. Roma 1094/2023, RG 2312/2022, segnalata e linkata dal prof. Paolo Cuomo.

Il giudice affronta una questione preliminare di di diritto transitorio e cioè l’applicabilità del novellato art. 110 septies l. aut. ai contratti anteriori: e la risolve in senso negativo.

Del resto il tenore della pertinente norma della  dir. e del ns. d. lgs. 177/2021 (art. 3: <<1. Le disposizioni del presente decreto si applicano anche alle opere e agli altri materiali protetti dalla normativa nazionale in materia di diritto d’autore e diritti connessi vigente alla data del 7 giugno 2021. Sono fatti salvi i contratti conclusi e i diritti acquisiti fino al 6 giugno 2021>>. ) non lascia spazio a dubbi di sorta.  Qualunque contratto anteriore, anche se ancora efficace alla data di entrata in vigore, non è governato dalla novella.

Il giudice poi rigetta la domanda sotto il profilo del diritto comune (risoluzione contrattuale ex art. 1453 ss c.c.) non ravvisando inadempimento . Ma questo attiene alle circostanze del caso .

Piuttosto, non risulta esplorata la possibilità interpretativa di far sorgere/esplicitare un dovere di sfruttamento (rimasto poi eventualmente inadempiuto) sulla base del dovere di eseguire il contratto secondo buona fede.

Trib. Roma sul ruolo di SIAE e sulla “bollinatura” dei supporti digitali

Trib. Roma n° 9315/2023 del 12.06.2023, RG 57860/2018, rel. Garrisi:

<<La funzione del contrassegno è quello di autenticazione del prodotto ai fini della sua commercializzazione, in modo da garantire il consumatore, attraverso
uno strumento di immediata verificabilità, che il prodotto acquistato è legittimo e non un c.d. “prodotto pirata”. Si tratta di una funzione eminentemente pubblica a vantaggio della collettività e  non del richiedente che ne sopporta il costo: il che spiega l’obbligatorietà ex lege del contrassegno
e la sanzione penale per l’ipotesi della mancata apposizione del medesimo sul prodotto (L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), come modificata dal D.Lgs. n. 68 del 2003, art. 26). (…)

A norma dell’art. 180 della legge sul diritto d’autore, l’oggetto principale dell’attività della SIAE, quale Organismo di Gestione Collettiva, è l’intermediazione per l’esercizio dei diritti di rappresentazione, esecuzione, recitazione, radiodiffusione e riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate dalla legge d’autore, connotata dai seguenti tre contenuti:
– la stipulazione, per conto e nell’interesse degli aventi diritto, dei necessari negozi privatistici, che la legge definisce licenze ed autorizzazioni, con i grandi e piccoli utilizzatori delle opere ad essa affidate per la gestione dei vari diritti;
– l’incasso delle royalties versate per l’utilizzazione delle opere;

– la ripartizione dei proventi di cui sopra tra gli aventi diritto.
L’attività della SIAE non pregiudica tuttavia la facoltà dell’autore dell’opera di esercitare direttamente i propri diritti. (…)

Con l’introduzione dell’obbligo di apporre il contrassegno si è, infatti, voluto consentire di effettuare una rapida verifica sulla produzione e sulla commercializzazione dei supporti nel rispetto dei diritti dell’autore dell’opera riprodotta. Il contrassegno consente, inoltre, ai consumatori di accertare la provenienza lecita del prodotto acquistato, tutelando in tal modo anche il consumatore in ordine alla liceità della produzione e della vendita del prodotto
acquistato.(…)

Nel caso di specie, premesso in fatto e diritto quanto sopra, non è configurabile alcun rapporto negoziale tra le parti, atteso che l’attività accertativa da parte della convenuta consistente nella apposizione del contrassegno su ogni supporto su cui viene impressa un’opera tutelata dalla legge sul diritto d’autore discende direttamente dalla legge, segnatamente dal citato articolo 181-bis L.A., senza che possa considerarsi instaurato tra l’attrice e la convenuta alcun contratto da cui far discendere l’obbligo in capo a quest’ultima di apporre i contrassegni su cui si
controverte.
La natura tributaria del contrassegno predicata dalla giurisprudenza prevalente esclude la sinallagmaticità del rapporto inter partes, non essendo quindi configurabile alcun obbligo contrattuale a carico della convenuta.
Quanto alla pretesa risarcitoria, non è ravvisabile la condotta illecita da parte della SIAE.
L’attrice deduce di aver inviato, in data 23/8/2016, le richieste di rilascio dei contrassegni (cfr. doc. 1 allegato all’atto di citazione).
Tuttavia la convenuta ha dato ampia prova documentale del fatto che le richieste inviate erano irregolari in relazione alla compilazione di modelli appositi, con la conseguenza che ciò ha reso necessaria una interlocuzione tra le parti ed il compimento di una ulteriore attività accertativa da parte della convenuta.
L’ampia corrispondenza intercorsa tra le parti dimostra che la convenuta, riscontrata l’irregolarità nella compilazione dei moduli di richiesta di rilascio dei contrassegni – con particolare riferimento alla sottoscrizione mediante scansione anziché in via telematica, all’incompletezza dei moduli e delle varie sezioni – ha sempre e tempestivamente richiesto le necessarie modificazioni o integrazioni (cfr. doc. da 5 a 7 e da 17 a 30 allegati alla comparsa di costituzione)>>.

Da vedere se la non contrattualità vale anche dopo la dir. 26 del 2014 il cui art. 5.2 recita: <<I titolari dei diritti hanno il diritto di autorizzare un organismo di gestione collettiva di loro scelta a gestire i diritti, le categorie di diritti o i tipi di opere e altri materiali protetti di loro scelta, per i territori di loro scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’organismo di gestione collettiva o del titolare dei diritti. A meno che non abbia ragioni oggettivamente giustificate per rifiutare la gestione, l’organismo di gestione collettiva è obbligato a gestire tali diritti, categorie di diritti o tipi di opere e altri materiali protetti, purché la gestione degli stessi rientri nel suo ambito di attività>>.

Trib. Firenze 19.05.2023 n° 1519/2023, RG 16901/2018, rel. Pattonelli (da giurisprudenzadelleimprese.it):

<<Più in generale, la disciplina d’autore non assicura la tutela alle semplici idee,
informazioni, opinioni e teorie espresse nell’opera (come anche chiarito all’art. 9,
comma 2 Accordo TRIPS, all’art. 2, n. 8 L. n. 633/41 e nelle DCE nn. 1991/250 e 1996/9, rispettivamente in tema di programmi per elaboratore e di banche-dati), ma soltanto alle relative forme espressive, ossia alla loro concretizzazione esterna, intesa come rappresentazione nel mondo esterno di un contenuto di idee, fatti, sensazioni, ragionamenti, sentimenti, sicché l’opera dell’ingegno è tutelata soltanto quale espressione, segno palese e concreto della creatività dell’autore, mentre pari tutela non riceve l’utilizzazione dell’argomento o dell’insegnamento espressi nell’opera stessa: ciò in nome di criteri di ragionevolezza, dacché un’esclusiva tanto ampia da abbracciare perfino le idee – ancorché originali – dell’autore o i contenuti dell’opera recherebbe pregiudizio al progresso delle arti e delle scienze. Siffatto principio – esteso anche alle c.d. “idee elaborate”, per tali intendendosi gli schemi che fungono da traccia nello svolgimento di un’attività diretta alla successiva realizzazione di un’opera dell’ingegno completa – è stato ribadito, in particolare, per quanto qui di interesse, con riferimento alle opere di carattere scientifico (Cass. n. 190/62), nel cui ambito, del pari, l’esclusiva deve ritenersi cadere soltanto sull’espressione formale, id est, sulla soluzione espressiva del discorso scientifico, ma non pure sul contenuto intellettuale intrinseco dell’opera scientifica, o sull’insegnamento che da esso può trarsene, dovendo questo invece rimanere a disposizione di tutti, per il progresso delle scienze e della cultura generale (Cass. n. 10300/20; n. 15496/04). E se è pur vero, da un lato, che la visione personale, che dà luogo all’opera dell’ingegno creativa nel senso suindicato, si manifesta non soltanto nella c.d. forma esterna con cui viene espressa l’opera, ossia nell’espressione in
cui l’opera si presenta ai soggetti che intendono fruirne, ma anche nella c.d. forma interna, identificabile con la struttura dell’opera, ovvero con quel nucleo fondamentale che ne costituisce l’originalità creativa, che – come tale – non è appropriabile liberamente dai terzi; è d’altro canto da ribadirsi come, al fine della configurazione di un’opera dell’ingegno, occorra pur sempre una forma esteriore compiuta, determinata e identificabile, in cui la stessa opera si concretizzi e possa pertanto essere percepita come tale all’esterno, non ponendosi altrimenti neppure il problema della sua percezione come frutto dell’attività creativa di un determinato autore.

In altri termini, dunque, un’opera dell’ingegno in tanto riceve protezione, in quanto sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppure minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, a prescindere dal suo carattere edito o inedito, sempreché, tuttavia, ne sussistano i requisiti della concretezza di espressione, e, dunque, una forma come tale riconoscibile e riconducibile al soggetto autore (Cass. n. 22010/15; n. 18073/12) – come è ben evincibile, anzitutto, dalla lettura della clausola di chiusura di cui all’art. 1 LDA (“in qualunque forma di espressione”) e all’art. 2575 c.c., entrambe presupponenti l’esistenza di un’espressione tangibile e percepibile dell’opera>>

Oper dell’integno non ravvisata nel caso specifico in cui <<secondo le prospettazioni attoree (cfr. pag. 4 citazione), “idea, ricerca, formulazione, programma, progetto ed esecuzione” di un laboratorio scientifico, il LISM, costituirebbero un’opera dell’ingegno da tutelare in suo favore, in quanto diretta promanazione dai suoi studi e dalle sue intuizioni, e di cui, pertanto, lo stesso attore avrebbe dovuto essere ritenuto l’unico autore>>.

Decisione ineccepibile anche se facile.

Equo compenso anche per le riproduzioni private di trasmissioni televisive, dice l’Avvocato Generale

Secondo le Conclusioni 13.07.2023 dell”AG Collins, C-260/22, Seven.One Enterteinment group c. Coriont Media GmBH, è incompatibile col diritto UE la legge tedesca, laddove  non attriobuisce l’equo compenso agli organismi di radio diffusione sulla riproduzione privatedi loro trasmissioni.

<<§ 41 L’articolo 2, lettera e), e l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, devono essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro preveda un’eccezione per copia privata al diritto esclusivo di riproduzione degli organismi di diffusione radiotelevisiva nelle fissazioni delle loro trasmissioni, escludendo al contempo il diritto a un equo compenso per tale copia qualora essa arrechi loro un pregiudizio più che minimo.

Il fatto che gli organismi di diffusione radiotelevisiva possono avere diritto a un equo compenso ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 in qualità di produttori cinematografici è irrilevante [giusto ma ovvio]>>.

Circa la possibilità di disapplicare, sempre utile il ripasso:

<<38. La questione che si pone nel caso di specie è se la ricorrente possa invocare l’articolo 2, lettera e), e l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 in un procedimento contro la convenuta al fine di ottenere la disapplicazione di una normativa nazionale contrastante con tali disposizioni. L’articolo 288, terzo comma, TFUE stabilisce che le direttive non possono di per sé creare obblighi a carico di soggetti di diritto e quindi non possono essere fatte valere in quanto tale nei confronti di soggetti di diritto dinanzi a un giudice nazionale. Anche se chiare, precise e incondizionate, le disposizioni di una direttiva, come quelle di cui all’articolo 2, lettera e), e all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 non consentono al giudice nazionale di disapplicare una disposizione del suo diritto interno ad esse contraria se, in tal modo, venisse imposto un obbligo aggiuntivo a un soggetto di diritto (51).

39. Una direttiva può comunque essere invocata nei confronti di uno Stato membro, a prescindere dalla veste in cui quest’ultimo agisce. Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la disposizione nazionale contraria a una direttiva laddove quest’ultima sia invocata nei confronti di uno Stato membro, degli organi della sua amministrazione, ivi comprese autorità decentralizzate, o degli organismi o entità sottoposti all’autorità o al controllo dello Stato o a cui uno Stato membro abbia demandato l’assolvimento di un compito di interesse pubblico e che dispongono a tal fine di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli (52).

40. All’udienza, sia la convenuta che il governo tedesco hanno confermato che la convenuta è una società di gestione collettiva a cui la legge ha conferito poteri speciali e che deve agire nell’interesse pubblico. Ne consegue che, qualora il giudice del rinvio si trovi nell’impossibilità di interpretare l’articolo 87, paragrafo 4, dell’UrhG in modo conforme agli articoli 2, lettera e), e 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, la ricorrente può avvalersi di queste ultime disposizioni nella sua controversia con la convenuta per cercare di persuadere tale giudice a disapplicare l’articolo 87, paragrafo 4, dell’UrhG>>.

Quindi verso la collecting,  organo di diritto pubblico, vale l’efficacia verticale delle direttive inattuate.

Sulla (in-)validità di marchio sonoro

Anna Maria Stein in IPKat segnala una decisione dell’ufficio di Alicante che rigetta la domanda di registrazine di marchio musicale (la canzone per bimbi “Johnny Johnny Yes Papa”)

Si tratta di 15.06.2023, applicat. n° 018713855, Mora TV srl (testo inglese automat. trad. qui)

Le ragioni del rigetto attengono alla carenza di distintività; ne è interessante l’applicaizone ai marchi musicali (riporto la sintesi di Anna Maria Stein, ove trovi pure un paio di precedenti amministrativi):

<<a) Length of the sound mark

Although the length of a sound mark does not disqualify it from being considered as an indicator of origin, and the EUTMR is silent in this regard, the EUIPO’s examination guidelines specify the types of sound marks that are not likely to be accepted without proof of acquired distinctiveness, including sounds which are too long to be considered as an indication of origin and sounds which are usually associated with certain goods and services.

b) Lack of easily identifiable and recognisable melodic structure

The sign does not contain an easily identifiable and quickly recognisable melodic structure since it begins with a simple, repetitive motif, which is then accompanied by a few basic tones and sounds, typical of music played in cartoons, movies or songs with lyrics for babies or children. Thus, it does not contain any relevant melodic moment/structure that would allow the public to clearly identify it as a brand, and consequently lacks the ability to function as an identifier of commercial origin.

d) The sound trade mark does not identify the commercial origin of goods or services

Consumers are not in the habit of making assumptions about the origin of products or services in the absence of any graphic or verbal element, because, in general, a sound in itself is not commonly used in any field of commercial practice as a means of identification. However, marketing habits in an economic sector are not fixed and can evolve in a very dynamic way, including through the use of sound trade marks.

When a sound mark consists of non-distinctive/descriptive/generic verbal elements pronounced in a clear manner and without striking or unusual sound elements, the sound mark will be considered non-distinctive.

The trade mark at issue here contains several phrases taken from a song that is very popular throughout the world and for which there are numerous versions and videos that can easily be found on the internet.

e) No acquired distinctive character

According to the EUIPO, the applicant did not submit any opinion polls/surveys or depositions, nor did it provide details of turnover and sales figures or any document regarding investment in advertising and efforts made to promote the brand.

Thus, it was not possible to establish the market share regarding the objected products and services, the intensity, geographical extent and duration of the use of the sound trade mark, or the proportion of the relevant public that identifies the origin of the products and services, before the filing date of the application>>.

Si v. il Chapter 3, § 14 Sound marks, Sect 4 – part B Examination, p. 452 ss, delle Guidelines EUIPO, vers. 1.0, 31 marzo 2023.