Diritto di autore su fiabe , anzi su una loro particolare modalità editoriale-rappresentativa

Appello Firenze n. 669/2023 del 03.04.2023, RG 1132/2022, rel. Nicoletti, sul tema in oggetto conferma la sentenza di 1 grado circa la tutela come opera dll’ingegno della innovativa  modalitàò edutoriale di rapprestnazione di fiabe tradizionali:

<<Il giudicante, poi, correttamente, dopo aver esemplificato i dati terminologici di
cui sopra, ha ritenuto che l’oggetto di causa non fosse l’idea, ma l’opera
compiuta. Infatti, ha affermato che “nel caso di specie, l’opera di cui si chiede la
protezione è rappresentata dai cofanetti della collana “Carte in tavola”. Ora, è pacifico
che il contenuto dei cofanetti sia costituito dalle fiabe tradizionalmente raccontate ai
bambini. Tuttavia, applicando i suesposti principi, occorre guardare non all’idea in sé,
al contenuto dell’opera, bensì alla sua forma espressiva. Dalla disamina delle opere, il
cui deposito cartaceo è stato autorizzato in sede istruttoria, emerge come il suo autore abbia voluto rappresentarle mediante una visione personale delle stesse: il cofanetto,
ciascuno avente ad oggetto una fiaba, è composto da una serie di schede sulla quali
da un lato vi è il racconto della storia e, dall’altro, il disegno corrispondente, così che
poi poggiando tutte le carte in sequenza emerge la rappresentazione in disegni
dell’intera fiaba. Ebbene, si ritiene che una tale rappresentazione delle tradizionali
fiabe per bambini sia caratterizzata da innovazione ed originalità, distinguendosi dai
differenti libri con immagini colorate, per essere stampato sui due lati di singole
schede.”.
La ricostruzione del Tribunale, quindi, è del tutto in linea con l’interpretazione
costante fornita dalla giurisprudenza della normativa di riferimento.
E’ poi condivisibile l’affermazione secondo cui l’opera “Carte in tavola” presenta
un contenuto creativo, rappresentato dal fatto che il Faglia ha inteso
rappresentare e narrare delle fiabe tramite una nuova metodologia comunicativa,
ovvero quella della sequenza di carte contenenti delle illustrazioni, che nella loro
successione raccontano la storia. Tale metodologia di racconto, infatti, si presenta
come innovativa rispetto alla tradizione, differenziandosi dalla narrazione tramite libri e manuali.
L’innovazione creativa determinata dalla differente metodologia narrativa,
pertanto, connota il Faglia quale autore dell’opera, in quanto tale legittimato a
richiedere il riconoscimento della paternità della stessa.

E’ poi irrilevante il fatto che altri soggetti siano gli autori del testo e delle
illustrazioni>>

E poi:

<<L’art.  4 della legge sul diritto di autore, infatti, prevede che “senza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa, quali le traduzioni in altra lingua, le trasformazioni da una in altra forma letteraria od artistica, le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell’opera originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale.”.
In tale ambito può essere calata anche l’opera di cui si discute, rientrando nel
concetto di “trasformazione da un’altra forma letteraria o artistica” anche la
narrazione di fiabe tradizionali mediante carte illustrate, in relazione alle quali
l’aspetto di creatività va rinvenuto proprio nella modalità di rappresentazione
della storia.
Quello che viene tutelato nel caso in esame, infatti, non è una mera idea, come
afferma l’appellante, ma l’ideazione di una forma di rappresentazione delle storie avente carattere innovativo>>

interessante applicazione dell’art. 1304 cc, poi , da parte della Corte , avendo l’altro convenuto stipulato in precedenza una transazione con l’attore.

Precisazioni della Cassazione sull’interpretazione dei brevetti

– I –

Principio di diritto enunciato in tema di contraffazione brevettuale per equivalenti da Cass. n. 120 del 04.01.2022, rel. Ioffrida:

“”In tema di brevetti per invenzioni industriali e della loro contraffazione per equivalente, ai sensi dell’art. 52, comma 3 bis, del Codice Proprietà Industriale, di cui al D.Lgs. n. 30 del 2005, come modificato ad opera del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131, il giudice – chiamato a valutare l’esistenza di un illecito contraffattorio deve preliminarmente determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, poi individuare analiticamente le singole caratteristiche del trovato, così come espressamente rivendicate nel testo brevettuale, interpretate anche sulla base della loro descrizione e dei disegni allegati, e quindi verificare se ogni elemento così rivendicato si ritrovi anche nel prodotto accusato della contraffazione, anche solo per equivalenti, così intendendosi, secondo una delle possibili metodologie utilizzabili, quelle varianti del trovato che possano assolvere alla stessa funzione degli elementi propri del prodotto brevettato, seguendo sostanzialmente la stessa via dell’inventore e pervenendo al conseguimento dello stesso risultato””.

Precisazione (quella in rosso) non da poco: il riferimento è alla element by element approach , corollario della all elements rule (come talora si osserva, mentre invece non è necessitato a livello logico: conf. Rossi F., Teoria degli <<equivalenti>> ed <<element by element approach>> in EPC 2000 e nel nuovo art. 52, comma 3-bis, C.P.I., in Riv. dir. ind. 2010, 261).

– II –

Diverso aspetto colto da Cass. sez. I del 01.02.2023 n. 3013, rel. Catallozzi sul rapporto tra rivendiocazioni da un lato e  descrizione/disegni dall’altro:

<< – ciò posto, si osserva che, come osservato anche nello stesso precedente giurisprudenziale di questa Corte richiamato dalle ricorrenti, la descrizione ed i disegni allegati alla domanda di concessione di un brevetto industriale, pur non potendo in alcun modo determinarne l’ambito della tutela concessa dal brevetto laddove questo sia del tutto generico con riferimento all’indicazione dei limiti della protezione, possono essere utilizzati al fine di chiarire e interpretare la rivendicazione (cfr. Cass. 9 aprile 2019, n. 22079);

– infatti, l’individuazione dell’ambito di protezione brevettuale e dei relativi limiti è enucleabile anche attraverso la descrizione e i disegni del brevetto stesso, che assolvono a una funzione esplicativa delle rivendicazioni (cfr. Cass. 16 dicembre 2019, n. 33232; Cass. 5 marzo 2019, n. 6373; Cass. 28 luglio 2016, n. 15705);

– pertanto, pur riconoscendo la validità della regola che pone la sufficiente descrizione dell’invenzione quale requisito per il rilascio del brevetto e la centralità del ruolo delle rivendicazioni nell’individuazione dell’ambito della tutela, deve ritenersi che l’interpretazione di queste ultime non si limita al testo letterale delle stesse, pur non potendosi estendere a tutto ciò che può essere dedotto da un esperto del ramo dalla considerazione della descrizione e dei disegni;

– in particolare, non può disconoscersi la valenza interpretativa della descrizione e dei disegni nei casi, quale quello in esame, in cui tali strumenti, nel circostanziare la struttura di una certa caratteristica del trovato, consentono di puntualizzare, in funzione limitativa, l’oggetto della rivendicazione, formulata in termini ampi e caratterizzati da inevitabile genericità, partecipando alla dichiarazione di volontà del titolare circa il perimetro della tutela richiesta;

– in tali casi, l’utilizzo delle descrizioni e dei disegni, lungi dall’estendere l’ambito della protezione oltre quella espressa dalle rivendicazioni, permette che la concessione della privativa sia maggiormente aderente alla volontà del titolare e, coerentemente con quanto disposto dall’art. 52, comma 3, cod. prop. ind., realizza un’equa protezione del titolare e una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi, potenzialmente avvantaggiati dalla limitazione dell’ambito di protezione;>>

Affermazione non condivisibile , svalutando troppo il ruolo delle rivendicazioni e valorizzando troppo quello di descrizione e disegni: in contrasto con la “peripheral definition theory” , assai più coerente con la ratio dell’esclusiva brevettuale (su cui Cass. 120/2022 : v. mio post).

Sfruttamento della rinomanza del marchio altrui o lecita parodia? La Corte Suprema parteggia per il titolare del marchio in JACK DANIEL’S PROPERTIES, INC. v. VIP PRODUCTS LLC

Ecco la decisione della Corte Suprema 8 giugno 2023, No. 22–148, in JACK DANIEL’S PROPERTIES, INC. v. VIP PRODUCTS LLC.

Il tema dei confini della lecita parodia/satira rispetto allo sfruttamento della notorietà altrui è sempre difficile da trattare. O meglio, quello del se e in che limiti possa darsi diritto di espressione ad imprese commerciali: agendo per lucro, infatti,  è plausibile che le loro condotte mirino al lucro , invece che contribuire al democratico dibattito nella società (marketplace of ideas). Ma allora il problema potrebbe allargarsi dato che qualunque artista professionista agisce anche per lucro: viene meno la creatività? No di certo.

Comunque la Corte taglia corto: non si può nemmeno discutere di diritto di parola e di parodia (espresamente prevista, si badi,  dal 15 US code § 1125.(c)(3)(A)(ii)) quando avviene nell’ambito di attività commerciale e integrando direttamente la fattispecie tipica di violazione di marchio altriu.

Il noto Rogers test che si applica appunto nella questione violazione di privativa vs. diritto di parola (per gli expressive works)  non si applica, cassando la decisione di appello del 9 circuito.

Dal Syllabo:

<<(b) In this case, VIP conceded that it used the Bad Spaniels trademark and trade dress as source identifiers. And VIP has said and done more in the same direction with respect to Bad Spaniels and other similar products. The only question remaining is whether the Bad Spaniels trademarks are likely to cause confusion. Although VIP’s effort to parody Jack Daniel’s does not justify use of the Rogers test, it may make a difference in the standard trademark analysis. This Court remands that issue to the courts below. Pp. 17–19.
2. The Lanham Act’s exclusion from dilution liability for “[a]ny noncommerical use of a mark,” §1125(c)(3)(C), does not shield parody, criticism, or commentary when an alleged diluter uses a mark as a designation of source for its own goods. The Ninth Circuit’s holding to the contrary puts the noncommercial exclusion in conflict with the statute’s fair-use exclusion. The latter exclusion specifically covers uses “parodying, criticizing, or commenting upon” a famous mark owner, §1125(c)(3)(A)(ii), but does not apply when the use is “as a designation of source for the person’s own goods or services,” §1125(c)(3)(A). Given that carve-out, parody is exempt from liability only if not used to designate source. The Ninth Circuit’s expansive view of the noncommercial use exclusion—that parody is always exempt, regardless whether it designates source—effectively nullifies Congress’s express limit on the fair-use exclusion for parody. Pp. 19–20.>>

e poi da p. 2 della sentenza:

<<Today, we reject both conclusions. The infringement issue is the more substantial. In addressing it, we do not decide whether the threshold inquiry applied in the Court of Appeals is ever warranted. We hold only that it is not appropriate when the accused infringer has used a trademark to designate the source of its own goods—in other words, has used a trademark as a trademark. That kind of use falls within the heartland of trademark law, and does not receive special First Amendment protection. The dilution issue is more simply addressed. The use of a mark does not count as non commercial just because it parodies, or otherwise comments on, another’s products>>.

Da noi l’art. 21 c.p.i. non prevede l’uso lecito come parodia nè diritto di espressione.

V. ora il post 21 giugno u.s. di Lisa Ramsey, Resolving Conflicts Between Trademark and Free Speech Rights After Jack Daniel’s v. VIP Products (Guest Blog Post).  e tra i saggi più impegnati Jack Daniel’s vs. Bad Spaniels—Does a Dog Toy Get Heightened First Amendment Protection? di Jelena Laketić nel Berkeley Technology Law Journal.

V. ora l’interessante saggio dei proff. Tushnet e Lemley, 11.01.2024, “First Amendment Neglect in Supreme Court Intellectual Property Cases” .

Sul rapporto tra rivendicazioni e descrizione nella domanda brevettuale

Precisazioni sul tema dal Board of Appeal dell’ufficio europeo EPO 23.01.2023 , caso T 0169/ 20 – 3.3.06, application n° 13750929.5, Patent Proprietor: Reckitt Benckiser Vanish B.V. , Opponent: Henkel AG & Co. KGaA.

V. qui la pagina in epo.org nonchè il link diretto alla decisione.

Grazie a Rosie Hughes di IPKat per segnalazione e link.

Concorrenza sleale da parte del terzo

Cass. sez. I del 8 maggio 2023 n. 12.092, rel. Iofrida sull’annosa tradizionale questione:

<<Lamenta la ricorrente la violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., oltre che vizi di omesso esame di fatto decisivo, in ordine sempre alla carenza in capo alla stessa della qualità di imprenditrice concorrente della cooperativa San Giovanni, eccepita sin dal primo grado, che, a suo avviso, avrebbe dovuto in ogni caso comportare necessariamente al rigetto delle domande svolte dalla controparte.
Ora si deve osservare, in linea di principio, che la concorrenza sleale costituisce fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, sicché non è ravvisabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto “rapporto di concorrenzialità”; tuttavia, l’illecito non è escluso se l’atto lesivo sia stato posto in essere da un soggetto (il cd. terzo interposto), che agisca per conto di un concorrente del danneggiato poiché, in tal caso, il terzo responsabile risponde in solido con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta, e, se il terzo sia un dipendente dell’imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest’ultimo ne risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c., ancorché l’atto non sia causalmente riconducibile all’esercizio delle mansioni affidate al dipendente, risultando sufficiente un nesso di “occasionalità necessaria” per aver questi agito nell’ambito dell’incarico affidatogli, sia pure eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all’insaputa del datore di lavoro (Cass. 31203/2017; Cass. n. 18691/2015; in argomento pure: Cass. n. 9117/2012; Cass. n. 17459/2007; Cass. n. 13071/2003); quando invece l’atto di concorrenza sleale sta stato compiuto da chi non sia dipendente dell’imprenditore che ne beneficia, la responsabilità dell’impresa concorrente viene affermata sulla base della regola dell’art. 2598 c.c., che qualifica illecito concorrenziale anche l’avvalersi “indirettamente ” di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale, laddove, pur in assenza di una partecipazione anche solo ispirativa, l’atto corrisponda all’interesse dell’imprenditore (Cass. n. 3446/1978), sempre che il terzo si trovi con il primo in una relazione tale da qualificare il suo agire come diretto ad avvantaggiare l’imprenditore della concorrenza sleale (Cass. n. 742/1981; Cass. n. 4755/1986; Cass. n. 5375/2001; Cass. n. 6117/2006; Cass. 4739/2012). La giurisprudenza di merito ha affermato in più occasioni la responsabilità della società per gli atti compiuti dall’amministratore, stante il rapporto organico e la valenza funzionale dell’atto al perseguimento dell’interesse sociale.
Il terzo autore dell’illecito concorrenziale, che agisca in collegamento con il concorrente del danneggiato, risponde in solido con l’imprenditore avvantaggiato dall’atto, mentre, mancando del tutto un collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l’imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso è chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c. (Cass. n. 17459/2007; Cass. n. 9117/2012; Cass. n. 18691/2015; Cass. 7476/2017). Da ultimo questa Corte (Cass. n. 18772/2019) ha ribadito che “Gli atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., presuppongono un rapporto di concorrenza tra imprenditori, sicché la legittimazione attiva e passiva all’azione richiede il possesso della qualità di imprenditore; ciò, tuttavia, non esclude la possibilità del compimento di un atto di concorrenza sleale da parte di chi si trovi in una relazione particolare con l’imprenditore, soggetto avvantaggiato, tale da far ritenere che l’attività posta in essere sia stata oggettivamente svolta nell’interesse di quest’ultimo, non essendo indispensabile la prova che tra i due sia intercorso un “pactum sceleris”, ed essendo invece sufficiente il dato oggettivo consistente nell’esistenza di una relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato, in carenza del quale l’attività del primo può eventualmente integrare un illecito ex art. 2043, c.c., ma non un atto di concorrenza sleale”. In motivazione, si è rammentato che, secondo i principi generali in materia di concorrenza sleale, nel caso di condotta posta in essere da un soggetto terzo diverso dagli imprenditori concorrenti, non è necessaria la dimostrazione della colpa nella commissione della condotta stessa e che, affinché la commissione del fatto lesivo della concorrenza da parte del terzo abbia rilievo ex artt. 2598 c.c. e segg., è necessario dimostrare l’esistenza di una relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato, mentre non trova applicazione l’inversione dell’onere della prova previsto dall’art. 2600 c.c..>>

(in verde il passo più interessante a livello operativo)

Il logo di Batman è sufficientemente distintivo per maschere e costumi teatrali

Trib. UE 7 giugno 2023, T-735/21, Aprile -Commerciale Italiana v. EUIPO – DC Comics  conferma la decisione del Board amministrativo e rigetta l’opposizione che voleva far dichiarare nulli i marchi sotto riportati .

In effetti la domanda giudiziale pareva assai poco fondata e quindi assai azzardata: non credo che alcuno possa ritenere  il logo descrittivo o indicazione generica del prodotto.

 

marchio impugnato

Tutela extramerceologica di marchio rinomato concessa solo in parte

Trib. UE 24 maggio 2023, T-509/22, Bimbo SA v. Euipo-Bottari euripe srl, decide in modo corretto domanda di tutela della rinomanza (art. 8.5 reg. UE 2017/1001)

marchio chiesto in registratozione ma contestato dall’opponente

L’anteriorità era data da BIMBO (marchio denominativo assai rinomato in Spagna per pane e prodotti relativi) rispetto al marchio de quo , riferito per lo più a prodotti  relativi alle biciclette.

Giustamente il Trib. conferma la decisione amministrativa di rigetto della domanda di tutela della rinomanza: non c’è approfittamento indebito da parte dell’uno nè dilution  a carico dell’altro.

E’ però assai dubbio che ci sia per quelle poche classi di prodotti per cui l’Ufficio ha concesso la tutela (§ 7: soprattutto per le cl. 3 e 28)

  • class 3: ‘Detergents; Soap; Grease-removing preparations’;
  • Class 21: ‘Drinking bottles; Drinking bottles for sports’;
  • Class 28: ‘Scooters [toys]; Tricycles for infants [toys]; scooters for kids; Gloves for games’.

Marcel Pemsel su Ipkat offre un utile suggerimento operativo per favorire il riconoscimenot della tutela allargata:    <<In order to show that the reputation of a trade mark goes beyond the public targeted by the goods or services for which the trade mark is famous, evidence on collaboration with companies from different sectors can be useful. Also, other efforts to extend the brand beyond the sector for which it enjoys a reputation can show that consumers in other sectors are familiar with it, such as merchandising producs or sponsorships>>.

Giusto: bravo Marcel!

Youtube non è corresponsabile delle violazioni di copyright consistite in ripetuti upload sulla sua piattaforma

Youtube non è corresponsabile delle violazioni di copyright date da ripetuti upload sulla sua piattaforma. Così US distr. court southern district of Florida 16 maggio 2023, Case No. 21-21698-Civ-GAYLES/TORRES, Athos overseas ltc c. Youtube-Google.

domanda attorea:

According to Plaintiff, Defendants are liable under direct and secondary infringement theories for YouTube’s failure to prevent the systematic re-posting of Plaintiff’s copyrighted movies to its platform. Plaintiff contends that YouTube has turned a blind eye to rampant infringement of Athos’ copyrights by refusing to employ proprietary video-detection software to block or remove from its website potentially infringing clips, and not just clips specifically identified by URL in Plaintiff’s DMCA takedown notices. In essence, Plaintiff argues that evidence of YouTube’s advanced video detection software, in conjunction with the thousands of takedown notices Athos has tendered upon YouTube, give rise to genuine issues of fact as to whether Defendants have forfeited the DMCA’s safe harbor protections.

Domanda rigettata: il provider non pèerde il suo safe harbour ex 17 US code § 512 per assenbza dell’element soggettivo:

<<Indeed, in Viacom the Second Circuit rejected identical arguments to the ones asserted here by Athos, which were presented in a lawsuit brought by various television networks against YouTube for the unauthorized display of approximately 79,000 video clips that appeared on the website between 2005 and 2008. Viacom, 676 F.3d at 26. Among other things, the Viacom plaintiffs argued that the manner in which YouTube employed its automated video identification tools—including liming its access certain users—removed the ISP from the safe harbor. Id. at 40–41. Yet, the court unequivocally rejected plaintiffs’ arguments, holding that the invocation of YouTube’s technology as a source of disqualifying knowledge must be assessed in conjunction with the express mandate of § 512(m) that “provides that safe harbor protection cannot be conditioned on ‘a service provider monitoring its service or affirmatively seeking facts indicating infringing activity[.]’”9 Viacom, 676 F.3d at 41 (quoting 17 U.S.C. § 512(m)(1))>>

poi:

<<Plaintiff conflates two concepts that are separate and distinct in the context of YouTube’s copyright protection software: automated video matches and actual infringements. As explained by YouTube’s copyright management tools representative, software-identified video matches are not necessarily tantamount to  copyright infringements. [D.E. 137-7, 74:21–25]. Rather, the software detects code, audio, or visual cues that may match those of a copyrighted work, and presents those matches to the owner for inspection. Thus, while YouTube systems may be well equipped to detect video matches, the software does not necessarily have the capacity to detect copyright infringements. See id. Further, the accuracy of these automatically identified matches depends on a wide range of factors and variable. [Id. at 75:1–10, 108:2–110:17, 113:3–114:25]. That is why users, not YouTube, are required to make all determinations as to the infringing nature of software selected matches. [Id.].
Second, Plaintiff does not point to any evidence showing that YouTube, through its employees, ever came into contact, reviewed, or interacted in any way with any of the purportedly identified video matches for which Athos was allegedly required to send subsequent DMCA takedown notices (i.e., the clips-in-suit). As explained by YouTube’s product manager, the processes of uploading, fingerprinting, scanning, and identifying video matches is fully automated, involving minimal to no human interaction in the part of YouTube. [Id. at 68:22–69:18, 118:17–119]. The record shows that upon upload of a video to YouTube, a chain of algorithmic processes is triggered, including the automated scanning and matching of potentially overlapping content. If the software detects potential matches, that list of matches is automatically directed towards the copyright owner, by being displayed inside the user’s YouTube interface. [Id. at 68:22–70:25]. Therefore, the record only reflects that YouTube does not rely on human involvement during this specific phase of the scanning and matching detection process, and Plaintiff does not proffer any evidence showing otherwise>>.

sintesi:

<<As the relevant case law makes clear, evidence of the technologies that ISPs independently employ to enhance copyright enforcement within their system cannot form the basis for ascribing disqualifying knowledge of unreported infringing items to the ISP. Such a conception of knowledge would contradict the plain mandate of § 512(m), “would eviscerate the required specificity of notice[,] . . . and would put the provider to the factual search forbidden by § 512(m).” Viacom, 718 F. Supp. 2d at 528. Thus, we find that Athos’ theory that specific knowledge of non-noticed infringing clips can be ascribed to Defendants by virtue of YouTube’s copyright management tools fails as a matter of law>>.

Notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman

Decettività e non distintività della mucca rovesciata (inverted cow)

Anna Maria Stein su IPKat dà notizia di interessante decisione EUIPO 08.05.2023, marchio inter. reg. 1600229, ref. dell’istante 35/RM20K01/EM.

Si tratta di marchio costituito da immagine di mucca rovesciata per prodotti alimentari etc. come sostituti della carne etc..

L’idea commerciale -parrebbe- era quella di indicare l’assenza di carne marcandoli tramite l’immagine di una mucca rovesciata anzichè diritta.

Ma le cose vanno doppiamente male: da un lato è ingannatoria perchè l’utente continua a pensare invece alla presenza (non all’assenza) di carne; dall’altro, è comunque descrittivo.

I giudizio sulla decettità non sono frequenti.

Quindi domanda rigettata

 

Sui marchi di forma: la Cassazione chiude il processo sulla violazione della forma della confezione dei “Tic Tac” Ferrero

Cass., sez. I ,  11 maggio 2023 n. 12.881, rel. Nazzicone, sul tema.

Non ci son particolari approfondimenti ma solo rapide condivisioni di alcuni passaggi della ben più articolata sentenza di appello (App. Torino n. 199/2021 del 17.02.2021, RG 1932/2019)

<<La corte territoriale ha ritenuto che la forma oggetto dei marchi “(Omissis)” sia soltanto una delle numerose forme che potrebbero avere i contenitori di confetti, in quanto tutti i vari tipi di confezione potrebbero del pari essere muniti della medesima chiusura, brevettata come soluzione tecnica tutelata: ha, quindi, escluso che i brevetti attengano ad una “forma necessaria” o ad una “forma sostanziale”.

Si ricorda che per “forma necessaria” si intende quella che sia necessaria per ottenere un risultato tecnico, e, quindi funzionale, perché imposta dall’utilità industriale che persegue, onde, secondo tale principio, quando una determinata forma è “necessaria”, cioè inscindibilmente connessa con l’utilità di un trovato, l’imitazione è per ciò stesso lecita, sempre che sussista tale elemento di inscindibilità e quindi di necessarietà. Pertanto, si è affermato che i segni possono costituire oggetto di marchio, in quanto rispondano oggettivamente e preminentemente alla funzione distintiva del prodotto e della sua provenienza, senza esser vincolati dalla destinazione merceologica o dalla forma necessaria del prodotto stesso (Cass. 28 giugno 1980, n. 4090), in quanto “una forma funzionale, o necessaria, tale cioè da non potere essere evitata senza con ciò compromettere la funzione realizzata dal modello, pone in essere contestualmente un preciso elemento individualizzante nel mercato. Il modello si identifica, segno commerciale a parte, perché la sua forma, dichiarando e rendendo possibile la funzione che costituisce il cuore dell’idea, e’, in quanto tale, inconfondibile. Consegue che fuori delle ipotesi nelle quali vi è una privativa a tutela di quella funzione e di quella forma, se la funzione è liberamente riproducibile, lo è anche la forma che necessariamente la realizza” (in motivazione, Cass. 9 marzo 1998, n. 2578).

Dunque, per forma imposta dalla natura stessa del prodotto deve intendersi quella naturale ovvero quella standardizzata del prodotto, noto in tale configurazione, in tal modo restando esclusa la proteggibilità come marchio dalla legge, attesa la mancanza di capacità individualizzante del segno, che si oppone in via di principio ad una monopolizzazione, che penalizzerebbe la concorrenza senza giustificazione (così Cass. 23 novembre 2001, n. 14863; e già Cass. n. 60 del 2001; Cass. n. 6644 del 1996); essa si riscontra quando si tratta di una forma che non è ispirata ad un criterio di fantasia o di differenziazione del prodotto, ma costituisce una forma, utile e conveniente, che esprime esclusivamente il valore, cioè le caratteristiche essenziali del prodotto, racchiudendone in sé tutta e solo la dimensione funzionale (così, in motivazione, Cass. 16 luglio 2004, n. 13159, in relazione al c.d. ovetto Kinder, richiamata da entrambe le parti).

Mentre per “forma sostanziale” si intende quella che dà un valore sostanziale al prodotto, ossia “il cui pregio modifica l’identità di un prodotto in quanto tale, perché ne aumenta il valore merceologico, senza mutarne la funzione ontologica” (Cass. 23 novembre 2001, n. 14863).

La giurisprudenza unionale ha più volte ribadito che un segno, il quale rappresenti la forma di un prodotto, rientra tra i segni idonei a costituire un marchio, a condizione che sia, da un lato, riproducibile graficamente e, dall’altro, adatto a distinguere il prodotto o il servizio di un’impresa da quelli di altre imprese (Corte di giustizia UE 10 novembre 2016, C-30/15, Simba Toys, punto 37; 29 aprile 2004, Henkel, C-456/01, C-457/01, punti 30 e 31; 14 settembre 2010, Lego Juris, C-48/09, punto 39), affermando altresì che, più la forma della quale è chiesta la registrazione assomiglia alla forma che con ogni probabilità assumerà il prodotto di cui si tratta, più è verosimile che tale forma sia priva di carattere distintivo (Corte giustizia Comunità Europee 29 aprile 2004, n. 456/01 e 457/01, Henkel, cit.).

Proprio per questo, essa ha ritenuto nullo il marchio Europeo di forma tridimensionale costituito dal “cubo di Rubik”, svolgendo la c.d. struttura a griglia, che compare su ciascuna delle sue facce, dividendola in nove elementi quadrati della stessa dimensione, una funzione tecnica, assicurando la rotazione dei singoli elementi delle bande verticali ed orizzontali del cubo medesimo, sicché tale cubo costituisce un puzzle tridimensionale (Corte giustizia UE 10 novembre 2016, C-30/15 P, cit.).

Infatti, la legge impedisce la valida registrazione di un segno costituito, nelle sue caratteristiche essenziali, da un risultato tecnico, perché vi è un interesse generale all’utilizzo, che preclude situazioni di monopolio di soluzioni tecniche (cfr., fra le altre, Corte giustizia UE 16 settembre 2015, C-215/14, Nestle’, punto 38; 18 giugno 2002, C 299/99, Philips Electronics, punti 76 ss., sulle tre testine rotanti di un rasoio elettrico; Corte giustizia Comunità Europee 8 aprile 2003, C-53/01 a C-55/01, Linde, punto 44): così per la forma costituente soluzione di un problema tecnico e di marchi costituiti dalla forma del prodotto.

Mentre si osserva come non si possa escludere che l’aspetto estetico di un marchio che assume una determinata forma possa essere tenuto in considerazione, se richiama l’effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto (Corte giustizia UE 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32); Tribunale UE, 14 luglio 2021, T-488/20, p. 43 e 44).

Del pari, anche per questa Corte non è suscettibile di registrazione come marchio di forma la forma funzionale di un prodotto, che non presenti, per i consumatori di riferimento, carattere distintivo (Cass. 27 luglio 2015, n. 15681, non massimata, ma edita), come quando la forma sia imposta dalla natura stessa del prodotto, in quanto forma necessaria per ottenere un risultato tecnico o forma che dà un valore sostanziale al prodotto (Cass. 29 ottobre 2009, n. 22929).

In ogni caso, recepiti dall’ordinamento positivo tali concetti, va altresì precisato che il principio di correttezza, enunciato in senso generale dall’art. 2598, comma 1, n. 3, c.c., costituisce anche il limite della teoria della c.d. forma necessaria e della c.d. forma sostanziale.

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha accertato l’estrinsecità della forma rispetto al prodotto ed ha escluso che la prima sia carattere indefettibile del secondo: essa ha affermato la validità del marchio, perché è dato di distinguere chiaramente tra la forma ed il prodotto come realizzato.

La Corte territoriale ha dunque escluso sia possibile nella specie, in punto di fatto, individuare sia una “forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico”, sia una “forma che dà un valore sostanziale al prodotto”, la cui proteggibilità come marchio sia esclusa dall’art. 9, lett. b) e c), cod. propr. ind.

La corte territoriale si è attenuta ai ricordati principi ed ha proceduto quindi, sul piano concreto, ad accertare che, nella specie, la forma del contenitore dei confetti non costituisca una soluzione di carattere tecnico ad un problema di tal fatta, aggiungendo che ciò viene sul piano logico confermato proprio dalla sicura possibilità che il contenitore assuma altre forme, senza pregiudizio funzionale al fine di contenere e distribuire i confetti, proprio perché non è forma che costituisca pura la soluzione ad un problema tecnico.

Non sussistono, pertanto, le lamentate violazioni di legge, giacché la sentenza, che muove da esatti princip? giuridici, ha raggiunto la sua statuizione sulla base di un accertamento di fatto incensurabile>>.