La formula tedesca e la determinazione dell’equo premio a favore dell’inventore dipendente (art. 64 c.2. cpi)

Interessanti passaggi della Corte di appello di Milano 2 aprile 2024 n. 976, rel. Meroni  (letta in Onelegale).

IN particolare è significativa la questione della pluralità di inventori : non determina moltiplicazione dell’equio premio, che rimane unico, ma suo frazionamento tra i coiventori.

Il principio va condiviso

<<L’affermazione di cui al principio sub (…) è certamente condivisibile nella parte in cui evidenzia che il criterio della cd. formula tedesca non è vincolante per la decisione in ordine alla determinazione dell’entità del premio, ma può solo essere considerato un criterio orientativo a cui apportare le modificazioni opportune in relazione alla fattispecie concreta, pur rilevandosi che tale criterio viene abitualmente utilizzato per tale scopo e che la disciplina legislativa tedesca è, in realtà, sostanzialmente analoga a quella italiana e che la circostanza che nel diritto tedesco il pagamento sia previsto anche a favore del dipendente già retribuito è irrilevante.
– L’affermazione di cui al principio sub. (…) è, invece, gravemente errata sul piano logico, soprattutto per il modo con cui tale principio è stato applicato dal collegio degli arbitratori, pur tenendo conto che la formulazione dell’alt 64 D.Lgs. n. 30 del 2005 è molto generica.
Il collegio degli arbitratori ha, infatti, ritenuto di tener conto della presenza di coinventori semplicemente ricorrendo al criterio della formula tedesca con riguardo ad un parametro (la voce “soluzione del problema” che contribuisce alla determinazione del fattore P), che non attiene per nulla al fatto che l’ invenzione sia stata conseguita da un solo ovvero da più coinventori, ma concerne invece
la valutazione del contributo del dipendente – inventore rapportato al contributo fornito dal datore di lavoro – organizzatore/finanziatore degli investimenti che hanno consentito l’ invenzione; seguendo il criterio utilizzato nel lodo ne conseguirebbe che l’ importo del premio, attribuito al singolo inventore, potrebbe avere la medesima entità sia nel caso in cui l’ invenzione sia stata ottenuta da un dolo dipendente sia nel caso in cui sia stata ottenuta da dieci o cento dipendenti, con la conseguenza che in questo caso l’importo complessivo dei premi sia decuplicato o centuplicato, fino ad arrivare a superare, anche di gran lunga, il valore effettivo dell’invenzione.
E’ evidente che, per la determinazione dell’entità del premio spettante al singolo dipendente – inventore ovvero ai plurimi dipendenti – inventori, una volta accertata (con la formula tedesca o con altro criterio) la quota del valore dell’invenzione, che si ritiene possa essere attribuita come premio per l’ inventore, è sempre necessario suddividere (qualora costoro siano più di uno) tale quota astratta per il numero degli inventori che hanno contribuito all’ invenzione (e tale suddivisione, in assenza di elementi che possano differenziare tra loro gli apporti dei diversi dipendenti, non può che essere fatta in parti uguali) e, una volta determinata la quota astratta, eventualmente anche interamente attribuibile a ciascun inventore, è necessario valutare quale sia stato l’apporto dell’organizzazione del datore di lavoro, che ovviamente comprimerà la parte spettante al dipendente in relazione alla sua rilevanza rapportata alla rilevanza dell’apporto del dipendente.
– L’affermazione sub. (…) è errata, posto che dal principio affermato da Cass. 20239/2016, come sopra riportato, non consegue affatto, neppure avvalendosi di una interpretazione estensiva, che “se vi sono coinventori, siano o no remunerati ad hoc oppure abbiano o no diritto anch’essi a un premio, il loro contributo si conta come contributo dell’azienda nel momento di valutare l’equo premio spettante a ciascun altro avente diritto “, come sostenuto dal collegio degli arbitratori.
Cass. 20239/2016, infatti, a fronte dell’eccezione sollevata in quel giudizio dal datore di lavoro della sussistenza di un litisconsorzio necessario tra tutti i dipendenti coinventori con riguardo alla spettanza dell’equo premio rivendicata da uno solo di loro, ha affermato che tale eccezione era infondata, in quanto il diritto al premio (che ha la funzione di indennizzare il dipendente – inventore per il fatto che i diritti derivanti dall’ invenzione, dallo stesso realizzata, sono attribuiti in via originaria al suo datore di lavoro) non è un diritto attribuito in modo unitario a tutti i plurimi dipendenti partecipanti all’ invenzione, ma ciascun dipendente – inventore ha diritto di rivendicare singolarmente il premio a lui spettante ed ha, altresì, precisato che la controversia, oggetto del suo esame, concerneva l’accertamento della sussistenza del diritto al premio in capo al dipendente e non già la sua quantificazione (che avrebbe potuto essere oggetto di altro giudizio), di guisa che in tale controversia il riconoscimento del premio, in favore del dipendente che aveva promosso il giudizio, non avrebbe potuto in alcun modo danneggiare gli altri dipendenti coinventori, senza che questi fossero partecipi del giudizio.
La Corte di Cassazione, cioè, con la sentenza suddetta ha esplicitamente affermato che il principio dalla stessa individuato (vale a dire l’assenza di litisconsorzio necessario tra tutti i dipendenti coinventori con riguardo al riconoscimento della sussistenza del diritto al premio in capo a ciascuno di loro) non aveva alcuna rilevanza con riguardo alle modalità di quantificazione e quindi di eventuale ripartizione del premio tra tutti i coinventori.
La decisione del collegio arbitrale, per quanto esposto, è, pertanto, certamente viziata da un errore grave di determinazione logica dell’entità del premio e quindi certamente passibile di dichiarazione di nullità da parte del giudice>>.

La corte riportaanche la formula tedesca considerata dal ctue l’applicaizone da lui fattane:

<<Il consulente tecnico ha così correttamente esposto la formula tedesca:
> EP = (W x C x R) / N x P; in cui:
– Co = equo premio,
– W = valore economico dell’ invenzione, pari alla sommatoria attualizzata di tutti gli utili conseguibili
dal brevetto e in via semplificata pari al 10% del ricavato,
– C = fattore correttivo che prevede una correzione di W, secondo una tabella prefissata (da 0,9 a 0,2) in
relazione all’entità dell’utile,
– R = fattore di riduzione (dal 12,5% al 33%, con valore normale al 20%) in relazione alla caratteristica
dell’invenzione,
– N = numero degli inventori,
– P = fattore di partecipazione, per il quale è previsto un punteggio: da 1 a 6 per la “posizione del
problema”, da 1 a 6 per la “soluzione del problema”, da 1 a 8 per le “mansioni svolte e la posizione occupata”; alla somma dei tre punteggi corrisponde la percentuale del fattore da utilizzare (ad es. alla somma del punteggio minimo di 3 corrisponde il fattore 3%, alla somma del punteggio massimo di 20 corrisponde il fattore 100%).
Il CTU, utilizzando il criterio della formula tedesca, ha così determinato il premio (nell’ ipotesi accolta nella sentenza definitiva del Tribunale):
. ha determinato il ricavo complessivo, per tutte le invenzioni brevettate in questione, per l’ intero periodo di efficacia in Euro 128.598.000: di cui Euro 114.379 per il periodo dal 1997 al 31.12.2019 (pari a Euro 104.193.000, corrispondente all’ importo dei ricavi effettivamente conseguiti, rivalutato alla data del 31.12.2019) ed Euro 14.219.000 per il periodo dal 1.1.2020 al 2024 (corrispondente al ricavo presumibile, attualizzato però al 31.12.2019, secondo la formula wacc);
. ha determinato il margine di utile nel 9,4% del ricavato, quindi pari a Euro 12.088.000, che con la correzione del fattore C (nel caso di brevetti singolarmente considerati) diventa pari a Euro 6.170.000 oppure (nel caso di brevetti complessivamente considerati) pari a Euro 4.948.000 e con l’abbattimento del fattore R (da prendere in considerazione per le caratteristiche delle invenzioni nel 30%) diventa pari a Euro 1.851.000 (nel caso di brevetti considerati singolarmente) o in Euro 1.484.000 (nel caso di brevetti considerati complessivamente);
. ha determinato il fattore N in 1/3, posto che gli inventori sono tre e non vi sono elementi per differenziare tra loro i rispettivi apporti;
. ha determinato per il fattore P il punteggio di 12: di cui 5 (come il collegio degli arbitratori) per “la posizione del problema”; 3 (anziché 1 attribuito dal collegio degli arbitratori) per “la soluzione del problema”; e 4 (come il collegio degli arbitratori) per “le mansioni svolte e posizione occupata”;
punteggio a cui corrisponde il 32% per il fattore P.
In conclusione, il CTU ha determinato l’equo premio (nell’ ipotesi accolta dal Tribunale) nell’importo complessivo di Euro 197.000 = 1.851.000 (utile abbattuto per i coefficienti C ed R, valutato per i brevetti considerati singolarmente) : 3 (per il numero degli inventori) x il 32% per il fattore P (cioè, il grado di partecipazione di OMISSIS all’invenzione in rapporto con il contributo apportato dal datore di lavoro>>

Il marchio di colore di posizione è difficile da registrare

Il Trib. UE conferma il rigetto della domanda di registrazione per un marchio di colore (rosso giallo nero) e di posizone, applicato a macchine agrigole (Trib. UE 11.0.2024, . Joined Cases T‑361/23 to T‑364/23, Väderstad Holding AB c, EUIPO).

Riporto qui uno dei quattro azionati:

Segnalo solo uno dei motivi di rigetto: il fatto che i detti colori svolgono funzione di sicurezza e segnalazione (“the Board of Appeal found that the signalling effect of the colours red and yellow was of particular importance for the goods at issue, for example at the time when they were used in accordance with their purpose, when they were ‘parked’ or ‘on the road’. It stated that although the colour yellow was more easily perceived in low-light conditions, the colour red was particularly eye-catching during the day and was frequently used for safety purposes on all types of equipment in various sectors, including the agricultural sector. Furthermore, according to the Board of Appeal, the colour black, combined with the colour yellow, creates a contrast and thus improves visibility. As regards the safety function, the Board of Appeal also took into account the presence, on the goods at issue, of the combination of the colours yellow and black in the form of a banal rectangle which further improves visibility. The Board of Appeal found that the combination of the colours red, yellow and black served a safety or signalling function“: § 56.)

L’istante fa presente che ciò non rientra tra i motivi espressi di  nullità del marchio secondo la giurisprudenza UE, § 57.

Da noi non rientra espressamente nell’art. 13.1 (forse però nell’inciso finale alla lett. b): “o altre arattreristiche del prodotto”), nè  nei motivi di invalidità per  quelli di forma ex art. 9 (qui forse si potrebbe farli rientrare nelle lettere  a opppure b-).

Il T. rigetta.

(segnalazione di Marcel Pemsel in IPKat).

Disegni e modelli: prova della anteriore divulgazione tramite screenshot di pagina internet

Anna Maria Stein in IPKat segnala interessante decisione sull’oggetto: 3rd Board of Appeal 11.09.2024 , case R 5/2024-3, Ekomill OÜ v. Ecosauna Project OÜ.

<<20 The invalidity applicant invoked as prior design D1, an oval-shaped wooden sauna as manufactured and sold by a Lithuanian company. It provided as evidence of disclosure two screenshots of two posts allegedly from Facebook, dated 22 August 2013 and July 2014 (Annex 3), and indicated two hyperlinks in its observations. It did not file any additional evidence at the appeal stage.
21 The Invalidity Division considered that this evidence constitutes sufficient proof of disclosure. The Board does not concur.
22 Although the appearance of a picture of a design on the internet constitutes a publication within the meaning of Article 7(1) CDR (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 32), the invalidity applicant must provide solid evidence of this event of disclosure.
23 To establish disclosure, a printout or a screenshot should show the full URL address of a website, demonstrating the source of design disclosure on the internet (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 33-34).
24 As correctly pointed out by the design holder, the indication of a hyperlink in the invalidity applicant’s observations cannot suffice in this respect. Hyperlinks or URL addresses per se cannot be considered sufficient evidence for proving the disclosure of a prior design. Even if these are active, they should be supplemented with additional evidence, such as a printout or a screenshot of the relevant information contained therein (07/02/2007, T 317/05, Guitar, EU:T:2007:39, § 43) including the full URL address. This is because information accessible through a hyperlink or URL address may later be altered, removed or difficult to identify. Even assuming that the URL link would display the screenshot, as shown in Annex 3, it is impossible for the Board to ascertain whether the content to be found under the hyperlink has been changed or removed over time.
25 In this regard, the Board notes that this assessment aligns with the ‘CP 10 Common Practice – Criteria for assessing disclosure of designs on the internet’ (Section 2.4.4, p. 29) established by the IP offices of the European Union in the framework of the European Union Trade Mark and Design Network, with the purpose of offering guidance on the sources, reliability, presentation, and assessment of online evidence. Accordingly, when the screenshot does not contain all relevant information, namely source, date, and depiction of the invoked prior design, additional evidence should be submitted. Although these texts are not binding for the Board, it may take it into account in its decision-making process.
26 Considering that the screenshots provided do not show the source of disclosure, and that the event of disclosure cannot be proved by means of probabilities or suppositions but must be demonstrated by solid and objective evidence (09/03/2012, T-450/08, Phials, EU:T:2012:117, § 24-25), the Board finds that the invalidity applicant failed to submit sufficient proof of disclosure of the prior design D1 within the meaning of Article 7(1) CDR>>.

La decisione va condivisa; solo che un difensore, minimamente prudente e pratico della rete, lo sa e lo fa d’istinto

Componente denominativa e figurativa nel giudizio di confondibilità tra marchi

Si considerino i seg. marchi a paragone:

Il Board of appeal EUIPO 5 agosto 2024 , case R 1839/2023-5, L’Oreal c. Guangzhou Ya Ti Ao Jia Cosmetics Co., Ltd, conferma che non c’è confondiiblità.

Nemmeno è riconosciuta la tutela allargata, § 86 ss., per assenza sia di reputation che di connessione/link tra i due segni.

Segnalazione e link da parte di Marcel Pemsel in IPKat

Il digital lending di e-books da parte di Internet Archive non costituisce “fair use”

Così l’appello del 2° circuito 4 settembre 2024,  Docket No. 23-1260, HACHETTE BOOK GROUP , INC., HARPERCOLLINS PUBLISHERS L.L.C., JOHN WILEY &
SONS , INC., PENGUIN RANDOM HOUSE LLC contro Internet Archive (MENASHI, ROBINSON, and KAHN Circuit Judges), su un tema ancora controverso pure in UE.

Internet Archive (poi: IA) scansiona in toto libri senza fine di lucro (<<is it “fair use” for a nonprofit organization to scan copyright-protected print books in their entirety anddistribute those digital copies online, in full, for free, subject to a one-to-one owned-to-loaned ratio between its print copies and the digital copies it makes available at any given time, all without authorization from the copyright-holding publishers or authors?>>, p. 7; dettagli sul fatto p. 11).

La ratio della tutela da copyright è prevalebntemente pubblicistica: promuovere la creazione di opere. V. : <<The monopoly created by the Copyright Act “rewards the individual author in order to benefit the public”; the idea being that authors and inventors will be more motivated to produce new works if they know those works will be protected, and the public will benefit from both restricted access to those works in the short term and unfettered access in the long term, once the period of exclusive control expires. Harper & Row, 471 U.S. at 546. The Act therefore “reflects a balance of competing claims upon the public interest: Creative work is to be encouraged and rewarded, but private motivation must ultimately serve the cause of promoting broad public availability of literature, music, and the other arts.” Twentieth Century Music Corp. v. Aiken, 422 U.S. 151, 156 (1975)>> p. 18

Dei quattro fattori da conteggiare secondo il § 107, nessuno è a favore di IA,.  Circa il primo, è vero che la commerciality lo è; ma ciò è controbilanciato dalla Transformativeness, che, da un lato, è a favore degli editori e, dall’altro, è più importante, p. 21 e 38/9.

Ne dà notizia Ars Technica che offre pure il link diretto al documento .

Sentenza interessante, anche se la disciplina del fair use è un pò diversa da quella nazionale/europea.

Da noi v. gli ottimi lavori si Caterina Sganga sull’esaurimento digitale nel copyright UE (ad es. in Diritto dell’informazione e dell’informatica 2020-3  e 2019-1).

L’algoritmo di Tiktok , decidendo il feed degli utenti,. fa si che la piattaforma sia corresponsabile dei loro conteuti

Eric Goldman ci informa sull’appello del 3 circuito n. 22-3061,TAWAINNA ANDERSON, v. TIKTOK, INC.; BYTEDANCE, INC, 27.08.2024. relativo ad uno dei purtroppo frequenti demenziali video di challenge, che spingono giovani e giovanissimi a sfide pericolosissime (asfissia)

Per il collegio, il fatto che il newsfeed sia governato da TikTok fa si che i materiali caricati siano attribuibili non solo all’utente, ma anche a Tik Tok, ai fini del safe harbour ex §230 CDA.

Si tratta quindi non di third-party speech ma di first-party speech.

Tesi che, dice il 3 Circ. , è confermata dalla sentenza della Corte Suprema Moody v. NetChoice, LLC del 2024, per la quale spetta alle piattaforme la tutela del diritto di parola: ne sopportino allora le coerenti conseguenze circa il § 230 CDA.

DA noi l’art. 6 del DSA (reg. UE 2022/2065) ha diversa formulazione: irresponsabilità per “informazioni memorizzate su richiesta di un destinatario”, purchè non sappia o rimuova immediatamente.

Ma il tema si pone lo stesso, alla luce della copiosa giurisprudenza nazionale ed europea sul punto, pur legata alla precedenti disposizioni (d lgs 70 del 2003 e dir. UE 2000/31) (v concetto di hosting provider “attivo”)

Google ha illecitamente monopolizzato il settore dei motori di ricerca

Circola ormai dappertutto la notizia in oggetto. che ritiene Google autore di violazione.

Si tratta di US D. of Columbia 5 agosto 2024 Case No. 20-cv-3010 (APM) e Case No. 20-cv-3715 (APM), giudice Amit P. Mehta.

Ne parla ad es sul NyT del 27 agosto Julia Angwin che dà pure il link al full text fornito dal NYT medesimodisponibile pure qui in caso di paywall del NYT.

La decisione è assai lunga ma molto interessante per chi si interessa di antitrust nei mercati digitali. Anzi pure per chi semplicemetne voglia capire il business dei motori di ricerca /o vuole fare pubblicità loro tramite: la descrizione dei termini economici e commercial è dettagliata assai.

La posizione dominante, in sostanza monopolistica, è datga dalla percentuale del  89.2 del mercato (94.9 sui cell.): v. §§ 23/24.

Ricordo solo due punti: quello (all’inizio) che anticipa le conclusioni e poi quello sull’importanza della dimensioni di scala.

Sul primo:

<<After having carefully considered and weighed the witness testimony and evidence, the court reaches the following conclusion: Google is a monopolist, and it has acted as one to maintain its monopoly.

It has violated Section 2 of the Sherman Act. Specifically, the court holds that (1 ) there are relevant product markets for general searchservices and general search text ads; (2) Google has monopoly power in those markets;(3) Google’s distribution agreements are exclusive and have anticompetitive effects; and(4) Google has not offered valid procompetitive justifications for those agreements. Importantly, the court also finds that Google has exercised its monopoly power by charging supracompetitiveprices for general search text ads. That conduct has allowed Google to earn monopoly profits.Other determinations favor Google. The court holds that ( 1 ) there is a product market for search advertising but that Google lacks monopoly power in that market; (2) there is no product market for general search advertising; and (3) Google is not liable for its actions involving its advertising platform, SA360. The court also declines to sanction Google under Federal Rule ofCivil Procedure 37(e) for its failure to preserve its employees’ chat messages>>.
Poi sulla struttura dell’atto decisionale: <<This decision is organized as follows. The court begins with a brief procedural history.It then sets forth findings of fact. They are followed by the court’s conclusions of law regardingthe challenged distribution agreements. The court first addresses market definition and monopolypower, then the exclusionary nature of the conduct (including the contracts’ exclusivity), and finally the agreements ‘ anticompetitive effects and Google’s procompetitive justifications forthem. A discussion of the SA360-related conduct follows. The opinion ends with brief sections on anticompetitive intent, as well as Plaintiffs ‘ request for sanctions. The court has included as an Appendix a list of the names and titles of all witnesses whose testimony is cited in the decision” (pag. 4).

Sul secondo, v.si sub G ai §§ 86 ss e poi sub V.A.2. “b. The Impact ofScale” alle pp. 230 ss (234 ss del pdf).

Assai interessante è la parte sulla distrubizione dei motori di ricerca generalisti (GSE), §§ 58 ss sub F.

La norma azionata dello Sherman Act (v.lo nello US Code offerto da Cornell): Every person who shall monopolize, or attempt to monopolize, or combine or conspire with any other person or persons, to monopolize any part of the trade or commerce among the several States, or with foreign nations, shall be deemed guilty of a felony, and, on conviction thereof, shall be punished by fine not exceeding $100,000,000 if a corporation, or, if any other person, $1,000,000, or by imprisonment not exceeding 10 years, or by both said punishments, in the discretion of the court.

Altra decisione nell’annosissima lite sul marchio Budweiser

La massima di Cass. sez. I, sent. 09/07/2024 n. 18.683, rel. Ioffrida:

<<È invalida la registrazione di un segno come marchio, se può indurre nel pubblico l’erronea convinzione che il prodotto provenga da un’area territoriale nota per le eccellenti qualità di quel prodotto, giacché in tale ipotesi si verifica un effetto distorsivo del mercato, ingenerato dall’inganno subito dai consumatori – portati a credere che il prodotto che viene loro proposto provenga da una certa area geografica e goda dei pregi per cui essa è nota – e ciò a prescindere dall’appartenenza di un diritto di proprietà intellettuale sulla denominazione dell’area geografica in capo a chicchessia e in particolare al soggetto che denuncia la decettività del segno. (Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento impugnato che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno per contraffazione conseguente alla dedotta invalidità della registrazione di un segno come marchio, proposta da un noto birrificio nei confronti di imprese concorrenti che avevano utilizzato il segno su prodotti provenienti da area geografica diversa da quella boema, in cui l’attore produceva il proprio prodotto)>>.

Sentenza importante in tema di decettività e preuso del marchio, che andrà studiata attentamente.

(massima di Giustizia Civile Massimario 2024 , letta in DeJure Giuffrè)

“Aceto Balsamico” in una lite nazionale

Tribunale di Venezia deciso 13.12.2023, RG 2889/2019, rel. Guzzo, emette ssntenza analiita ed interssante sull’uso del termine Aceto Balsamico.

Nè dà notizia Anna Maria Stein in IPKat, dandone pure il link al testo.

La domanda avanzata dal Consorzio è accolta solo in parte e cioè relativamente alla concorrenza sleale ex art. 2598 cc

Ecco il dispositivo:

Il Tribunale definitivamente pronunciando:

1) Rigetta le domande attoree formulate al punto I delle conclusioni attoree e le domande di inibitoria, penale e risarcimento danni fondate sugli illeciti invocati in detto punto 1)

2) Rigetta le domande attoree formulate al punto II con riferimento alla concorrenza sleale ex art 2598 n .1 e 2 cc nonché le domande di inibitoria, penale e risarcimento danni fondate sulle fattispecie di concorrenza sleale ex art 2598 n.1 e 2 cc.

3) Accertato che i condimenti oggetto di causa non possiedono le caratteristiche necessarie per essere denominati con la denominazione legale “aceto”, accerta che l’uso del termine “aceto” pagina 17 di 18 nell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei condimenti oggetto di causa integra concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc

4) in ragione di quanto accertato al punto 3 del presente dispositivo inibisce l’utilizzo della parola aceto per i condimenti in oggetto e ciò nella nell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei condimenti stessi

5) Accertato che l’uso delle parole “Balsamico di..” , “Ristretto di Balsamico.. “ nella etichettatura non è conforme alle prescrizioni del Regolamento (UE) 1169/11, accerta che l’uso di dette parole per le etichettature dei prodotti integra concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc.

6) In ragione di quanto accertato al punto 5) inibisce ai convenuti l’uso delle parole “Balsamico di..” , “Ristretto di Balsamico.. “ da sole o unite ad “aceto” per denominare i condimenti nella etichettatura dei recipienti e bottigliette contenenti detti prodotti ed altresì inibisce la presentazione e pubblicizzazione di foto in cui compaiano i recipienti o bottigliette di detti condimenti o cartellini identificativi etichettati con “Balsamico di..” o balsamico…” da soli o in aggiunta ad aceto. “ristretto di

7) Ordina di eliminare dal sito web www.teatrodelgusto.it la pubblicità presente in cui compaia il termine “aceto” riferito ai condimenti del tipo di cui trattasi ed altresì la pubblicità in cui compaiano foto di recipienti o bottigliette di detti condimenti o cartellini identificativi etichettati con “Balsamico di..” o “ristretto di balsamico” da soli o in aggiunta ad aceto dando termine all’uopo di giorni 30 dalla pubblicazione della presente sentenza

8) Pone una penale di € 80,00 per ogni giorno di ritardo nella rimozione di quanto indicato al punto 7) con decorrenza dal giorno successivo al termine di grazia di giorni trenta di cui al medesimo punto 7) , nonché pone una penale di € 30,00 per ogni futura violazione alle inibitorie di cui ai punti 4 e 6 del presente dispositivo

9) Condanna in via generica, in solido, le convenute al risarcimento dei danni per concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc come da parte motiva

10) Rigetta ogni altra domanda 11) Compensa le spese di lite e pone le spese di CTU per il 50% a carico dell’attore e per il restante 50% a carico delle convenute in solido

Limitazioni del diritto di brevetto: la c.d. Bolar clause (art. 68.1.b, cod. propr. ind.) è invocabile anche da chi non è lo sperimentatore se finalizzata a chiedere l’ AIC

Cass. sez. I, 05/07/2024 n. 18.372, rel. Iofrida, con una importante sentenza (non son numerose)  sull’oggetto:

<<2.9. Il Tribunale di Milano e la Corte d’Appello, con la sentenza n. 1785/2021, qui impugnata, pur avendo ritenuto che l’esenzione Bolar si applichi non soltanto al soggetto che autonomamente produce il principio attivo, svolge le sperimentazioni necessarie per chiedere l’AIC e poi chiede l’AIC, ma anche ai terzi produttori di principi attivi che non chiedono successivamente l’AIC, ma che forniscono il principio attivo a coloro che intendono chiederla, così da metterli nelle condizioni di fare ciò, con ciò proponendo un’interpretazione ampliativa rispetto all’ambito soggettivo di applicazione dell’eccezione, hanno ritenuto che tale portata oggettiva vada però applicata solo quando il produttore del principio attivo brevettato e il richiedente l’AIC, che successivamente lo utilizza per attività di studio e sperimentazione, perseguano la medesima finalità, ovvero l’ottenimento di un AIC di un farmaco; è stato così ritenuto illecito il caso in cui la produzione/offerta del prodotto sia obiettivamente slegata dalla finalità di ottenere un’AIC ed il profitto che il produttore ricava dalla vendita dello stesso sia la remunerazione di un’attività di studio e produzione, offerta e pubblicizzazione ovvero di un’attività di sfruttamento commerciale del principio brevettato, in quanto tale attività non può ricevere alcuna copertura dalla scriminante in esame.

Si deve ricordare che la tesi restrittiva (espressa in alcune pronunce di merito), in ordine all’ambito soggettivo, individua la ratio della “eccezione sperimentale” nell’impossibilità, per lo sperimentatore, di ricavare comunque un profitto diretto dalla propria attività di ricerca, dovendo questa essere intesa come mera ricerca volta al superamento e/o al miglioramento dell’invenzione, senza un profitto diretto e senza attività prodromiche alla vendita o produzioni in quantità incompatibili con la sola sperimentazione>>.

Opinione condivisa dalla SC:

<< In sostanza, l’obiettivo perseguito dal legislatore, anche Europeo, è quello di rendere lecite le attività necessarie per la presentazione alle autorità competenti di una richiesta di AIC per un farmaco generico, anche se comportano l’uso dell’invenzione brevettata altrui, e di consentire ai fabbricanti di farmaci generici di essere nelle condizioni per immettere sul mercato i loro prodotti nel minor tempo possibile, dopo la scadenza del brevetto, evitando che il titolare del brevetto farmaceutico, al quale l’ordinamento già attraverso il meccanismo del certificato di protezione complementare permette di recuperare, con un prolungamento della protezione, il tempo occorso per ottenere la concessione dell’autorizzazione all’immissione in commercio, goda, scaduta la sua privativa, di un ulteriore prolungamento di fatto del regime di esclusiva, in relazione al tempo occorrente al genericista per ottenere una “AIC” sul farmaco generico.

E, peraltro, l’art. 68, comma 1, lett. b), c.p.i., non richiede che chi presenti la domanda di “AIC” abbia fabbricato direttamente il principio attivo o compia direttamente le attività di sperimentazione.

In forza quindi della ratio della norma, si deve avere riguardo, più che al soggetto che pone in essere le condotte scriminate, alle finalità delle sperimentazioni necessarie ad introdurre farmaci generici sul mercato in tempi relativamente rapidi, che caratterizza l’eccezione Bolar.

Di conseguenza, dovendosi guardare alla finalità della eccezione Bolar (l’ottenimento di una “AIC” in tempi più rapidi, compatibilmente con quelli del settore farmaci), seppure essa possa applicarsi anche al produttore di principi attivi che svolga attività di studio/sperimentazione/produzione per le finalità registrative, non proprie ma, di un terzo genericista, occorre, in tal caso, che la finalità Bolar sia chiara ab origine e che quindi, a monte della attività di produzione e commercializzazione del principio attivo, vi sia un rapporto di “committenza”, in virtù del quale il produttore viene avvicinato dal terzo genericista “per un’attività di studio produzione e consegna a sua volta lecita in quanto ex ante connaturata alla predetta finalità” ed il produttore agisce “solo in ragione di una richiesta sorretta da una dichiarata finalità idonea a scriminare il suo comportamento espressamente contemplata – come limite di utilizzo – nel relativo regolamento negoziale”.

Le attività scriminate dalla lett. b) dell’art. 68 sono quelle finalizzate alla presentazione di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco e tale finalità deve emergere, nel caso in cui l’attività sia svolta non a fini registrativi propri ma di terzi, ex ante e in modo inequivoco.

Al di fuori di una richiesta da parte, la produzione/offerta del prodotto risulta slegata dalla finalità di ottenere una “AIC” e il profitto che il produttore ricava dalla vendita dello stesso è la remunerazione di un’attività di studio e produzione, offerta e pubblicizzazione, ovvero di un’attività di mero sfruttamento commerciale del principio brevettato da altri, avvenuta senza alcuna copertura della scriminante.

Soltanto chi fabbrica principi attivi o campioni per conto di un committente che possa avvalersi della Bolar (a fini registrativi sopra descritti) non può essere considerato contraffattore dell’altrui privativa industriale, anche se riceve un corrispettivo per il servizio offerto ad altri.

Nulla poi impedisce all’azienda produttrice di principi attivi di pubblicizzare in termini generali la propria attività, affinché il genericista – interessato ad un determinato principio attivo – possa rivolgersi a tale azienda per verificare se sia o meno interessata a produrre (su suo incarico) quello specifico principio attivo.

Vero che il genericista di piccole dimensioni (e quindi non dotato di strutture operative proprie), interessato a depositare e vedersi concedere una domanda di “AIC” per un proprio farmaco generico, in anticipo sulla scadenza del brevetto o del “CCP”, dovrà attivarsi per tempo, anche diversi anni prima facendo apposita richiesta a un produttore terzo che possa studiare e quindi produrre il principio attivo necessario ai fini registrativi.

Ma le tempistiche legate alla produzione di un principio attivo che il genericista “dotato di struttura produttiva interna” dovrà affrontare (ivi incluse quelle necessarie all’ottenimento delle varie autorizzazioni regolatorie) sono le medesime che dovranno essere affrontate dal produttore terzo contattato dal genericista di piccole dimensioni.

E, sempre nell’ottica funzionale-teleologica dell’interpretazione estensiva (si ripete, comunque favorevole alle ricorrenti, rispetto ad una interpretazione letterale), correttamente, la Corte territoriale ha ritenuto che perché possa affermarsi che la finalità Bolar connoti l’attività del produttore del principio attivo ab origine occorra, oltre alla preventiva richiesta da parte del genericista, anche che tale finalità registrativa sia indicata a livello negoziale quale limite di utilizzo, come previsione dell’impegno all’uso del principio attivo secondo le finalità Bolar, sorretto dalla pattuizione del pagamento di una penale in caso di violazione dell’impegno.

Si tratta di minime misure precauzionali al fine di evitare usi del principio attivo non scriminati dalla eccezione.

In definitiva, affinché possa applicarsi l’esenzione Bolar anche a chi produca il principio attivo protetto dal brevetto non per ottenere direttamente la “AIC” ma per cederlo a terzo (il genericista) che lo utilizzerà a tal fine, occorre che la finalità Bolar sia univoca e possa essere adeguatamente provata come presente ab origine. La corretta interpretazione della norma di diritto si impone con tale evidenza, da non lasciare adito a ragionevoli dubbi interpretativi>>.

Principio di diritto:
“In tema di limitazioni del diritto di brevetto e di interpretazione e applicazione dell’art. 68, comma 1, lett. b), del codice di proprietà industriale, di cui al D.Lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005, frutto del recepimento in Italia della direttiva 2001/83/CE (art.10.6), poi modificata nella direttiva 2004/27/CE, la ratio della c.d. “Bolar clause” o “esenzione Bolar”, secondo cui sono consentite le attività di sperimentazione di un farmaco coperto da altrui brevetto, finalizzate all’ottenimento di una autorizzazione amministrativa all’immissione in commercio del farmaco, che si intende operare dopo la scadenza del brevetto altrui, è quella di agevolare il tempestivo ingresso sul mercato dei farmaci generici per non prolungare, di fatto, la durata della privativa, consentendo ai produttori genericisti di iniziare le attività amministrative e di sperimentazione prodromiche all’ottenimento di un’AIC, pur in costanza del brevetto di riferimento, introducendo limiti al diritto di esclusiva; l’eccezione o esenzione Bolar può ritenersi applicabile anche all’attività di terzi che producono il principio attivo del farmaco brevettato, per finalità registrative non proprie ma di terzi genericisti, non attrezzati a produrre in proprio, ma intenzionati ad entrare sul mercato, alla scadenza dell’esclusiva del titolo brevettuale; tuttavia tale interpretazione estensiva della eccezione presuppone, perché possa affermarsi che la finalità Bolar connoti l’attività del produttore del principio attivo ab origine ed ex ante, oltre alla preventiva richiesta da parte del genericista, anche che tale finalità registrativa sia indicata a livello negoziale quale limite di utilizzo, come previsione dell’impegno all’uso del principio attivo secondo le finalità Bolar“.