Il marchio di posizione si conferma difficile da registrare per la sua scarsa distintività

Marcel Pemsel in IPKat ci notizia di Trib. UE 05.02.2025, T-195/24, VistaJet c. EUIPO (ingl./franc.). Il segno chiesto in registrazione era la linea rossa sul fianco dell’areo per servizi di trasporto aereo (v. disegno sotto).

L’istante è risultato soccombente sia presso l’Ufficio che davanti al Trib.

Il passaggio pertinente:

<< 21   In the present case, first, it must be noted that the services covered by the mark applied for are transportation and private aircraft flight planning services, intended primarily for very rich members of the general public, the ‘ultra-wealthy’, who are likely to display a high level of attention, since the factors of safety, punctuality and reliability are all important for the services in question.

22 Second, it must be noted, as the Board of Appeal did, that the mark applied for will not be perceived by the relevant public as having a distinctive character.

23 As the Board of Appeal correctly stated, the mark applied for consists of a red line along the side of a silver aeroplane fuselage, which curves slightly as it follows the line of the fuselage and tapers to a thin point at the front end of the aeroplane.

24 However, a line, which is defined as a continuous set of points or an unbroken elongated line the extent of which is virtually reduced to the single dimension of length, is a simple geometric form, which is not, in itself, capable of conveying a message which consumers will be able to remember. That line and its colour red will be perceived by the relevant public as nothing more than banal decorative devices, as will the choice of a silver fuselage.

25 It is clear from settled case-law that a sign which is excessively simple and is constituted of a basic geometrical figure, such as a circle, a line, a rectangle or a conventional pentagon, is not, in itself, capable of conveying a message which consumers will be able to remember, with the result that they will not regard it as a trade mark unless it has acquired distinctive character through use (see, to that effect, judgments of 15 September 2005, BioID v OHIM, C‑37/03 P, EU:C:2005:547, paragraphs 72 and 74, and of 29 September 2009, The Smiley Company v OHIM (Representation of half a smiley smile), T‑139/08, EU:T:2009:364, paragraph 26 and the case-law cited).

26 In any event, the fact that it could be argued that the mark applied for does not merely represent a basic geometrical figure does not suffice, as such, to support the view that it has the minimum distinctive character necessary for registration as an EU trade mark. There must also be certain characteristics of the sign which may be easily and instantly memorised by the relevant public and which would make it possible for the sign to be perceived immediately as an indication of the commercial origin of the goods and services in question (see, to that effect, judgment of 15 December 2016, Novartis v EUIPO (Representation of a grey curve and representation of a green curve), T‑678/15 and T‑679/15, not published, EU:T:2016:749, paragraphs 40 and 41 and the case-law cited).

27 It has also already been held that, whilst colours are capable of conveying certain associations of ideas and of arousing feelings, they possess little inherent capacity for communicating specific information. That is all the more the case since they are commonly and widely used, because of their appeal, in order to advertise and market goods and services without any specific message (see judgment of 6 September 2023, Groz-Beckert v EUIPO (Position of the colours white, red and dark green on cuboid packaging), T‑276/22, not published, EU:T:2023:497, paragraph 20 and the case-law cited; see also, by analogy, judgment of 24 June 2004, Heidelberger Bauchemie, C‑49/02, EU:C:2004:384, paragraph 38).

28 In the present case, in the absence of elements capable of distinguishing it in such a way that it does not appear as a simple geometrical figure, the red line cannot fulfil an identifying function with respect to the services in question. The colour red is, by its very nature, highly visible and striking and is used primarily for decorative purposes, or to attract attention. Accordingly, it is, in itself, devoid of distinctive character. As for the silver fuselage, the Court considers that that colour does not particularly stand out from the colour white, which is traditionally used in the aviation sector.

29 The Court concludes that, taken as a whole, the mark applied for is excessively simple>>.

Marcel ci notizia nel medesimo post di altra sentenza del Trib. UE (29.01.2025,T‑147/24, Doorinn GmbH v. EUIPO, Franc./ted.) che pure affossa un altro marchio di posizione qui riprodotto (etichetta rossa nell’angolo del materasso).

In entrambi i casi la decisione mi pare esatta (con maggior sicurezza nel secondo).

Comunione di brevetto e sfruttamento indipendente da parte del contitolare

Intervento della Cassazione sul (sempre un pò ostico) tema in oggetto.

Si tratta di Cass. sez. I, sent. 18/02/2025 n. 4.131, rel. Marulli.

Lo sfruttamento autonomo e diretto (non tramite licenza, parrebbe) da parte del contitolare non è ammesso, poichè deprezza il valore della privativa e ne altera la destinazione economica.

<<16. Ora, se di ciò si fa estensione al nostro campo non è difficile credere che lo sfruttamento incondizionato del brevetto, sia pure se solo nella forma del sfruttamento produttivo, che in regime di comunione si concedesse al singolo contitolare non finirebbe per pregiudicare il valore del brevetto in sé, atteso che, potendo disporre dei diritti brevettuali apparentemente senza limiti, il singolo contitolare sarebbe libero di determinare a propria discrezione modi e forme di sfruttamento del trovato. Se si guarda, cioè, la cosa dal punto di vista dell’art. 6, comma 1, cod. prop. ind. e, sulla scorta del rinvio che esso fa alle norme sulla comunione, dal punto di vista dell’art. 1102 cod. civ. e del principio secondo cui l’uso consentito al singolo comunista del bene comune non può alterarne la destinazione, lo sfruttamento uti singulus del brevetto ne altera indubbiamente la destinazione perché la tutela che esso poteva accordare quando lo sfruttamento era conferito collegialmente e collegialmente esercitato, laddove per intenderci il mercato accordava un certo valore al trovato, viene inesorabilmente meno quando allo sfruttamento di più si sostituisca lo sfruttamento da parte di uno solo. Sicché se anche a questo titolo si volesse continuare a parlare di lesione del diritto di esclusiva, essa non sarebbe ravvisabile nel fatto che il contitolare non possa fare uso del bene comune perché ciò andrebbe in urto all’uso degli altri contitolari, ma andrebbe ravvisata nel fatto che lo sfruttamento individuale del brevetto deprime il valore intrinseco di esso, ne altera la destinazione e pregiudica il diritto degli altri contitolari di ritrarre dal brevetto i benefici che l’esclusiva loro concessa era in grado di assicurare.

17. Su questo punto la pur commendevole sentenza di merito oggetto qui di impugnazione non tiene e va, come detto, debitamente cassata affinché si attenga al seguente principio di diritto: “In materia di brevetto di cui siano contitolari due o più soggetti, il rinvio contenuto nell’art. 6, comma 1, cod. propr. ind. alle norme sulla comunione dei diritti reali deve essere inteso nel senso, che in difetto di convenzione contraria, a mente dell’art. 1102, comma 1, cod. civ. è precluso al singolo comunista lo sfruttamento produttivo del trovato a cui voglia procedere uti singulus in quanto ciò, riflettendosi sulla tutela accordata con il brevetto, altera la destinazione della cosa e lede in tal modo il diritto di esclusiva dell’altro o degli altri contitolari” >>.

L’esattezza del giudizio però è dubbia.

Che l’uso non concertato da parte del singolo deprezzi il valore economico della privativa è assai probabile, quasi certo. Che questo costituisca “alterazione della destinazione economica”, vietata dall’art. 1102 cc, è invece assai dubbio, pur adattando il concetto dalle res alle privative.  Andava comnunque argomentato ben più a fondo.

Anzi la SC pare confondere i citt.  due aspetti, senza poi nemmeno distinguere tra i possibili tipi di sfruttamento: – in proprio, su quali mercati e/o per quali prodotti; – oppure  indirettamente tramite licenza a terzi e con quale tipo di licenza (esclusiva /non esclujsiva, su quali territori …).

Ringrazio Paolo Cuomo per la segnalazione della sentenza.

Tutela del format tramite diritto di autore nel Regno Unito

Jeremy Blum e Dhara Reddy (Bristows LLP)/February 19, 2025, in Kluwer Copyright Blog segnalano l’esame dell’oggetto da parte di THE HIGH COURT OF JUSTICE BUSINESS AND PROPERTY COURTS OF ENGLAND AND WALES
INTELLECTUAL PROPERTY ENTERPRISE COURT, 17.01.2025, Rinkoff v. BABY COW PRODUCTIONS LTD., richiamante Snowden J nella sentenza  Norowzian and Green del 2000.

Riporto il succo:

<<44 I do not need to decide on this interim application the precise conditions that must be satisfied before a television format can be protected as a dramatic work.
What I think is apparent from the authorities, however, is that copyright protection will not subsist unless, as a minimum: (i) there are a number of clearly identified features which, taken together, distinguish the show in question from others of a similar type; and (ii) that those distinguishing features are connected with each other in a coherent framework which can be repeatedly applied so as to enable the show to be reproduced in recognisable form>>.

Sentenza veneziana sulla limitazione brevettuale

App Venezia n 624/2023 del 21 marzo 2023, RG 1737/2019, GMI srl+1 v. Sei Elettronica +1, va ricordata soprattutto per due insegnamenti inerenti: i) al dies a quo degli effetti della limitazione brevettuale ; ii) alla inefficacia della limitazione brevettuale in corso di causa (art. 79 cpi) a seguito di un abuso del diritto .

Il secondo è importante perchè applica uno strumento generale (l’abuso del diritto) dai contorni sfuggenti ma dagli effetti dirompenti (diniego di efficacia).

In breve, l’istanza di limitazione , essendo stata strategicamente avanzata più volte nel corso del processo per ridurre gradualmente l’oggetto del brevetto, non può conseguire alcun effetto.

<<Pertanto, va verificato il confine della facoltà di una limitazione a “cascata”, vale a dire della possibilità per il titolare di limitare progressivamente la rivendicazione al fine di giungere, per approssimazioni successive, a conservare la validità della versione brevettuale più ridotta possibile rispetto a quel che in concreto consente lo stato della tecnica anteriore al giudizio; certamente incide negativamente sulla durata (e sui costi) del processo e richiede una fase di accertamento tecnico peritale per ciascuna riduzione.          E un tale confine è segnato dal divieto di abuso del diritto e dalla buona fede, ossia da principi espressi in forma di clausola generale che non consentono l’individuazione di criteri generali precisi ma che richiedono una analisi del caso concreto in funzione di quel bilanciamento dei contrapposti interessi prescritto dall’art. 52, comma 3, cpi, in modo da garantire “un’equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi”.

Pertanto, nel tracciare i limiti della facoltà concessa dall’attuale art. 79, comma 3, cpi, tenendo conto che tale facoltà non può e non deve essere utilizzata per ritardare sine die la fine del procedimento sino a quando il titolare del brevetto non si riterrà soddisfatto della (nuova) formulazione delle rivendicazioni, occorre individuare un ragionevole punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze, ossia tra l’interesse del titolare volto ad una declaratoria di validità, anche parziale, del brevetto, l’interesse dei terzi a conoscere con certezza l’ambito di validità della privativa per non incorrere nella contraffazione e il principio del giusto processo.
Ebbene, nel caso di specie, la limitazione della privativa è avvenuta attraverso plurime riformulazioni della rivendicazione 1, che hanno consentito l’individuazione diretta e non ambigua dell’oggetto della rivendicazione per successiva approssimazione. Tale risultato emerge dall’esame della ricognizione effettuata dal Ctu in questo grado, da cui si ricava che le varie riformulazioni erano destinate a focalizzare il contenuto della privativa:
– Prima riformulazione, riguardante l’oggetto della rivendicazione (v. pag. 28 Ctu);
– Seconda riformulazione, finalizzata ad introdurre alcune caratteristiche essenziali atte a spiegare l’interazione tra i vari apparati (v. pag. 31 Ctu);
– terza riformulazione, volta a fornire tutte le informazioni tecniche relative ai mezzi di movimentazione della testa di taglio laser lungo i mezzi di guida, prima oggettivamente mancanti (v. pag.31-33 Ctu);
– quarta riformulazione, resa necessaria dalla riscontrata incompatibilità tra due forme di realizzazione della macchina (seconda barra o albero cui era associata la testa di taglio laser: v. Ctu pag. 33);
– quinta riformulazione, presentata in data 29/01/2018 per superare obiezione di generalizzazione intermedia, contraria ai requisiti di cui all’art. 79 comma 3 cpi (v. Ctu pag. 35-36).
Da quanto riportato dal Ctu, pertanto, emerge come siano state necessarie le progressive e molteplici riformulazioni fino all’esatta individuazione dell’ambito della privativa, a discapito di una certezza delle situazioni giuridiche verso i terzi e della ragionevole durata del processo. È pur vero che le riformulazioni erano formalmente consentite, tuttavia, sono state elaborate per effetto dell’esito dell’istruttoria, con conseguente ricostruzione del brevetto attraverso il ripetuto inserimento di elementi che, pur derivanti dal testo brevettuale, hanno richiesto reiterati accertamenti peritali nel corso del giudizio con inevitabile uso distorto dello strumento processuale. Infatti, nel giudizio di accertamento, va vagliata la validità di un brevetto già rilasciato e già utilizzato, consentendo al titolare di ‘limitare’ la privativa, ma non di costruire nel processo o salvare la privativa, attraverso le infinite combinazioni possibili, con conseguente pregiudizio dell’affidamento dei terzi e della certezza dei rapporti giuridici.
In sostanza, lo jus poenitendi sostanziale di cui all’art. 79, comma 3, cpi, non può essere esercitato in modo abusivo e reiterato, dovendo rientrare nei canoni del giusto processo senza richiedere continui accertamenti peritali iterativi sulle riformulazioni via via avanzate, pena l’inammissibilità della domanda di accertamento della validità del brevetto.
Nel caso di specie, le riformulazioni sono, sì, derivate dall’esito delle indagini peritali, esito che, anche a prescindere dal rilievo per eccesso di mandato da parte del consulente nominato, ha consentito di fondare l’insindacabile ed irreversibile scelta del titolare della privativa di ridurre l’ambito di protezione di quest’ultima, tuttavia, tale scelta è comunque vincolata al rispetto di quel punto di equilibrio tra le esigenze del titolare e quelle dei terzi, oltre il quale appare contrario a buona fede quel comportamento che si avvale del processo per delineare il contenuto della privativa rivendicata.
Pertanto, essendo il diritto alla riformulazione del brevetto soggetto ad un doppio limite, uno attinente al contenuto della privativa dato che non può essere introdotta materia nuova e, l’altro, riguardante il processo che non può essere abusato, va ritenuta corretta la decisione impugnata laddove dà atto che GMI ha legittimamente esercitato lo jus poenitendi sostanziale ma che lo ha fatto avvalendosi del processo in modo abusivo e contrario a buona fede.
Ne consegue l’inammissibilità dell’accertamento di validità del brevetto per invenzione fatto oggetto della riformulazione del 29/1/2018, con conseguente impossibilità di esaminare il merito di essa>>.

Il tema è complesso, ma la soluzione lascia perplessi.

Perchè unaa motivazione, basata sul ritardo nel rendere giustizia, porta ad una sanzione non processuale (sulle spese di lite: art. 96 c. 3 cpc) ma sostanziale? Se si adducono ragioni di ordine non sostanziale ma solo processuale , è solo in ques’ultimo ambito che la sanzione deve operare.

Ancora sulla responsabilità delle piattaforme per violazione di copyright e sul safe harbour ex § 512 DMCA

Il 9 circuito 13.01.2025, 21-2949(L) Capitol Records v. Vimeo nega la resp. di Vimeo specificando la red flag data dalla competenza di un dipendente.

Ribadisce inoltre che serve la conoscenza della illiceità dei file contestati, non di una generica possibile/probabile illiceità all’interno di tutti i materiali ospitati.

<<However, we also acknowledged in Vimeo I that it is “entirely possible that an employee of the service provider who viewed a video did have expertise or knowledge with respect to the market for music and the laws of copyright.” Id. at 97 (emphasis added). Thus, as an alternative way to establish red flag knowledge, a plaintiff could produce evidence to demonstrate that an employee (1) was not an “ordinary person” unfamiliar with these fields, and (2) was aware of facts that would make infringement objectively obvious to a person possessing such specialized knowledge. See id.
We noted, though, that “[e]ven an employee who was a copyright expert cannot be expected to know when use of a copyrighted song has been licensed,” id., and, as discussed below, even a copyright expert may similarly struggle to identify instances of fair use.
Thus, in order to carry their burden of demonstrating that Vimeo had actual or red flag knowledge of the specific instances of infringement, Plaintiffs needed to show that Vimeo employees were aware of facts making it obvious to (a) a person who has no specialized knowledge or (b) a person that Plaintiffs have demonstrated does possess specialized knowledge that: (1) the videos contained copyrighted music; (2) the use of the music was not licensed; and (3) the use did not constitute fair use>>.

Poi

<<The fact that licensing music, as a general matter, can be challenging or confusing does not make it obvious that music accompanying a particular user-uploaded video was not licensed. Even if a person without specialized knowledge would have intuited a likelihood that many of the posted videos were not authorized, that would not make it obvious that a particular video lacked authorization to use the music.

This is all the more true in view of the uncontested fact that, since 2011, Vimeo had run a store from which users could purchase licenses to use music in videos. Accordingly, Vimeo employees were aware of the existence of simplified opportunities available to purchase licenses. Furthermore, because Plaintiffs have not proved that Vimeo employees had specialized knowledge of the music industry, those employees’ awareness that music found on their videos was under copyright did not show that they knew whether the music they heard on user videos came from EMI or another label. Plaintiffs’ evidence does not support it being apparent to Vimeo employees that the music they heard on any particular video came from a label that did not offer licenses through Vimeo’s store or otherwise.

Plaintiffs also rely on the contention that EMI’s cease-and-desist letter, sent to Vimeo in 2008, put Vimeo employees on notice that any EMI music used on the website was unauthorized. Plaintiffs cite EMI Christian Music Grp., Inc. v. MP3tunes, LLC, 844 F.3d 79, 93 (2d Cir. 2016), where we explained that the defendant’s subjective awareness that there had been no legal online distribution of Beatles songs could support red flag knowledge that any online electronic copies of Beatles songs on defendant’s servers were unlicensed. But the same logic does not necessarily apply here. As the district court pointed out, an awareness that EMI sent a letter in the past demanding removal of its music gave no assurance that EMI did not thereafter make contracts licensing the use of its music, especially in view of evidence that some users who posted the videos containing EMI music asserted that EMI had provided them with authorization to use the music. The DMCA does not require service providers to perform research on mere suspicion of a user’s infringement to determine the identity of the music in the user’s video, identify its source, and determine whether the user acquired a license. See Vimeo I, 826 F.3d at 98-99 (explaining, in the context of a contention of willful blindness, that requiring service providers “constantly to take stock of all information their employees may have acquired that might suggest the presence of infringements in user postings, and to undertake monitoring investigations whenever some level of suspicion was surpassed, . . . would largely undo the value of § 512(m)”).
Even if we concluded that Vimeo had red flag knowledge that EMI’s music in user videos was not authorized or licensed, that would be insufficient to satisfy Plaintiffs’ burden. Plaintiffs needed in addition to show that it would be apparent to a person without specialized knowledge of copyright law, or, alternatively, persons who have been demonstrated to possess specialized knowledge of copyright law, that the particular use of the music in the Videos-in-Suit was not fair use>>.

(segnalazione e link offerti dal blog di Eric Goldman)

Sul marchio parodistico: torna al giudice di primo grado la lite Jack Daniel’s v. Bad Spaniels

Jocelyn Bosse in IPKat ci notizia della sentenza Distr. Arizona 23 gennaio 2025 n. Case 2:14-cv-02057-SMM , VIP products llc v. Jack Daniel’s Properties Incorporated, cui la causa era stat rimandata dalla Corte Suprema USA con la sua nota sentenza del 2023 (su cui v. mio post)

I marchi a paragone:

Secondo il giudice distrettuale non c’è confondibilità perchè la parodia è palese, però c’è danno alla rinomanza (infangamento, tarnishment).

Sorge un problema teorico: se la parodia è ammessa, reprimerla con il tarnishmnent è contraddittorio. Qualunque parodia ad attività commerciale ne può ridurre la capacità di generare proditti. Cioè la parodia è ammessa come difesa contro la privativa di marchio, purchè non ne leda in alcun modo la redditivita.   Il che è illogico, perchè di fatto rende inutilizzabile la difesa medesima.

In generale la parodia riposa su valori (democraticità, free speeech…) più importanti di quelli economici; solo che qui è azionata da un concorrente, quindi da chi agisce secondo logica pure economica.

L’eserczio di diritti fondamentali non è previsto espressamente come limite alla privativa (art. 14 reg. UE 1001 del 2017); ma cetamente va ammesso quantomeno per analogia iuris (se di dirittto europeo oppure italiano, è da vedere)

Il marchio può essere “rinomato” anche se per prodotti non di lusso e pure se non risulta evidente sul singolo prodotto

Spunti interessanti (il secondo soprattutto) a livello teorico anche se purtroppo solo accennati in Cass. sez. I, ord. 17/01/2025  n. 1.153, rel. Campese, nella lite Pasta Zara / Zara abbigliamento:

<<3.1. Invero, ribadito che il marchio notorio è tale in quanto conosciuto dalla generalità del pubblico e non è necessariamente legato alla distribuzione di prodotti di lusso o dai connotati di esclusività e raffinatezza, l’assunto della ricorrente secondo cui, sostanzialmente, l’utilizzazione del marchio “ZARA” non darebbe luogo ad alcun pregiudizio alla società controricorrente, né attribuirebbe alcun vantaggio alla ricorrente perché si tratterebbe di un marchio privo di prestigio, non persuade, né convince l’ulteriore argomentazione per cui, sui capi di abbigliamento di ZARA, il marchio non è evidente (cfr. amplius, pag. 13-14 del ricorso). Si tratta, infatti, di circostanza che, come condivisibilmente sostenuto dal Pubblico Ministero nelle sue conclusioni scritte, “è facilmente spiegabile con la scelta della società spagnola di operare la distribuzione dei propri prodotti in negozi monomarca e non costituisce quindi un’implicita ammissione di assenza di prestigio” >>.

Sulla confondibilità tra marchi all’Oktoberfest

Lite sui marchi evocanti l’Oktoberfest, decisa dal Board of Appeal EUIPO 11.12.2024, caso 1264/2024-2, FCRB IMPEX SRL v. ANDESHAUPTSTADT MÜNCHEN, correttamente decisa in base alla debolezza dell’anteriorità.

Marchi in lite:

marchio chiesto in registrazione
anteriorità azionata in opposizione

La opposition e il Board of appeal escludono il riscjhio di confuisione.

La parte finale della seconda:

<<54  A global assessment of a likelihood of confusion implies some interdependence between the relevant factors, and in particular, the similarity between the trade marks and between the goods or services. Accordingly, a greater degree of similarity between the goods/services may be offset by a lower degree of similarity between the marks, and vice versa (22/06/1999, C-342/97, Lloyd Schuhfabrik, EU:C:1999:323, § 20; 11/11/1997, C-251/95, Sabèl, EU:C:1997:528, § 24; 29/09/1998, C-39/97, Canon, EU:C:1998:442, § 17).
55 As a preliminary point, in accordance with the principle of the interdependence between the factors to be taken into consideration when examining the likelihood of confusion, it must be noted that the ratio legis of trade mark law is to strike a balance between the interest that the proprietor of a trade mark has in safeguarding its essential function, on the one hand, and the interests of other economic operators in having signs capable of denoting their products and services, on the other (18/01/2023, T-443/21, YOGA ALLIANCE INDIA INTERNATIONAL (fig.) / yoga ALLIANCE (fig.), EU:T:2023:7, § 117 and the case-law cited).
56 It follows that excessive protection of marks consisting of elements that, as in the present case, have very weak distinctive character, if any, in relation to the goods or services at issue, could adversely affect the attainment of the objectives pursued by  trade mark law, if, in the context of the assessment of the likelihood of confusion, the mere presence of such elements in the signs at issue led to a finding of a likelihood of confusion without taking into account the remainder of the specific factors in the present case (18/01/2023, T-443/21, YOGA ALLIANCE INDIA INTERNATIONAL (fig.) / yoga ALLIANCE (fig.), EU:T:2023:7, § 118).
57 In that regard, where the earlier trade mark and the sign whose registration is sought coincide in an element that has a weak distinctive character with regard to the goods and services at issue, the global assessment of the likelihood of confusion within the meaning of Article 8(1)(b) EUTMR does not often lead to a finding that such likelihood exists (12/05/2021, T-70/20, MUSEUM OF ILLUSIONS (fig.) / MUSEUM OF ILLUSIONS (fig.), EU:T:2021:253, § 119 and the case-law cited).
58 In the present case, taking into account the above comparison of the signs and in particular the existence of the very weak common element ‘OKTOBER()FEST’ in both signs, the differences in the overall impression of the signs, especially the visually more striking and distinctive figurative element of the earlier mark (‘a flying beer mug’) and the figurative element in the contested sign, insofar as it will be seen as abstract, are such that the relevant public with an average level of attention will be able to make a clear distinction between the marks at issue. This applies notwithstanding the identity of the services at issue and the imperfect recollection of the public.
59 It follows from all the foregoing considerations that the Opposition Division correctly concluded that there was no likelihood of confusion on the part of the relevant public as regards the fact that the services may come from the same or economically linked undertakings.
60 Therefore, the appeal is dismissed>>

(notizia di Marcel Pemsel in IPKat, da cui il link ai marchi)

C’è rapporto concorrenziale tra venditore online e venditore tramite negozi fisici

Cass. sez. I, ord. 10/01/2025 n. 626, rel. Falabella, con insegnamento condivisibile circa una fattispecie di vendita di prodotti elettronici:

<<Secondo la giurisprudenza di questa Corte, presupposto indefettibile dell’illecito concorrenziale è la comunanza di clientela (per tutte: Cass. 22 ottobre 2014, n. 22332; Cass. 22 luglio 2009, n. 17144; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1617) e tale comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno (Cass. 20 luglio 2023, n. 21586; Cass. 18 maggio 2018, n. 12364). Poiché la concorrenza è la competizione tra i soggetti economici il cui obiettivo di autoaffermazione nel mercato si raggiunge conquistando, a danno del concorrente, maggiore clientela, è la mancanza di una comunanza di clientela ad impedire ogni concorrenza e dunque anche ogni abuso del relativo diritto (Cass. 14 febbraio 2000, n. 1617, cit., in motivazione).

La modalità di commercializzazione del prodotto non riveste, allora, decisivo rilievo ai fini della configurabilità del rapporto di concorrenza: l’identità del sistema di vendita adottato da due imprenditori che si rivolgano a bacini di clientela non coincidenti nemmeno in via potenziale non fa sorgere il rapporto di concorrenza; all’opposto, tale rapporto è da ravvisarsi ove il medesimo prodotto, attraverso diversi canali di distribuzione, sia indirizzato a quanti avvertano il medesimo bisogno di mercato e possano essere quindi interessati a procurarselo.

Così, la clientela del mercato dei prodotti elettronici deve essere considerata unitariamente, indipendentemente dal fatto che l’acquisto dei medesimi si attui in punti di vendita diffusi sul territorio o attraverso un circuito on line: e ciò significa che è configurabile un rapporto di concorrenza tra operatori che veicolino la loro offerta attraverso queste distinte modalità di commercializzazione dei prodotti in questione.

Negare, del resto, il rapporto di concorrenza in ragione del semplice utilizzo di differenti canali di distribuzione del prodotto – enfatizzando, così, l’assenza di identità tra la clientela dei punti di vendita dislocati sul territorio e la clientela che accede al mercato on line – significa contravvenire al principio per cui, ai fini dell’individuazione del suddetto rapporto, deve aversi riguardo alla naturale dinamicità delle singole attività imprenditoriali. Questa Corte reputa, infatti, che la sussistenza di una comunanza di clientela vada verificata anche in una prospettiva potenziale, tenendo conto dell'”esito di mercato fisiologico e prevedibile” dell’attività svolta (Cass. 22 ottobre 2014, n. 22332, cit.; Cass. 22 luglio 2009, n. 17144, cit.; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1617, cit.). In tal senso, una differenziazione dei mercati basata sulla rigida diversificazione dei sistemi di commercializzazione appare priva di ragionevole fondamento giustificativo anche in quanto trascura di considerare la naturale osmosi esistente tra le forme attraverso cui si attua lo scambio dei prodotti (quelle tradizionali, da un lato, e quelle più evolute, di crescente diffusione, dall’altro).>>

Quando la fotografia costituisce opera dell’ingegno

Cass. sez. I, ord. 20/12/2024 n. 33.599, rel. Valentino, sul noto caso della fotografia riproducente Falcone e Borsellino:

<<In generale, una fotografia può essere considerata un’opera fotografica prescindendo dal suo valore artistico se rappresenta una scelta creativa del fotografo.

Il discrimine tra opera protetta e semplice fotografia è incentrato nella capacità creativa dell’autore, vale a dire nella sua impronta personale, nella scelta e studio del soggetto da rappresentare, così come nel momento esecutivo di realizzazione e rielaborazione dello scatto, tali da suscitare suggestioni che trascendono il comune aspetto della realtà rappresentata. Le fotografie semplici, invece, si distinguono dalle precedenti in quanto non richiedono alcun apporto creativo da parte del fotografo, poiché trattasi di mere fotografie, seppur di altissimo livello qualitativo, che si limitano a riprodurre fedelmente la realtà esterna, senza alcuna personale e sostanziale rielaborazione della fotografia da parte dell’autore.

L’apporto creativo deve potersi desumere da una precisa attività del fotografo, volta o a un miglioramento degli effetti ottenibili con l’apparecchio (inquadratura, prospettiva, cura della luce, del tutto peculiari) o dalla scelta del soggetto (intervenendo il fotografo sull’atteggiamento e sull’espressione, se non creando addirittura il soggetto stesso), purché emerga una prevalenza del profilo artistico sull’aspetto prettamente tecnico. La creatività dell’artista può manifestarsi in diverse fasi della produzione fotografica. La scelta delle lenti, la disposizione delle luci, la sistemazione del soggetto o del fotografo, la composizione dell’immagine, il momento dello scatto, la post produzione, la scelta dei toni, la stampa etc.

Rispetto a tale contesto, la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e non tiene conto che i principi evocati corrispondono a quanto affermato dalla Corte territoriale.

La Corte d’Appello ha correttamente evidenziato che nella fotografia oggetto del giudizio non è “percepibile l’impronta creativa personale del suo autore ovvero la singolarità della forma richiesta ai fini del riconoscimento della creatività, di talché l’immagine che la fotografia documenta non può dirsi connotata da elementi che la distinguano da altre possibili riproduzioni fotografiche che avrebbero potuto realizzarsi nel medesimo convegno dei due magistrati ripresi, tra l’altro nel momento documentato nella foto in questione”.

La motivazione è cioè fondata sull’assenza dell’apporto creativo e non sul suo valore artistico come la doglianza lamenta.

Di talché la censura si risolve in una deduzione mirata ad una rivalutazione delle valutazioni di merito, non sindacabile in sede di legittimità, nonostante che il ricorrente assuma diversamente.

In linea generale, la protezione del diritto d’autore postula il requisito dell’originalità e della creatività, consistente non già nell’idea che è alla base della sua realizzazione, ma nella forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, presupponendo che l’opera rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative.

La consistenza in concreto di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità (Cass., n. 10300/2020; Cass. 13524/2014)>>.

E’ utile leggere pure l’analitico ragionameno della corte di appello, come riportato dalla SC:

<<Per quanto qui di interesse, la Corte di merito ha precisato che: a) l’impugnazione ha essenzialmente riguardo all’operato disconoscimento del carattere creativo della fotografia e la conseguente esclusione della stessa dal novero delle “opere fotografiche” che ai sensi dell’art. 2, n.7, L.D.A., ricevono protezione quale oggetto del diritto d’autore, ed all’apprezzamento di essa invece quale “semplice fotografia”, definita dall’art. 57 della stessa legge come ritraente “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o processo analogo”, talché dirimente nella specie è la valutazione della creatività o meno della riproduzione fotografica in questione; b) il requisito della creatività – sufficiente all’apprestamento della tutela invocata – non consiste nel valore artistico della fotografia, ma ricorre quando l’immagine fotografica ha un proprio contenuto espressivo e presenta tratti individuali marcati, riflettendo la personale visione della realtà del suo autore; c) la creatività ha una dimensione soggettiva che si identifica in una “forma particolare” che la fotografia assume a prescindere dalla sua novità e dal valore intrinseco del suo contenuto; d) la foto, oggetto del giudizio, è, invece, peculiare non per il suo carattere creativo, ma per “l’eccezionalità del soggetto”, ovvero i due magistrati simbolo della lotta contro la mafia; e) non è percepibile l’impronta creativa personale del suo autore ovvero la singolarità della forma richiesta ai fini del riconoscimento della creatività; f) l’immagine che la foto documenta non ha caratteristiche specifiche che possano distinguerla da altre possibili riproduzioni fotografiche che avrebbero potuto realizzarsi nel medesimo convegno dei due magistrati ripresi, tra l’altro, nel preciso momento documentato nella foto in questione; g) la fotografia non presenta una valenza estetica che possa essere apprezzata a prescindere dalle persone dei due magistrati rappresentati e dall’espressione dagli stessi assunta; h) non sussistono neppure i presupposti e le condizioni di cui all’invocato art. 91, comma 3, L. n. 633/1941 per il riconoscimento, in via subordinata, del diritto ad un equo compenso, non versandosi nelle ipotesi di legge, di riproduzione della fotografia in antologie ad uso scolastico o in opere scientifiche o didattiche>>.