Interessanti passaggi della Corte di appello di Milano 2 aprile 2024 n. 976, rel. Meroni (letta in Onelegale).
IN particolare è significativa la questione della pluralità di inventori : non determina moltiplicazione dell’equio premio, che rimane unico, ma suo frazionamento tra i coiventori.
Il principio va condiviso
<<L’affermazione di cui al principio sub (…) è certamente condivisibile nella parte in cui evidenzia che il criterio della cd. formula tedesca non è vincolante per la decisione in ordine alla determinazione dell’entità del premio, ma può solo essere considerato un criterio orientativo a cui apportare le modificazioni opportune in relazione alla fattispecie concreta, pur rilevandosi che tale criterio viene abitualmente utilizzato per tale scopo e che la disciplina legislativa tedesca è, in realtà, sostanzialmente analoga a quella italiana e che la circostanza che nel diritto tedesco il pagamento sia previsto anche a favore del dipendente già retribuito è irrilevante.
– L’affermazione di cui al principio sub. (…) è, invece, gravemente errata sul piano logico, soprattutto per il modo con cui tale principio è stato applicato dal collegio degli arbitratori, pur tenendo conto che la formulazione dell’alt 64 D.Lgs. n. 30 del 2005 è molto generica.
Il collegio degli arbitratori ha, infatti, ritenuto di tener conto della presenza di coinventori semplicemente ricorrendo al criterio della formula tedesca con riguardo ad un parametro (la voce “soluzione del problema” che contribuisce alla determinazione del fattore P), che non attiene per nulla al fatto che l’ invenzione sia stata conseguita da un solo ovvero da più coinventori, ma concerne invece
la valutazione del contributo del dipendente – inventore rapportato al contributo fornito dal datore di lavoro – organizzatore/finanziatore degli investimenti che hanno consentito l’ invenzione; seguendo il criterio utilizzato nel lodo ne conseguirebbe che l’ importo del premio, attribuito al singolo inventore, potrebbe avere la medesima entità sia nel caso in cui l’ invenzione sia stata ottenuta da un dolo dipendente sia nel caso in cui sia stata ottenuta da dieci o cento dipendenti, con la conseguenza che in questo caso l’importo complessivo dei premi sia decuplicato o centuplicato, fino ad arrivare a superare, anche di gran lunga, il valore effettivo dell’invenzione.
E’ evidente che, per la determinazione dell’entità del premio spettante al singolo dipendente – inventore ovvero ai plurimi dipendenti – inventori, una volta accertata (con la formula tedesca o con altro criterio) la quota del valore dell’invenzione, che si ritiene possa essere attribuita come premio per l’ inventore, è sempre necessario suddividere (qualora costoro siano più di uno) tale quota astratta per il numero degli inventori che hanno contribuito all’ invenzione (e tale suddivisione, in assenza di elementi che possano differenziare tra loro gli apporti dei diversi dipendenti, non può che essere fatta in parti uguali) e, una volta determinata la quota astratta, eventualmente anche interamente attribuibile a ciascun inventore, è necessario valutare quale sia stato l’apporto dell’organizzazione del datore di lavoro, che ovviamente comprimerà la parte spettante al dipendente in relazione alla sua rilevanza rapportata alla rilevanza dell’apporto del dipendente.
– L’affermazione sub. (…) è errata, posto che dal principio affermato da Cass. 20239/2016, come sopra riportato, non consegue affatto, neppure avvalendosi di una interpretazione estensiva, che “se vi sono coinventori, siano o no remunerati ad hoc oppure abbiano o no diritto anch’essi a un premio, il loro contributo si conta come contributo dell’azienda nel momento di valutare l’equo premio spettante a ciascun altro avente diritto “, come sostenuto dal collegio degli arbitratori.
Cass. 20239/2016, infatti, a fronte dell’eccezione sollevata in quel giudizio dal datore di lavoro della sussistenza di un litisconsorzio necessario tra tutti i dipendenti coinventori con riguardo alla spettanza dell’equo premio rivendicata da uno solo di loro, ha affermato che tale eccezione era infondata, in quanto il diritto al premio (che ha la funzione di indennizzare il dipendente – inventore per il fatto che i diritti derivanti dall’ invenzione, dallo stesso realizzata, sono attribuiti in via originaria al suo datore di lavoro) non è un diritto attribuito in modo unitario a tutti i plurimi dipendenti partecipanti all’ invenzione, ma ciascun dipendente – inventore ha diritto di rivendicare singolarmente il premio a lui spettante ed ha, altresì, precisato che la controversia, oggetto del suo esame, concerneva l’accertamento della sussistenza del diritto al premio in capo al dipendente e non già la sua quantificazione (che avrebbe potuto essere oggetto di altro giudizio), di guisa che in tale controversia il riconoscimento del premio, in favore del dipendente che aveva promosso il giudizio, non avrebbe potuto in alcun modo danneggiare gli altri dipendenti coinventori, senza che questi fossero partecipi del giudizio.
La Corte di Cassazione, cioè, con la sentenza suddetta ha esplicitamente affermato che il principio dalla stessa individuato (vale a dire l’assenza di litisconsorzio necessario tra tutti i dipendenti coinventori con riguardo al riconoscimento della sussistenza del diritto al premio in capo a ciascuno di loro) non aveva alcuna rilevanza con riguardo alle modalità di quantificazione e quindi di eventuale ripartizione del premio tra tutti i coinventori.
La decisione del collegio arbitrale, per quanto esposto, è, pertanto, certamente viziata da un errore grave di determinazione logica dell’entità del premio e quindi certamente passibile di dichiarazione di nullità da parte del giudice>>.
La corte riportaanche la formula tedesca considerata dal ctue l’applicaizone da lui fattane:
<<Il consulente tecnico ha così correttamente esposto la formula tedesca:
> EP = (W x C x R) / N x P; in cui:
– Co = equo premio,
– W = valore economico dell’ invenzione, pari alla sommatoria attualizzata di tutti gli utili conseguibili
dal brevetto e in via semplificata pari al 10% del ricavato,
– C = fattore correttivo che prevede una correzione di W, secondo una tabella prefissata (da 0,9 a 0,2) in
relazione all’entità dell’utile,
– R = fattore di riduzione (dal 12,5% al 33%, con valore normale al 20%) in relazione alla caratteristica
dell’invenzione,
– N = numero degli inventori,
– P = fattore di partecipazione, per il quale è previsto un punteggio: da 1 a 6 per la “posizione del
problema”, da 1 a 6 per la “soluzione del problema”, da 1 a 8 per le “mansioni svolte e la posizione occupata”; alla somma dei tre punteggi corrisponde la percentuale del fattore da utilizzare (ad es. alla somma del punteggio minimo di 3 corrisponde il fattore 3%, alla somma del punteggio massimo di 20 corrisponde il fattore 100%).
Il CTU, utilizzando il criterio della formula tedesca, ha così determinato il premio (nell’ ipotesi accolta nella sentenza definitiva del Tribunale):
. ha determinato il ricavo complessivo, per tutte le invenzioni brevettate in questione, per l’ intero periodo di efficacia in Euro 128.598.000: di cui Euro 114.379 per il periodo dal 1997 al 31.12.2019 (pari a Euro 104.193.000, corrispondente all’ importo dei ricavi effettivamente conseguiti, rivalutato alla data del 31.12.2019) ed Euro 14.219.000 per il periodo dal 1.1.2020 al 2024 (corrispondente al ricavo presumibile, attualizzato però al 31.12.2019, secondo la formula wacc);
. ha determinato il margine di utile nel 9,4% del ricavato, quindi pari a Euro 12.088.000, che con la correzione del fattore C (nel caso di brevetti singolarmente considerati) diventa pari a Euro 6.170.000 oppure (nel caso di brevetti complessivamente considerati) pari a Euro 4.948.000 e con l’abbattimento del fattore R (da prendere in considerazione per le caratteristiche delle invenzioni nel 30%) diventa pari a Euro 1.851.000 (nel caso di brevetti considerati singolarmente) o in Euro 1.484.000 (nel caso di brevetti considerati complessivamente);
. ha determinato il fattore N in 1/3, posto che gli inventori sono tre e non vi sono elementi per differenziare tra loro i rispettivi apporti;
. ha determinato per il fattore P il punteggio di 12: di cui 5 (come il collegio degli arbitratori) per “la posizione del problema”; 3 (anziché 1 attribuito dal collegio degli arbitratori) per “la soluzione del problema”; e 4 (come il collegio degli arbitratori) per “le mansioni svolte e posizione occupata”;
punteggio a cui corrisponde il 32% per il fattore P.
In conclusione, il CTU ha determinato l’equo premio (nell’ ipotesi accolta dal Tribunale) nell’importo complessivo di Euro 197.000 = 1.851.000 (utile abbattuto per i coefficienti C ed R, valutato per i brevetti considerati singolarmente) : 3 (per il numero degli inventori) x il 32% per il fattore P (cioè, il grado di partecipazione di OMISSIS all’invenzione in rapporto con il contributo apportato dal datore di lavoro>>