Per il Tribunale di Parigi c’è diritto di autore sui font tipografici (anche se non c’è violazione nel caso specifico)

Interessante decisione (in francese) segnalata da Kevin Bercimuelle-Chamot su IpKat del 28 marzo 2023.

Si tratta di Trib. Parigi , N° RG 20/06208, del 31 Mars 2023  che deide la lite tra il font « Le Monde Journal » e « Spectral » , creato per conto di Google (che è parte in causa).

Si tratta di opera tutelabile:

<<28. Aucun de ces choix n’est inédit et chacun se rerouve dans certaines autres typographies
traditionnelles ou polices de caractères récentes . En particulier, le remplacement de la goutte
par une terminaison qui se finit vers une pointe en bas cassée par un trait court, présentée par
M. X comme un parti pris esthétique constituant l’essence même du caractère typographique
Le Monde Journal, se retrouve dans des typographies du XVIII siècle et aussi des polices
actuelles (Charter, Swiss works,ème Malabar). Toutefois, la typographie Le Monde Journal
présente un aspect particulier obtenu par différents parti-pris tels que le dégraissage des
verticales au profit des horizontales, la taille respective des hauteurs d’œil d’une part,
majuscules et ascendantes d’autre part, ainsi que les détails d’empattements trapézoïdaux et le
dessin particulier des gouttes. Cette combinaison, qui permet d’atteindre l’objectif de gains de
lisibilité et d’espace mais qui aurait pu être obtenu par d’autres moyens, est originale, révèle
des choix arbitraires et reflètent l’empreinte de la personnalité de son auteur.

29. Dès lors la combinaison des caractéristiques énumérées au point 27 ci- dessus fait de la
police Le Monde Journal une œuvre typographique originale protégeable en tant que telle par
le droit d’auteur>>.

(da google translate: < 28. Nessuna di queste scelte è nuova e ciascuna si trova in certe altre tipografie
caratteri tipografici tradizionali o recenti. In particolare, la sostituzione della gotta
da un finale che termina in un punto in basso spezzato da una breve linea, presentato da
Mr. X come pregiudizio estetico che costituisce l’essenza stessa del carattere tipografico
Le Monde Journal, si trova nelle tipografie del XVIII secolo e anche nei caratteri
corrente (Carta, opere svizzere, th Malabar). Tuttavia, la tipografia di Le Monde Journal
ha un aspetto particolare ottenuto da diversi pregiudizi come lo sgrassaggio di
verticali a favore degli orizzontali, la rispettiva dimensione delle altezze degli occhi da un lato,
capitelli e ascendenti dall’altro, così come i dettagli di serif trapezoidali e il
particolare disegno delle gocce. Questa combinazione, che permette di raggiungere l’obiettivo di guadagni di
leggibilità e spazio ma che avrebbe potuto essere ottenuto con altri mezzi, è originale, rivela
scelte arbitrarie e riflettono l’impronta della personalità del suo autore.

29. La combinazione delle caratteristiche elencate al precedente paragrafo 27 rende quindi il
font Le Monde Journal un’opera tipografica originale tutelabile come tale da
diritto d’autore>>).

Però Google/Spectal non lo viola, data la sufficiente distanza grafica.

Lite in tema di marchi per keyword advertising tra studi legali dell’Arizona

Distr. Court of Arizona 8 maggio 2023, Case 2:21-cv-01540-DG, Lerner & Rowe PC,
v. Brown Engstrand & Shely LLC, et al.:

<<The three relevant screenshots produced by Plaintiff show clear labeling of Defendants’ entry, using Defendants’ name and prominently labelled as an “Ad,” and with no use of Plaintiff’s trademark or confusingly similar language or content.

Reasonably savvy Internet users with a strong incentive to select the right lawyer would not be confused by these clearly labeled ads into believing that Defendants were Plaintiff.

Plaintiff produces no survey evidence showing a likelihood of confusion, and its evidence that, at most, 0.215% of all consumers exposed to Defendants’ ads were in fact confused by them is simply not enough to show a likelihood. Two-tenths of one percent is not an appreciable or significant portion of consumers exposed to Defendants’ keyword-generated ads. Plaintiff does have a strong mark, but no reasonable jury viewing Plaintiff’s thin evidence could find that potential clients viewing Defendants’ clearly labeled ads are likely to be confused into thinking Defendants were in fact Plaintiff.
The 25 irrelevant screenshots produced by Plaintiff – screenshots taken during a time when Defendants’ were not buying Plaintiff’s name as a keyword – reinforce the Court’s conclusion. Each of the irrelevant screenshots was produced by searching for “lerner & rowe,” “lerner rowe,” or a variation of these words. Doc. 68-3.

And even though Defendants had not purchased Plaintiff’s name as a keyword, Defendants’ ads appeared in the search results along with ads for other personal injury law firms.

Google’s algorithm apparently called up similar law firms when a specific law firm was searched for. See, e.g., Doc. 57-6 at 15 (including an ad for azinjuredworker.com), 17 (getlawyersnow.com and palumbowolfe.com), 18 (arjashahlaw.com), 20 (getlawyersnow.com), 22 (hutzler law.com), 28 (larryhparkerphoenix.com). These screenshots show what Internet users find when searching on Google for Lerner & Rowe – ads for a variety of law firms.

As with all searches on Google, the consumer then must scroll through the returns to decide which entries are worth clicking on.

Because Defendants’ entries use their name and are clearly labeled “Ad,” the consumers would know they are seeing an ad for another law firm, as would be true with the other firms seen in the screenshots. The Internet user would then, as the Ninth Circuit has recognized, “skip from site to site, ready to hit the back button whenever they’re not satisfied with a site’s contents.” Toyota Motor Sales, 610 F.3d at 1179. This is not confusion; this is typical Internet searching. And because “the owner of the mark must demonstrate likely confusion, not mere diversion,” Plaintiff has presented insufficient evidence to survive summary judgment. Network Automation, 638 F.3d at 1149>>, P. 19-20.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Riproduzione non autorizzata del David di Michelangelo sulla copertina di GQ italia

Trib. Firenze con sent. non definitiva 1207/2023 del 21 aprile 2023 , RG 8150/2020, Min. beni culturali c. Edizioni Condè Nast spa,. condanna la seconda al danno patrimoniale e non patrimoniale, ordinando la prosecuzione per le altre domande .

Il punto più interessante riguarda il danno non patrimoniale, determinato in euro 30.000,00:

<<B) Nello specifico, si devono evitare duplicazioni con riferimento al danno non patrimoniale, che pure merita di essere risarcito, poiché è innegabile che:
– alla luce degli arresti della giurisprudenza di legittimità ed anche delle Sezioni Unite (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. Un., 11.11.2008, N. 26972), la norma di riferimento in materia di risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) è norma di rinvio, che rimanda alle  leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale (vd. art. 185 c.p., vd. i casi previsti da leggi ordinarie) ed, al di fuori dei casi espressamente determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della riconosciuti dalla Costituzione;
– rientra tra i principi fondamentali della nostra carta costituzionale, che com’è noto costituiscono valori fondanti del nostro ordinamento repubblicano, non modificabili neppure attraverso il procedimento di revisione costituzionale, l’art. 9 Cost., a tenore del quale “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”;
– il riferimento alla “Nazione” (piuttosto che allo Stato) è assai pregnante e significativo, in quanto rimanda notoriamente a quel complesso di persone che hanno comunanza di origini, di lingua, di storia e di cultura e che hanno coscienza di tali elementi unificanti, per cui l’art. 9 Cost. attribuisce senz’altro valenza identitaria al patrimonio storico ed artistico;
– non a caso, l’art. 1 del C.B.C. richiama espressamente l’art. 9 Cost. ed, al comma secondo, sancisce che “La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”;
– di conseguenza, visto che ai sensi dell’art. 2 Cost. è garantito il diritto alla identità individuale, inteso come diritto a non vedere alterato all’esterno e quindi travisato, offuscato o contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale, sarebbe del tutto irragionevole postulare l’assenza del rimedio risarcitorio a fronte di lesioni dell’interesse non patrimoniale presidiato dall’art. 9 Cost., che si identifica con l’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono come appartenenti alla medesima Nazione anche in virtù del patrimonio artistico e culturale che, per l’appunto, alla luce della declinazione sancita nell’art. 1 C.B.C., è parte costitutiva della memoria della comunità nazionale.
Nel caso di specie la società convenuta ha gravemente leso tali interessi, poiché, con la tecnica lenticolare, ha insidiosamente e maliziosamente accostato l’immagine del David di Michelangelo a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando, umiliando l’alto valore simbolico ed identitario dell’opera d’arte ed asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale>>.

Resta da capire :

i) se veramente ricorra “svilimento” oppure solo lucro da illecito ma non svilimento; e

ii) se non toccasse al giudice spiegare quale fosse detto valore simbolico ed identitario, anzichè limitarsi ad evocarlo (la risposta è positiva, avrebbe dovuto: altrimenti è petizione di princpio e quindi assenza di motivazione, pur se sarebbe stata probabilmente spiegazione faticosa per un non esperto di storia dell’arte)

Si può richiamare anche l’affermazione dell’esistenza di un diritto all’immagine (art. 10 cc) riferito ad un bene culturale, violato da una riproduzione non totalmente ma solo parzialmente fedele in quanto solo evocativa (come pare sia accaduto nel caso specifico).

Sulla rivendicazione di priorità al fine di determinare la novità brevettuale

Due aspetti significativi quando si rivendica una priorità :

1) che si tratti della stessa invenzione;

2) che sia relativa a domande estere designanti l’italia e per le quali siano state pagare le realtive tasse.

Se il primo aspetto manca e quindi la priorità non opera, bisogna vedere  se -passando al punto 2)-  la mancata designazione e pagamento rendano dette domande  delle anteriorità distruttive: e la risposta è negativa, alla luce dell’art. 46,3 cpi.

Si veda Trib. Milano n. 1523 del 21.02.2022, RG 34246/2017, rel. Barbuto, Tuttoespresso srl c. Illycaffè spa:

<<B.3. Ciò posto, reputa il Collegio che occorra esaminare, anzitutto, l’eccezione di nullità della porzione italiana del brevetto di parte attrice, sollevata dalla convenuta incidenter tantum.
B.3.A L’eccezione in parola risulta svolta sotto un duplice profilo, l’uno attinente a dedotta mancanza di novità, per insussistenza di valida rivendicazione di priorità, con riguardo alle due precedenti domande di brevetto europeo del 28.3.06 e del 3.8.06, ricomprese tra le priorità rivendicate nel brevetto Tuttoespresso EP ‘343; l’altro, attinente a mancanza di novità ed altezza inventiva, rispetto allo stato della tecnica.
Ritiene il Collegio che lo scrutinio dei predetti profili, così come svolto dal CTU in relazione, sia interamente da condividere e possa, perciò, essere qui recepito.
Con riguardo al profilo della novità cd estrinseca, cioè della differenza formale tra l’invenzione e lo stato della tecnica rilevante -ex art.54 della Convenzione sul brevetto europeo, del 5.10.1973, secondo l’Atto di revisione adottato dalla Conferenza OEB il 29.11.00 -cd EPC 2000 -entrato in vigore in Italia il 13.12.07, cui corrisponde l’art.46 CPI -il CTU muove dal rilievo per cui le domande di priorità EP 06006430.0 ed EP 06016214.6 non designano l’Italia, poiché non risultano pagate le tasse di esame e designazione, e, non essendo domande di brevetto europeo a tutti gli effetti, denominate Euro-PCT, non possono dirsi regolarmente pubblicate, sicché non appartengono allo stato della tecnica, ex art.46 terzo comma CPI, ed ex art.54, terzo comma, EPC 2000 -nel testo in vigore dopo la modifica introdotta con l’art.26, secondo comma, del D.Lgs.n.131/2010.
Le due domande di brevetto, del marzo ’06 e dell’agosto ’06, descrivono un procedimento, nella fase di pre-immersione, in cui è raggiunta una pressione compresa tra intervalli specifici, mentre in nessun punto vi compare esplicitamente l’insegnamento relativo al fatto che la pressione nella capsula nell’intervallo di mantenimento dev’essere di almeno 3 bar.
Osserva a tal riguardo il CTU che al riguardo si hanno nei brevetti di priorità indicazioni relative ad intervalli che hanno come limite inferiore non sempre e solo almeno i 3 bar, ma anche i 2 bar (EP 541, col. 4, par. [0032] ove si legge: che la prima pressione a cui la pompa viene interrotta può essere compresa tra 2 e 20 bar, preferibilmente tra 3 e 17 bar: con pressioni nell’intervallo tra 3 e 8 bar i risultati sono eccellenti) (relazione, pag.31). Poiché -prosegue il CTU -l’intervallo 3-17 bar è contenuto nel più ampio intervallo di “almeno 3 bar”, ovverosia da 3 bar in su, l’intervallo 3-17 priva di novità l’intervallo di “almeno 3 bar”, sicché, qualora EP ‘343 non godesse del diritto di priorità, la rivendicazione 1 di EP ‘343, e con essa le rivendicazioni dalla 2 alla 8, sarebbero nulle per mancanza di novità.
Ma, appunto, tali due domande di priorità non fanno parte dello stato della tecnica rilevante ai fini del giudizio di novità, poiché non validamente pubblicate, rispetto alla data di deposito del brevetto EP ‘343 -cioè, il 28.3.2007 -e non sono, perciò, opponibili per novità alla rivendicazione 1 di EP ‘343>>

A chi offre al pubblico pacchetti TV via satellite basta l’autorizzazione dell’autore nel paese di immissione (non serve quella del paese di destinazione)

Questione tutto sommato facile quella decisa da Corte Giust. 25.05.2023, C-290/21, AKM c. Canal+, alla luce del tenore letterale dell’art. 1.2.b) : “La comunicazione al pubblico via satellite si configura unicamente nello Stato membro in cui, sotto il controllo e la responsabilità dell’organismo di radiodiffusione, i segnali portatori di programmi sono inseriti in una sequenza ininterrotta di comunicazione diretta al satellite e poi a terra” (da noi: art. 16 bis.1.b) l. aut.).

La collecting austriaca invece riteneva che dovesse pagare pure in Austria nonoistante l’imissione provenisse da altri Stati.

questione pregiudiziale posta:

<<Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 debba essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite>>, § 20.

Risposta:

<<l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 deve essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite.>>

Il marchio denominativo EMMENTALER è descrittivo, ed anche come marchio collettivo., dice il Trib. UE

Trib. UE 24.05.2023, T-2/21, Emmentaler Switzerland c. EUIPO

Dal comunicato-stampa odierno della Corte:

<<Da un lato, per quanto riguarda il carattere descrittivo del marchio richiesto, il Tribunale ritiene, alla luce degli indizi presi in considerazione dalla commissione di ricorso, che il pubblico di riferimento tedesco comprenda immediatamente il segno EMMENTALER come designante un tipo di formaggio. Dato che, affinché un segno sia rifiutato alla registrazione, è sufficiente che esso abbia carattere descrittivo in una parte dell’Unione, la quale può essere eventualmente costituita da un solo Stato membro, il Tribunale ha dichiarato che la commissione di ricorso ha giustamente concluso che il marchio richiesto è descrittivo, senza che sia necessario esaminare gli elementi che non riguardano la percezione del pubblico di riferimento tedesco.
Dall’altro lato, per quanto riguarda la tutela del marchio richiesto in quanto marchio collettivo, il Tribunale ricorda che l’articolo 74, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 prevede che, in deroga all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), di tale regolamento, possono costituire marchi collettivi segni o indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi in questione. Tuttavia, tale disposizione deve essere sottoposta ad un’interpretazione restrittiva. In tal senso, la sua portata non può comprendere i segni che sono considerati come un’indicazione della specie, della qualità, della quantità, della destinazione, del valore, dell’epoca di produzione o di un’altra caratteristica dei prodotti di cui trattasi, ma unicamente i segni che saranno considerati come un’indicazione della provenienza geografica di detti prodotti. Poiché il marchio richiesto è descrittivo di un tipo di formaggio per il pubblico di riferimento tedesco e non è percepito come un’indicazione della provenienza geografica di detto formaggio, il Tribunale conclude che esso non gode di una tutela in quanto marchio collettivo>>.

Non è esattissimo parlare di interpretazione “restrittiva”: meglio sarebbe stato “letterale”, alla luce della disposizione cit.

A meno di ricordare che <emmental>, derivando dalla omonima valle svizzera (v. wikipedia), potrebbe essere percepito come indicazione geografica. Ma allora bisognerebbe spiegare che la valenza geografica si è persa nel pubblico , il quale percepisce solo quella delle caratteristiche merceologiche/organolettiche

Doppia successione nei diritti di registrante ai fini del calcolo del periodo di grazia da divulgazione di disegno o modello (art. 7.2 reg. 6-2002)

Caso non frequente di doppia successione nei diritti di richiedente protezione a disegno (anzi modello) circa il calcolo dei 12 mesi di periodo di grazia ex art. 7.2 reg. UE 6 del 2002: Trib. UE del 26 aprile 2023 , T-757/21, Activa – Grillküche GmbH c. EUIPO-Targa GmbH  .

Successione accettata dal Trib. UE

Sulla (assente) distintività di marchio costituito dai numeri da 1 a 23 disposti su tre file

Il board of appeal dell’EUIPO , decisione del 2 maggio 2023, case R 1967/2022-1, appl: Margiela, conferma la mancanza di distintività di marchio numerico cioè costiotuito dai numeri da 1 a 23 in progresisone e disposti su tre file, per candele, illuminazione ed altri.

Norma di riferimentoi: art. 7.1.b dell’EUTMR

Primo grado amminisrativo: <<In the contested decision, the examiner found that the relevant public would perceive the sign at issue as, for example, a listing of the product/article number, a bar code, or a pre-printed label. By doing so the examiner determined the way in which the sign applied for will, if registered, probably be shown to the public (see, to this extent, 12/09/2019, C-541/18, Sign comprising a hashtag, EU:C:2019:725, § 24, 25). The Board concurs that the sign at issue will likely be perceived by the relevant public as a pre-printed tag/label to be affixed, for example, on the goods in Classes 4, 11 and 21 or on their packaging or, with particular regard to retail services, in Class 35, on an invoice, on a letter head or on a catalogue>>.

L’ufficio in appello:

<<The fact that the sequence does not highlight any specific number does not make it distinctive for the goods and services covered by the application for registration. In particular, the Board notes that a pre-printed tag/label of long sequences of numbers in three lines, could not provide information to consumers capable of designating the commercial origin of the goods or services. For example, the sequence of numbers in three lines, when put on a tag/label for the goods at issue, could indicate the reference number of three variants of an article in stock (e.g. three variants of the same product in three colours) one on top of the other, or as a way which could enable the shop to circle one number in pen for internal accounting purposes (e.g. to indicate the number of items remaining in stock, which may vary and thus can be indicated by hand). When used for the services at issue, the long sequences of numbers in three lines, could be perceived as providing administrative information for the undertaking (e.g. company number/commercial registration number) and/or its services (e.g. publication authorisation number of the retailer’s/wholesaler’s catalogue, etc.) as explained above.
27 As regards both the goods and services applied for, the Board recalls that there must be certain aspects of the signs at issue which may be easily and instantly memorised by the relevant public and which would make it possible for those signs to be perceived immediately as indications of the commercial origin (see, to that effect and by analogy, 29/09/2009, T‑139/08, Device of smile from SMILEY (fig.), EU:T:2009:364, § 31).
28 In the present case, the sequence of numbers from 0 to 23, in three lines when applied to the goods and services for which protection is sought, would not easily and instantly be recalled by the relevant public as a distinctive sign, but will likely be perceived by the relevant public as one (or three) non-distinctive sequence(s) of numbers.
29 The Board observes that the length of the sequence(s) does not allow the individual details of the mark to be committed to memory, or the sign taken as a whole, to be apprehended. The sign for which protection is sought would be perceived by the relevant public as one (or three) long sequence(s) of numbers positioned on three separate lines, but the relevant public is unlikely to remember what numbers are listed in the sign or positioned at the beginning or at the end of each line. Therefore, the sign, taken as a whole, will be perceived as one (or three) unmemorable sequence(s) of numbers, and therefore the relevant public will not tend to perceive it as a particular indication of commercial origin>>.

Decisione esatta.

Caso comunque interessante: non è distintivo perchè non memorizzabile oppure perchè il pubblico, vedendolo, pensa a comunicaizoni ammnistrative interne all’azienda circa il prodotto?

(segnalazione di Nedim Malovic in IPKat)

Andy Wharol e la sua elaborazione della fotografia di Prince scattata da Lynn Goldsmith: per la decisione della Corte Suprema non c’è fair use

Supreme Court US n. 21-869 del 18 maggio 2023, ANDY WARHOL FOUNDATION FOR THE VISUAL ARTS, INC. v. GOLDSMITH ET AL.  decide l’oggetto.

Decide uno dei temi più importanti del diritto di autore, che assai spesso riguarda opere elaboranti opere precedenti.

Qui riporto il sillabo e per esteso: in sostanza l’esame della SC si appunta solo sul primo elemento dei quattro da conteggiare per decidere sul fair use (In determining whether the use made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered shall include : (1) the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit educational purposes; ), 17 US code § 107.

<< The “purpose and character” of AWF’s use of Goldsmith’s photograph in commercially licensing Orange Prince to Condé Nast does not favor AWF’s fair use defense to copyright infringement. Pp. 12–38.
(a)
AWF contends that the Prince Series works are “transformative,”and that the first fair use factor thus weighs in AWF’s favor, because the works convey a different meaning or message than the photograph. But the first fair use factor instead focuses on whether an allegedlyinfringing use has a further purpose or different character, which is amatter of degree, and the degree of difference must be weighed againstother considerations, like commercialism. Although new expression, meaning, or message may be relevant to whether a copying use has asufficiently distinct purpose or character, it is not, without more, dis-positive of the first factor. Here, the specific use of Goldsmith’s photograph alleged to infringe her copyright is AWF’s licensing of OrangePrince to Condé Nast. As portraits of Prince used to depict Prince inmagazine stories about Prince, the original photograph and AWF’s copying use of it share substantially the same purpose. Moreover, AWF’s use is of a commercial nature. Even though Orange Prince adds new expression to Goldsmith’s photograph, in the context of the challenged use, the first fair use factor still favors Goldsmith. Pp. 12–27.
(1)
The Copyright Act encourages creativity by granting to the creator of an original work a bundle of rights that includes the rights toreproduce the copyrighted work and to prepare derivative works. 17
U.
S. C. §106. Copyright, however, balances the benefits of incentives to create against the costs of restrictions on copying. This balancingact is reflected in the common-law doctrine of fair use, codified in §107,which provides: “[T]he fair use of a copyrighted work, . . . for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching . . . , scholarship, or research, is not an infringement of copyright.” To determine whether a particular use is “fair,” the statute enumerates four factors to be considered. The factors “set forth general principles, the application of which requires judicial balancing, depending upon relevant circumstances.” Google LLC v. Oracle America, Inc., 593 U. S. ___, ___.
The first fair use factor, “the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit
educational purposes,” §107(1), considers the reasons for, and nature of, the copier’s use of an original work. The central question it asks is whether the use “merely supersedes the objects of the original creation . . . (supplanting the original), or instead adds something new, with afurther purpose or different character.” Campbell v. Acuff-Rose Music, Inc., 510 U. S. 569, 579 (internal quotation marks and citations omitted). As most copying has some further purpose and many secondary works add something new, the first factor asks “whether and to what extent” the use at issue has a purpose or character different from the original. Ibid. (emphasis added). The larger the difference, the morelikely the first factor weighs in favor of fair use. A use that has a further purpose or different character is said to be “transformative,” but that too is a matter of degree. Ibid. To preserve the copyright owner’s right to prepare derivative works, defined in §101 of the Copyright Act to include “any other form in which a work may be recast, transformed,or adapted,” the degree of transformation required to make “transformative” use of an original work must go beyond that required to qualify as a derivative.
The Court’s decision in Campbell is instructive. In holding that parody may be fair use, the Court explained that “parody has an obvious claim to transformative value” because “it can provide social benefit, by shedding light on an earlier work, and, in the process, creating a new one.” 510 U. S., at 579. The use at issue was 2 Live Crew’s copying of Roy Orbison’s song, “Oh, Pretty Woman,” to create a rap derivative, “Pretty Woman.” 2 Live Crew transformed Orbison’s song by adding new lyrics and musical elements, such that “Pretty Woman” had adifferent message and aesthetic than “Oh, Pretty Woman.” But that did not end the Court’s analysis of the first fair use factor. The Court found it necessary to determine whether 2 Live Crew’s transformationrose to the level of parody, a distinct purpose of commenting on theoriginal or criticizing it. Further distinguishing between parody and satire, the Court explained that “[p]arody needs to mimic an originalto make its point, and so has some claim to use the creation of its victim’s (or collective victims’) imagination, whereas satire can stand on its own two feet and so requires justification for the very act of borrowing.” Id., at 580–581. More generally, when “commentary has no critical bearing on the substance or style of the original composition, . . . the claim to fairness in borrowing from another’s work diminishes accordingly (if it does not vanish), and other factors, like the extent of its commerciality, loom larger.” Id., at 580.
Campbell illustrates two important points. First, the fact that a use is commercial as opposed to nonprofit is an additional element of the first fair use factor. The commercial nature of a use is relevant, but not dispositive. It is to be weighed against the degree to which the use has a further purpose or different character. Second, the first factor relates to the justification for the use. In a broad sense, a use that has a distinct purpose is justified because it furthers the goal of copyright,namely, to promote the progress of science and the arts, without diminishing the incentive to create. In a narrower sense, a use may be justified because copying is reasonably necessary to achieve the user’s new purpose. Parody, for example, “needs to mimic an original to make its point.” Id., at 580–581. Similarly, other commentary or criticism that targets an original work may have compelling reason to “conjure up” the original by borrowing from it. Id., at 588. An independent justification like this is particularly relevant to assessing fairuse where an original work and copying use share the same or highly similar purposes, or where wide dissemination of a secondary work would otherwise run the risk of substitution for the original or licensedderivatives of it. See, e.g., Google, 593 U. S., at ___ (slip op., at 26).
In sum, if an original work and secondary use share the same orhighly similar purposes, and the secondary use is commercial, the first fair use factor is likely to weigh against fair use, absent some other justification for copying. Pp. 13–20.
(2)
The fair use provision, and the first factor in particular, requires an analysis of the specific “use” of a copyrighted work that is alleged to be “an infringement.” §107. The same copying may be fairwhen used for one purpose but not another. See Campbell, 510 U. S., at 585. Here, Goldsmith’s copyrighted photograph has been used in multiple ways. The Court limits its analysis to the specific use allegedto be infringing in this case—AWF’s commercial licensing of Orange Prince to Condé Nast—and expresses no opinion as to the creation, display, or sale of the original Prince Series works. In the context of Condé Nast’s special edition magazine commemorating Prince, the purpose of the Orange Prince image is substantially the same as thatof Goldsmith’s original photograph. Both are portraits of Prince used in magazines to illustrate stories about Prince. The use also is of a commercial nature. Taken together, these two elements counsel against fair use here. Although a use’s transformativeness may outweigh its commercial character, in this case both point in the same direction. That does not mean that all of Warhol’s derivative works, nor all uses of them, give rise to the same fair use analysis. Pp. 20–27.
(b)
AWF contends that the purpose and character of its use of Goldsmith’s photograph weighs in favor of fair use because Warhol’s silkscreen image of the photograph has a different meaning or message. By adding new expression to the photograph, AWF says, Warhol madetransformative use of it. Campbell did describe a transformative use as one that “alter[s] the first [work] with new expression, meaning, or message.” 510 U. S., at 579. But Campbell cannot be read to mean that §107(1) weighs in favor of any use that adds new expression, meaning, or message. Otherwise, “transformative use” would swallow the copyright owner’s exclusive right to prepare derivative works, asmany derivative works that “recast, transfor[m] or adap[t]” the original, §101, add new expression of some kind. The meaning of a secondary work, as reasonably can be perceived, should be considered to the extent necessary to determine whether the purpose of the use is distinct from the original. For example, the Court in Campbell considered the messages of 2 Live Crew’s song to determine whether the song hada parodic purpose. But fair use is an objective inquiry into what a user does with an original work, not an inquiry into the subjective intent of the user, or into the meaning or impression that an art critic or judge draws from a work.
Even granting the District Court’s conclusion that Orange Prince reasonably can be perceived to portray Prince as iconic, whereas Goldsmith’s portrayal is photorealistic, that difference must be evaluatedin the context of the specific use at issue. The purpose of AWF’s recent commercial licensing of Orange Prince was to illustrate a magazine about Prince with a portrait of Prince. Although the purpose could bemore specifically described as illustrating a magazine about Prince with a portrait of Prince, one that portrays Prince somewhat differently from Goldsmith’s photograph (yet has no critical bearing on her photograph), that degree of difference is not enough for the first factor to favor AWF, given the specific context and commercial nature of the use. To hold otherwise might authorize a range of commercial copying of photographs to be used for purposes that are substantially the sameas those of the originals.
AWF asserts another related purpose of Orange Prince, which is tocomment on the “dehumanizing nature” and “effects” of celebrity. No doubt, many of Warhol’s works, and particularly his uses of repeated images, can be perceived as depicting celebrities as commodities. But even if such commentary is perceptible on the cover of Condé Nast’s tribute to “Prince Rogers Nelson, 1958–2016,” on the occasion of the man’s death, the asserted commentary is at Campbell’s lowest ebb: It “has no critical bearing on” Goldsmith’s photograph, thus the commentary’s “claim to fairness in borrowing from” her work “diminishes accordingly (if it does not vanish).” Campbell, 510 U. S., at 580. The commercial nature of the use, on the other hand, “loom[s] larger.” Ibid. Like satire that does not target an original work, AWF’s asserted commentary “can stand on its own two feet and so requires justification forthe very act of borrowing.” Id., at 581. Moreover, because AWF’s copying of Goldsmith’s photograph was for a commercial use so similar to the photograph’s typical use, a particularly compelling justification is needed. Copying the photograph because doing so was merely helpfulto convey a new meaning or message is not justification enough. Pp.28–37.
(c) Goldsmith’s original works, like those of other photographers, areentitled to copyright protection, even against famous artists. Such protection includes the right to prepare derivative works that transform the original. The use of a copyrighted work may nevertheless be fair if, among other things, the use has a purpose and character that is sufficiently distinct from the original. In this case, however, Goldsmith’s photograph of Prince, and AWF’s copying use of the photograph in an image licensed to a special edition magazine devoted to Prince, share substantially the same commercial purpose. AWF has offered no other persuasive justification for its unauthorized use of thephotograph. While the Court has cautioned that the four statutory fairuse factors may not “be treated in isolation, one from another,” but instead all must be “weighed together, in light of the purposes of copyright,” Campbell, 510 U. S., at 578, here AWF challenges only the Court of Appeals’ determinations on the first fair use factor, and theCourt agrees the first factor favors Goldsmith. P. 38 >>

Per quanto elevata la creatività di Wharol, non si può negare che egli si sia appoggiato a quella della fotografa.

Da noi lo sfruttamento dell’opera elaborata, pe quanto creativa questa sia,  sempre richiede il consenso del titolare dell’opera base (a meno che il legame tra le due sia evanescente …).

Decisione a maggioranza, con opinione dissenziente di Kagan cui si è unito Roberts. Dissenso assai articolato, basato soprattutto sul ravvisare uso tranformative e sul ridurre l’importanza dello sfruttamento economico da parte di Wharol. Riporto solo questo :

<<Now recall all the ways Warhol, in making a Prince portrait from the Goldsmith photo, “add[ed] something new, with a further purpose or different character”—all the wayshe “alter[ed] the [original work’s] expression, meaning, [and] message.” Ibid. The differences in form and appearance, relating to “composition, presentation, color palette, and media.” 1 App. 227; see supra, at 7–10. The differences in meaning that arose from replacing a realistic—and indeed humanistic—depiction of the performer with an unnatural, disembodied, masklike one. See ibid. The conveyance of new messages about celebrity culture and itspersonal and societal impacts. See ibid. The presence of, in a word, “transformation”—the kind of creative building that copyright exists to encourage. Warhol’s use, to be sure, had a commercial aspect. Like most artists, Warhol did not want to hide his works in a garret; he wanted to sell them.But as Campbell and Google both demonstrate (and as further discussed below), that fact is nothing near the showstopper the majority claims. Remember, the more trans-formative the work, the less commercialism matters. See Campbell, 510 U. S., at 579; supra, at 14; ante, at 18 (acknowledging the point, even while refusing to give it any meaning). The dazzling creativity evident in the Prince portrait might not get Warhol all the way home in the fair-use inquiry; there remain other factors to be considered and possibly weighed against the first one. See supra, at 2, 10,
14. But the “purpose and character of [Warhol’s] use” of the copyrighted work—what he did to the Goldsmith photo, in service of what objects—counts powerfully in his favor. He started with an old photo, but he created a new new thing>>.

L’embedding non costituisce comunicazione al pubblico però non permette la difesa del safe harbour ex § 512DMCA

Il giudice Barlow della Utah District Court, 2 maggio 2023, caso 2:21-cv-00567-DBB-JCB, decide un’interessante lite sull’embedding.

Attore è il gestore dei diritti su alcune foto eseguite da Annie Leibovitz. Convenuti sono i gestori di un sito che le aveva “riprodotte” con la tecnica dell’embedding (cioè non con riproduzine stabile sul proprio server).

Il giudice applica il c.d server test del noto caso Perfect 10 Inc. v. Google  del 2006 così sintetizzato: <<Perfect 10, the Ninth Circuit addressed whether Google’s unauthorized display of thumbnail and full-sized images violated the copyright holder’s rights. The court first defined an image as a work “that is fixed in a tangible medium of expression . . . when embodied (i.e., stored) in a computer’s server (or hard disk, or other storage device).” The court defined “display” as an individual’s action “to show a copy . . ., either directly or by means of a film, slide, television image, or any other device or process ….”>>.

Quindi rigetta la domanda nel caso dell’embedding sottopostogli :

<<The court finds Trunk Archive’s policy arguments insufficient to put aside the “server” test. Contrary to Trunk Archive’s claims, “practically every court outside the Ninth Circuit” has not “expressed doubt that the use of embedding is a defense to infringement.” Perfect 10 supplies a broad test. The court did not limit its holding to search engines or the specific way that Google utilized inline links. Indeed, Trunk Archive does not elucidate an appreciable difference between embedding technology and inline linking. “While appearances can slightly vary, the technology is still an HTML code directing content outside of a webpage to appear seamlessly on the webpage itself.” The court in Perfect 10 did not find infringement even though Google had integrated full-size images on its search results. Here, CBM Defendants also integrated (embedded) the images onto their website.(…) Besides, embedding redirects a user to the source of the content-in this case, an image hosted by a third-party server. The copyright holder could still seek relief from that server. In no way has the holder “surrender[ed] control over how, when, and by whom their work is subsequently shown.” To guard against infringement, the holder could take down the image or employ restrictions such as paywalls. Similarly, the holder could utilize “metadata tagging or visible digital watermarks to provide better protection.” (…)( In sum, Trunk Archive has not persuaded the court to ignore the “server” test. Without more, the court cannot find that CBM Defendants are barred from asserting the “embedding” defense. The court denies in part Trunk Archive’s motion for partial judgment on the pleadings.>>

Inoltre, viene negato il safe harbour in oggetto, perchè non ricorre il caso del mero storage su server proprio di materiali altrui, previsto ex lege. Infatti l’embedding era stato creato dai convenuti , prendendo i materiali da server altrui: quindi non ricorreva la passività ma l’attività , detto in breve

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)