Abuso di domanza nella distribuzione comemrciale quando l’impresa si avvale di distributori formalmente autonomi e obbligo di valutare le perizie di parte

Due interessanti questioni poste alla Corte di Giustizia dal nostro Consiglio di Stato sono state decise dalla prima con sentenza 19.01.2023, C-680/20.

Si tratta della lite amministrativa AGCM / Unilever circa un abuso nel settore della distribuzione di gelati.

I fatti , storici e procimentali per capire bene la fattispecie:

<< 7    Da tale decisione risulta che la Unilever ha condotto, sul mercato di cui trattasi, una strategia di esclusione idonea ad ostacolare la crescita dei suoi concorrenti. Detta strategia si sarebbe basata principalmente sull’imposizione, da parte dei distributori della Unilever, di clausole di esclusiva ai gestori dei punti vendita, obbligandoli a rifornirsi esclusivamente presso la Unilever per l’intero fabbisogno di gelati in confezioni individuali. Quale corrispettivo, tali operatori beneficiavano di un’ampia gamma di sconti e commissioni, la cui attribuzione era subordinata a condizioni di fatturato o commercializzazione di una determinata gamma di prodotti della Unilever. Tali sconti e tali commissioni, che si applicavano, secondo combinazioni e modalità variabili, alla quasi totalità dei clienti della Unilever, avrebbero mirato a indurre questi ultimi a continuare a rifornirsi esclusivamente presso tale società, dissuadendoli dal risolvere il loro contratto per rifornirsi presso concorrenti della Unilever.

8 In particolare, due aspetti della decisione dell’AGCM del 31 ottobre 2017 sono rilevanti ai fini del presente rinvio pregiudiziale.

9 Da un lato, sebbene i comportamenti abusivi non siano stati materialmente posti in essere dalla Unilever, bensì dai suoi distributori, l’AGCM ha ritenuto che tali comportamenti dovessero essere imputati unicamente alla Unilever in quanto quest’ultima e i suoi distributori avrebbero costituito un’unica entità economica. Infatti, la Unilever interferirebbe in una certa misura nella politica commerciale dei distributori, cosicché questi ultimi non avrebbero agito in modo indipendente quando hanno imposto clausole di esclusiva ai gestori dei punti vendita.

10 Dall’altro lato, l’AGCM ha ritenuto che, tenuto conto delle caratteristiche specifiche del mercato in questione, e in particolare dello scarso spazio disponibile nei punti vendita, nonché del ruolo determinante, nelle scelte dei consumatori, della portata dell’offerta in tali punti vendita, la Unilever, con il suo comportamento, avesse escluso, o quantomeno limitato, la possibilità per gli operatori concorrenti di esercitare una concorrenza fondata sui meriti dei loro prodotti>>.

I pareri (vincolanti) della CG  son condivisibili anche se non particolarmente originali.

Circa la prima questione:

<< 29      Orbene, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, un siffatto obbligo mira a prevenire non solo i pregiudizi alla concorrenza causati direttamente dal comportamento dell’impresa in posizione dominante, ma anche quelli generati da comportamenti la cui attuazione sia stata delegata da tale impresa a soggetti giuridici indipendenti, tenuti ad eseguire le sue istruzioni. Pertanto, qualora il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante sia materialmente attuato tramite un intermediario che fa parte di una rete di distribuzione, tale comportamento può essere imputato a detta impresa qualora risulti che esso è stato adottato conformemente alle istruzioni specifiche impartite da quest’ultima, e quindi a titolo di esecuzione di una politica decisa unilateralmente dall’impresa suddetta, cui i distributori interessati erano tenuti a conformarsi.

30 In una ipotesi siffatta, dato che il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante è stato deciso unilateralmente, quest’ultima può esserne considerata come l’autrice e quindi come la sola eventuale responsabile ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Infatti, in un caso del genere, i distributori e, di conseguenza, la rete di distribuzione che questi ultimi formano con tale impresa devono essere considerati semplicemente uno strumento di ramificazione territoriale della politica commerciale di detta impresa e, a tale titolo, come lo strumento tramite il quale è stata eventualmente attuata la prassi di esclusione di cui trattasi.

31 Ciò vale, in particolare, quando un siffatto comportamento assume la forma di contratti tipo, interamente redatti da un produttore in posizione dominante e contenenti clausole di esclusiva a vantaggio dei suoi prodotti, che i distributori di tale produttore sono tenuti a far firmare ai gestori di punti vendita senza potervi apportare modifiche, salvo espresso accordo di detto produttore. Infatti, in tali circostanze, il produttore non può ragionevolmente ignorare che, alla luce dei vincoli giuridici ed economici che lo uniscono a tali distributori, questi ultimi attuano le sue istruzioni e, in tal modo, la politica adottata da quest’ultimo. Tale produttore deve, pertanto, essere considerato disposto ad assumere i rischi di questo comportamento.

32 In tale ipotesi, l’imputabilità all’impresa in posizione dominante del comportamento attuato dai distributori facenti parte della rete di distribuzione dei suoi prodotti o servizi non è subordinata né alla dimostrazione che i distributori interessati facciano parte anche di tale impresa, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, né all’esistenza di un vincolo «gerarchico» risultante da una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo destinati a tali distributori, idonei ad influire sulle decisioni di gestione che questi ultimi adottano riguardo alle loro rispettive attività.

33 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che i comportamenti adottati da distributori facenti parte della rete di distribuzione dei prodotti o dei servizi di un produttore che gode di una posizione dominante possono essere imputati a quest’ultimo, qualora sia dimostrato che tali comportamenti non sono stati adottati in modo indipendente da detti distributori, ma fanno parte di una politica decisa unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori>>.

Circa la seconda , ricordiamo prima la domanda del nostro C.d.S.:

<<34 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, l’autorità garante della concorrenza competente è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare che tali clausole hanno l’effetto di escludere dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto l’impresa in posizione dominante e se, in ogni caso, in presenza di una pluralità di prassi controverse, tale autorità sia tenuta ad esaminare in modo dettagliato le analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa interessata, segnatamente ove siano fondate sul criterio detto del «concorrente altrettanto efficiente» >>.

Ripsota della CG:

<< l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, un’autorità garante della concorrenza è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, segnatamente, delle analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa in posizione dominante riguardo all’inidoneità dei comportamenti in questione ad escludere dal mercato i concorrenti efficienti tanto quanto essa stessa, che tali clausole siano capaci di limitare la concorrenza. Il ricorso al criterio del concorrente altrettanto efficiente ha carattere facoltativo. Tuttavia, se i risultati di un siffatto criterio sono prodotti dall’impresa interessata nel corso del procedimento amministrativo, l’autorità garante della concorrenza è tenuta a esaminarne il valore probatorio>>.

Barilla vs. Bauli: contraffazione di brevetto di procedimento e di nuovo uso

Ordinanza cautelare di Trib. Venezia 25.11.2022, RG 4779/2021, rel. Tosi, su un metodo di produzione di brioches e simili, idoneo a conferire maggior sofficità.

<<L’invenzione si propone quindi di permettere la produzione di un prodotto da forno soffice,
conservabile a temperatura ambiente, senza l’ausilio di additivi alimentari, che mantenga quanto più
possibile inalterate le sue caratteristiche di sofficità per un periodo di conservazione a temperatura
ambiente di almeno una settimana, preferibilmente di almeno due mesi, anche senza ricorrere ad un
confezionamento in atmosfera modificata.
Per ottenere questo risultato, l’invenzione (si fa qui riferimento al solo brevetto italiano per la parte
valida) si basa sull’iniettare nel prodotto uscito dal forno di cottura una soluzione idroalcolica, così
da far aumentare il contenuto di umidità del prodotto. Questa è la caratteristica di base, a cui, come
argomentano i CTU, si aggiungono poi altre caratteristiche, presentate inizialmente come opzionali
e poi confluite in diverso modo nelle rivendicazioni indipendenti dei tre brevetti. Appare evidente
che la frazione alcolica ha anche funzione di protezione da muffe e batteri.
IT’062 riguarda nella riv. 1 un procedimento per la produzione, in 15 l’ uso di una definita soluzione
idroalcolica nella produzione del prodotto da forno>>.

La giurisprudenza delle corti di appello dell’EPO (citano G2/88 o G6/88)
stabilisce che <<in generale un uso nuovo di una sostanza nota è in linea di principio brevettabile anche quando appunto l’unica caratteristica nuova è il diverso uso di una sostanza nota, purché tale uso implichi un nuovo effetto tecnico descritto nel brevetto in esame e non prima riconosciuto. In
tal caso la rivendicazione è da considerarsi nuova anche se l’effetto tecnico avrebbe potuto intrinsecamente essere ottenuto quando si fossero seguiti gli insegnamenti già noti.
Al contrario di quanto accade per i brevetti di procedimento, dunque, per quanto riguarda una  rivendicazione d’uso come la rivendicazione 17 (ora 15), l’effetto tecnico da raggiungere deve essere considerato parte dell’ambito di protezione della rivendicazione. È proprio tale effetto tecnico alla base della ragion d’essere di una rivendicazione d’uso. Nel caso di specie l’effetto tecnico è quello della sofficità, la quale è correlata alla umidità, quest’ultima determinata dal brevetto in un valore massimo>>.

Nel merito la descrizione precedente, confermata dal giudice cautelare,  aveva accertato che il metodo e il nuovo uso brevttati corrispondono alla prassi produttiva di Bauli.

Non c’è menzione della disposizione sul nuovo uso (art. 46.4. c.p.i.) nè di quella sul procedimento (art. 67cpi, spt. c.1 sub b)

Il giudice nega l’ordine del ritiro dal commercio.

E’ di interesse l’analiticità della penale.

Condanna alle spese di lite contenuta (€ 3.000), tenuto conto della complessità della materia.

Il Tribunale UE sul giudizio di confondibilità tra marchi (sul caso Uniskin)

Si consideri:

marchio chiesto in registrazionenonchè:

marchio anteriore dell’opponente

per prodotti/servizi pazialmente affini

Ebbene, Trib. UE 08.02.2023, T-787/21, Uniskin Aps c. EUIPO-Unicskin, conferma le decisioni amministrative per cui c’è rischi odi confusione.

<< It  must be borne in mind that a global assessment of the likelihood of confusion implies some interdependence between the factors taken into account and, in particular, between the similarity of the trade marks and that of the goods or services covered. Accordingly, a low degree of similarity between those goods or services may be offset by a high degree of similarity between the marks, and vice versa (judgments of 29 September 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, paragraph 17, and of 14 December 2006, Mast-Jägermeister v OHIM – Licorera Zacapaneca (VENADO with frame and others), T‑81/03, T‑82/03 and T‑103/03, EU:T:2006:397, paragraph 74). The more distinctive the earlier mark, the greater the likelihood of confusion and marks with a highly distinctive character, either per se or because of the reputation they possess on the market, enjoy broader protection than marks with a less distinctive character (judgment of 29 September 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, paragraph 18).

76 In the present case, it must be pointed out that, as has been held in paragraphs 22, 28, 33 and 34 above, the Board of Appeal was right in finding that the goods and services at issue were, in part, identical and, in part, similar. As has been stated in paragraphs 52 and 58 above, the Board of Appeal also found, without making any error of assessment, that the signs at issue were visually similar to an average degree and phonetically similar to a high degree. As regards the conceptual comparison of the signs at issue, as has been held in paragraph 67 above, that comparison is, for part of the relevant public, neutral, whereas, for another part of that public, those signs are conceptually similar to an average degree. In the light of the fact that the distinctiveness of the earlier mark is normal and the relevant public’s level of attention varies from average to high, and in the light of the interdependence between the similarity of the goods and services and the similarity of the marks, it must be held, in the context of a global assessment, that the Board of Appeal was right in finding that there was a likelihood of confusion.

77 In view of all of the foregoing considerations, the single plea must be rejected and, as a result, the action must be dismissed in its entirety>>.

Not every network is a monopoly: sulla concorrenza nei mercati online

dal saggio di uno dei maestri dell’antitrust (che si sta occupando molto dei mercati online)  Hovenkamp Herbert, Gatekeeper Competition Policy (February 4, 2023), intorno alla proposta di legge USA c.d. the American Innovation and Choice Online Act (AICOA)

<<While more studies need to be done, there is little reason today
for thinking that the exercise of market power is more common or
more harmful on online markets than on traditional markets.34 Internet
and traditional markets exhibit differing degrees of competition
depending on the product, including some monopoly. 35 Online firms
are more likely to be networked, and networking can be a source of
market power,36 but it can also result in better products, reduced costs,
or broader access.
Clearly networking can be a source of power because
networked markets appeal to a wider group of customers and can also
have lower costs. In addition to that are direct and indirect network
effects that can make networks appealing.
Not every network is a monopoly, however. Another
phenomenon that the internet facilitates is product differentiation, or
the assembly of different packages of products and other offerings.
For example, Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn, TikTok,
Reddit, and others are all social networking sites that are subject to
both direct and indirect network effects. Within a site, they become
more valuable as the number of users increases. They are not natural
monopolies or winner-take-all platforms, however, because of product
differentiation. The same thing can be said of countless newspapers
and other periodicals and dating sites, virtually all of which operate
mainly or exclusively online. (….)

With these realities, the best approach for antitrust policy is
some expansion of duties to deal that take network operational
obligations more seriously. But these rules should apply to every firm
that has substantial market power in a particular networked product or
service, not to a subset that is identified by absolute firm size, and then
without regard to power in a particular product. That approach is both
underinclusive as to firms and overinclusive as to products>>, pp. 10-12.

Responsabilità del Registrar di domain names per l’uso illecito del dominio da parte del nuovo assegnatario? Si applica il safe harbour ex § 230 CDA?

L’appello del 9° circuito 3 febbrio 2023, No. 21-16182, Scotts Rigby v. Godaddy, sull’uso indebito del nome di dominio “scottrigsbyfoundation.org;” dato a un terzo e divenuto sito di giochi d’azzardo.

dal Summary iniziale:

<<When Rigsby and the Foundation failed to pay
GoDaddy, a domain name registrar, the renewal fee for
scottrigsbyfoundation.org, a third party registered the thenavailable domain name and used it for a gambling
information site. (…)
The panel held that Rigsby could not satisfy the “use in
commerce” requirement of the Lanham Act vis-à-vis
GoDaddy because the “use” in question was being carried
out by a third-party gambling site, not GoDaddy, and Rigsby
therefore did not state a claim under 15 U.S.C. § 1125(a). As
to the Lanham Act claim, the panel further held that Rigsby
could not overcome GoDaddy’s immunity under the
Anticybersquatting Consumer Protection Act, which limits
the secondary liability of domain name registrars and
registries for the act of registering a domain name. The
panel concluded that Rigsby did not plausibly allege that
GoDaddy registered, used, or trafficked in his domain name
with a bad faith intent to profit, nor did he plausibly allege
that GoDaddy’s alleged wrongful conduct surpassed mere
registration activity>>

E sorpttutto sul § 230 CDA , che protegge da molte domande:

<<The panel held that § 230 of the Communications
Decency Act, which immunizes providers of interactive
computer services against liability arising from content
created by third parties, shielded GoDaddy from liability for
Rigsby’s state-law claims for invasion of privacy, publicity,
trade libel, libel, and violations of Arizona’s Consumer
Fraud Act.

The panel held that immunity under § 230
applies when the provider is an interactive computer
services, the plaintiff is treating the entity as the publisher or
speaker, and the information is provided by another
information content provider.

Agreeing with other circuits,
the panel held that domain name registrars and website
hosting companies like GoDaddy fall under the definition of
an interactive computer service.

In addition, GoDaddy was
not a publisher of scottrigsbyfoundation.org, and it was not
acting as an information content provider.>>

Creatività di opera digitale

Cass. 16.01.2023 n° 1.107, sez. 1, rel. Scotti,. sull’argomento.

Poche le consiedraizoni realmente interessanti, ripetendosi tralatici giudizi sulla creatività:

<<4.3. Nel caso di specie la Corte di appello è partita dall’esatta premessa, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale in tema di diritto d’autore il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la L. n. 633 del 1941, art. 1 non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, ma si riferisce, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 della legge citata, di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore.

Di conseguenza la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia; inoltre, la creatività non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere, che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione (Sez. 1, n. 25173 del 28.11.2011; Sez. 1, n. 21172 del 13.10.2011; Sez. 1, n. 20925 del 27.10.2005)>>.

Interessante è semmai il giudizio sul perchè la sentenza non sia apparente/carente , ma sufficientemente motivata: compito difficile su un concetto vago come quello di creativirtà. Ecco :

<<4.4. Nella fattispecie, la Corte di appello ha osservato che l’opera è creativa allorché esprime una idea originale, proveniente solo dall’ispirazione del suo autore e ha confermato la valutazione espressa dal giudice di primo grado, sostenendo che l’immagine non era una semplice riproduzione di un fiore, ma ne comportava una vera e propria rielaborazione, perciò meritevole di tutela autorale per il suo carattere creativo (pag.11, primo periodo).

La Corte di appello, poi, ha rafforzato tale valutazione, dando conto dell’ampia valorizzazione impressa all’opera da parte della stessa RAI in occasione della presentazione della manifestazione alla stampa periodica, volta a porre in risalto il fiore e la sua valenza simbolica facendolo campeggiare sul palco spoglio, invece tradizionalmente addobbato con vere decorazioni floreali. Ha infine considerato quale ulteriore indizio confirmativo il grado di notorietà raggiunto dall’opera sul web, dando conto di visualizzazioni, preferenze e commenti.

4.5. La motivazione è pertanto esistente e non meramente apparente e rende ragione del percorso seguito dai giudici genovesi: l’opera non è una semplice riproduzione di un fiore ma una sua rielaborazione; la stessa RAI l’ha implicitamente riconosciuto, valorizzandola in modo accentuato come simbolo della manifestazione; gli utenti hanno reagito positivamente con acquisizione di un buon grado di notorietà.>>

Inrterssante, infine, è l’apertura verso la creatività di opera frutto di software (intellegenza artificiale?):

<<5.1. La RAI si duole del fatto che la Corte di appello abbia erroneamente qualificato come opera dell’ingegno una immagine generata da un software e non attribuibile a una idea creativa della sua supposta autrice.

La ricorrente sostiene che l’opera dell’arch. B. è una immagine digitale, a soggetto floreale, a figura c.d. “frattale”, ossia caratterizzata da autosimilarità, ovvero da ripetizione delle sue forme su scale di grandezza diverse ed è stata elaborata da un software, che ne ha elaborato forma, colori e dettagli tramite algoritmi matematici; la pretesa autrice avrebbe solamente scelto un algoritmo da applicare e approvato a posteriori il risultato generato dal computer.

(…) 5.3. La questione è nuova perché non risulta trattata nella sentenza impugnata e la stessa ricorrente non indica quando e come l’avrebbe sottoposta al giudice di primo grado e a quello di appello.

Non è certamente sufficiente a tal fine l’ammissione della controparte di aver utilizzato un software per generare l’immagine, circostanza questa che, come ammette la stessa ricorrente, è pur sempre compatibile con l’elaborazione di un’opera dell’ingegno con un tasso di creatività che andrebbe solo scrutinato con maggior rigore (cfr ricorso, pag.17), se, com’e’ avvenuto nel caso concreto, la RAI non ha chiesto ai giudici di merito il rigetto della domanda per quella ragione.

E infatti si sarebbe reso necessario un accertamento di fatto per verificare se e in qual misura l’utilizzo dello strumento avesse assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa.>>

La Sc ribadisce cjhe il giuidizi odi creatività è di fatti e no di diriutto, , § 4.6. Il che però non è esatto.

Domanda di marchio in mala fede perchè mirante a sottrarre il segno alla massa attiva, gestita dalla Procedura di Insolvenza

interessante caso deciso da Trib. UE 10.01.2023, T-528/21, Neratax ltd v. EUIPO + altri .

In pratica il successivo retgistrante era d’accordo col primo registrante , il quale era caduto in insolvenza e aveva permesso la registrazione e poi lasciando decadere il proprio diritto.

Agiscono in gudizio, per fare valere la malafede del deposito, alcuni creditori della società insolvente (tipo la ns. surrogatoria ex 2900 cc ?’).

Il Trib. conferma le decisioni amminsitrative e ravvisa mala fede nel deposito.

Ratione temporis applica il reg. 207/2009, art. 51.1.b.

<< 49   In that regard, the Board of Appeal, after setting out the chronology of events, found that it had been shown that the filings of the contested marks were a key part of a coordinated strategy, between the applicant and Krentin, to remove earlier national marks of some value from the assets of Krentin while ensuring that they were registered by means of equivalent EU trade marks covering the same goods. The Board of Appeal took the view that, consequently, the contested marks had been filed with the aim of undermining the interests of third parties and not with the aim of supplying the goods concerned to the European market in a climate of fair competition, as the applicant submits.

50      As has been pointed out in paragraph 42 above, it is apparent from the case-law that bad faith can be characterised by, inter alia, the intention of obtaining an exclusive right for purposes other than those falling within the functions of a trade mark, in particular the essential function of indicating origin. In the present case, it is apparent from the chronology set out in paragraphs 2 to 18 above that the applicant, first of all, filed the contested marks, which were registered without opposition on the part of Krentin, which was the proprietor of the earlier national marks, and then granted licences in respect of them to Krentin or companies which had close links with Krentin. Thereafter, around two months before it applied to be declared insolvent, Krentin surrendered its rights in the earlier national marks which were equivalent to the contested marks. That had the result of preventing the intellectual property rights conferred by the earlier national marks from forming part of Krentin’s assets although control over them was retained after they had been turned into equivalent EU trade marks.

51      In that regard, the applicant does not provide any plausible explanation regarding the commercial logic underlying the applications for registration of the contested marks. Moreover, it has not adduced any evidence to prove that it actually supplied the goods covered by the contested marks to the European market or even carried out an actual commercial activity other than owning the contested marks and granting them by means of licences to the company which was the proprietor of the earlier national marks or to companies which had close links with that company. It must be stated that the applicant has confined itself to repeating the arguments which it had already submitted before the Board of Appeal, by claiming that it was founded for the purpose of supplying those goods to the European market beginning with Germany and Cyprus. Consequently, and as the Board of Appeal correctly pointed out in the contested decisions, there is no conceivable reason other than that set out in paragraph 50 above for a company like Krentin to agree to having licences granted to itself, over EU trademarks which are equivalent to national marks of which it is the proprietor, and to surrendering its marks afterwards.   The applicant’s intention was not therefore that of supplying the goods concerned to the European market as it claims, but that of removing intellectual property rights from Krentin’s assets, as was correctly explained in the contested decision.

52      Furthermore, the contradictions in the applicant’s arguments, which were pointed out by the Board of Appeal, only bear out the existence of a dishonest intention. In that regard, the Board of Appeal pointed out that the applicant had explained, during the proceedings before the Cancellation Division, that there was contact between itself and Krentin only after the applications for registration of the contested marks had been filed. However, as is apparent from paragraph 28 of the application, and as EUIPO has correctly pointed out, the applicant nevertheless claims that it reached an agreement with all the parties involved (Krentin, CREDIN Denmark, Bertzeletos SA and Mr Théodore Bertzeletos) in 2014, before it filed the applications for registration of the contested marks. It must be stated that the applicant has in no way provided any explanations regarding that contradiction.

53      Consequently, the Board of Appeal was right in finding that the applicant had filed the contested marks with the aim of undermining the interests of third parties and not with the aim of supplying the goods concerned to the European market in a climate of fair competition>>.

Lecita riprodizione dell’immagine altruji su qutodiano in occasione di pubblico evento

Cass. sez. III del 25/01/2023 n. 2.304, rel. Dell’Utri, sul tema.

Non ci sono elaborazioni particolari.

Mi pare dubbio assai un paio di passaggi.

1°  <<vale peraltro rilevare come la questione di fatto posta ad oggetto dell’odierno censura attenga ad un aspetto del tutto marginale della vicenda in esame, apparendo del tutto evidente che il profilo di consenso rilevante, ai fini della legittimazione alla diffusione dell’immagine, non deve tanto riguardare lo scatto della fotografia in sé, bensì la diffusione della stessa su un organo di stampa, apparendo, conseguentemente, del tutto irrilevante la circostanza che le persone ritratte abbiano manifestato la propria disponibilità ‘ad essere fotografate’, ben potendo conservare la propria volontà contraria alla diffusione di tale fotografie su un organo ad ampia diffusione come un giornale quotidiano: questione, quest’ultima, rimasta del tutto estranea ai termini dell’odierna censura;>>.

Non si chiede la SC se il consenso alla foto comprendesse (tacitamente magari, cioè alla luce delle circostanze) anche quello alla successiva diffusione via stampa (perchè mai, potrebbe taluno pensare,  una persona si fa fotografare magari da un fotografo professionsta del quotidiano? Andava approfondito il fatto).

2°  <<peraltro, in tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 97, comma 2, ricorrendo le quali l’immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall’interesse pubblico all’informazione, determinando una pretesa risarcitoria solo se da tale evento derivi pregiudizio all’onore o al decoro della medesima.>.

L’art. 97.2 cit. dice “non può essere esposto o messo in commercio>>: per cui non c’è solo il diritto al risarcimento, ma anche quello di vietare l’esposizione (tutela reale, non solo obbligatoria).

Risarcimento del danno, trasferimento dei profitti e restituzione dell’indebito: brevissime sui rimedi contro la contraffazione brevettuale (art.. 125 cod. propr. ind.)

Mero accenno a temi complessi in Cass. sez. 1 n_ 1692 del 19.01.2023, rel. Valentino D., in tema di risarcimento del danno da violazione brevettuale (a seguito di un lunghissimo processo: fatti del 1992/3 !!)

Premessa generale: <<In generale, è pur vero che questa Corte ha costantemente ribadito che la liquidazione in via equitativa è legittima solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione e che la liquidazione equitativa del danno presuppone l’esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico), nonché vi sia l’impossibilità, l’estrema o la particolare difficoltà di provarlo nel suo preciso ammontare in relazione al caso concreto (ex multis Cass., n. 5956 del 2022). Invero, il giudice che opta per tale valutazione deve adeguatamente dar conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, restando, poi, inteso che al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, occorre che il giudice indichi, anche solo sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti, per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass., n. 12009/2022).

In particolare, però, in tema di lesione del diritto dell’inventore del brevetto questa Corte ha più ribadito che il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale (Cass., n. 5666/2021; Cass., n. 20236/2022).>>

Ricorda poi che <<Questa Corte (Cass., n. 4048 del 2016) aveva, già, affermato la regola iuris secondo cui, “in tema di valutazione equitativa del danno subito dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno, non è precluso al giudice il potere dovere di commisurarlo, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall’attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo”.>>

Principio di diritto per il giudice di rinvio:

“In tema di proprietà industriale, in caso di lesione del diritto dell’inventore al proprio brevetto, il danno accertato va liquidato tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito dal contraffattore, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa, che però non è sufficiente a dar conto del suo ammontare a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi e ragionevoli criteri, per la sua liquidazione, allo scopo di giungere a una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale”.

Sentenza non positiva, buttando qua e là senza spiegazione concetti complessi come risarcimento del danno, profitti del violatore e royalty ragionevole.

 Motivazione esiguissima se non inesistente , anche perchè quasi mero collage di propri precedenti senza speigazione del relatore.