Risarcimento del danno, trasferimento dei profitti e restituzione dell’indebito: brevissime sui rimedi contro la contraffazione brevettuale (art.. 125 cod. propr. ind.)

Mero accenno a temi complessi in Cass. sez. 1 n_ 1692 del 19.01.2023, rel. Valentino D., in tema di risarcimento del danno da violazione brevettuale (a seguito di un lunghissimo processo: fatti del 1992/3 !!)

Premessa generale: <<In generale, è pur vero che questa Corte ha costantemente ribadito che la liquidazione in via equitativa è legittima solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione e che la liquidazione equitativa del danno presuppone l’esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico), nonché vi sia l’impossibilità, l’estrema o la particolare difficoltà di provarlo nel suo preciso ammontare in relazione al caso concreto (ex multis Cass., n. 5956 del 2022). Invero, il giudice che opta per tale valutazione deve adeguatamente dar conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, restando, poi, inteso che al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, occorre che il giudice indichi, anche solo sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti, per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass., n. 12009/2022).

In particolare, però, in tema di lesione del diritto dell’inventore del brevetto questa Corte ha più ribadito che il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale (Cass., n. 5666/2021; Cass., n. 20236/2022).>>

Ricorda poi che <<Questa Corte (Cass., n. 4048 del 2016) aveva, già, affermato la regola iuris secondo cui, “in tema di valutazione equitativa del danno subito dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno, non è precluso al giudice il potere dovere di commisurarlo, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall’attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo”.>>

Principio di diritto per il giudice di rinvio:

“In tema di proprietà industriale, in caso di lesione del diritto dell’inventore al proprio brevetto, il danno accertato va liquidato tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito dal contraffattore, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa, che però non è sufficiente a dar conto del suo ammontare a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi e ragionevoli criteri, per la sua liquidazione, allo scopo di giungere a una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale”.

Sentenza non positiva, buttando qua e là senza spiegazione concetti complessi come risarcimento del danno, profitti del violatore e royalty ragionevole.

 Motivazione esiguissima se non inesistente , anche perchè quasi mero collage di propri precedenti senza speigazione del relatore.

L’eccezione ex art. 65 l. aut. comprende non solo la riproduzione in giornali o riviste ma anche in rassegne-stampa

Precisazioni utili sull’eccezione ex art. 65 l. aut. dalla sempre ottima penna del rel. Scotti della sez. 1 in Cass. 1.651 del 19.01.2023 (azione di accertamento negativo).

Ai fatti non si applica la dir. 790/2019 o meglio il d. lgs di attuazione (177/2021, art. 43 bis l. aut.), precisa la SC.

Al § 5 e § 11 p. 8 e p. 12/3  la ratio della’rt. 65 l. aut.

Al § 7 la SC conferma la natura eccezionale della facoltà ex art. 65. Però, nonostante l’art. 14 oprel.  vieti l’analogia legis,  è ammessa l’interpretazione estensiva (p.12).

eD ALLORA: <<La ratio dell’art.65, comma 1, l.d.a. va chiaramente colta nella
ritenuta meritevolezza di tutela, anche in base ai valori
costituzionali, della finalità informativa delle pubblicazioni (riviste e
giornali, anche radiotelevisivi) che godono dell’eccezione in una
prospettiva di amplificazione della risonanza dell’articolo di attualità
nell’interesse pubblico alla massima circolazione delle informazioni.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale13 di 19
Ed allora, non si scorge alcuna differenza apprezzabile, come
correttamente osservato dalla Corte romana, tra i giornali e le
riviste, da un lato, e le rassegne stampa, dall’altro, che sono
destinate a soddisfare una innegabile finalità informativa, pur
indubbiamente selettivamente appuntata su di uno specifico
interesse nutrito dal pubblico di riferimento.
Non si comprenderebbe quindi per quale ragione l’eccezione
avrebbe dovuto valere solo per una pubblicazione come un giornale
o una rivista, magari super-specialistica, e non già per una
rassegna compilativa, altrettanto specialistica o di nicchia.
La distinzione, posta in risalto dai ricorrenti, fra interesse pubblico
alla lettura di giornali e riviste e interesse privato alla lettura di
rassegne stampa, si rivela, ad attenta analisi, fuorviante: in
entrambi i casi vi è un interesse generale, collettivo e più ampio,
alla circolazione e alla diffusione delle informazioni, e un interesse
privato e particolare, che al primo si sovrappone, a soddisfare il
bisogno informativo di una collettività, un gruppo o un soggetto.
Il tutto, sullo sfondo e nell’inquadramento generale dell’espresso
riconoscimento della liceità dell’attività di redazione di rassegne
stampa mediante citazione di articoli di giornale, beninteso nel
rispetto delle regole di correttezza professionale, impresso dal
ricordato art.10 della Convenzione di Berna.
La finalità di lucro è ininfluente, in quanto non considerata nella
disposizione dell’art.65 l.d.a., ma solo nel secondo comma
dell’art.101 l.d.a. (su cui infra) e comune anche alla diffusione di
giornali e riviste>>.

Fotografia scattata dall’amico del proprietario della macchina fotografica a richeista e su istruzioni di quest’ultimo: chi ne è l’autore?

Interessante questione affrontata dal US District Court for the Northern District of Illinois qualche giorno fa .

La corte l’ha risolta riconoscendo l’autoralità in capo a chi scattò, non al proprietario della macchina fotografica: e ciò sebbene fosse stato quest’ultimo  a a preimpostare i comandi e i settaggi per poi cedere l’apparecchio all’amico perchè scattasse.

Ci pare invece che – da noi- potrebbe benissismo trattarsi di opera in comunione ex art. 10 l. aut.

(Notizia da post 25.01.2023 del prof. Eric Goldman).

Due report di case law dell’EUIPO sui segni distintivi: i) contrarietà a ordine pubblico e morale; ii) slogan

qui la pagina EUIPO 31 marzo 2022 con la notizia ;

iovi i due link ai due pdf :

i) OP e morale ;

ii) slogan .

 

 

Abuso di dominanza di Google nel mercato della pubblicià digitale: partita azione di alcuni stati USA

V. la notizia ad es. in Bloomberg law “US Sues Google to Break Up Ad Unit in Escalating Antitrust Fight” e qui il link diretto al pdf dell’atto introduttivo.

Spicca al IX. REQUEST FOR RELIEF, p 139-140, la richiestga di cessione forzosa del ramo di azienda:

<<Order the divestiture of, at minimum, the Google Ad Manager suite, including both Google’s publisher ad server, DFP, and Google’s ad
exchange, AdX, along with any additional structural relief as needed to
cure any anticompetitive harm;>>.

Vedremo.

Qui breve intervista trascritta a Luigi Zingales sul punto in npr.org 26.01.2023 .

Amazon è corresponsabile di violazione di marchio per i prodotti contraffatti venduti sul suo marketplace

Sentenza euroepa di notevole rilievo sul tema in oggetto: Corte Giustizia 22.12.2022, cause riunite C-148/21 e C-184/21, Louboutin c. Amazon.

Louboutin L. agì contro Amazon (A.) per violazione di marchio azionando la norma corrispondente all’art. 9.2.a) dir,. 2017/1001. e spt. il § 3.b).

Quesito: << Con le loro questioni, che devono essere esaminate congiuntamente, i giudici del rinvio chiedono, in sostanza, se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001 debba essere interpretato nel senso che si possa ritenere che il gestore di un sito Internet di vendita online che integra, oltre alle proprie offerte di vendita, un mercato online usi esso stesso un segno identico a un marchio dell’Unione europea altrui per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando venditori terzi propongono in vendita su detto mercato, senza il consenso del titolare del citato marchio, siffatti prodotti recanti il suddetto segno. Essi si chiedono, in particolare, se sia rilevante a tal riguardo il fatto che detto gestore ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e offra ai venditori terzi, nell’ambito della commercializzazione dei loro prodotti, servizi complementari consistenti nel fornire assistenza per la presentazione dei loro annunci nonché nello stoccaggio e nella spedizione dei prodotti proposti sul medesimo mercato. In siffatto contesto, i giudici del rinvio si interrogano altresì sulla questione se occorra prendere in considerazione, eventualmente, la percezione degli utenti del sito Internet in questione.>>, § 23.

risposta:

1° passo: <<Pertanto, per accertare se un annuncio, pubblicato su un sito Internet di vendita online che integra un mercato online da un venditore terzo attivo su quest’ultimo, che utilizza un segno identico a un marchio altrui possa essere considerato parte integrante della comunicazione commerciale del gestore di detto sito Internet, occorre verificare se tale annuncio possa stabilire un nesso tra i servizi offerti da detto gestore e il segno in questione, per il motivo che un utente normalmente informato e ragionevolmente attento potrebbe ritenere che sia il suddetto gestore a commercializzare, in nome e per conto proprio, il prodotto per il quale viene utilizzato il segno in questione.>>, § 48.

<< Per quanto riguarda, in primo luogo, la modalità di presentazione di tali annunci, si deve ricordare che la necessità che gli annunci su Internet siano mostrati in modo trasparente è sottolineata nella legislazione dell’Unione sul commercio elettronico (sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 95). Gli annunci pubblicati su un sito Internet di vendita online che integra un mercato online devono quindi essere presentati in modo da consentire a un utente normalmente informato e ragionevolmente attento di distinguere facilmente le offerte provenienti, da un lato, dal gestore di tale sito Internet e, dall’altro, da venditori terzi attivi sul mercato online ivi integrato (v., per analogia, sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 94).

51      Orbene, la circostanza che il gestore di un sito Internet di vendita online che integra un mercato online ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo i propri annunci e quelli dei venditori terzi e facendo apparire il proprio logo di noto distributore tanto sul suo sito Internet quanto su tutti i suddetti annunci, compresi quelli relativi a prodotti offerti da venditori terzi, può rendere difficile tale chiara distinzione e dare quindi all’utente normalmente informato e ragionevolmente attento l’impressione che sia il suddetto gestore a commercializzare, in nome e per conto proprio, anche i prodotti offerti in vendita dai menzionati venditori terzi. Pertanto, se detti prodotti recano un segno identico a un marchio altrui, tale presentazione uniforme è idonea a creare un collegamento, agli occhi di siffatti utenti, fra il segno in questione e i servizi forniti dal medesimo gestore.

  In particolare, quando il gestore di un sito Internet di vendita online associa alle varie offerte, provenienti da lui stesso o da terzi, senza distinzioni in funzione della loro origine, etichette quali «bestseller», «i più desiderati» o «i più regalati», al fine segnatamente di promuovere alcune di tali offerte, siffatta presentazione è idonea a rafforzare nell’utente normalmente informato e ragionevolmente attento l’impressione che i prodotti così promossi siano commercializzati da detto gestore, in nome e per conto proprio.>>, §§ 49-50.

2° passo:

< In secondo luogo, la natura e la portata dei servizi forniti dal gestore di un sito Internet di vendita online che integra un mercato online ai venditori terzi che propongono su tale mercato prodotti recanti il segno in questione, come quelli consistenti, in particolare, nel trattamento delle domande degli utenti relative a tali prodotti o nello stoccaggio, nella spedizione e nella gestione dei resi di detti prodotti, possono del pari dare l’impressione, a un utente normalmente informato e ragionevolmente attento, che questi stessi prodotti siano commercializzati da detto gestore, in nome e per conto proprio, e quindi creare un nesso, agli occhi di tali utenti, tra i suoi servizi e i segni che appaiono su detti prodotti nonché negli annunci dei menzionati venditori terzi>>, § 53.

Risposta finale:

<<l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001 deve essere interpretato nel senso che si può ritenere che il gestore di un sito Internet di vendita online che integra, oltre alle proprie offerte di vendita, un mercato online utilizzi esso stesso un segno identico a un marchio dell’Unione europea altrui per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando venditori terzi propongono in vendita sul mercato in parola, senza il consenso del titolare di detto marchio, siffatti prodotti recanti il suddetto segno, se un utente normalmente informato e ragionevolmente attento di tale sito stabilisce un nesso tra i servizi del menzionato gestore e il segno in questione, il che si verifica in particolare quando, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione di cui trattasi, un utente siffatto potrebbe avere l’impressione che sia il gestore medesimo a commercializzare, in nome e per conto proprio, i prodotti recanti il suddetto segno. È rilevante a tale riguardo il fatto che detto gestore ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e che esso offra ai venditori terzi, nell’ambito della commercializzazione dei prodotti recanti il segno in questione, servizi complementari consistenti in particolare nello stoccaggio e nella spedizione di tali prodotti.>>, § 54

Sul rischio di confondibilità tra marchi per servizi di Yoga

Si considerino i segg. marchi in conflitto:

anteriorità

e

marchio successivo chiesto in registrazione

Ebbene, Trib. UE 18.01.2023, T-443/21, conferma l’ufficio ammisnitgrativo nella decisione per cui non son confondibili (merceologicamente quasi uguali).

Disposizione governante la lite: art. 8.1.b reg. 2017/1001

§§ 42, 45, 48: consumatore di media attenzione o più che media.

Giudizio:

<< 116    In the present case, it has been established that the public to be taken into account for the purposes of examining the likelihood of confusion is the average non-English-speaking consumer in the European Union with a level of attention which varies from average to ‘above average’, depending on the category of services under consideration. That public is able to understand the meaning of the common word elements of the marks at issue. Furthermore, the services at issue in Class 41 covered by the mark applied for have been considered to be in part identical and in part similar to the services covered by the earlier mark in the same class. Furthermore, the signs at issue have been found to be visually similar to a low degree and phonetically and conceptually similar to an average degree. Lastly, it is apparent from the analysis carried out in paragraphs 110 to 113 above that the inherent distinctive character of the earlier mark is weak.

117    As a preliminary point, in accordance with the principle of the interdependence between the factors to be taken into consideration when examining the likelihood of confusion, it must be noted, as EUIPO rightly pointed out, that the ratio legis of trade mark law is to strike a balance between the interest which the proprietor of a trade mark has in safeguarding its essential function, on the one hand, and the interests of other economic operators in having signs capable of denoting their products and services, on the other (see, by analogy, judgment of 6 February 2014, Leidseplein Beheer and de Vries, C‑65/12, EU:C:2014:49, paragraph 41).

118    It follows that excessive protection of marks consisting of elements which, as in the present case, have very weak distinctive character, if any, in relation to the services at issue could adversely affect the attainment of the objectives pursued by trade mark law, if, in the context of the assessment of the likelihood of confusion, the mere presence of such elements in the signs at issue led to a finding of a likelihood of confusion without taking into account the remainder of the specific factors in the present case.

119    It should be remembered that the visual, phonetic or conceptual aspects of the signs at issue do not always have the same weight and it is appropriate, in that global assessment, to take into account the nature of the services at issue and to examine the objective conditions under which the marks may appear on the market (see judgment of 26 June 2008, SHS Polar Sistemas Informáticos v OHIM – Polaris Software Lab (POLARIS), T‑79/07, not published, EU:T:2008:230, paragraph 49 and the case-law cited).

120    Thus, in accordance with the case-law cited in paragraph 119 above, in the present case, it must be held that, in view of the fact that the phonetic and conceptual similarities are based exclusively on word elements which are devoid of distinctive character, the clear visual differences between them have a greater impact in the global assessment of the likelihood of confusion.

121    In that regard, it should be borne in mind that, where the earlier trade mark and the sign whose registration is sought coincide in an element that is weakly distinctive with regard to the goods at issue, the global assessment of the likelihood of confusion within the meaning of Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001 does not often lead to a finding that such likelihood exists (see, to that effect, judgment of 18 June 2020, Primart v EUIPO, C‑702/18 P, EU:C:2020:489, paragraph 53 and the case-law cited).

122    In those circumstances, it must be held that, in the context of a global assessment of the likelihood of confusion, having regard to the weak distinctive character of the common elements ‘yoga alliance’, the presence of figurative elements which are visually very different will enable the average consumer to make a clear distinction between the marks at issue, even for the part of the relevant public with an average level of attention, despite the identical or similar character of the services at issue. That is all the more true for the part of the relevant public with an above average level of attention. Accordingly, it follows that the Board of Appeal’s error in relation to the level of attention of the relevant public in respect of the ‘educational’ services found in paragraph 50 above cannot have a decisive effect on the outcome of the global assessment of the likelihood of confusion.

123    It follows from all the foregoing considerations that the Board of Appeal correctly concluded that there was no likelihood of confusion on the part of the relevant public as regards the fact that the services at issue may come from the same undertaking or, as the case may be, from economically linked undertakings>>.

Insufficiente affinità merceologica tra abbigliamento ed orologi di lusso: non raggiuntra la prova dell’abuso di notorietà o del danno ad essa

Trib. UE 18.01.2023, T-726/21, Rolex SA c. EUIPO-PWT A/S  nell’opposizione di Rolex (alta orologeria)  contro marchio simile per abbigliamento.

marchio dell’istante
anteriorità 1 dell’opponente Rolex

e

anteriorità 2 dell’opponente ROlex

<< it has already been held that jewellery and watches, even precious stones, one the one hand, and items of clothing, on the other, could not be regarded as similar (see, to that effect, judgments of 24 March 2010, 2nine v OHIM – Pacific Sunwear of California (nollie), T‑364/08, not published, EU:T:2010:115, paragraph 33 and the case-law cited, and of 10 October 2018, Cuervo y Sobrinos 1882 v EUIPO – A. Salgado Nespereira (Cuervo y Sobrinos LA HABANA 1882), T‑374/17, not published, EU:T:2018:669, paragraph 35 and the case-law cited). (…)

In addition, it must be pointed out that the fact that the goods at issue may be sold in the same commercial establishments, such as department stores, is not particularly significant, since very different kinds of goods may be found in such shops, without consumers automatically believing that they have the same origin (see, to that effect, judgment of 2 July 2015, BH Stores v OHIM – Alex Toys (ALEX), T‑657/13, EU:T:2015:449, paragraph 83 and the case-law cited).>>, §§ 25 E 31.

Sullo sfruttamento della e/o sul danno alla rinomanza:

<< 42   In order to benefit from the protection introduced by the provisions of Article 8(5) of Regulation No 207/2009, the proprietor of the earlier mark must, first of all, adduce proof, either that the use of the mark applied for would take unfair advantage of the distinctive character or the repute of the earlier mark, or that it would be detrimental to that distinctive character or that repute (see, by analogy, judgment of 27 November 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, paragraph 37).

43      In that regard, although the proprietor of the earlier trade mark is not required to demonstrate actual and present injury to its mark for the purposes of Article 8(5) of Regulation No 207/2009, it must, however, prove that there is a serious risk that such an injury will occur in the future (judgment of 4 March 2020, Tulliallan Burlington v EUIPO, C‑155/18 P to C‑158/18 P, EU:C:2020:151, paragraph 75; see also, by analogy, judgment of 27 November 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, paragraph 38).

44      The Board of Appeal noted that, in order to demonstrate the existence of one of the types of injury referred to in Article 8(5) of Regulation No 207/2009, the applicant had not submitted observations to it, but that, before the Opposition Division, it had argued that the intervener could take unfair advantage of the degree of recognition of the earlier composite mark on account of the fact that the signs at issue were almost identical and the immense reputation acquired by the earlier marks, which allegedly convey images of prestige, luxury and an active lifestyle. It found that, by those arguments, the applicant had in fact merely referred to the wording of Article 8(5) of Regulation No 207/2009, without submitting any coherent arguments as to why one of such injuries would occur. The Board of Appeal inferred from this that no injury referred to in that provision was established>>.

Plagio di opera letteraaria: domanda rigettata dal Tribunale di Milano

Trib, Milano n. 9067/2019 del 09.10.2019, RG 39174 / 2016, rel. Bellesi, sull’oggetto, azione svolta -senza successo- contro (l’erede di) Sebastiano Vassalli per il suo Io Partenope.

Come spesso capita in questi casi, l’opera azionata è una ricostruzione di fatti storici del lontano passato e  basata su fonte comune (qui : vicenda napoletana del 1600 all’epoca dell’Inquisizione). Come pure spesso capita, la domanda fa valere un contatto realmente avvenuto tra le parti.

Inrteressante è l’analisi fattuale del Tribunale circa la comparazione tra le le due opere a paragone, qui non esaminabile in dettaglio.

<<Come è noto, infatti, perché sia ravvisabile il plagio è necessario non solo che l’idea che sta alla base di un’opera sia la medesima dell’opera che si assume plagiata, ma anche che uguale sia il modo concreto di realizzazione dell’opera stessa e che vi sia appropriazione degli elementi creativi dell’opera altrui, tanto da potersi cogliere una vera e propria trasposizione, nell’opera letteraria successiva, del nucleo individualizzante che la caratterizza come originale (in tal senso, fra le altre, Tribunale Milano 11.6.2001 e Tribunale Napoli 23.6.2009). Occorre pertanto verificare se la struttura e dunque gli elementi peculiari in cui si estrinseca la creazione di Fabio Romano (forma interna) siano stati ripresi e fatti propri da Sebastiano Vassalli.
La lettura dei due testi messi a confronto fa emergere una radicale diversità di approccio alla storia di Giulia di Marco, alla cui vita e alle cui vicende entrambi si riferiscono: laddove il libro di Fabio Romano pone in risalto ed enfatizza i profili scandalistici, evidenziati nella quarta di copertina della seconda edizione con una presentazione dell’opera quale “kolossal della passione carnale e del misticismo”, il libro di Sebastiano Vassalli accentua e sottolinea i risvolti più intimi della storia della mistica eretica, giungendo all’esito di una ricerca sulla spiritualità femminile che era iniziata con “La chimera”, la cui protagonista è anch’ella vittima dei pregiudizi culturali di un mondo e di un apparato ecclesiastico che sono espressione del predominio maschile nella società e nella Chiesa>>

Po ad es. :

<<Nella dettagliata elencazione, contenuta nell’atto di citazione, di 73 passaggi del libro di Sebastiano Vassalli, gli attori riportano quelle che definiscono analogie rispetto all’opera del Romano e, nella memoria depositata si sensi dell’art.183 sesto comma n. 1 c.p.c., gli stessi individuano altri 69 punti, assumendo che essi rappresentano altrettante corrispondenze con analoghi passaggi dell’opera del Vassalli.
Tutti i punti evidenziati in citazione e nella memoria vengono indicati anche quale prova del lamentato plagio formale, asserendo gli attori che essi “copiati, o maldestramente rielaborati, formano parte integrante del romanzo” (pag.9 della comparsa conclusionale degli attori).
Al riguardo, il Collegio osserva che nessuno dei passaggi elencati costituisce pedissequa e letterale ripresa delle soluzioni formali già adottate nell’opera del Romano. Sembra pertanto che, relativamente ad essi, gli attori, che lamentano la “palese vicinanza  contenutistica, nonché affinità lessicali, formali e sostanziali”, intendano riferirsi essenzialmente al plagio camuffato, poiché sostengono che le varianti introdotte nell’opera del Vassalli non sono sufficienti ad attribuirle autonomia rispetto alla propria.
Ritiene invece il Tribunale, all’esito di un’attenta e puntuale verifica dei passaggi richiamati, che le cosiddette analogie e corrispondenze rinvenute non siano tali da configurare il plagio.>>