Componente denominativa e figurativa nel giudizio di confondibilità tra marchi

Si considerino i seg. marchi a paragone:

Il Board of appeal EUIPO 5 agosto 2024 , case R 1839/2023-5, L’Oreal c. Guangzhou Ya Ti Ao Jia Cosmetics Co., Ltd, conferma che non c’è confondiiblità.

Nemmeno è riconosciuta la tutela allargata, § 86 ss., per assenza sia di reputation che di connessione/link tra i due segni.

Segnalazione e link da parte di Marcel Pemsel in IPKat

Il digital lending di e-books da parte di Internet Archive non costituisce “fair use”

Così l’appello del 2° circuito 4 settembre 2024,  Docket No. 23-1260, HACHETTE BOOK GROUP , INC., HARPERCOLLINS PUBLISHERS L.L.C., JOHN WILEY &
SONS , INC., PENGUIN RANDOM HOUSE LLC contro Internet Archive (MENASHI, ROBINSON, and KAHN Circuit Judges), su un tema ancora controverso pure in UE.

Internet Archive (poi: IA) scansiona in toto libri senza fine di lucro (<<is it “fair use” for a nonprofit organization to scan copyright-protected print books in their entirety anddistribute those digital copies online, in full, for free, subject to a one-to-one owned-to-loaned ratio between its print copies and the digital copies it makes available at any given time, all without authorization from the copyright-holding publishers or authors?>>, p. 7; dettagli sul fatto p. 11).

La ratio della tutela da copyright è prevalebntemente pubblicistica: promuovere la creazione di opere. V. : <<The monopoly created by the Copyright Act “rewards the individual author in order to benefit the public”; the idea being that authors and inventors will be more motivated to produce new works if they know those works will be protected, and the public will benefit from both restricted access to those works in the short term and unfettered access in the long term, once the period of exclusive control expires. Harper & Row, 471 U.S. at 546. The Act therefore “reflects a balance of competing claims upon the public interest: Creative work is to be encouraged and rewarded, but private motivation must ultimately serve the cause of promoting broad public availability of literature, music, and the other arts.” Twentieth Century Music Corp. v. Aiken, 422 U.S. 151, 156 (1975)>> p. 18

Dei quattro fattori da conteggiare secondo il § 107, nessuno è a favore di IA,.  Circa il primo, è vero che la commerciality lo è; ma ciò è controbilanciato dalla Transformativeness, che, da un lato, è a favore degli editori e, dall’altro, è più importante, p. 21 e 38/9.

Ne dà notizia Ars Technica che offre pure il link diretto al documento .

Sentenza interessante, anche se la disciplina del fair use è un pò diversa da quella nazionale/europea.

Da noi v. gli ottimi lavori si Caterina Sganga sull’esaurimento digitale nel copyright UE (ad es. in Diritto dell’informazione e dell’informatica 2020-3  e 2019-1).

L’algoritmo di Tiktok , decidendo il feed degli utenti,. fa si che la piattaforma sia corresponsabile dei loro conteuti

Eric Goldman ci informa sull’appello del 3 circuito n. 22-3061,TAWAINNA ANDERSON, v. TIKTOK, INC.; BYTEDANCE, INC, 27.08.2024. relativo ad uno dei purtroppo frequenti demenziali video di challenge, che spingono giovani e giovanissimi a sfide pericolosissime (asfissia)

Per il collegio, il fatto che il newsfeed sia governato da TikTok fa si che i materiali caricati siano attribuibili non solo all’utente, ma anche a Tik Tok, ai fini del safe harbour ex §230 CDA.

Si tratta quindi non di third-party speech ma di first-party speech.

Tesi che, dice il 3 Circ. , è confermata dalla sentenza della Corte Suprema Moody v. NetChoice, LLC del 2024, per la quale spetta alle piattaforme la tutela del diritto di parola: ne sopportino allora le coerenti conseguenze circa il § 230 CDA.

DA noi l’art. 6 del DSA (reg. UE 2022/2065) ha diversa formulazione: irresponsabilità per “informazioni memorizzate su richiesta di un destinatario”, purchè non sappia o rimuova immediatamente.

Ma il tema si pone lo stesso, alla luce della copiosa giurisprudenza nazionale ed europea sul punto, pur legata alla precedenti disposizioni (d lgs 70 del 2003 e dir. UE 2000/31) (v concetto di hosting provider “attivo”)

Google ha illecitamente monopolizzato il settore dei motori di ricerca

Circola ormai dappertutto la notizia in oggetto. che ritiene Google autore di violazione.

Si tratta di US D. of Columbia 5 agosto 2024 Case No. 20-cv-3010 (APM) e Case No. 20-cv-3715 (APM), giudice Amit P. Mehta.

Ne parla ad es sul NyT del 27 agosto Julia Angwin che dà pure il link al full text fornito dal NYT medesimodisponibile pure qui in caso di paywall del NYT.

La decisione è assai lunga ma molto interessante per chi si interessa di antitrust nei mercati digitali. Anzi pure per chi semplicemetne voglia capire il business dei motori di ricerca /o vuole fare pubblicità loro tramite: la descrizione dei termini economici e commercial è dettagliata assai.

La posizione dominante, in sostanza monopolistica, è datga dalla percentuale del  89.2 del mercato (94.9 sui cell.): v. §§ 23/24.

Ricordo solo due punti: quello (all’inizio) che anticipa le conclusioni e poi quello sull’importanza della dimensioni di scala.

Sul primo:

<<After having carefully considered and weighed the witness testimony and evidence, the court reaches the following conclusion: Google is a monopolist, and it has acted as one to maintain its monopoly.

It has violated Section 2 of the Sherman Act. Specifically, the court holds that (1 ) there are relevant product markets for general searchservices and general search text ads; (2) Google has monopoly power in those markets;(3) Google’s distribution agreements are exclusive and have anticompetitive effects; and(4) Google has not offered valid procompetitive justifications for those agreements. Importantly, the court also finds that Google has exercised its monopoly power by charging supracompetitiveprices for general search text ads. That conduct has allowed Google to earn monopoly profits.Other determinations favor Google. The court holds that ( 1 ) there is a product market for search advertising but that Google lacks monopoly power in that market; (2) there is no product market for general search advertising; and (3) Google is not liable for its actions involving its advertising platform, SA360. The court also declines to sanction Google under Federal Rule ofCivil Procedure 37(e) for its failure to preserve its employees’ chat messages>>.
Poi sulla struttura dell’atto decisionale: <<This decision is organized as follows. The court begins with a brief procedural history.It then sets forth findings of fact. They are followed by the court’s conclusions of law regardingthe challenged distribution agreements. The court first addresses market definition and monopolypower, then the exclusionary nature of the conduct (including the contracts’ exclusivity), and finally the agreements ‘ anticompetitive effects and Google’s procompetitive justifications forthem. A discussion of the SA360-related conduct follows. The opinion ends with brief sections on anticompetitive intent, as well as Plaintiffs ‘ request for sanctions. The court has included as an Appendix a list of the names and titles of all witnesses whose testimony is cited in the decision” (pag. 4).

Sul secondo, v.si sub G ai §§ 86 ss e poi sub V.A.2. “b. The Impact ofScale” alle pp. 230 ss (234 ss del pdf).

Assai interessante è la parte sulla distrubizione dei motori di ricerca generalisti (GSE), §§ 58 ss sub F.

La norma azionata dello Sherman Act (v.lo nello US Code offerto da Cornell): Every person who shall monopolize, or attempt to monopolize, or combine or conspire with any other person or persons, to monopolize any part of the trade or commerce among the several States, or with foreign nations, shall be deemed guilty of a felony, and, on conviction thereof, shall be punished by fine not exceeding $100,000,000 if a corporation, or, if any other person, $1,000,000, or by imprisonment not exceeding 10 years, or by both said punishments, in the discretion of the court.

Altra decisione nell’annosissima lite sul marchio Budweiser

La massima di Cass. sez. I, sent. 09/07/2024 n. 18.683, rel. Ioffrida:

<<È invalida la registrazione di un segno come marchio, se può indurre nel pubblico l’erronea convinzione che il prodotto provenga da un’area territoriale nota per le eccellenti qualità di quel prodotto, giacché in tale ipotesi si verifica un effetto distorsivo del mercato, ingenerato dall’inganno subito dai consumatori – portati a credere che il prodotto che viene loro proposto provenga da una certa area geografica e goda dei pregi per cui essa è nota – e ciò a prescindere dall’appartenenza di un diritto di proprietà intellettuale sulla denominazione dell’area geografica in capo a chicchessia e in particolare al soggetto che denuncia la decettività del segno. (Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento impugnato che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno per contraffazione conseguente alla dedotta invalidità della registrazione di un segno come marchio, proposta da un noto birrificio nei confronti di imprese concorrenti che avevano utilizzato il segno su prodotti provenienti da area geografica diversa da quella boema, in cui l’attore produceva il proprio prodotto)>>.

Sentenza importante in tema di decettività e preuso del marchio, che andrà studiata attentamente.

(massima di Giustizia Civile Massimario 2024 , letta in DeJure Giuffrè)

“Aceto Balsamico” in una lite nazionale

Tribunale di Venezia deciso 13.12.2023, RG 2889/2019, rel. Guzzo, emette ssntenza analiita ed interssante sull’uso del termine Aceto Balsamico.

Nè dà notizia Anna Maria Stein in IPKat, dandone pure il link al testo.

La domanda avanzata dal Consorzio è accolta solo in parte e cioè relativamente alla concorrenza sleale ex art. 2598 cc

Ecco il dispositivo:

Il Tribunale definitivamente pronunciando:

1) Rigetta le domande attoree formulate al punto I delle conclusioni attoree e le domande di inibitoria, penale e risarcimento danni fondate sugli illeciti invocati in detto punto 1)

2) Rigetta le domande attoree formulate al punto II con riferimento alla concorrenza sleale ex art 2598 n .1 e 2 cc nonché le domande di inibitoria, penale e risarcimento danni fondate sulle fattispecie di concorrenza sleale ex art 2598 n.1 e 2 cc.

3) Accertato che i condimenti oggetto di causa non possiedono le caratteristiche necessarie per essere denominati con la denominazione legale “aceto”, accerta che l’uso del termine “aceto” pagina 17 di 18 nell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei condimenti oggetto di causa integra concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc

4) in ragione di quanto accertato al punto 3 del presente dispositivo inibisce l’utilizzo della parola aceto per i condimenti in oggetto e ciò nella nell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei condimenti stessi

5) Accertato che l’uso delle parole “Balsamico di..” , “Ristretto di Balsamico.. “ nella etichettatura non è conforme alle prescrizioni del Regolamento (UE) 1169/11, accerta che l’uso di dette parole per le etichettature dei prodotti integra concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc.

6) In ragione di quanto accertato al punto 5) inibisce ai convenuti l’uso delle parole “Balsamico di..” , “Ristretto di Balsamico.. “ da sole o unite ad “aceto” per denominare i condimenti nella etichettatura dei recipienti e bottigliette contenenti detti prodotti ed altresì inibisce la presentazione e pubblicizzazione di foto in cui compaiano i recipienti o bottigliette di detti condimenti o cartellini identificativi etichettati con “Balsamico di..” o balsamico…” da soli o in aggiunta ad aceto. “ristretto di

7) Ordina di eliminare dal sito web www.teatrodelgusto.it la pubblicità presente in cui compaia il termine “aceto” riferito ai condimenti del tipo di cui trattasi ed altresì la pubblicità in cui compaiano foto di recipienti o bottigliette di detti condimenti o cartellini identificativi etichettati con “Balsamico di..” o “ristretto di balsamico” da soli o in aggiunta ad aceto dando termine all’uopo di giorni 30 dalla pubblicazione della presente sentenza

8) Pone una penale di € 80,00 per ogni giorno di ritardo nella rimozione di quanto indicato al punto 7) con decorrenza dal giorno successivo al termine di grazia di giorni trenta di cui al medesimo punto 7) , nonché pone una penale di € 30,00 per ogni futura violazione alle inibitorie di cui ai punti 4 e 6 del presente dispositivo

9) Condanna in via generica, in solido, le convenute al risarcimento dei danni per concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc come da parte motiva

10) Rigetta ogni altra domanda 11) Compensa le spese di lite e pone le spese di CTU per il 50% a carico dell’attore e per il restante 50% a carico delle convenute in solido

Limitazioni del diritto di brevetto: la c.d. Bolar clause (art. 68.1.b, cod. propr. ind.) è invocabile anche da chi non è lo sperimentatore se finalizzata a chiedere l’ AIC

Cass. sez. I, 05/07/2024 n. 18.372, rel. Iofrida, con una importante sentenza (non son numerose)  sull’oggetto:

<<2.9. Il Tribunale di Milano e la Corte d’Appello, con la sentenza n. 1785/2021, qui impugnata, pur avendo ritenuto che l’esenzione Bolar si applichi non soltanto al soggetto che autonomamente produce il principio attivo, svolge le sperimentazioni necessarie per chiedere l’AIC e poi chiede l’AIC, ma anche ai terzi produttori di principi attivi che non chiedono successivamente l’AIC, ma che forniscono il principio attivo a coloro che intendono chiederla, così da metterli nelle condizioni di fare ciò, con ciò proponendo un’interpretazione ampliativa rispetto all’ambito soggettivo di applicazione dell’eccezione, hanno ritenuto che tale portata oggettiva vada però applicata solo quando il produttore del principio attivo brevettato e il richiedente l’AIC, che successivamente lo utilizza per attività di studio e sperimentazione, perseguano la medesima finalità, ovvero l’ottenimento di un AIC di un farmaco; è stato così ritenuto illecito il caso in cui la produzione/offerta del prodotto sia obiettivamente slegata dalla finalità di ottenere un’AIC ed il profitto che il produttore ricava dalla vendita dello stesso sia la remunerazione di un’attività di studio e produzione, offerta e pubblicizzazione ovvero di un’attività di sfruttamento commerciale del principio brevettato, in quanto tale attività non può ricevere alcuna copertura dalla scriminante in esame.

Si deve ricordare che la tesi restrittiva (espressa in alcune pronunce di merito), in ordine all’ambito soggettivo, individua la ratio della “eccezione sperimentale” nell’impossibilità, per lo sperimentatore, di ricavare comunque un profitto diretto dalla propria attività di ricerca, dovendo questa essere intesa come mera ricerca volta al superamento e/o al miglioramento dell’invenzione, senza un profitto diretto e senza attività prodromiche alla vendita o produzioni in quantità incompatibili con la sola sperimentazione>>.

Opinione condivisa dalla SC:

<< In sostanza, l’obiettivo perseguito dal legislatore, anche Europeo, è quello di rendere lecite le attività necessarie per la presentazione alle autorità competenti di una richiesta di AIC per un farmaco generico, anche se comportano l’uso dell’invenzione brevettata altrui, e di consentire ai fabbricanti di farmaci generici di essere nelle condizioni per immettere sul mercato i loro prodotti nel minor tempo possibile, dopo la scadenza del brevetto, evitando che il titolare del brevetto farmaceutico, al quale l’ordinamento già attraverso il meccanismo del certificato di protezione complementare permette di recuperare, con un prolungamento della protezione, il tempo occorso per ottenere la concessione dell’autorizzazione all’immissione in commercio, goda, scaduta la sua privativa, di un ulteriore prolungamento di fatto del regime di esclusiva, in relazione al tempo occorrente al genericista per ottenere una “AIC” sul farmaco generico.

E, peraltro, l’art. 68, comma 1, lett. b), c.p.i., non richiede che chi presenti la domanda di “AIC” abbia fabbricato direttamente il principio attivo o compia direttamente le attività di sperimentazione.

In forza quindi della ratio della norma, si deve avere riguardo, più che al soggetto che pone in essere le condotte scriminate, alle finalità delle sperimentazioni necessarie ad introdurre farmaci generici sul mercato in tempi relativamente rapidi, che caratterizza l’eccezione Bolar.

Di conseguenza, dovendosi guardare alla finalità della eccezione Bolar (l’ottenimento di una “AIC” in tempi più rapidi, compatibilmente con quelli del settore farmaci), seppure essa possa applicarsi anche al produttore di principi attivi che svolga attività di studio/sperimentazione/produzione per le finalità registrative, non proprie ma, di un terzo genericista, occorre, in tal caso, che la finalità Bolar sia chiara ab origine e che quindi, a monte della attività di produzione e commercializzazione del principio attivo, vi sia un rapporto di “committenza”, in virtù del quale il produttore viene avvicinato dal terzo genericista “per un’attività di studio produzione e consegna a sua volta lecita in quanto ex ante connaturata alla predetta finalità” ed il produttore agisce “solo in ragione di una richiesta sorretta da una dichiarata finalità idonea a scriminare il suo comportamento espressamente contemplata – come limite di utilizzo – nel relativo regolamento negoziale”.

Le attività scriminate dalla lett. b) dell’art. 68 sono quelle finalizzate alla presentazione di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco e tale finalità deve emergere, nel caso in cui l’attività sia svolta non a fini registrativi propri ma di terzi, ex ante e in modo inequivoco.

Al di fuori di una richiesta da parte, la produzione/offerta del prodotto risulta slegata dalla finalità di ottenere una “AIC” e il profitto che il produttore ricava dalla vendita dello stesso è la remunerazione di un’attività di studio e produzione, offerta e pubblicizzazione, ovvero di un’attività di mero sfruttamento commerciale del principio brevettato da altri, avvenuta senza alcuna copertura della scriminante.

Soltanto chi fabbrica principi attivi o campioni per conto di un committente che possa avvalersi della Bolar (a fini registrativi sopra descritti) non può essere considerato contraffattore dell’altrui privativa industriale, anche se riceve un corrispettivo per il servizio offerto ad altri.

Nulla poi impedisce all’azienda produttrice di principi attivi di pubblicizzare in termini generali la propria attività, affinché il genericista – interessato ad un determinato principio attivo – possa rivolgersi a tale azienda per verificare se sia o meno interessata a produrre (su suo incarico) quello specifico principio attivo.

Vero che il genericista di piccole dimensioni (e quindi non dotato di strutture operative proprie), interessato a depositare e vedersi concedere una domanda di “AIC” per un proprio farmaco generico, in anticipo sulla scadenza del brevetto o del “CCP”, dovrà attivarsi per tempo, anche diversi anni prima facendo apposita richiesta a un produttore terzo che possa studiare e quindi produrre il principio attivo necessario ai fini registrativi.

Ma le tempistiche legate alla produzione di un principio attivo che il genericista “dotato di struttura produttiva interna” dovrà affrontare (ivi incluse quelle necessarie all’ottenimento delle varie autorizzazioni regolatorie) sono le medesime che dovranno essere affrontate dal produttore terzo contattato dal genericista di piccole dimensioni.

E, sempre nell’ottica funzionale-teleologica dell’interpretazione estensiva (si ripete, comunque favorevole alle ricorrenti, rispetto ad una interpretazione letterale), correttamente, la Corte territoriale ha ritenuto che perché possa affermarsi che la finalità Bolar connoti l’attività del produttore del principio attivo ab origine occorra, oltre alla preventiva richiesta da parte del genericista, anche che tale finalità registrativa sia indicata a livello negoziale quale limite di utilizzo, come previsione dell’impegno all’uso del principio attivo secondo le finalità Bolar, sorretto dalla pattuizione del pagamento di una penale in caso di violazione dell’impegno.

Si tratta di minime misure precauzionali al fine di evitare usi del principio attivo non scriminati dalla eccezione.

In definitiva, affinché possa applicarsi l’esenzione Bolar anche a chi produca il principio attivo protetto dal brevetto non per ottenere direttamente la “AIC” ma per cederlo a terzo (il genericista) che lo utilizzerà a tal fine, occorre che la finalità Bolar sia univoca e possa essere adeguatamente provata come presente ab origine. La corretta interpretazione della norma di diritto si impone con tale evidenza, da non lasciare adito a ragionevoli dubbi interpretativi>>.

Principio di diritto:
“In tema di limitazioni del diritto di brevetto e di interpretazione e applicazione dell’art. 68, comma 1, lett. b), del codice di proprietà industriale, di cui al D.Lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005, frutto del recepimento in Italia della direttiva 2001/83/CE (art.10.6), poi modificata nella direttiva 2004/27/CE, la ratio della c.d. “Bolar clause” o “esenzione Bolar”, secondo cui sono consentite le attività di sperimentazione di un farmaco coperto da altrui brevetto, finalizzate all’ottenimento di una autorizzazione amministrativa all’immissione in commercio del farmaco, che si intende operare dopo la scadenza del brevetto altrui, è quella di agevolare il tempestivo ingresso sul mercato dei farmaci generici per non prolungare, di fatto, la durata della privativa, consentendo ai produttori genericisti di iniziare le attività amministrative e di sperimentazione prodromiche all’ottenimento di un’AIC, pur in costanza del brevetto di riferimento, introducendo limiti al diritto di esclusiva; l’eccezione o esenzione Bolar può ritenersi applicabile anche all’attività di terzi che producono il principio attivo del farmaco brevettato, per finalità registrative non proprie ma di terzi genericisti, non attrezzati a produrre in proprio, ma intenzionati ad entrare sul mercato, alla scadenza dell’esclusiva del titolo brevettuale; tuttavia tale interpretazione estensiva della eccezione presuppone, perché possa affermarsi che la finalità Bolar connoti l’attività del produttore del principio attivo ab origine ed ex ante, oltre alla preventiva richiesta da parte del genericista, anche che tale finalità registrativa sia indicata a livello negoziale quale limite di utilizzo, come previsione dell’impegno all’uso del principio attivo secondo le finalità Bolar“.

Installare televisioni in albergo, portanti segnale tv fatto circolare via cavo, costituisce comunicazione al pubblico

L’annoso tema , che non cessa di porre dubbi, è esaminato da Corte di Giustizia 11.04.2024. C-11-04.2024, Citadines Betriebes GmbH c. MPLC MPLC Deutschland GmbH (AG è Szpunar).

Riporto tutto il passo rilevante

<<35   Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 debba essere interpretato nel senso che la fornitura di apparecchi televisivi installati nelle camere o nella palestra di un albergo, qualora un segnale sia, inoltre, ritrasmesso a tali apparecchi mediante una rete di distribuzione via cavo propria di tale albergo, costituisca una «comunicazione al pubblico» ai sensi di tale disposizione.

36      A tal riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, «[g]li Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente».

37      Come ripetutamente dichiarato dalla Corte, in forza di tale disposizione, gli autori dispongono di un diritto di natura precauzionale che consente loro di frapporsi tra eventuali utenti della loro opera e la comunicazione al pubblico che detti utenti potrebbero voler effettuare, e ciò al fine di vietare quest’ultima (sentenze del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punto 30, e del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

38      Per quanto concerne il contenuto della nozione di «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, essa deve essere intesa, come indicato al considerando 23 della direttiva 2001/29, in senso ampio, quale comprendente qualsiasi comunicazione al pubblico non presente nel luogo di origine della comunicazione e quindi qualsiasi trasmissione o ritrasmissione, di tale natura, di un’opera al pubblico, su filo o senza filo, compresa la radiodiffusione. Dai considerando 4, 9 e 10 di detta direttiva emerge, infatti, che obiettivo principale di quest’ultima è la realizzazione di un elevato livello di protezione a favore degli autori, consentendo a questi ultimi di ricevere un adeguato compenso per l’utilizzo delle loro opere, in particolare in occasione di una comunicazione al pubblico (sentenza del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

39      A tal proposito, come ripetutamente dichiarato dalla Corte, tale nozione consta di due elementi cumulativi, vale a dire un atto di comunicazione di un’opera e la comunicazione di quest’ultima a un pubblico, e implica una valutazione individualizzata (sentenze del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punto 37; del 2 aprile 2020, Stim e SAMI, C‑753/18, EU:C:2020:268, punto 30, e del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

40      Ai fini di una tale valutazione è necessario tener conto di svariati criteri complementari, di natura non autonoma e interdipendenti tra loro. Poiché tali criteri possono essere presenti, nelle diverse situazioni concrete, con intensità molto variabile, occorre applicarli sia individualmente sia nella loro reciproca interazione (sentenze del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punto 35, e del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 67 e giurisprudenza ivi citata).

41      Tra tali criteri la Corte, da un lato, ha messo in evidenza il ruolo imprescindibile dell’utente e il carattere intenzionale del suo intervento. Esso realizza infatti un «atto di comunicazione» quando interviene, con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento, per dare ai suoi clienti accesso a un’opera protetta, in particolare quando, in mancanza di detto intervento, tali clienti non potrebbero, in linea di principio, fruire dell’opera diffusa (v. in tal senso, sentenza del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

42      Inoltre, la Corte ha dichiarato che il carattere lucrativo di una comunicazione al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, non è privo di rilevanza (sentenza dell’8 settembre 2016, GS Media, C‑160/15, EU:C:2016:644, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

43      D’altronde, per rientrare nella nozione di «comunicazione al pubblico», ai sensi di tale disposizione, occorre inoltre che le opere protette siano effettivamente comunicate a un pubblico [sentenze del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punto 40, e del 28 ottobre 2020, BY (Prova fotografica), C‑637/19, EU:C:2020:863, punto 25 e giurisprudenza ivi citata].

44      A tal riguardo, la Corte ha precisato che la nozione di «pubblico» riguarda un numero indeterminato di destinatari potenziali e implica, peraltro, un numero di persone abbastanza rilevante (sentenze del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punto 41, e del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

45      Parimenti, secondo costante giurisprudenza, un’opera protetta, per essere qualificata come «comunicazione al pubblico», deve essere comunicata secondo modalità tecniche specifiche, diverse da quelle fino ad allora utilizzate o, in mancanza, deve essere rivolta ad un «pubblico nuovo», vale a dire a un pubblico che non sia già stato preso in considerazione dal titolare del diritto nel momento in cui egli ha autorizzato la comunicazione iniziale della sua opera al pubblico (sentenza del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

46      È alla luce, in particolare, di tali criteri, e conformemente alla valutazione individualizzata ricordata al punto 39 della presente sentenza, che occorre valutare se, in una causa quale quella oggetto del procedimento principale, il gestore di un albergo che fornisce nelle camere e nella palestra dello stesso apparecchi televisivi e/o radiofonici ai quali ritrasmette un segnale di radiodiffusione realizzi un atto di comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29.

47      Sebbene spetti, in linea di principio, al giudice nazionale stabilire se ciò si verifichi in una particolare fattispecie e apportare al riguardo tutte le valutazioni di fatto definitive, la Corte è competente a fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi di interpretazione attinenti al diritto dell’Unione per valutare se esista un tale atto di comunicazione al pubblico.

48      Nel caso di specie, in primo luogo, occorre considerare che il gestore di un albergo realizza un atto di comunicazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, qualora trasmetta deliberatamente opere protette alla sua clientela, distribuendo volutamente un segnale a mezzo di apparecchi televisivi installati in detto albergo (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

49      In secondo luogo, la Corte ha già dichiarato che i clienti di un siffatto albergo costituiscono un numero indeterminato di destinatari potenziali, nella misura in cui l’accesso di tali clienti ai servizi dell’albergo in parola è frutto, in via di principio, della scelta specifica di ciascuno di essi e non è soggetto ad altro limite se non la capacità ricettiva dell’albergo, e che i clienti di un albergo costituiscono un numero di persone abbastanza rilevante, e di conseguenza queste ultime devono essere ritenute un «pubblico» [sentenza del 15 marzo 2012, Phonographic Performance (Ireland), C‑162/10, EU:C:2012:141, punti 41 e 42].

50      In terzo luogo, la Corte ha dichiarato che, perché sussista la comunicazione al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, occorre che l’utente interessato, con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento, dia accesso a una trasmissione radiodiffusa contenente un’opera protetta a un pubblico ulteriore e che risulti che, in assenza di tale intervento, le persone che costituiscono tale pubblico «nuovo», pur trovandosi all’interno della zona di copertura di detta trasmissione, non possano, in via di principio, usufruire di tale opera. Pertanto, qualora il gestore di un albergo trasmetta deliberatamente alla sua clientela una tale opera, distribuendo volontariamente un segnale a mezzo di ricevitori televisivi o radiofonici installati in tale albergo, egli interviene, con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento, per dare ai suoi clienti accesso a tale opera. Infatti, in assenza di questo intervento, tali clienti, pur trovandosi all’interno di una tale zona di copertura, non potrebbero, in via di principio, usufruire di detta opera (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punti 46 et 47 e giurisprudenza ivi citata).

51      In quarto luogo, secondo la giurisprudenza della Corte, affinché vi sia comunicazione al pubblico, ai sensi di tale disposizione, è sufficiente che l’opera sia messa a disposizione del pubblico in modo che coloro che compongono tale pubblico possano avervi accesso (v., in tal senso, sentenza del 7 dicembre 2006, SGAE, C‑306/05, EU:C:2006:764, punto 43). Ne consegue che è irrilevante la circostanza, menzionata dal giudice del rinvio, che gli apparecchi televisivi non siano stati accesi dalla Citadines, bensì dai clienti dell’albergo gestito da tale società.

52      In quinto luogo, per quanto riguarda il carattere lucrativo di cui al punto 42 della presente sentenza, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’atto con il quale il gestore di un albergo dà ai suoi clienti accesso a un’opera radiodiffusa costituisce una prestazione di servizio supplementare che incide sullo standing di tale albergo e, quindi, sul prezzo delle camere di quest’ultimo, di modo che tale atto riveste carattere lucrativo [v., in tal senso, sentenze del 7 dicembre 2006, SGAE, C‑306/05, EU:C:2006:764, punto 44, nonché del 15 marzo 2012, Phonographic Performance (Ireland), C‑162/10, EU:C:2012:141, punti 44 e 45].

53      In sesto e ultimo luogo, non si può ritenere che la fornitura di apparecchi televisivi nelle camere e nella palestra dell’albergo oggetto nel procedimento principale costituisca una «mera fornitura di attrezzature fisiche» ai sensi del considerando 27 della direttiva 2001/29.

54      Infatti, per quanto concerne gli alberghi, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, anche se la mera fornitura di attrezzature fisiche, che coinvolge, oltre a detto albergo, abitualmente imprese specializzate nella vendita o nella locazione di apparecchi televisivi, non costituisce, in quanto tale, un atto di comunicazione ai sensi della direttiva 2001/29, tuttavia tali installazioni possono rendere tecnicamente possibile l’accesso del pubblico alle opere radiodiffuse. Pertanto, se, mediante apparecchi televisivi in tal modo installati, tale albergo distribuisce il segnale ai suoi clienti alloggiati nelle camere di quest’ultimo, si tratta di una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva, senza che occorra accertare quale sia la tecnica di trasmissione del segnale utilizzata (v., in tal senso, sentenza del 7 dicembre 2006, SGAE, C‑306/05, EU:C:2006:764, punto 46).

55      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 dev’essere interpretato nel senso che la fornitura di apparecchi televisivi installati nelle camere o nella palestra di un albergo, qualora un segnale sia, inoltre, ritrasmesso a tali apparecchi mediante una rete di distribuzione via cavo propria di tale albergo, costituisce una «comunicazione al pubblico» ai sensi di tale disposizione.>>

§§ centrali sono i 50 e 54.

Al solito, non convince il requisito della lucrosità, assente nella fattiusopecie legale.

E’ comunicazine al pubblico (art. 3 dir. Infosoc. 2001/29 sul copyright) predisporre antenne nei vari appartamenti di un condominio?

Si , se vengono dati in affitto, ricorrendo in tale caso il pubblico “nuovo” richiesto dalla fattispecie (euro)normativa.

Così la corte di Giustizia  UE , C-135/23, del 20.06.2024, GEMA v. GL, sulla annosa questione interpretativa del concetto di “comunicazione al pubblico” (v. ora la sintetica ma precisa esposizione di Cogo, in AA.VV., Lineamenti di diritto industriale,. Wolters Kluwer, 2024, 560 ss):

<< 33   A tal riguardo, in primo luogo, si deve considerare, al pari dell’avvocato generale ai paragrafi 40 e 50 delle sue conclusioni, e fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, che il gestore di un condominio, dotando gli appartamenti di apparecchi televisivi e di antenne da interno che, senza che siano necessari ulteriori interventi, ricevono segnali e consentono la diffusione di trasmissioni, in particolare di musica, in detti appartamenti, realizza intenzionalmente un intervento al fine di consentire ai propri clienti l’accesso a tali emissioni, all’interno degli appartamenti locati e durante il periodo di locazione, senza che sia determinante che questi ultimi si avvalgano o meno di tale possibilità (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2017, Stichting Brein, C‑610/15, EU:C:2017:456, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

34 Inoltre, l’intervento di tale gestore che dà accesso ad opere radiotelevisive ai suoi clienti deve essere considerato come una prestazione di servizi supplementare fornita al fine di trarne un certo utile.

35 L’offerta di questo servizio influisce infatti sulla categoria degli appartamenti di cui si tratta nel procedimento principale e quindi sul prezzo dell’affitto di tali appartamenti (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2012, SCF, C‑135/10, EU:C:2012:140, punto 90 e giurisprudenza ivi citata) o, come rilevato al punto 25 della presente sentenza, sulla loro attrattiva e, pertanto, sulla loro frequentazione. Si deve quindi ritenere che l’offerta di siffatto servizio consenta di dimostrare il carattere lucrativo della comunicazione, ai sensi della giurisprudenza citata ai punti 24 e 25 della presente sentenza.

36 Ai fini dell’esame che deve essere effettuato dal giudice del rinvio, è irrilevante la circostanza, evidenziata da tale giudice, che gli apparecchi televisivi di cui si tratta nel procedimento principale siano collegati a un’antenna «interna» piuttosto che a un’antenna «centrale», come quella oggetto della causa che ha dato luogo all’ordinanza del 18 marzo 2010, Organismos Sillogikis Diacheirisis Dimiourgon Theatrikon kai Optikoakoustikon Ergon (C‑136/09, EU:C:2010:151).

37 Infatti, una distinzione siffatta tra antenne centrali e interne non sarebbe conforme al principio di neutralità tecnologica, in forza del quale la legge deve enunciare i diritti e gli obblighi delle persone in modo generico, al fine di non privilegiare il ricorso a una tecnologia rispetto a un’altra (v., in tal senso, sentenza del 24 marzo 2022, Austro-Mechana, C‑433/20, EU:C:2022:217, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

38 In secondo luogo, perché venga in considerazione la nozione di «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, è necessario che le opere protette siano effettivamente comunicate a un pubblico. A tal riguardo, la Corte ha precisato che la nozione di «pubblico» riguarda un numero indeterminato di destinatari potenziali e comprende, peraltro, un numero di persone piuttosto considerevole (sentenza del 20 aprile 2023, Blue Air Aviation, C‑775/21 e C‑826/21, EU:C:2023:307, punti 51 e 52, nonché giurisprudenza ivi citata).

39 Pertanto, la nozione di «pubblico» comporta una certa soglia de minimis, il che esclude da detta nozione un numero di interessati troppo esiguo, se non addirittura insignificante. Per determinare tale numero, occorre tener conto, in particolare, del numero di persone che possono avere accesso contemporaneamente alla medesima opera, ma altresì di quante tra di loro possano avervi accesso in successione (v., in tal senso, sentenze del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punti 43 e 44, nonché del 19 dicembre 2019, Nederlands Uitgeversverbond e Groep Algemene Uitgevers, C‑263/18, EU:C:2019:1111, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

40 Nel caso di specie, il giudice del rinvio non fornisce indicazioni quanto al numero di persone che possono avere accesso alle opere, parallelamente o in successione, limitandosi ad affermare che l’immobile di cui si tratta nel procedimento principale è composto da 18 appartamenti. Tale giudice non indica, in particolare, se gli appartamenti siano oggetto di locazioni di breve durata, segnatamente a titolo di alloggio turistico, il che può incidere sul numero di persone che possono avere accesso in successione alle opere di cui si tratta.

41 Conformemente alla giurisprudenza citata al punto 31 della presente sentenza, spetta, rispettivamente, al giudice nazionale stabilire se opere protette siano effettivamente comunicate a un «pubblico», ai sensi della giurisprudenza citata ai punti 38 e 39 di tale sentenza, e alla Corte fornirgli indicazioni utili al riguardo.

42 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 36 delle sue conclusioni, se il giudice del rinvio dovesse constatare che gli appartamenti dell’immobile di cui si tratta nel procedimento principale sono oggetto di locazioni di breve durata, segnatamente a titolo di alloggio turistico, i loro locatari dovrebbero essere qualificati come «pubblico», dato che essi costituiscono insieme, al pari dei clienti di un albergo, un numero indeterminato di potenziali destinatari [v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2012, Phonographic Performance (Ireland), C‑162/10, EU:C:2012:141, punti 41 e 42].

43 In terzo luogo, da una giurisprudenza costante risulta che, un’opera protetta, per essere qualificata come «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, deve essere comunicata secondo modalità tecniche specifiche, diverse da quelle fino ad allora utilizzate o, in mancanza, deve essere rivolta ad un «pubblico nuovo», vale a dire a un pubblico che non sia già stato preso in considerazione dal titolare del diritto nel momento in cui egli ha autorizzato la comunicazione iniziale della sua opera al pubblico (sentenza del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

44 Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle sue conclusioni, i locatari di appartamenti di un immobile oggetto di locazioni di breve durata, segnatamente a titolo di alloggio turistico, possono costituire un siffatto pubblico «nuovo», dal momento che tali persone, pur trovandosi all’interno della zona di copertura di detta trasmissione, non potrebbero fruire dell’opera diffusa senza l’intervento del gestore di tale immobile, mediante il quale quest’ultimo installa, in tali appartamenti, apparecchi televisivi muniti di un’antenna da interno (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punti 46 e 47).

45 Per contro, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 60 delle sue conclusioni, se il giudice del rinvio dovesse constatare che gli appartamenti di cui si tratta sono dati in locazione a locatari per uso residenziale, questi ultimi non possono essere considerati un «pubblico nuovo», ai sensi della giurisprudenza citata al punto 43 della presente sentenza.

La CG si adegua alle Conclusioni del bravo A.G. SZpunar.

Tra i fattori da considerare nel giudizio di confondibilità c’è pure la rinomanza del marchio successivo

Anteriorità opposta:

Marchio denominativo cbiesto in registrazione: << CHIQUITA QUEEN >>.

Stessi prodotti : frutta fresca.

Ebbene, Trib. UE 29.05.2024, T-79/23, Chiquita Brands v. EUIPO-Jara 2000, annullando l’appello ammnistrativo, esclude il rischio di confondibilità.

Qui interessa il passaggio dove include la rinomanza del secondo marcbio (di parte di esso: di CHIQUITA) tra i fattori da conteggiare per il giudizio di confondibilità.

<<46  In that regard, EUIPO’s argument that the reputation of the mark applied for, or of its distinct elements, is irrelevant for the purposes of assessing the relative ground for refusal, referred to in Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001, must be rejected.

47 It is necessary to distinguish between, on the one hand, the factor based on the distinctive character of the earlier mark, which is linked to the protection granted to such a mark and which is to be taken into consideration in the context of the overall assessment of the likelihood of confusion and, on the other, the distinctive character which an element of a composite mark may have, which is linked to its ability to dominate the overall impression produced by that mark and which must be examined from the stage of assessing the similarity of the signs (see, to that effect, order of 27 April 2006, L’Oréal v OHIM, C‑235/05 P, not published, EU:C:2006:271, paragraph 43, and judgment of 25 March 2010, Nestlé v OHIM – Master Beverage Industries (Golden Eagle and Golden Eagle Deluxe), T‑5/08 to T‑7/08, EU:T:2010:123, paragraph 65).

48 Thus, in the present case, since it is not disputed that the mark CHIQUITA enjoys a reputation in the European Union for some fresh fruits, it is possible to take into account, at the stage of the assessment of the similarity of the signs at issue, that reputation as a relevant factor for assessing the distinctive character of the element ‘chiquita’ appearing in the sign CHIQUITA QUEEN.

49 Furthermore, since the examination of the distinctive character of the elements of a sign cannot be confused with the examination of the distinctive character of the earlier mark carried out as part of the overall assessment of the likelihood of confusion, the case-law referred to in paragraph 28 of the contested decision, as well as that relied on in EUIPO’s response, which refers to the reputation of the earlier mark under the protection granted to the latter in the context of the assessment of the overall risk confusion, is irrelevant.

50 It follows that the Board of Appeal made an error of assessment in concluding that the term ‘chiquita’, appearing in the sign of the mark applied for, had weak distinctive character>>.

Deicisione probabilmente esatta ma che richiederebbe un esame approfondito, data la non banale questione teorica sottostante.

Marcel Pemsel  in IPKat, che dà notizia della sentenza, sostanzialmente concorda, pur evidenziando contrasti con giurisprudenza precedente.